SENTENZA N. 27
ANNO 1981
REPUBBLICA ITALIANA
In nome del Popolo Italiano
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori giudici
Avv. Leonetto AMADEI, Presidente
Dott. Giulio GIONFRIDA
Prof. Edoardo VOLTERRA
Dott. Michele ROSSANO
Prof. Antonino DE STEFANO
Prof. Leopoldo ELIA
Prof. Guglielmo ROEHRSSEN
Avv. Oronzo REALE
Dott. Brunetto BUCCIARELLI DUCCI
Avv. Alberto MALAGUGINI
Prof. Livio PALADIN
Dott. Arnaldo MACCARONE
Prof. Antonio LA PERGOLA
Prof. Virgilio ANDRIOLI
Prof. Giuseppe FERRARI
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio sull'ammissibilità, ai sensi dell'art. 2, comma primo, legge cost. 11 marzo 1953, n. 1, della richiesta di referendum popolare per l'abrogazione degli articoli 6; 7 comma secondo, limitatamente alle parole: "e disciplinare la caccia, tenute presenti le consuetudini e le tradizioni locali"; 8; 9; 10; 11, comma secondo ("É fatta eccezione per le seguenti specie, oggetto di caccia, e per i periodi sotto specificati: 1) specie cacciabili dal 18 agosto fino al 31 dicembre: quaglia (Coturnix coturnix); tortora (Streptopelia turtur); calandro (Anthus campestris); prispolone (Anthus trivialis); merlo (Turdus merula); 2) specie cacciabili dal 18 agosto alla fine di febbraio: germano reale (Anas platyrhynchos); folaga (Fuliea atra); gallinella d'acqua (Gallinula chloropus); 3) specie cacciabili dal 18 agosto fino al 31 marzo: passero (Passer Italiae); passera mattugia (Passer montanus); passera oltremontana (Passer domesticus); storno (Sturnus vulgaris); poreiglione (Rallus aquaticus); alzavola (Anas crecca); canapiglia (Anas strepera); fischione (Anas penelope); codone (Anas acuta); marzaiola (Anas querquedula); mestolone (Anas clypeata); moriglione (Aythya ferina); moretta (Aythya fuligula); beccaccino (Capella gallinago); colombaccio (Columba palumbus); frullino (Lymocryptes minimus); chiurlo (Numenius arquata); pittima minore (Limosa lapponica); pettegola (Tringa totanus); donnola (Mustela nivalis); volpe (Vulpes vulpes); piviere (Charadrius apricarius); combattente (Philomachus pugnax); 4) specie cacciabili dalla terza domenica di settembre al 31 dicembre: mammiferi: coniglio selvatico (Oryctolagus cuniculus); lopre comune (Lepus europaeus); lepre sarda (Lepus capensis); lepre bianca (Lepus timidus); camoseio (Rupricapra rupicapra rupicapra); capriolo (Capreolus capreolus); cervo (Cervus elaphus hippelaphus); daino (Dama dama); muflone (Ovis musimon), con esclusione della popolazione sarda; uccelli: pernice bianca (Lagopus mutus); fagiano di monte (Lyrurus tetrix); gallo cedrone (Tetrao urogallus); coturnice (Alectoris graeca); pernice sarda (Alectoris barbara); pernice rossa (Alectoris rufa); starna (Perdix perdix); fagiano (Phasianus colchicus); fringuello (Fringilla coelebs); pispola (Anthus pratensis); peppola (Fringilla montifringilla); frosone (Coccothraustes coccothraustes); strillozzo (Emberiza calandra); colino della virginia; verdone (Chloris chloris); fanello (Carduelis cannabina); spioncello (Anthus spinoletta); 5) specie cacciabile dalla terza domenica di settembre alla fine di febbraio: beccaccia (Scolopax rusticola); 6) specie cacciabili dalla terza domeniea di settembre fino al 31 marzo: cappellaccia (Galerida cristata); tottavilla (Lullala arborea); allodola (Alauda arvensis); cesena (Turdus Pilaris); tordo bottaccio (Turdus philomelos); tordo sassello (Turdus iliacus); taccola (Coloeus monedula); corvo (Corvus frugilegus); cornacchia nera (Corvus corone); pavoncella (Vanellus vanellus); 7) specie cacciabile dal 1 novembre al 31 gennaio: cinghiale.") e comma terzo ("Possono essere disposte variazioni dell'elenco delle specie cacciabili, con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, sentito l'Istituto nazionale di biologia della selvaggina ed il comitato di cui all'articolo 4)."); 12; 13, comma secondo, limitatamente alle parole: "ai giardini zoologici o" nonché alle parole "o di specie tradizionalmente destinate all'allevamento e al commercio per fini ornamentali o amatoriali", e comma terzo, limitatamente alle parole: "o per eventuali deroghe al precedente comma, particolarmente per fini scientifici e sperimentali,"; 14; 15; 16; 17; 18; 19; 20, comma primo, lettera 1), limitatamente alle parole: ", salvo che per i fini di cui all'articolo 18 o nelle zone di ripopolamento e cattura e nei centri di produzione della selvaggina, o nelle oasi di protezione per sottrarli a sicura distruzione o morte, purché, in tale ultimo caso, se ne dia avviso entro 24 ore all'organo venatorio più vicino, che adotterà le decisioni del caso", lettera n), limitatamente alle parole: ", salvo che si tratti della civetta (Athene noctua) da utilizzare quale zimbello per la caccia agli alaudidi, nei limiti e nei modi stabiliti dalle leggi regionali", lettera q), limitatamente alle parole: ", esclusi quelli di allevamento,", lettera r), limitatamente alle parole: "non proveniente da allevamenti,", lettera t), limitatamente alle parole: "fatta eccezione per gli storni, i passeri e le allodole nel periodo in cui ne è consentita la caccia"; 21; 22; 25; 27, comma primo, limitatamente alle parole: "venatorie e", comma quarto, limitatamente alle parole: "dipendenti degli enti delegati ai sensi dell'articolo 5" e comma quinto ("Agli agenti venatori dipendenti degli enti delegati è vietata la caccia nell'ambito del territorio, in cui esercitano le funzioni, salvo che per particolari motivi e previa autorizzazione degli organi dai quali dipendono."); 28, comma secondo, limitatamente alle parole: "e del richiamo vivo" e comma terzo, limitatamente alle parole: "e di ripopolamento"; 29; 30; 31, comma primo, lettera a), limitatamente alle parole: "e la sospensione della concessione della licenza fino a tre anni", alle parole: "senza avere conseguito la licenza medesima", nonché alle parole: "e la esclusione definitiva della concessione della licenza"; 33 e 36, della legge 27 dicembre 1977, n.968, recante: "Principi generali e disposizioni per la protezione e la tutela della fauna e la disciplina della caccia" (n. 16 reg. ref.).
Vista l'ordinanza in data 2 dicembre 1980 con la quale l'Ufficio centrale per il referendum presso la Corte di cassazione ha dichiarato legittima la suddetta richiesta;
udito nella camera di consiglio del 14 gennaio 1981 il Giudice relatore Giuseppe Ferrari;
uditi l'avv. Sergio Panunzio per il comitato promotore e l'avvocato dello Stato Giorgio Azzariti per il Presidente del Consiglio dei ministri.
Ritenuto in fatto
1. - Con ordinanza del 2 dicembre 1980, pervenuta a questa Corte il 6 successivo, l'Ufficio centrale per il referendum, costituito presso la Corte di cassazione, ha dichiarato legittima la richiesta di referendum popolare presentata il 26 giugno 1980 dai signori Rippa Giuseppe, Cherubini Laura, Passeri Maria Grazia e Pergameno Silvio, per l'abrogazione - totale o parziale - di venticinque articoli della lege 27 dicembre 1977, n. 968, recante "Principi generali e disposizioni per la protezione e la tutela della fauna e disciplina della caccia".
2. - Ricevuta comunicazione dell'ordinanza, il Presidente di questa Corte ha fissato per la conseguente deliberazione il giorno 14 gennaio 1981, dandone comunicazione ai presentatori della richiesta ed al Presidente del Consiglio dei ministri, ai sensi dell'art. 33, secondo comma, della legge 25 maggio 1970, n. 352. Nel termine prescritto dall'art. 33, terzo comma, della menzionata legge n. 352 del 1970, hanno depositato memorie, oltre che l'Avvocatura dello Stato, in rappresentanza del Presidente del Consiglio dei ministri, il Comitato promotore del referendum e la promotrice e presentatrice Grosso Maria Teresa, anche la regione Friuli - Venezia Giulia.
Hanno inoltre presentato una memoria unica l'Unione nazionale delle associazioni venatorie italiane, l'Unione nazionale Enalcaccia, pesca e tiro, l'Arcicaccia, la Federazione italiana della caccia, l'Associazione nazionale uccellatori e uccellinai, l'Associazione nazionale Libercaccia, l'Ente produttori selvaggina.
3. - Secondo l'Avvocatura dello Stato, la richiesta di referendum sopra riportata dovrebbe essere dichiarata inammissibile. A1 riguardo nella memoria si osserva che, poiché dall'eventuale esito positivo del referendum deriverebbe la generalizzazione del divieto di caccia, risulterebbe conseguentemente svuotata di contenuto la materia "caccia" e, quindi, violata la sfera di autonomia normativa garantita dall'articolo 117 Cost. al legislatore regionale.
4. - Secondo il Comitato promotore e la promotrice e presentatrice Grosso Maria Teresa, invece, la richiesta referendaria sarebbe ammissibile sotto ogni profilo.
La legge di cui si propone la parziale abrogazione non sarebbe, infatti, sussumibile in alcuna delle categorie contemplate dall'art. 75 della Costituzione. Premesso, poi, che il divieto assoluto di caccia non implicherebbe violazione di alcuna convenzione o direttiva della C.E.E., si sostiene in particolare che neppure potrebbero invocarsi i limiti enucleati, in ordine all'ammissibilità delle richieste referendarie, dalla sentenza di questa Corte n. 16 del 1978.
Non quello conseguente alla "eterogeneità delle domande", essendo esse nella specie sicuramente caratterizzate da una "matrice razionalmente unitaria"; non il limite concernente le leggi "a contenuto costituzionalmente vincolato", essendo quella dettata dalla legge n. 968 solo una delle possibili discipline che il legislatore avrebbe potuto adottare ex articolo 117 Cost. Né - si sostiene - il diritto di caccia può considerarsi costituzionalmente protetto, essendo certo che l'art. 117 Cost. non stabilisce affatto una garanzia costituzionale della permanente liceità delle attività medesime. Per altro verso, poiché l'art. 117 non pone una disciplina sostanziale delle materie ivi indicate, ma fissa solo una distribuzione delle competenze legislative fra Stato e Regioni, neppure potrebbe ritenersi che il divieto assoluto di caccia si risolverebbe in una limitazione della competenza legislativa concorrente delle regioni a statuto ordinario, che la conserverebbero, oltre che in ordine alla disciplina del regime conseguente al divieto, anche per quanto concerne i numerosi altri aspetti della protezione della fauna.
Tanto meno - si osserva ancora - il divieto generale di caccia inciderebbe sulla competenza legislativa primaria delle regioni a statuto speciale o darebbe luogo ad una violazione del principio di uguaglianza sancito dall'art. 3 Cost. Le stesse memorie contestano, quindi, gli assunti che le leggi cornice non possano essere meramente abrogate, ma solo sostituite con una legge diversa, e che l'ipotizzato divieto generalizzato di caccia conseguente all'esito positivo del richiesto referendum abrogativo costituirebbe un'invasione della sfera di competenza legislativa propria del legislatore regionale, posto che lo stabilire un regime di divieto generalizzato di caccia sportiva sicuramente appartiene all'ambito della normativa di principio, in quanto tale rientrante nella sfera di competenza che l'art. 117 Cost. attribuisce al legislatore statale. Ma - si conclude - la risposta positiva del corpo elettorale al quesito referendario neppure sortirebbe un effetto assimilabile "tout court ad una disciplina positiva contenente un indiscriminato, assoluto ed inderogabile divieto di caccia", in relazione ai contenuti delle norme residue della legge n. 968 del 1977 e di quelle di altri atti normativi, nè precluderebbe al legislatore statale - e, pur in armonia coi nuovi principi, al legislatore regionale - "di ritornare sull'argomento", anche se, ovviamente, nel rispetto del senso generale della pronuncia popolare, che solo l'attuale disciplina avrebbe inteso sopprimere.
5. - Quanto, da ultimo, alle due memorie depositate, rispettivamente, dalla regione Friuli - Venezia Giulia e dalle varie associazioni più sopra menzionate - entrambe a sostegno dell'inammissibilità della richiesta - , devesi solo dare atto che la Corte, dopo avere udito i due difensori nella fase liminale della Camera di consiglio, ha pronunciato ordinanza, dichiarando che i presentatori delle due suddette memorie non possono, ai sensi dell'art. 33, terzo comma, della legge n. 352 del 1970, considerarsi "parti" nel presente giudizio.
6. - Nella Camera di consiglio del 14 gennaio 1981 sono stati pertanto uditi l'Avv. Sergio Panunzio per il Comitato promotore del referendum ed il Sostituto avvocato generale dello Stato Giorgio Azzariti per il Presidente del Consiglio dei ministri, i quali hanno ulteriormente illustrato i motivi già esposti nelle rispettive memorie.
Considerato in diritto
1. - Nella sentenza n. 16 del 1978 questa Corte ha testualmente affermato "l'esigenza che il quesito da porre agli elettori venga formulato in termini semplici e chiari"; ha poi ribadito che, "pur se trascurate ed ignorate dal legislatore", sono tuttavia "necessarie garanzie di semplicità, di univocità, di completezza dei quesiti"; ha motivato tali assunti, facendo richiamo alla necessità che "i quesiti posti agli elettori siano tali da esaltare e non da coartare la loro possibilità di scelta", soggiungendo poi che, altrimenti, si inciderebbe "di fatto sulla libertà del voto stesso (in violazione degli articoli 1 e 48 Cost.)" e che "il popolo stesso dev'essere garantito, in questa sede, nell'esercizio del suo potere sovrano".
Con le su riportate enunciazioni, il problema della formulazione dei quesiti veniva così impostato, anche se furono lasciate nello sfondo, perchè ininfluenti in quei giudizi, le ulteriori implicazioni e precisazioni, che sono deducibili mediante un più ampio svolgimento del tema.
Il referendum nel suo significato, prima ancora che nella sua disciplina, nella sua collocazione e valore nel sistema, consiste in una scelta. E l'elemento, questo della scelta, essenziale e fondamentale per la determinazione del concetto tecnico di referendum, come lo è nelle consultazioni popolari in genere e, quindi, anzitutto nelle elezioni. Ma il concetto di scelta, a sua volta, è intimamente legato a quello di possibilità, con la conseguenza che, se non c'é possibilità, non c'é scelta e, se non c'é scelta, come non vi sono elezioni, così non c'é referendum. Ora, la possibilità di scelta, cioè il proprium dell'istituto referendario viene meno, quando la libertà di voto dell'elettore venga coartata. Ed essa è coartata, non già solo, ovviamente, nel caso limite della violenza fisica, come in quelli, meno irreali, più subdoli e multiformi di violenza morale, ma altresì nei casi di formulazione, né semplice, né chiara. La formulazione può non essere semplice e può non essere chiara per l'eterogeneità delle domande o per la contraddizione fra la richiesta di abrogazione di una disciplina e la mancata richiesta di abrogazione di altre disposizioni dettate nel medesimo contesto normativo e indissolubilmente legate a quelle che, invece, si vorrebbero sopprimere. Nelle consultazioni popolari, e perciò anche in quelle referendarie, in cui non è concepibile una risposta articolata, la nettezza della scelta postula la nettezza del quesito, la sua semplicità, cioè essenzialità, la sua chiarezza, cioè la sua inconfondibilità.
2. - Quest'esigenza di semplicità, di chiarezza, di non contraddittorietà non è solo nella logica dell'istituto.
Certo, risulterebbe infruttuosa la ricerca di un dibattito su tal punto negli atti dell'Assemblea Costituente, sembrando ai costituenti inimmaginabile che potesse mai sorgere alcun dubbio proprio sull'elemento della possibilità di scelta, in cui il fenomeno referendario si sintetizza. Tuttavia può considerarsi un cenno in tal senso il riferimento, che in quella sede venne fatto, ai "problemi che possono essere facilmente compresi" ed all'utilità, in tali casi, dell'intervento popolare.
Inoltre, può dirsi che l'esigenza in parola non sia ignorata dalla legge di attuazione dei referendum (n. 352 del 1970): in fondo, la norma (art. 32, quarto ed ultimo comma) che prescrive per un verso la concentrazione delle richieste referendarie con uniformità o analogia di materia, e per altro verso prescrive di tenere, invece, distinte quelle che non presentano tali caratteri, mira a soddisfare la chiarezza dei quesiti; al conseguimento dello stesso scopo mira altresì quell'altra norma (art. 30, capoverso), la quale statuisce che, se una richiesta di referendum deliberata da un consiglio regionale è approvata da altri consigli regionali, ma con modificazioni, queste devono procedere come proposte distinte da quella. É senz'altro esplicita sul punto la recentissima legge 13 maggio 1980, n. 34 della regione Emilia - Romagna sulla disciplina del referendum abrogativo (art. 2, secondo comma), la quale non solo afferma che l'oggetto del quesito deve essere "formulato in termini semplici e chiari", ma ribadisce che l'indicazione dell'oggetto può venire omessa, "allorquando le altre indicazioni di per sè soddisfino le esigenze di chiarezza e univocità del quesito".
Non può pertanto non ammettersi che nelle consultazioni referendarie la partecipazione sarebbe fittizia, solo nominale, meramente rituale, quando il quesito risultasse contraddittorio, ingenerando perciò nell'elettore una irresolutezza superabile solo con una opzione che contraddirebbe alla stessa logica referendaria.
E quando il quesito non risulti contrassegnato dalla semplicità, chiarezza e coerenza, è illusorio credere che la campagna referendaria valga a rendere veramente e pienamente semplice quello che è complesso, chiaro quello che è oscuro, coerente quello che è contraddittorio. Infatti, allora, la possibilità di scelta degli elettori può apparire fittizia, non essendo in realtà ad essi data altra possibilità di scelta, che o esprimere un voto non genuino, o scegliere di non scegliere.
3. - Alla luce delle suesposte considerazioni, la richiesta di referendum per l'abrogazione parziale della legge 27 dicembre 1977, n. 968 deve essere dichiarata inammissibile.
Conseguentemente, non va esaminata la complessa problematica giuridico - costituzionale ampiamente illustrata dal comitato promotore e dall'avvocatura dello Stato, sia nelle memorie, sia nella discussione orale. Rimane così assorbita anche la questione se in una Costituzione rigida, che prevede un apposito procedimento legislativo aggravato per la propria revisione, e che ha conferito valore costituzionale alla autonomia regionale, un referendum abrogativo di leggi statali ordinarie possa cancellare una delle materie attribuite alla competenza legislativa regionale, o svuotarla del suo contenuto per la asserita evoluzione semantica del vocabolo che la esprime.
4. - La legge in parola si compone di 37 articoli, distribuiti in 11 titoli. Il quesito consiste nella richiesta di abrogazione totale di 3 titoli su 11 e, in tutto o in parte, di 25 articoli su 37. In particolare, i titoli da eliminare sarebbero il III, il VI ed il IX. Il titolo III ha per dichiarato oggetto l'"esercizio della caccia" e si compone degli articoli 8, 9 e 10. L'articolo 8, quello che maggiormente rileva, e che ha l'identica epigrafe del titolo, dispone testualmente che "l'esercizio della caccia è consentito" (primo comma); che "la caccia può essere esercitata da chi ... sia munito della relativa licenza e di un'assicurazione per la responsabilità civile verso terzi" (sesto comma); che "per l'esercizio venatorio è altresì necessario essere muniti di un tesserino" (ultimo comma). Gli altri due articoli (9 e 10) precisano, rispettivamente, quali sono i "mezzi di caccia" consentiti e cosa debba intendersi per "caccia controllata". Il titolo VI, riguardante "licenza di caccia - esami", consta, invece, di due soli articoli, di cui l'uno (art. 21) statuisce che "la licenza di porto d'armi per uso di caccia" (primo comma) "può essere rilasciata dopo il conseguimento della abilitazione all'esercizio venatorio a seguito di esame" (secondo comma), e l'altro (art. 22) disciplina le modalità per lo svolgimento di detto esame, nonché la durata della licenza ed il rinnovo della stessa. Il titolo IX, infine, di cui sono oggetto le "associazioni venatorie", si compone anche esso di due soli articoli (29 e 30), che hanno per epigrafe, rispettivamente, "riconoscimento ed iscrizioni" e "compiti delle associazioni venatorie riconosciute". Specificamente, l'art. 29, dopo avere enunciato che "le associazioni venatorie sono libere" (primo comma), indica i requisiti per il loro riconoscimento (secondo comma), mentre l'art. 30 elenca i compiti delle associazioni riconosciute, tra cui quelli di "organizzare i cacciatori" e di "promuovere e diffondere tra i cacciatori una coscienza venatoria".
5. - Se il quesito fosse stato contenuto nella richiesta di abrogazione dei suddetti titoli ed articoli, con l'aggiunta, tutt'al più, del secondo comma dell'art. 11, esso non avrebbe dato motivo a dubbi sulla propria coerenza. Risulterebbe, infatti, chiaro, che, in seguito all'eventuale risultato positivo del referendum, scomparirebbe la vigente disciplina della caccia e scomparirebbero la licenza di caccia, la (polizza di) assicurazione, il tesserino, l'abilitazione all'esercizio venatorio ed il relativo esame, le associazioni venatorie ed i loro compiti.
Sennonché, indulgendosi al metodo della elaboratezza, che non si addice ed, anzi, contraddice all'istituto generale della abrogazione, si è preferito compiere tale falcidia negli altri articoli, negli altri commi - persino di singole parole - , da fare apparire giuridicamente significanti le parti residue. Ma proprio per questo il quesito può cominciare ad apparire nebuloso, quando licenza, tesserino, polizza di assicurazione ricompaiono attraverso l'art. 28, primo comma, che non è compreso, infatti, nelle sovrabbondanti mutilazioni di cui la legge è stata fatta oggetto. Se la caccia è vietata, il suo esercizio è illecito e risulta contraddittorio il fatto che ai cacciatori di frodo si chieda dagli agenti di vigilanza l'esibizione della licenza, del tesserino, della polizza di assicurazione.
Il quesito perde sempre più chiarezza e, correlativamente, divengono sempre meno compiutamente ed immediatamente intelliggibili il genuino e compiuto senso e l'effettiva portata della proposta abrogativa di fronte alla formulazione di questa a riguardo dell'art. 31. In detto articolo, e precisamente nel primo dei due commi di cui esso si compone, il legislatore ha stabilito le sanzioni, in caso di violazione della normativa sulla caccia, enunciandole ordinatamente in distinti accapo, contrassegnati con le lettere dell'alfabeto da a) ad n), ognuno dei quali corrisponde ad una distinta ipotesi di violazione amministrativa.
Ebbene, viene proposta l'abrogazione parziale esclusivamente dell'ipotesi sub a), la quale prevede la "sospensione della concessione della licenza fino a tre anni", e non anche delle altre, che perciò rimarrebbero in vigore. Ma così è facile smarrirsi in un sistema, in cui, anche dopo che la caccia sia stata vietata, ricompare la licenza, sia pure per disporne la sospensione, come nelle ipotesi sub b), c) ed e), ovvero la revoca, come nelle ipotesi sub d) ed f), ovvero ancora la esclusione definitiva della sua concessione, come nella già menzionata ipotesi sub f); ricompare la polizza di assicurazione, come nelle ipotesi sub b) ed i); ricompare il tesserino, come nelle ipotesi sub g), h) ed i). Il disorientamento non può non crescere, quando dal raffronto tra richieste e mancate richieste di abrogazione risulta che, pur dopo che la caccia sia divenuta illecita, le regioni "sono autorizzate ad istituire una tassa di concessione regionale ... per il rilascio dell'abilitazione" all'esercizio venatorio (art. 24, primo comma ), e che la suddetta "tassa di rinnovo non è dovuta, qualora non si eserciti la caccia durante l'anno" (art. 24, terzo comma).
6. - Non si pongono in questione la coerenza e chiarezza del quesito referendario negli intenti del comitato promotore, ancorché in una delle due memorie presentate a questa Corte si ammetta che la proposta abrogativa può già aver dato luogo a differenti interpretazioni sul suo vero significato, sia pure per colpa di certe prospettazioni di alcuni sostenitori del referendum e per il modo in cui il dibattito si è svolto nella pubblica opinione.
Il problema che qui rileva è pur sempre quello della semplicità, chiarezza, inconfondibilità, non contraddittorietà del quesito, che non è legato alla quantità, e neppure alla superfluità, dei tagli operati alla legge abroganda. Infatti, una proposta abrogativa, che risulti esuberante rispetto alla stringatezza che è propria dell'istituto dell'abrogazione e della relativa formula, incorre in censura di incoerenza, non già per il numero delle mutilazioni apportate al testo normativo, ma per l'incoerenza, che dall'insieme delle mutilazioni deriva al quesito referendario.
Nella specie, la formulazione, oltre a quanto in precedenza già rilevato sul punto, risulta costituita di altri rimaneggiamenti ancora, che possono far dubitare dell'uniformità dei criteri seguiti nelle copiose amputazioni di vario grado apportate alla legge, e che perciò, se chiarezza e coerenza vanno valutate e misurate sulla realtà, accrescono ed aggravano la contraddittorietà del quesito. A titolo meramente esemplificativo: le associazioni "venatorie" conservano tale aggettivo negli artt. 4, primo comma, e 5, secondo comma, in quanto non investiti dall'abrogazione, mentre ne vengono mutilate nell'art. 27, primo comma, perchè qui l'aggettivo è fatto oggetto di richiesta abrogativa; in quest'ultimo articolo, gli agenti venatori rimangono "dipendenti dagli enti delegati" nel primo comma, ma non lo sono più nel quarto comma, perchè l'abrogazione di tale locuzione non viene chiesta anche nel primo comma, ma solo nel quarto; si travolge, mediante la proposta di abrogazione dell'art. 16, la potestà delle regioni di prevedere e regolamentare gli "appostamenti fissi", ma si lascia in vigore l'ultima parte dell'art. 24, secondo cui "gli appostamenti fissi ... sono soggetti a tasse regionali".
E così dalla combinata lettura delle abrogazioni chieste e di quelle non chieste, anche di un identico vocabolo o locuzione, persino in uno stesso articolo, non può dirsi che il quesito emerga con gli ineludibili caratteri della chiarezza, semplicità e coerenza. Basti da ultimo considerare che, proprio in conseguenza della contraddittorietà nascente dal quesito, sembrerebbe, essendosi omesso di comprendere nella richiesta abrogativa anche l'ipotesi sub g) dell'art. 20 della legge, che la caccia a rastrello, perché con non più di tre persone, sia consentita, pur dopo il generale divieto dell'esercizio venatorio. E pertanto alla motivazione che precede non può non conseguire la dichiarazione di inammissibilità della richiesta referendaria in epigrafe.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara inammissibile la richiesta di referendum popolare per l'abrogazione parziale della legge 27 dicembre 1977, n. 968, iscritta al n. 16 Reg. ref. nei termini indicati in epigrafe, dichiarata legittima con ordinanza del 2 dicembre 1980 dall'Ufficio centrale per il referendum, costituito presso la Corte di cassazione.
Così deciso in Roma, in camera di consiglio, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 10 febbraio 1981.
Leonetto AMADEI – Giulio GIONFRIDA - Edoardo VOLTERRA - Michele ROSSANO - Antonino DE STEFANO - Leopoldo ELIA - Guglielmo ROEHRSSEN - Oronzo REALE - Alberto MALAGUGINI - Livio PALADIN - Arnaldo MACCARONE - Antonio LA PERGOLA - Virgilio ANDRIOLI - Giuseppe FERRARI.
Giovanni VITALE – Cancelliere
Depositata in cancelleria il 13/02/1981.