SENTENZA N. 199
ANNO 2005
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Fernanda CONTRI Presidente
- Guido NEPPI MODONA Giudice
- Piero Alberto CAPOTOSTI "
- Annibale MARINI "
- Franco BILE "
- Giovanni Maria FLICK "
- Francesco AMIRANTE "
- Ugo DE SIERVO "
- Romano VACCARELLA "
- Paolo MADDALENA "
- Alfio FINOCCHIARO "
- Alfonso QUARANTA "
- Franco GALLO "
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 423,
comma primo, del regio decreto 30 marzo 1942, n. 327 (codice della
navigazione), promosso con ordinanza dell’8 aprile 2003 dalla Corte di
cassazione nel procedimento civile vertente tra la Cooperativa Agricola La
Torre s.r.l. e la Navigazione Tirrenia s.p.a.,
iscritta al n. 664 del registro ordinanze 2003 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n.
36, prima serie speciale, dell’anno 2003.
Visto l’atto di costituzione della Navigazione Tirrenia
s.p.a.;
udito nell’udienza pubblica dell’8 febbraio 2005 il Giudice
relatore Romano Vaccarella;
udito l’avvocato Enzio Volli per la
Navigazione Tirrenia s.p.a.
Ritenuto in fatto
1.– Nel corso di un
giudizio civile, la Corte di cassazione – investita di un ricorso, proposto
dalla Cooperativa Agricola La Torre s.r.l. nei confronti della Navigazione Tirrenia s.p.a. avverso la sentenza della Corte di appello
di Napoli n. 1788/99, depositata in data 14 luglio 1999 – ha sollevato, con
ordinanza dell’8 aprile 2003, questioni di legittimità costituzionale, in
riferimento agli articoli 3 e 41 della Costituzione, dell’art. 423, comma
primo, del codice della navigazione (regio decreto 30 marzo 1942, n. 327),
«anche in relazione alla diversa disciplina dettata per il trasporto aereo di
cose dall’art. 952, primo comma», del medesimo codice, a) nella parte in cui non prevede che il limite della
responsabilità del vettore marittimo sia periodicamente aggiornato, ovvero sia
comunque fissato in modo da garantire l’effettività del risarcimento dovuto al
caricatore per la perdita o l’avaria delle cose trasportate; b) nella parte in cui non esclude il
limite del risarcimento dovuto dal vettore marittimo in caso di responsabilità
determinata da dolo o colpa grave sua o dei suoi dipendenti o preposti; c) subordinatamente, nella parte in cui
non prevede che il limite della responsabilità del vettore marittimo sia
periodicamente aggiornato, ovvero sia comunque fissato in modo da garantire la
congruità del risarcimento dovuto al caricatore per la perdita o l’avaria delle
cose trasportate in caso di responsabilità determinata da dolo o colpa grave
sua o dei suoi dipendenti o preposti.
1.1.– In punto di
fatto, il giudice a quo premette che,
durante una traversata da Palermo a Napoli della nave "Vomero” della Tirrenia Navigazione s.p.a., nella notte fra il 4 e il 5
febbraio 1992, un autocarro della Cooperativa Agricola La Torre s.r.l.,
imbarcato su detta nave con un carico di arance, si ribaltò a causa del mare
mosso e del fatto che i dipendenti del vettore lo avevano malamente bloccato,
agganciandolo con un cavo al paraurti anziché all’apposito anello.
Il Tribunale di
Napoli, adito dalla Cooperativa per ottenere il risarcimento dei danni
conseguenti al danneggiamento dell’autocarro e alla perdita del carico (danni
quantificati in lire trentamilioni), con sentenza del 21 luglio 1997,
riconosciuta la responsabilità del vettore, contenne il risarcimento da questo
dovuto nel limite di lire duecentomila stabilito dall’art. 423 cod. nav., così
liquidandolo in lire duecentocinquantamila in moneta attuale, oltre agli
interessi legali.
La Corte di appello di
Napoli rigettò il gravame proposto dalla Cooperativa, disattendendo, fra
l’altro, l’eccezione di illegittimità costituzionale dell’art. 423 cod. nav.
sollevata dall’appellante.
Quest’ultima ha,
quindi, proposto ricorso per cassazione, articolando cinque motivi di
impugnazione e reiterando da ultimo l’eccezione di incostituzionalità.
1.2.– In ordine alla
rilevanza delle questioni, la Corte rimettente osserva che il ricorso andrebbe
accolto solo se l’art. 423 cod. nav. fosse dichiarato costituzionalmente
illegittimo sotto taluno dei profili prospettati, essendo il danno notevolmente
superiore al limite di risarcibilità stabilito dalla citata norma e non
apparendo fondata alcuna delle diverse censure mosse alla sentenza impugnata.
1.3.– Quanto alla non
manifesta infondatezza delle questioni, il giudice a quo, innanzitutto, ricorda che la Corte costituzionale, con la sentenza n. 401 del
1987, nel giudicare non fondata analoga questione di legittimità
costituzionale della norma in esame, in ragione della facoltà del caricatore di
dichiarare il valore delle cose trasportate, sottraendosi così al limite del
risarcimento dovuto dal vettore, richiamò «l’attenzione del legislatore sul
problema del "limite” da imporre all’autonomia privata (art. 1322, primo comma,
cod. civ.), alla quale è rimessa, in sostanza, […] la determinazione
dell’entità del risarcimento»; rilevò che era stato legislativamente sancito il
principio del periodico aggiornamento del debito risarcitorio del vettore
aereo, «debito per tanti aspetti omogeneo a quello in esame»; ritenne che «la
fattispecie normativa aeronautica corrisponde integralmente a quella marittima»;
richiamò il progetto di legge delega per il nuovo codice della navigazione,
«che fissa come principio direttivo quello dell’"adeguatezza” del limite di
responsabilità del vettore marittimo, in modo da garantire la congruità del
risarcimento»; ravvisò un «complesso di elementi, normativi e
giurisprudenziali, concordi nello stabilire l’attualità della linea evolutiva,
diretta a inserire nel nostro ordinamento un automatico meccanismo di
adeguamento, riferibile anche all’obbligazione risarcitoria del vettore nel
trasporto marittimo di cose».
Poiché l’auspicato
adeguamento non v’è stato, si è verificata una progressiva, pressoché totale
erosione del diritto del danneggiato al risarcimento, tutte le volte in cui
manchi la dichiarazione di valore, com’è tipico del trasporto occasionale (qual
era quello del caso di specie).
1.3.1.– Sottolineata
la omogeneità, negli aspetti riguardanti la responsabilità del vettore, fra il
trasporto aereo e quello marittimo, già riconosciuta dal giudice delle leggi,
la Corte rimettente rileva che il mancato intervento del legislatore ha
esaltato la disparità di trattamento fra il danneggiato nel trasporto aereo di
cose e il danneggiato nel trasporto marittimo: infatti, a favore del primo è
previsto – dalla legge 13 maggio 1983, n. 213 (Modifiche di alcune disposizioni
del codice della navigazione relative alla navigazione aerea) – un sistema di
aggiornamento periodico del limite di responsabilità del vettore stabilito
dall’art. 952 cod. nav.; il secondo, invece, deve accontentarsi, sempre e
comunque, della somma di lire duecentomila (ora, della equivalente somma in
euro), costituente un valore pecuniario nominale, fissato circa mezzo secolo fa
– dalla legge 16 aprile 1954, n. 202 (Modificazioni ai limiti di somma
stabiliti dal Codice della navigazione in materia di trasporto marittimo ed
aereo, di assicurazione e di responsabilità per danni a terzi sulla superficie
e per danni da urto cagionati dall’aeromobile) –, sempre più inadeguato a
rappresentare il metro di riferimento di un tipico debito di valore, qual è
l’obbligazione risarcitoria, che finisce così per non assolvere più la sua
funzione reintegratrice del patrimonio del creditore.
1.3.2.– Constatato,
poi, che tale somma risulta oggi spesso addirittura inferiore al costo del
trasporto, osserva che la norma censurata è in contrasto con la "linea
evolutiva” (indicata dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 401 del
1987), che postula un collegamento fra l’aumento delle tariffe e il limite
del debito risarcitorio del vettore. Tanto è vero che per il trasporto di merci
su strada il limite di risarcibilità è periodicamente adeguato con decreto
ministeriale alla variazione di valore della moneta, tenendo conto anche degli
aumenti tariffari avvenuti nel periodo considerato, come disposto dall’art. 1,
comma 4, della legge 22 agosto 1985, n. 450 (Norme relative al risarcimento
dovuto dal vettore stradale per perdita o avaria delle cose trasportate);
mentre un vero e proprio adeguamento automatico è previsto per il limite della
responsabilità dell’albergatore per le cose portate in albergo dal cliente,
fissato dall’art. 1783 del codice civile – come sostituito dall’art. 3 della
legge 10 giugno 1978, n. 316 (Ratifica ed esecuzione della convenzione europea
sulla responsabilità degli albergatori per le cose portate dai clienti in
albergo, con allegato, firmata a Parigi il 17 dicembre 1962) –
nell’«equivalente di cento volte il prezzo di locazione dell’alloggio per
giornata».
Ciò rende evidente –
sostiene il giudice a quo – che non
corrisponde a criteri di ragionevolezza né l’assenza di qualsiasi adeguamento
del limite di responsabilità del vettore marittimo, né la diversità di
disciplina al riguardo del trasporto marittimo rispetto al trasporto aereo.
1.3.3.– A conforto
dell’assunto, la Corte rimettente richiama la sentenza della Corte
costituzionale n. 420 del 1991, la quale, nel dichiarare l’illegittimità
costituzionale, per violazione degli artt. 3 e 41 Cost., dell’art. 1, primo
comma, della legge n. 450 del 1985, nella parte in cui non prevede un
meccanismo di aggiornamento del massimale prescritto per l’ammontare del
risarcimento dovuto dal vettore stradale per la perdita o avaria delle cose
trasportate, ha ritenuto che «la prescrizione del periodico aggiornamento del
limite di responsabilità (cui ha provveduto, per esempio, l’art. 19 della legge
13 maggio 1983, n.
Agli stessi criteri –
rileva ancora il giudice a quo – la
Corte costituzionale si è ispirata nelle sentenze n. 497 del
1988 e n.
560 del 1987, in tema, rispettivamente, di indennità di disoccupazione e di
risarcimento alle vittime della strada, nelle quali si è affermata la necessità
di un adeguamento monetario, quale componente essenziale della tutela
risarcitoria; come pure nelle sentenze (numeri 303 e 1104 del 1988, n. 74 del 1992,
n. 463 del 1997,
n. 254 del 2002),
con le quali è stata dichiarata l’illegittimità costituzionale degli artt. 6,
28, 48 e 93 del d.P.R. 29 maggio 1973, n. 156 (Testo
unico delle disposizioni legislative in materia postale, di bancoposta
e di telecomunicazioni), nelle parti in cui prevedevano esclusioni o
limitazioni di responsabilità nei servizi postali e telefonici.
1.3.4.– Sotto altro profilo,
la Corte rimettente osserva che la disparità di trattamento fra caricatore
marittimo e caricatore aereo è aggravata dalla mancata previsione nell’art. 423
cod. nav. della esclusione del limite del risarcimento dovuto dal vettore
marittimo in caso di responsabilità «determinata da dolo o colpa grave sua o
dei suoi dipendenti o preposti», com’è, invece, stabilito per il trasporto
aereo dall’art. 952, primo comma, cod. nav. (oltre che da numerose disposizioni
omologhe, fra le quali l’art. 1, comma 3, della legge n. 450 del
A tal proposito, il
giudice a quo richiama ancora la sentenza della
Corte costituzionale n. 420 del 1991, la quale, nel dichiarare
l’illegittimità costituzionale, per violazione degli artt. 3 e 41 Cost.,
dell’art. 1, primo comma, della legge n. 450 del 1985, anche nella parte in cui
non eccettua dalla limitazione della responsabilità del vettore stradale per i
danni derivanti da perdita o avaria delle cose trasportate il caso di dolo o
colpa grave, ha fatto riferimento al parametro dell’art. 3 Cost. «sotto
l’aspetto del principio di ragionevolezza e della connessa esigenza di equo
contemperamento dell’interesse degli autotrasportatori con l’interesse delle
imprese utenti tutelato dall’art. 41 Cost.», affermando che «il limite di
responsabilità del vettore, specialmente quando è configurato come invalicabile
anche nell’ipotesi di dolo o colpa grave, deve essere compensato da idonee
garanzie di adeguatezza del risarcimento del danno». E ha osservato che, se è
vero «che la limitazione di responsabilità del vettore (la quale trasforma il
rischio delle imprese di autotrasporto per la perdita o avaria delle merci in
costi assicurativi) comporta un contenimento dei prezzi del servizio, con
benefica ricaduta sui prezzi di mercato delle merci trasportate e quindi
sull’interesse generale, è vero altresì che, ove la somma-limite non
rappresenti un risarcimento adeguato (seppure non integrale), il detto
vantaggio è annullato dal costo supplementare che l’impresa utente deve
accollarsi per assicurare per proprio conto il carico almeno nella misura
occorrente per garantirsi un congruo indennizzo in caso di perdita o di avaria
delle merci. Questo costo assicurativo, aggravato dall’estensione del limite di
responsabilità del vettore all’ipotesi di dolo o colpa grave, incide sulla
programmazione dei costi delle imprese utenti e sulla correlativa politica dei
prezzi, comprimendo la libertà di organizzazione e di gestione dell’impresa
secondo criteri di economicità, la quale è un elemento della libertà di
iniziativa economica tutelata dall’art. 41 Cost. Ne risultano in pari tempo
compromessi gli scopi di utilità sociale che la legge si propone in termini di
contenimento dei prezzi di mercato attraverso il calmieramento dei costi di
trasporto delle merci».
1.3.5.– La Corte
rimettente, poi, ribadisce che il tertium comparationis è costituito dall’art. 952 cod. nav. e
non anche dalla normativa del trasporto marittimo internazionale di merci,
come, invece, nel caso della questione di costituzionalità dello stesso art.
423 cod. nav. dichiarata infondata dalla Corte
costituzionale con la sentenza n. 71 del 2003.
Con tale pronuncia il
giudice delle leggi ha ritenuto che la norma censurata non viola l’art. 3
Cost., «in quanto al caricatore è data la possibilità di non sottostare al
limite, usufruendo del diritto potestativo di rendere la dichiarazione del
valore della merce affidata al vettore, senza che quest’ultimo – se il titolo
in base al quale esercita la sua attività lo obbliga a contrarre – possa
rifiutare di prendere atto della dichiarazione stessa».
Il giudice a quo osserva che la questione da esso
sollevata è diversa da quella decisa dalla or citata sentenza, giacché pone a
raffronto la disciplina del trasporto marittimo nazionale non già con quella
del trasporto marittimo internazionale, bensì con quella del trasporto aereo
nazionale, la quale pure prevede la possibilità della dichiarazione di valore
delle cose trasportate e, tuttavia, stabilisce il periodico aggiornamento del
limite della responsabilità del vettore aereo.
1.3.6.– La medesima
Corte rimettente precisa che non sfugge ad essa «la differenza tra il trasporto
marittimo e quello aereo (di cui si assume peraltro l’omogeneità con il primo
sulla scorta delle osservazioni della stessa Corte costituzionale) e la
possibilità che la fissazione di limiti molto bassi della responsabilità del
vettore marittimo sia in funzione di scelte politiche volte al contenimento
delle tariffe del trasporto per mare»; rileva, però, «come tale scopo sia
perfettamente perseguibile con un adeguamento periodico (la cui entità sarebbe
ovviamente determinata in funzione delle diverse opzioni che solo al
legislatore competono)». Invece, il mantenimento di un limite fisso e
immutabile, qual è quello previsto dalla norma denunciata, ha il solo effetto
di «spostare dal vettore al caricatore le conseguenze economiche della perdita
o dell’avaria delle merci», senza che ne derivi un effettivo vantaggio sociale:
il minor costo del trasporto, infatti, verrebbe economicamente neutralizzato dall’esigenza
del caricatore di assicurare per proprio conto il carico, con conseguente
aumento del costo finale delle merci trasportate.
Ciò dimostra –
conclude il giudice a quo –
l’irragionevolezza della scelta sottesa alla norma denunciata, che è ancor più
evidente in relazione ai casi di dolo o colpa grave e che determina una
compressione della libertà di organizzazione e di gestione dell’impresa secondo
criteri di economicità, quale «elemento della libertà di iniziativa economica
tutelata dall’art. 41 Cost.», come già osservava la Corte costituzionale nella
citata sentenza
n. 420 del 1991.
2.– La Navigazione Tirrenia s.p.a. si è ritualmente costituita in giudizio,
deducendo l’infondatezza delle questioni di legittimità costituzionale.
2.1.– Essa obietta,
innanzitutto, che ai prospettati dubbi di costituzionalità dell’art. 423 cod.
nav. ha già dato esauriente risposta la recente sentenza della
Corte costituzionale n. 71 del 2003, che ha dichiarato infondata analoga
questione, sollevata in riferimento all’art. 3 Cost.
2.2.– Si sofferma,
poi, sulla limitazione del risarcimento dovuto dal vettore marittimo,
disciplinata per i trasporti nazionali dall’art. 423 cod. nav. e per quelli
internazionali dalla normativa uniforme dettata dalla Convenzione
internazionale di Bruxelles del 1924, concernente "l’unificazione di alcune
regole in tema di polizza di carico”, come modificata dai Protocolli di Visby del 1968 e di Bruxelles del 1979.
Osserva che i limiti de quibus,
fissati sia nell’ordinamento interno che in quello internazionale, hanno una
giustificazione prettamente economica: essi mirano a mantenere un equilibrio
nel mercato dei noli marittimi, contemperando i contrapposti interessi dei
vettori e dei "mercanti”, e, così, a realizzare l’interesse generale a tenere
bassi tali noli al fine di contenere i prezzi delle merci trasportate.
Il regime limitativo
del debito del vettore – prosegue la deducente –
trova nel sistema due contemperamenti: da un lato, la facoltà, prevista dallo
stesso art. 423 cod. nav., per il caricatore, di fare la dichiarazione di
valore delle cose trasportate, con l’effetto di rendere inoperante il limite di
risarcibilità; dall’altro, la possibilità, per il caricatore medesimo, di
stipulare una polizza assicurativa, a copertura dei danni per la perdita o
avaria della merce. Con tali contemperamenti la disciplina in esame è del tutto
ragionevole e conforme ai precetti costituzionali.
2.3.– Quanto alla
norma assunta quale tertium comparationis,
la deducente osserva che la legge n. 213 del 1983 non
ha direttamente modificato l’art. 952 cod. nav., né vi ha introdotto un
meccanismo di periodico aggiornamento del limite di responsabilità del vettore
aereo. Infatti, l’art. 19 della citata legge stabilisce che «all’aggiornamento
dei limiti di responsabilità attualmente previsti dal codice della navigazione
si provvede con decreto del Presidente della Repubblica, su proposta del
Ministro dei trasporti, previa deliberazione del Consiglio dei ministri,
sentito il parere del Consiglio di Stato, tenuto conto delle convenzioni
internazionali in materia, dell’indice generale dei prezzi di mercato e di
quello delle retribuzioni desunti dalle rilevazioni dell’Istituto centrale di
statistica, nonché dei livelli assicurativi praticati nei vari Stati in materia
di aviazione civile».
Sostiene la deducente che tale disposizione, così come formulata,
riguarda tutti i limiti di responsabilità previsti dal codice della
navigazione, quindi non solo quello del vettore aereo, benché il titolo della
legge citata si riferisca alle sole «disposizioni del codice della navigazione
relative alla navigazione aerea».
Dando seguito alla previsione
legislativa, il d.P.R. 7 marzo 1987, n. 201
(Aggiornamento degli importi di taluni articoli del codice della navigazione,
approvato con regio decreto 30 marzo 1942, n.
Ma ben avrebbe potuto
l’esecutivo adeguare il limite di risarcibilità anche per il trasporto marittimo.
Non intervenendo al riguardo, esso ha fatto una precisa scelta politica sulla
base di una valutazione dei meccanismi di formazione dei noli marittimi e della
loro incidenza sull’economia nazionale.
La deducente,
perciò, critica l’affermazione del giudice rimettente, secondo cui la scelta
politica volta al contenimento delle tariffe del trasporto per mare sarebbe
perseguibile con un adeguamento periodico del limite di risarcibilità da
determinarsi «in funzione delle diverse opzioni che solo al legislatore
competono»: tale affermazione appare contraddittoria, poiché il mancato
adeguamento non è ascrivibile ad una "inerzia” del legislatore (o
dell’esecutivo, da esso delegato), bensì proprio all’esercizio di un’opzione
riservata al legislatore medesimo (o, su sua delega, all’esecutivo).
2.4.– La deducente passa, poi, a confutare la affermata omogeneità
delle fattispecie esaminate nell’ordinanza di rimessione, relative l’una alla
responsabilità del vettore marittimo e l’altra a quella del vettore aereo.
Premesso che la
disciplina della responsabilità del vettore marittimo proviene da una lunga
gestazione e dal consolidarsi di antiche consuetudini marittime, mentre la
disciplina della responsabilità del vettore aereo non ha avuto precedenti
consuetudinari, osserva che il legislatore del 1942, ispirandosi alle
convenzioni internazionali all’epoca vigenti (la Convenzione di Bruxelles del
1924 per il trasporto marittimo, la Convenzione di Varsavia del 1929 per il
trasporto aereo), ha dettato regole diverse, in considerazione delle diversità
di ambiente commerciale, economico e giuridico.
In particolare, rileva
che, ai sensi dell’art. 951 cod. nav., il vettore aereo è responsabile «a meno
che provi che egli e i suoi dipendenti e preposti hanno preso tutte le misure
necessarie e possibili secondo la normale diligenza per evitare la perdita, le
avarie o il ritardo»; comunque, non ha responsabilità in caso di «colpa lieve
di pilotaggio, di condotta o di navigazione» (id est "colpa nautica”); invece, a norma dell’art. 422 cod. nav., il
vettore marittimo è responsabile del danno «anche per colpa lieve, ma non
quando non ne sia stata causa la colpa nautica dei suoi dipendenti, con onere
della prova, in questo caso, a suo carico; mentre l’onere della prova, nella
ipotesi dei "pericoli eccettuati” di cui all’art. 422 cod. nav. capoverso,
incombe sull’avente diritto alla merce». E prosegue, sottolineando che «la
disciplina sostanziale, quindi, mentre eleva a rilevanza nel caso di trasporto
aereo quale esimente l’adozione della "normale diligenza”, è ben più severa nel
trasporto marittimo dove la responsabilità paradigmatica è quella dettata dal
primo capoverso, ossia una normale e propria responsabilità ex recepto,
incombendo sul vettore l’onere della prova dei fatti esonerativi e solo in
determinate situazioni (ancorché frequenti nel trasporto marittimo) l’onere
della prova sull’eziologia del danno ricade sull’avente diritto alla merce». Ne
consegue che i danni da causa ignota «in caso di trasporto aereo ricadono sul
vettore, mentre nel trasporto marittimo, ma solo a fronte di una situazione di
pericolo eccettuato, incombono, invece, sul caricatore, altrimenti sul
vettore».
Rileva, inoltre, che
nel trasporto aereo, a differenza che nel trasporto marittimo, il limite di
risarcibilità è derogabile anche a favore del vettore (art. 953 cod. nav.).
Concludendo sul punto,
afferma che alla diversa disciplina sostanziale della responsabilità del
vettore, nell’uno e nell’altro tipo di trasporto, «corrisponde, non
irragionevolmente e non irrazionalmente, una diversa considerazione da parte
del legislatore del limite del debito risarcitorio».
2.5.– La deducente osserva, ancora, che l’adeguamento del limite del
debito risarcitorio del vettore solo nel trasporto aereo (come previsto dalla
legge n. 213 del 1983) e non anche nel trasporto marittimo si giustifica, oltre
che per ragioni di tradizione, di svolgimento storico e di disciplina giuridica
dell’istituto, per i differenti presupposti economici e quantitativi: infatti,
essendo le merci trasportate per aria in quantità di gran lunga inferiore e
solitamente di valore superiore a quelle trasportate per mare, l’aumento dei
noli aerei incide in misura del tutto irrilevante sui mercati rispetto
all’aumento dei noli marittimi.
2.6.– Contesta, poi,
la fondatezza dell’argomentazione contenuta nell’ordinanza di rimessione, per
la quale il vantaggio del minor costo del trasporto marittimo (connesso al
limite di risarcibilità da parte del vettore) verrebbe economicamente assorbito
dai costi assicurativi, sussistendo per il caricatore (a fronte di quel limite)
l’esigenza di procurarsi congrua copertura dai rischi di perdita o avaria del
carico.
Osserva, infatti, che
i premi assicurativi, calcolati statisticamente su tutta la quantità delle
merci trasportate, sarebbero sempre di gran lunga inferiori all’aumento dei
noli e si ripercuoterebbero, quindi, in misura minore sui prezzi delle merci.
2.7.– Né è esatta – a
suo avviso – l’affermazione del giudice a
quo, secondo cui il limite del debito del vettore marittimo avrebbe il solo
effetto di «spostare dal vettore al caricatore le conseguenze economiche della
perdita o dell’avaria delle merci». Infatti, il vettore marittimo non è
responsabile non solo in caso di "colpa nautica”, ma anche nei casi dei cosiddetti
"pericoli eccettuati” (art. 422 cod. nav.), a differenza del vettore aereo
(art. 951 cod. nav.), sicché nel trasporto marittimo il "danno da causa
ignota”, ricorrendo un "pericolo eccettuato”, ricade sul caricatore. Il che
comporta che le imprese utenti, se diligenti, non possono fare a meno di
assicurarsi per tutte quelle situazioni nelle quali il vettore non è comunque
responsabile. Ove dette imprese a ciò provvedano, il maggior costo tariffario
di una più estesa copertura assicurativa ("all risks”) sarebbe poco
significativo.
2.8.– Quanto alla
rilevanza del dolo e della colpa grave, la deducente
osserva che nella normativa uniforme della Convenzione di Bruxelles, come
modificata dal Protocollo di Visby del 1968, è
prevista, all’art. 4, comma 5, lettera e),
la non operatività del limite di risarcibilità nella ipotesi in cui «il danno è
risultato da un atto o da una omissione del vettore che ha avuto luogo sia con
l’intenzione di provocare un danno sia temerariamente e con la consapevolezza
che un danno probabilmente ne sarebbe risultato», ossia in caso di dolo o di
"colpa con previsione”. Orbene, volendo applicare simile regola anche al
trasporto interno, risulterebbe nella concreta fattispecie in esame un difetto
di rilevanza della questione di costituzionalità, posto che in corso di causa
non è mai stato provato, né è stato chiesto di provare che il danno lamentato
fosse stato causato da un comportamento connotato da dolo o "colpa con
previsione”; che la sentenza di primo grado, pur qualificando colposo il
comportamento dei dipendenti del vettore, non ha precisato il grado della
colpa, e che tale omissione non è stata censurata col ricorso per cassazione.
2.9.– Infine, la deducente osserva che non ha valore il richiamo alla legge
n. 450 del 1995, relativa al trasporto su strada, considerato che tale
trasporto è stato «di diritto monopolizzato, consentendo solo ad una
determinata categoria di operatori economici di attuarlo», sicché non poteva
giustificarsi per detti operatori una limitazione di responsabilità anche in
caso di dolo o colpa grave, anche perché la disciplina dettata da tale legge
non prevede la possibilità della dichiarazione di valore delle merci
trasportate.
Considerato in diritto
1.– La Corte di
cassazione dubita della legittimità costituzionale, in riferimento agli
articoli 3 e 41 della Costituzione, dell’art. 423, comma primo, del codice
della navigazione (regio decreto 30 marzo 1942, n. 327) – a tenore del quale
«il risarcimento dovuto dal vettore non può, per ciascuna unità di carico,
essere superiore a lire duecentomila o alla maggior cifra corrispondente al
valore dichiarato dal caricatore anteriormente all’imbarco» –, a) nella parte in cui non prevede che il
limite della responsabilità del vettore marittimo sia periodicamente
aggiornato, ovvero sia comunque fissato in modo da garantire l’effettività del
risarcimento dovuto al caricatore per la perdita o l’avaria delle cose
trasportate; b) nella parte in cui
non esclude il limite del risarcimento dovuto dal vettore marittimo in caso di
responsabilità determinata da dolo o colpa grave sua o dei suoi dipendenti o
preposti; c) subordinatamente, nella
parte in cui non prevede che il limite della responsabilità del vettore
marittimo sia periodicamente aggiornato, ovvero sia comunque fissato in modo da
garantire la congruità del risarcimento dovuto al caricatore per la perdita o
l’avaria delle cose trasportate in caso di responsabilità determinata da dolo o
colpa grave sua o dei suoi dipendenti o preposti.
2.– La questione è
fondata nei limiti di seguito precisati.
3.– Va premesso che la
Corte rimettente indica quale tertium comparationis la
disciplina non già del trasporto marittimo internazionale, bensì del trasporto
aereo interno, e cioè un parametro che, rispetto alla comunanza dello strumento
per mezzo del quale è effettuato il trasporto, privilegia il carattere
nazionale della disciplina del trasporto stesso.
Non solo questa Corte
fin dalla sentenza
n. 401 del 1987 ha rilevato la sostanziale "omogeneità” – quanto al tema
della responsabilità del vettore – dei problemi relativi al trasporto interno
quale che sia il mezzo usato (cfr. anche, a proposito di quello su strada, la sentenza n. 64 del
1993), ma ha anche sottolineato (sentenza n. 71 del
2003) «l’evidente diversità – anche quanto alla fonte della disciplina –
delle due situazioni» relative al trasporto internazionale marittimo e a quello
interno.
E’ appena il caso di
rilevare, infatti, che nel disciplinare la responsabilità del vettore, il
legislatore nazionale deve affrontare, quale che sia il mezzo di trasporto,
problemi sostanzialmente omogenei di politica economica (contemperamento della
tutela degli utenti con il costo del trasporto), laddove la disciplina
convenzionale internazionale risente nella sua genesi del peso politico ed
economico dei vari Stati e, quindi, della necessità, una volta raggiunto un
equilibrio tra le esigenze e gli interessi dei quali i vari Stati sono
portatori, che la ricezione della disciplina pattizia
sia integrale.
L’adozione da parte
della Corte rimettente, pertanto, del tertium comparationis costituito dal trasporto aereo interno è
conforme a quanto questa Corte ha già avuto modo di statuire – con riguardo al
problema del limite del risarcimento – con le sentenze appena ricordate.
4.– Questa Corte è
stata ripetutamente investita dei problemi che, in relazione alla Costituzione,
pone la limitazione del risarcimento dovuto dal vettore nel trasporto
marittimo, ferroviario e su strada.
4.1.1.– In
particolare, la sentenza
n. 401 del 1987 ha escluso che l’art. 423 cod. nav. contrasti con gli artt.
3 e 42 Cost. a causa dell’esiguità del risarcimento fissato (nel 1954) dalla
legge, in quanto tale rigido limite è "equilibrato” dalla facoltà, accordata al
caricatore, di dichiarare prima dell’imbarco il valore delle cose da
trasportare; la norma sul limite del risarcimento dovuto dal vettore marittimo
– «per tanti aspetti omogenea» a quella, in tema di responsabilità del vettore
aereo, di cui all’art. 952 cod. nav. – alla pari di quest’ultima «prevede la
facoltà del caricatore di ovviare all’applicazione del limite legale del debito
del vettore con la dichiarazione di valore, anteriormente alla caricazione».
Sotto questo profilo,
questa Corte ritenne che «la norma attribuisce un efficace strumento di tutela
al soggetto del rapporto considerato più debole (caricatore)» perché
«l’operatività del limite è in funzione di un atto di autonomia di uno dei
soggetti del rapporto (caricatore), libero di scegliere tra risarcimento non
limitato (con maggiorazione del nolo) e risarcimento indicato nella prima parte
del primo comma dell’art. 423 cod. nav. (con conseguente minor incidenza del
corrispettivo)»; e, pur auspicando un intervento legislativo (analogo a quello
che era stato appena operato sull’art. 952 cod. nav.) volto ad adeguare il
limite del risarcimento invariato (all’epoca) da oltre trent’anni, la Corte
concluse che, poiché «l’entità del risarcimento è in funzione del costo
dell’operazione di trasporto», il limite del risarcimento non era in sé
costituzionalmente illegittimo.
4.1.2.– Con ordinanza
n. 8 del 1991, questa Corte dichiarò manifestamente inammissibile, per carenza
di motivazione sulla rilevanza nel giudizio a
quo, la questione di legittimità costituzionale dell’art. 423 cod. nav.
sollevata, in riferimento all’art. 3 Cost., con riguardo alla particolare
difficoltà per un utente privato occasionale di evitare l’applicazione del
limite legale mediante la dichiarazione di valore e, inoltre, con riguardo al
trattamento deteriore riservato all’utente dalla disciplina del trasporto
interno rispetto a quello della normativa convenzionale uniforme di cui alla
Convenzione di Bruxelles del 25 agosto 1924, come modificata dai Protocolli di Visby del 23 febbraio 1968 e di Bruxelles del 21 dicembre
1979.
4.1.3.– Investita
della questione di legittimità costituzionale sollevata, in riferimento
all’art. 3 Cost., per il deteriore trattamento riservato all’utente privato
occasionale dall’art. 423 cod. nav. rispetto a quanto previsto dalla normativa
convenzionale uniforme in punto di irrilevanza della colpa grave, di entità del
risarcimento e di suo mancato aggiornamento, questa Corte, con la sentenza n. 71 del 2003,
l’ha dichiarata non fondata.
Esclusa la omogeneità,
per la diversità della fonte della disciplina, del trasporto marittimo interno
ed internazionale, la Corte ha, altresì, escluso che la colpa rilevante per la
normativa internazionale uniforme corrisponda alla colpa grave, la cui assenza
nella previsione dell’art. 423 cod. nav. determinerebbe l’incostituzionalità
della norma medesima.
Quanto alla
legittimità in sé del limite legale di risarcibilità, la Corte, pur auspicando
ancora una volta l’intervento "adeguatore” del
legislatore, ha ribadito quanto statuito nella sentenza n. 401 del
1987, e cioè che, «prevedendo la legge la facoltà dell’utente di dichiarare
il valore della merce trasportata, l’operatività del limite è rimessa a una
scelta unilaterale dell’utente stesso alla quale il vettore deve conformarsi»,
senza che sia rilevante «la circostanza che il caricatore sia un utente
occasionale».
4.2.– In relazione
alla disciplina del trasporto di cose per ferrovia, questa Corte, con la sentenza n. 90 del
1982, ha rigettato la questione di legittimità costituzionale delle norme –
artt. 50 e 52 del d.P.R. 30 marzo 1961, n. 197
(Revisione delle condizioni per il trasporto delle cose sulle ferrovie dello
Stato) – che, da un lato, fissano un limite per il risarcimento della perdita,
anche parziale, delle cose trasportate e che, dall’altro lato, raddoppiano
l’importo nel caso di dolo o colpa grave del vettore, argomentando, in
relazione alla dedotta difformità con il regime dei servizi pubblici di linea,
dalla specialità del complesso normativo che disciplina il trasporto per
ferrovia.
4.3.– Relativamente al
trasporto su strada, questa Corte ha affrontato le questioni di legittimità
costituzionale concernenti la legge 22 agosto 1985, n. 450 (Norme relative al
risarcimento dovuto dal vettore stradale per perdita o avaria delle cose
trasportate), sia nella parte (art. 1, primo comma) in cui stabiliva, per i
trasporti soggetti al sistema di tariffe a forcella, che «l’ammontare del
risarcimento […] non può superare il massimo previsto dall’art. 13, n. 4» della
legge 6 giugno 1974, n. 298 (Istituzione dell’albo nazionale degli
autotrasportatori di cose per conto di terzi, disciplina degli autotrasporti di
cose e istituzione di un sistema di tariffe a forcella per i trasporti di merci
su strada), sia nella parte (art. 1, secondo comma) in cui, per i trasporti
esenti dall’obbligo delle tariffe a forcella, stabiliva che «l’ammontare del
risarcimento non può essere superiore, salvo diverso patto scritto antecedente
alla consegna delle merci al vettore, a lire 12.000 per chilogrammo di peso
lordo perduto o avariato».
4.3.1.– Con la sentenza n. 420
del 1991 questa Corte ha dichiarato l’illegittimità costituzionale della
prima norma, in quanto, da un lato, «non eccettua dalla limitazione della responsabilità
del vettore […] il caso di dolo o colpa grave» e, dall’altro lato, «non prevede
un meccanismo di aggiornamento del massimale».
Premesso che
nell’ordinamento è rinvenibile il principio (espresso, come vincolo per
l’autonomia privata, dall’art. 1229 del codice civile) per cui il debitore non
può avvalersi di limiti alla sua responsabilità, quando questa scaturisca da un
suo comportamento connotato da dolo o colpa grave, la Corte ritenne
incostituzionale la deroga a tale principio recata dal citato art. 1, primo
comma, della legge n. 450 del 1985, osservando che «il parametro dell’art. 3
Cost. viene in considerazione sotto l’aspetto del principio di ragionevolezza e
della connessa esigenza di equo contemperamento dell’interesse degli
autotrasportatori con l’interesse delle imprese utenti tutelato dall’art. 41
Cost.» e che, «se è vero che la limitazione di responsabilità del vettore […]
comporta un contenimento dei prezzi del servizio, con benefica ricaduta sui
prezzi di mercato delle merci trasportate e quindi sull’interesse generale, è
vero altresì che, ove la somma-limite non rappresenti un risarcimento adeguato
(seppure non integrale), il detto vantaggio è annullato dal costo supplementare
che l’impresa utente deve accollarsi per assicurare per proprio conto il carico
almeno nella misura occorrente per garantirsi un congruo indennizzo in caso di
perdita o di avaria delle merci»; con la conseguenza che, ove il risarcimento
non sia adeguato, «ne risultano in pari tempo compromessi gli scopi di utilità
sociale che la legge si propone in termini di contenimento dei prezzi di
mercato attraverso il calmieramento dei costi di trasporto delle merci».
Del pari contraria
agli artt. 3 e 41 Cost. fu ritenuta l’assenza di un meccanismo –analogo a
quello previsto, per il trasporto aereo, dall’art. 19 della legge 19 maggio
1983, n. 213 (Modifiche di alcune disposizioni del codice della navigazione
relative alla navigazione aerea) – di aggiornamento del massimale, in quanto
«la prescrizione del periodico aggiornamento del limite di responsabilità […]
rientra tra le garanzie di adeguatezza del risarcimento, che devono essere
predisposte dalla legge affinché il limite sia ragionevolmente contemperato con
gli interessi degli utenti» (ancora sentenza n. 420 del 1991).
4.3.2.– Con la sentenza n. 64 del
1993 questa Corte ha dichiarato infondata la questione di legittimità
costituzionale sollevata nei confronti dell’art. 1, secondo comma, della legge
n. 450 del 1985 (trasporti esenti dall’obbligo delle tariffe a forcella),
«nella parte in cui non prevede un meccanismo di aggiornamento del massimale
prescritto per l’ammontare del risarcimento».
La norma censurata,
infatti, divergeva profondamente da quella oggetto della pronuncia di
incostituzionalità (n. 420 del 1991),
perché il limite legale «è derogabile dalle parti in senso più favorevole
all’utente»; «la natura dispositiva del limite avvicina la norma denunciata al
modello dell’art. 423 cod. nav.», già ritenuto non confliggente
con la Costituzione dalla sentenza n. 401 del
1987.
Quanto al meccanismo
in sé di aggiornamento periodico, la Corte ne ha ribadito – sulle orme della sentenza n. 401 del
1987, seguita successivamente dall’ordinanza n.
272 del 1993 – l’opportunità e la conformità ad una linea evolutiva
dell’ordinamento, ma ha negato che esso possa costituire «una condizione sine qua non di legittimità, rispetto
all’art. 3 Cost., del limite legale di responsabilità risarcitoria del vettore.
Il mancato intervento del legislatore, che comunque comporterebbe un congruo
aumento del prezzo del servizio, può sempre essere supplito dall’autonomia
privata mediante patti di deroga al massimale legale».
5.– Dalla
giurisprudenza di questa Corte appena ricordata emerge chiaramente
l’infondatezza della censura con la quale il giudice rimettente si duole del
mancato adeguamento ovvero della mancata previsione di un meccanismo di
adeguamento, automatico o non, del massimale.
L’esigenza
costituzionale di un tale meccanismo è stata, infatti, affermata (sentenza n. 420 del
1991) nel solo caso del trasporto su strada governato dalla necessaria
applicazione delle tariffe a forcella, e cioè in un’ipotesi in cui la norma –
poi integralmente sostituita: art. 7 del decreto-legge 29 marzo 1993, n. 82
(Misure urgenti per il settore dell’autotrasporto di cose per conto di terzi),
come modificato dalla legge di conversione 27 maggio 1993, n. 162 – non solo
prevedeva un rigido ed invalicabile massimale, senza contemplare alcuna
possibilità di deroga contrattuale ad esso, ma inequivocabilmente escludeva
tale possibilità, essendo il carattere obbligatorio delle tariffe a forcella
incompatibile con l’aumento del prezzo del trasporto conseguente alla deroga
stessa. In sintesi, la norma de qua
rendeva il limite del massimale invalicabile non soltanto perché non prevedeva
uno spazio all’autonomia privata per derogarvi, ma perché era incompatibile con
qualunque possibilità di deroga: l’obbligatorietà delle tariffe rendeva
inconcepibile la pattuizione di una deroga che, per
sua natura, avrebbe comportato una modifica delle tariffe stesse.
Al di fuori di tale
peculiare ipotesi, questa Corte ha sempre affermato (sentenze n. 401 del
1987, n. 64
del 1993, n.
71 del 2003) che l’adeguamento del limite legale di risarcimento è
certamente auspicabile, ma ha costantemente escluso che esso sia
costituzionalmente necessario quando la norma espressamente prevede – come nel
caso dell’art. 423 cod. nav. – che le parti possano derogarvi.
Quando l’operatività
del limite legale di responsabilità – quale che sia l’entità del limite stesso
– «è in funzione di un atto di autonomia rimesso al libero gioco della domanda
e dell’offerta del servizio» e «il mittente è libero di scegliere tra
risarcimento svincolato dal limite legale (con corrispondente maggiorazione del
prezzo del trasporto) e risarcimento contenuto nel limite (con corrispondente
contenimento del corrispettivo)» (così la sentenza n. 64 del
1993), deve escludersi che l’assenza di un meccanismo di adeguamento
contrasti con precetti costituzionali, e ciò anche quando il caricatore sia un
utente occasionale.
La circostanza che,
per il trasporto aereo, il legislatore abbia previsto un meccanismo di
adeguamento del limite – col d.P.R. 7 marzo 1987, n.
201 (Aggiornamento degli importi di taluni articoli del codice della
navigazione, approvato con regio decreto 30 marzo 1942, n.
Né, ai fini
dell’effettività della tutela garantita all’utente occasionale dal diritto
potestativo di cui si è detto, può trascurarsi la circostanza (sottolineata
dalla sentenza
n. 71 del 2003) che l’art. 1469-quater
cod. civ. impone una adeguata informazione (la "fair opportunity”, che la giurisprudenza nord-americana costruisce come presupposto
di efficacia del limite legale) dell’utente in ordine a tutte le clausole
"vessatorie” del contratto, anche se tali clausole sono meramente riproduttive
di norme di legge.
6.– L’infondatezza
della questione appena esaminata comporta di per sé l’infondatezza della
questione – prospettata come subordinata dalla Corte rimettente – sollevata con
riguardo alla non congruità, in sé ovvero per l’assenza di un meccanismo di
adeguamento, del limite di risarcimento nel particolare caso in cui la perdita
o l’avaria delle cose trasportate sia stata determinata da dolo o colpa grave
del vettore o dei suoi dipendenti o preposti.
7.– La questione di
legittimità costituzionale dell’art. 423 cod. nav., nella parte in cui non
esclude il limite del risarcimento dovuto dal vettore marittimo in caso di
responsabilità determinata da dolo o colpa grave sua o dei suoi dipendenti o
preposti, è fondata.
7.1.– Preliminarmente,
va osservato che – contrariamente a quanto sostiene la parte privata
intervenuta nel giudizio di legittimità costituzionale – la questione è
rilevante nel giudizio a quo: la descrizione della fattispecie che vi
ha dato origine è più che sufficiente per constatare che l’esito del giudizio a quo dipende, come osserva la Corte
rimettente, dalla decisione di quello di legittimità costituzionale, essendo
del tutto evidente che il comportamento imputato ai dipendenti del vettore
(errato ancoraggio dell’autocarro trasportato) è tale da integrare gli estremi
della imperizia o della negligenza e che la radicale esclusione – sancita
dall’art. 423 cod. nav. – di ogni rilevanza del grado di colpa rendeva inutile,
nel giudizio a quo, ogni
determinazione riguardo al carattere grave o non della colpa medesima.
In sintesi, la norma
censurata preclude al giudice ogni indagine sulla colpa, e solo la auspicata
dichiarazione di illegittimità costituzionale può consentire alla Corte di
cassazione – in accoglimento, riferisce l’ordinanza di rimessione, di un
apposito motivo, con il quale, tra l’altro, la parte ricorrente ripropone
l’eccezione (già avanzata in sede di merito) di incostituzionalità dell’art.
423 cod. nav. – di investire di tale indagine o se stessa (ex art. 384, comma primo, del codice di procedura civile) ovvero il
giudice di rinvio, dopo che, nei precedenti gradi di merito, ad essa non si è
proceduto perché preclusa dalla norma.
7.2.– La Corte
rimettente solleva la questione in esame in riferimento all’art. 3 Cost., sia
perché la disciplina censurata sarebbe manifestamente irragionevole, sia perché
essa discriminerebbe irragionevolmente il caricatore marittimo rispetto a
quello aereo.
7.2.1.– Sotto tale
ultimo profilo, deve osservarsi che l’art. 952 cod. nav. esclude l’operatività
del limite in caso di dolo o colpa grave e che la vigente disciplina del
trasporto su strada (radicalmente modificata dopo le sentenze n. 420 del
1991 e n. 64
del 1993) espressamente prevede che «in caso di perdita o avaria delle cose
trasportate derivanti da un atto o da una omissione del vettore, dei suoi
dipendenti o dei suoi ausiliari, commessi con dolo o colpa grave, anche nell’ipotesi
di affidamento del servizio ad altro vettore, i limiti di risarcibilità di cui
ai commi 1 e 2» (relativi, rispettivamente, al trasporto soggetto ovvero non
alle tariffe obbligatorie a forcella) «non si applicano»; mentre, si è visto,
l’art. 52, primo comma, del d.P.R. n. 197 del 1961
stabilisce, per il trasporto per ferrovia, che il massimale è raddoppiato.
Da quanto appena
esposto emerge che, con la sola esclusione del trasporto marittimo, per ogni
tipo di trasporto oggetto di disciplina speciale (rispetto a quella codicistica) il legislatore – nel derogare, con la
previsione del limite del risarcimento del vettore, alla regola, di cui
all’art. 1693 cod. civ., della responsabilità ex recepto – ha sempre fatto oggetto di
espressa e distinta disciplina l’ipotesi in cui la perdita o l’avaria delle
cose trasportate dipenda da dolo o colpa grave del vettore o dei suoi
dipendenti o preposti: ipotesi considerata ora per escludere tout court l’applicabilità del limite
(trasporto aereo e trasporto su strada), ora per raddoppiare l’importo di quel
limite (trasporto per ferrovia).
Quest’ultima modalità
(raddoppio del massimale) – va rilevato – era stata scelta (art. 7, comma 3,
del d.l. n. 82 del 1993) anche per disciplinare il trasporto su strada
unitamente ad un meccanismo di periodico adeguamento del limite di
responsabilità, il quale faceva sì che anche il massimale del risarcimento
previsto per comportamenti dolosi o gravemente colposi fosse di riflesso
adeguato, laddove in sede di legge di conversione (n. 162 del 1993) fu scelta –
fermo il meccanismo di adeguamento – la soluzione della esclusione in tale
ipotesi del limite del risarcimento.
Attualmente, dunque,
la tecnica dell’incremento del massimale del risarcimento in caso di dolo o
colpa grave risulta adottata – senza la previsione di alcun meccanismo di
adeguamento del limite del risarcimento – soltanto per il trasporto per
ferrovia; al quale proposito deve osservarsi che, se è vero che, con la sentenza n. 90
del 1982, questa Corte ha ritenuto infondata la questione di legittimità
costituzionale di tale disciplina, è anche vero che quella pronuncia si è
basata, in aderenza alla questione sollevata, esclusivamente sulla circostanza che «il regime del
trasporto per ferrovia (…) forma un corpo normativo che costituisce, ai sensi
dell’art. 1689 del codice civile, una legge speciale».
Ciò merita di essere
ricordato perché successivamente questa Corte – pur riconoscendo che tale
disciplina «si dimostra sensibile, in una certa misura che qui non occorre
valutare, all’esigenza di ragionevole bilanciamento degli interessi in gioco» –
ha sottolineato, in termini generali, che «il limite della responsabilità del
vettore, specialmente quando è considerato invalicabile anche nell’ipotesi di
dolo o colpa grave, deve essere compensato da idonee garanzie di adeguatezza
del risarcimento del danno» (sentenza n. 420 del
1991).
7.2.2.– Dalle numerose
pronunce dedicate da questa Corte alla disciplina del limite di risarcimento
del vettore per perdita o avaria delle cose trasportate in relazione
all’ipotesi di dolo o colpa grave, si desume, da un lato, che il legislatore
ben può, nella sua discrezionalità, optare o per l’esclusione sic et simpliciter
dell’operatività del limite stesso ovvero per una congrua elevazione del
massimale e, dall’altro lato, che tale seconda soluzione presuppone «idonee
garanzie di adeguatezza del risarcimento del danno», quali può fornire, sempre
che l’importo-base sia fissato in misura congrua dalla legge, un meccanismo di
periodico adeguamento.
7.2.3.– La disciplina
di cui all’art. 423, comma primo, cod. nav., pertanto, confligge
con l’art. 3 Cost., nella parte in cui – a differenza di quanto previsto per
ogni altro tipo di trasporto – irragionevolmente omette di considerare,
assoggettando anch’essa al limite di risarcimento, l’ipotesi di perdita o
avaria delle cose trasportate dovuta a dolo o colpa grave del vettore marittimo
o di suoi dipendenti o preposti.
A confutazione
dell’irragionevolezza di tale disparità di trattamento non può invocarsi, come
tenta di fare la parte privata, il carattere risalente e peculiare della
disciplina interna del trasporto marittimo in quanto mutuata da quella pattizia internazionale, dal momento che, se è vero che
l’art. 423, comma primo, cod. nav. rispecchia quanto (nel 1942) prevedeva la
Convenzione di Bruxelles del 1924, è anche vero che successivamente (con il
Protocollo di Visby del 1968) pure la disciplina pattizia si è evoluta nel senso di escludere l’operatività
del limite nel caso di dolo o di colpa con previsione; il che, fermo quanto si
è osservato (n. 3) circa la disomogeneità – in virtù proprio della fonte della
disciplina – del trasporto marittimo interno e internazionale, rende vieppiù manifesta l’irragionevolezza, sotto il profilo qui
considerato, dell’esclusione della rilevanza del dolo e della colpa grave sul
limite del risarcimento nel solo trasporto marittimo interno.
Né la disciplina della
responsabilità del vettore marittimo può dirsi talmente peculiare, e gravosa
per il vettore, da giustificare per sé l’assoggettamento al limite di
risarcimento anche dell’ipotesi di dolo o colpa grave: non occorre occuparsi della
fondatezza o non di tale assunto (argomentando, ad esempio, dalle numerose
ipotesi di cosiddetti «pericoli eccettuati», di cui all’art. 422, comma
secondo, cod. nav., nelle quali l’onere della prova grava sull’utente), essendo
sufficiente constatare come il profilo de
quo sia estraneo alla questione qui in esame, attenendo questa al quantum, laddove quel profilo attiene
all’an debeatur.
Superfluo rilevare, da
ultimo, che la possibilità di ovviare al limite attraverso la dichiarazione del
valore ovvero attraverso la stipula di una assicurazione è inconferente:
non solo sussistono tali possibilità anche nelle altre ipotesi di trasporto per
le quali, tuttavia, in caso di dolo o colpa grave si è visto essere esclusa
l’operatività del limite ovvero essere prevista la sua maggiorazione, ma va
osservato che la questione di legittimità costituzionale ora in esame non
investe la previsione in sé del limite del risarcimento, ma la sua operatività
– proprio in assenza della dichiarazione del valore – quando si tratti di
comportamenti dolosi o gravemente colposi.
7.2.4.– Constatata, in
linea di principio, l’irragionevolezza della norma censurata nella parte in cui
disciplina come irrilevante, ai fini del limite del risarcimento, l’ipotesi di
dolo o colpa grave del vettore o dei suoi dipendenti o preposti, a ciò potrebbe
in tesi ovviarsi (come si è rilevato sub
7.2.2) sia esentando sic et simpliciter tale ipotesi dal limite sia prevedendo
un congruo aumento del limite stesso.
La circostanza,
peraltro, che il limite fissato (nel 1954) dall’art. 423, comma primo, cod.
nav. sia (divenuto) manifestamente inadeguato (come questa Corte ha
sottolineato fin dalla sentenza n. 401 del
1987) comporta che, in assenza di «idonee garanzie di adeguatezza del
risarcimento» (cfr. sentenza n. 420 del
1991), la dichiarazione di incostituzionalità deve consistere – così come
previsto dall’art. 952, comma primo, cod. nav. (correttamente indicato dalla
Corte rimettente quale tertium comparationis)
e dalla disciplina del trasporto su strada – nell’esclusione dell’operatività
del limite del risarcimento in caso di responsabilità determinata da dolo o
colpa grave del vettore o dei suoi dipendenti o preposti.
per
questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 423, comma primo,
del codice della navigazione (regio decreto 30 marzo 1942, n. 327), nella parte
in cui non esclude il limite del risarcimento dovuto dal vettore marittimo in
caso di responsabilità determinata da dolo o colpa grave sua o dei suoi
dipendenti o preposti.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 23 maggio 2005.
Fernanda CONTRI, Presidente
Romano VACCARELLA, Redattore
Depositata in Cancelleria il 26 maggio 2005.