Sentenza n. 71/2003

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SENTENZA N.71

ANNO 2003

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

- Riccardo CHIEPPA, Presidente

- Gustavo ZAGREBELSKY

- Valerio ONIDA

- Carlo MEZZANOTTE

- Piero Alberto CAPOTOSTI

- Annibale MARINI

- Franco BILE

- Giovanni Maria FLICK

- Ugo DE SIERVO

- Romano VACCARELLA

- Paolo MADDALENA

- Alfio FINOCCHIARO

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 423 del codice della navigazione promosso con ordinanza del 6 febbraio 2002 dal Tribunale di Genova nel procedimento civile vertente tra Nuvoletta Giovanni e la Tourship Italia s.p.a. ed altro, iscritta al n. 274 del registro ordinanze 2002 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 24, prima serie speciale, dell’anno 2002.

  Visto l’atto di costituzione della Tourship Italia s.p.a. nonché l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

  udito nella camera di consiglio del 29 gennaio 2003 il Giudice relatore Romano Vaccarella.

Ritenuto in fatto

  1.- Nel corso di un giudizio civile, promosso, davanti al Tribunale di Genova, da Giovanni Nuvoletta nei confronti della società Tourship Italia s.p.a. e di Giuseppe Pacilio, per ottenere la condanna dei convenuti al risarcimento dei danni cagionati alla sua autovettura durante l’imbarco sul traghetto "Sardinia Nova" della predetta società, il giudice dell’adito tribunale, con ordinanza del 6 febbraio 2002, ha sollevato questione di legittimità costituzionale, in riferimento all’articolo 3 della Costituzione, dell’art. 423 del codice della navigazione, nella parte in cui "disciplina la limitazione di responsabilità del vettore nell’ipotesi di trasporto nazionale in modo meno favorevole all’utente privato occasionale rispetto alla disciplina prevista, in materia di colpa grave e in materia di misura per sola unità di carico, per le ipotesi di trasporto internazionale", nonché "per la parte che la misura del risarcimento fissato per legge non è più stata aggiornata da oltre 50 anni".

  Riferisce il giudice rimettente che l’attore, quale "utente privato occasionale", aveva stipulato con la convenuta società un contratto di trasporto marittimo, per recarsi in Sardegna per le proprie vacanze; che dalle prove raccolte appare emergere una colpa grave della società convenuta; che tale società ha, tuttavia, eccepito la limitazione del debito del vettore marittimo prevista dall’art. 423 cod. nav., il quale, al primo comma, stabilisce che "il risarcimento dovuto dal vettore non può, per ciascuna unità di carico, essere superiore a lire duecentomila (limite così elevato dalla legge 16 aprile 1954, n. 202) o alla maggior cifra corrispondente al valore dichiarato dal caricatore anteriormente all’imbarco".

  1.1.- Quanto alla non manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale, il giudice rimettente rileva che il cittadino italiano, che stipuli un contratto di trasporto, è soggetto ad una disciplina diversa, quanto alla responsabilità del vettore per la perdita o le avarie delle cose trasportate, a seconda che si tratti di un trasporto nazionale o internazionale, in quanto il viaggio tocchi porti compresi solo nello Stato italiano ovvero in Stati diversi.

  Il regime del trasporto marittimo nazionale, stabilito dall’art. 423 cod. nav., infatti, differirebbe da quello del trasporto marittimo internazionale, risultante dalla Convenzione di Bruxelles, come modificata dai Protocolli di Visby e di Bruxelles, per i seguenti aspetti: a) il limite del risarcimento dovuto dal vettore, a norma dell’art. 423 cod. nav., è – secondo la giurisprudenza della Cassazione – operativo anche in caso di colpa grave del vettore medesimo o dei suoi ausiliari, mentre per il trasporto internazionale la normativa convenzionale uniforme prevede che il vettore non può beneficiare della limitazione di responsabilità, da essa stabilita, "se viene fornita la prova che il danno è risultato da un atto o da una omissione del vettore che ha avuto luogo sia con l’intenzione di provocare un danno sia temerariamente e con la consapevolezza che un danno probabilmente ne sarebbe risultato"; b) il limite dell’art. 423 cod. nav. è rapportato soltanto alla "unità di carico", mentre la disciplina convenzionale uniforme adotta un doppio parametro, stabilendo un limite di somma "per collo o unità" in concorso con un limite di somma "per chilogrammo di peso lordo delle merci perdute o danneggiate" e prevedendo l’applicazione del limite, in concreto, più elevato.

  Ad avviso del giudice rimettente, la differenziazione di regime tra i due tipi di trasporto, porta, quanto ai trasporti nazionali, a risarcimenti palesemente irrisori e sperequati rispetto a quelli ottenibili nei trasporti internazionali, ed è del tutto irragionevole, poiché, se è vero che vi è la possibilità di derogare al limite legale, mediante la dichiarazione del valore delle cose trasportate, tale possibilità "realizza un equilibrio accettabile per parti sufficientemente edotte sui meccanismi giuridici vigenti", ma non è soddisfacente per l’"utente privato occasionale", il quale, "per carenza di informazioni e conoscenze può trovarsi esposto ad un regime di debito iniquo (in quanto non sufficientemente valutato ed accettato), con importi di poche centinaia di migliaia di lire a fronte di carichi valutabili in decine di milioni".

  Inoltre, l’art. 423 cod. nav. "viola l’art. 3 della Costituzione sotto il profilo della irragionevolezza del limite del risarcimento in relazione al mai avvenuto adeguamento di tale limite da oltre 50 anni".

  1.2.- Quanto alla rilevanza della questione, il giudice rimettente osserva che: a) nella specie è incontestato che il caricatore danneggiato abbia la qualifica di "utente privato occasionale"; b) è evidente la palese difficoltà per l’utente privato occasionale di dichiarare il valore della merce, "per le tipiche modalità di carico dei traghetti, per la mancanza di modulistica all’uopo predisposta, per la mancanza di informativa e addirittura per una confusione in materia in base alle caratteristiche dei biglietti, per il tipo di utente estraneo a normative particolarmente specialistiche, considerato che il principio della conoscenza delle leggi si deve applicare nel campo penale, ma non è principio assoluto in campo civilistico, per la tutela accordata in ogni caso al consumatore non professionale che deve essere messo a conoscenza dei propri diritti e dei modi per farli valere ed attuare"; c) l’applicazione della disciplina convenzionale uniforme, sussistendo la colpa grave del vettore, comporterebbe per il danneggiato la possibilità di ottenere l’integrale risarcimento o, comunque, in base ai parametri da essa stabiliti, un "serio ristoro" dei danni subiti.

  2.- Costituitosi in giudizio a mezzo dell’Avvocatura generale dello Stato, il Presidente del Consiglio dei ministri osserva che: a) non si può dare apoditticamente per acquisita la particolare difficoltà di dichiarare il valore della merce solo per il carattere "non professionale" del contraente e per le particolari modalità di carico dei traghetti; b) la differenziazione di regime fra trasporti nazionali e internazionali è irrilevante, non essendo preclusa al contraente la possibilità di ottenere un risarcimento proporzionato al valore del bene trasportato; c) il mancato aggiornamento della misura del risarcimento non implica di per sé violazione dell’art. 3 della Costituzione.

  Il Presidente del Consiglio dei ministri conclude per la dichiarazione di infondatezza della questione di legittimità costituzionale.

  3.- La società Tourship Italia s.p.a., costituitasi fuori termine, ha depositato memoria sostenendo l’infondatezza della questione.

Considerato in diritto

  1.- Il Tribunale di Genova dubita, in riferimento all’art. 3, primo e secondo comma, Cost., della legittimità costituzionale dell’art. 423 cod. nav. per la limitazione che esso pone – in punto sia di entità del risarcimento, sia di rilevanza della colpa grave, sia ancora di riferimento alla sola unità di carico – alla responsabilità del vettore marittimo nel trasporto nazionale rispetto a quello internazionale, nonché per essere il limite del risarcimento fissato in un ammontare non più aggiornato da circa cinquanta anni.

  2.- La questione non è fondata sotto alcuno dei profili prospettati.

  2.1.- La questione, sotto il profilo della comparazione con il trasporto internazionale, appare manifestamente infondata per l’evidente diversità – anche quanto alla fonte della disciplina – delle due situazioni e, in particolare, per non avere il rimettente considerato che anche nel trasporto internazionale – come in quello interno – il limite di responsabilità non è eliso dalla colpa grave, bensì soltanto "da un atto o da una omissione del vettore che ha avuto luogo sia con l’intenzione di provocare un danno sia temerariamente e con la consapevolezza che un danno probabilmente ne sarebbe risultato" (art. 4, comma 5, lett. e), Convenzione di Bruxelles del 1924, come modificato dai Protocolli di Visby del 1968 e di Bruxelles del 1979).

  2.2.- Venendo, ora, alla questione della legittimità in sé del limite di responsabilità del vettore marittimo, questa Corte lo ha ritenuto non contrastante con la Costituzione (sentenza n. 401 del 1987; analogamente sentenza n. 64 del 1993 a proposito del trasporto terrestre), in quanto, prevedendo la legge la facoltà dell’utente di dichiarare il valore della merce trasportata, l’operatività del limite è rimessa ad una scelta unilaterale dell’utente stesso alla quale il vettore deve conformarsi.

  La circostanza che il caricatore sia un utente occasionale è, sotto il profilo qui considerato, irrilevante, dal momento che l’equilibrio costruito dalla norma tra esigenze del vettore (con la fissazione del limite di responsabilità) ed esigenze dell’utente, occasionale o non che questi sia, non viola l’indicato precetto costituzionale in quanto al caricatore è data la possibilità di non sottostare al limite, usufruendo del diritto potestativo di rendere la dichiarazione del valore della merce affidata al vettore, senza che quest’ultimo – se il titolo in base al quale esercita la sua attività lo obbliga a contrarre - possa rifiutare di prendere atto della dichiarazione stessa.

  Conclusivamente, deve ribadirsi che, poiché "l’entità del risarcimento è in funzione del costo dell’operazione di trasporto (in quanto) il vettore, conoscendo, attraverso la dichiarazione del caricatore, l’effettivo valore della merce, è posto al corrente dell’entità della sua eventuale obbligazione risarcitoria e può perciò adeguare ad essa il nolo" (sentenza n. 401 del 1987) e poiché, come si è detto, la determinazione dell’ammontare dei danni risarcibili, in sostituzione del limite legale, dipende esclusivamente dalla dichiarazione (di volontà) del caricatore produttiva ex se del sopra descritto effetto (quale che sia il comportamento del vettore), la norma censurata non contrasta con l’invocato precetto costituzionale.

  3.- Quanto alla censura che investe il mancato aggiornamento dell’entità del limite di responsabilità, questa Corte non può che ribadire la sua incensurabilità per essere "l’entità del risarcimento in funzione del costo dell’operazione di trasporto", auspicando ancora una volta che il legislatore provveda analogamente a quanto da tempo ha fatto per il trasporto aereo (sent. n. 401 del 1987).

  4.- La circostanza che l’equilibrio realizzato dalla norma contestata tra i contrapposti interessi non violi il richiamato precetto costituzionale non esclude che – pur non essendo per definizione "vessatorie le clausole che riproducono disposizioni di legge" (art. 1469-ter, comma terzo, del codice civile) – sussiste anche per tali clausole l’esigenza che "nel caso di contratti di cui tutte le clausole siano proposte al consumatore per iscritto, tali clausole devono sempre essere redatte in modo chiaro e comprensibile" (art. 1469-quater cod. civ.), e pertanto deve risultare chiaramente anche il maggior costo dell’operazione di trasporto in relazione alla eventuale dichiarazione di valore resa dal consumatore.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

  dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 423 del codice della navigazione sollevata, in riferimento all’art. 3 della Costituzione, dal Tribunale di Genova con l’ordinanza in epigrafe.

  Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 12 marzo 2003.

Riccardo CHIEPPA, Presidente

Romano VACCARELLA, Redattore

Depositata in Cancelleria il 14 marzo 2003.