Sentenza n. 90 del 1982
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SENTENZA N. 90

ANNO 1982

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori Giudici:

Prof. Leopoldo ELIA

Dott. Michele ROSSANO

Prof. Antonino DE STEFANO

Prof. Guglielmo ROEHRSSEN

Avv. Oronzo REALE

Dott. Brunetto BUCCIARELLI DUCCI

Avv. Alberto MALAGUGINI

Prof. Livio PALADIN

Prof. Antonio LA PERGOLA

Prof. Virgilio ANDRIOLI

Prof. Giuseppe FERRARI

Dott. Francesco SAJA

Prof. Giovanni CONSO

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 50, n. 1, lett. c, e 52, comma primo, del d.P.R. 30 marzo 1961, n. 197 (responsabilità del vettore ferroviario in relazione alla perdita di cose) promosso con ordinanza emessa il 17 novembre 1975 dal Pretore di Cosenza, nel procedimento civile vertente tra la Soc. r.l. G. Mazzocca & C. e l'Azienda Autonoma delle Ferrovie dello Stato, iscritta al n. 58 del registro ordinanze 1976 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 72 del 1976.

Udito nell'udienza pubblica del 24 febbraio 1982 il Giudice relatore Antonio La Pergola.

 

Ritenuto in fatto

 

1. - Il Pretore di Cosenza, con ordinanza emessa il 17 novembre 1975, nel procedimento civile che verte tra la Società Mazzocca & C. e l'Azienda Autonoma delle Ferrovie dello Stato, ha sollevato questione di legittimità costituzionale degli artt. 50, n. 1, lett. c, e 52, primo comma, del d.P.R. 30 marzo 1961, n. 197, in riferimento agli artt. 3, 70 e 77, primo comma, e 28 Cost.

Nel procedimento a quo la Società attrice aveva chiesto - per la perdita di parte del bagaglio spedito dalla stazione di Bologna a Cosenza - il risarcimento del danno in misura superiore al limite massimo delle indennità al riguardo previste nelle disposizioni censurate, dove la perdita sia causata da dolo o colpa grave del vettore. Si assume dal Pretore di Cosenza che l'incidente di legittimità così prospettato, oltre che non manifestamente infondato, sia rilevante per la definizione del giudizio di cui egli é investito. Un'eventuale pronuncia di fondatezza implicherebbe - si osserva, infatti - il necessario accoglimento della domanda della società promotrice del giudizio a quo. L'illegittimità delle anzidette norme di legge é dedotta sotto i seguenti profili:

a) le disposizioni in esame, poste in un decreto delegato, divergerebbero dalla legge-delega, e precisamente dalla direttiva, che si assume ivi posta, di abbandonare i residui criteri collegati con la originaria posizione monopolistica del vettore ferroviario, in quanto esse fissano un limite per la responsabilità del vettore, se pur aumentato (a lire 30 mila invece di 15 mila, per ogni chilogrammo di peso netto mancante), in rapporto all'ipotesi in cui la perdita della cosa trasportata non sia dovuta a dolo o colpa grave di quest'ultimo. Di qui si fa discendere la violazione degli artt. 70 e 77 Cost.;

b) la previsione dell'anzidetto limite discriminerebbe ingiustificatamente l'utente del servizio ferroviario rispetto a chi invece si giova di altri mezzi di trasporto e così gode, si soggiunge, delle più favorevoli condizioni dettate dagli artt. 1693, 1679 e 1229 del codice civile, con la conseguente lesione del principio costituzionale di eguaglianza;

c) l'aver configurato limiti alla responsabilità del vettore e dunque all'obbligo di risarcire il danno subito dal mittente o dal destinatario, concreterebbe, infine, l'infrazione del disposto dell'art. 28 Cost. L'invocato precetto costituzionale sancisce - e con ciò, si assume, preclude al legislatore di limitare, come accadrebbe nella specie - la responsabilità dei funzionari e dei dipendenti pubblici per gli atti compiuti in violazione di diritti, e ne prevede l'estensione allo Stato, ovvero all'ente pubblico, di cui si tratta di volta in volta.

2. - Il Presidente del Consiglio dei ministri e l'Azienda Autonoma delle Ferrovie dello Stato per il tramite dell'Avvocatura generale dello Stato, hanno prodotto atto di intervento fuori termine.

 

Considerato in diritto

 

1. - Formano oggetto del presente giudizio gli artt. 50 e 52 del d.P.R. 30 marzo 1961, n. 197 ("Revisione delle condizioni per il trasporto delle cose sulle ferrovie dello Stato"). La prima di dette disposizioni prevede che l'amministrazione é tenuta a corrispondere, per la perdita anche parziale delle cose trasportate, ad essa imputabile, oltre al valore dell'imballaggio, un'indennità corrispondente al valore debitamente comprovato della cosa perduta (paragrafo 1 lett. c), senza peraltro superare lire 15.000 per ogni chilogrammo di peso netto mancante. Quando la perdita sia causata da dolo o da colpa grave del vettore - dispone poi il citato art. 52 - l'avente diritto può pretendere di essere risarcito, ai sensi degli artt. 1223 e 1225 del codice civile, dei danni che provi di aver subito, fino alla concorrenza del doppio dell'anzidetta indennità massima.

Il giudice a quo, nel prospettare la questione, avverte che é proprio il disposto dell'articolo per ultimo richiamato a venire in considerazione nella specie: la convenuta Azienda delle Ferrovie dello Stato si era infatti offerta di corrispondere il risarcimento del danno nella misura massima consentita per l'ipotesi di colpa grave del vettore, laddove la società promotrice del giudizio di merito chiedeva di essere risarcita oltre detto limite, censurando la norma in esame per asserito contrasto con l'art. 3 Cost. Ad avviso del Pretore di Cosenza il problema di costituzionalità, così posto, investe la previsione dell'art. 52 del d.P.R. 30 marzo 1961, n. 197, in relazione non soltanto al principio costituzionale di eguaglianza, ma anche agli artt. 70, 77 e 28 Cost. Ritiene, più precisamente, il detto giudice che:

a) la norma in questione, contenuta in un decreto delegato, disattenda le direttive della legge-delega, la quale, nell'investire il Governo della revisione delle condizioni per il trasporto di cose sulle Ferrovie dello Stato, prescriverebbe, tra l'altro, che si abbandonino i residui criteri collegati con l'originaria posizione monopolistica del vettore. La soluzione adottata dal legislatore delegato - viene appunto dedotto - impone unilateralmente all'utente condizioni di trasporto più gravose rispetto al regime posto nel codice civile, non essendo, negli artt. 1693, 1679 e 1229 di detto codice, contemplate analoghe limitazioni della responsabilità degli altri esercenti dei servizi di linea. Il che concreterebbe una violazione della legge-delega, sotto il profilo enucleato nell'ordinanza di rinvio;

b) l'aver limitato l'indennità, per ogni chilogrammo di peso netto mancante, alla cifra massima di L. 15.000, raddoppiabile nel caso di dolo o colpa grave del vettore, dia luogo ad una condizione di grave disuguaglianza tra chi fruisce del servizio del trasporto ferroviario, e chi, invece, si giova dei servizi pubblici di linea, con riguardo ai quali non opera l'anzidetta restrizione della responsabilità del vettore. La denunciata disparità sarebbe tanto più evidente, in quanto la misura dell'indennità prevista (L. 30.000 per ogni Kg.), non é stata adeguata alle mutate condizioni economiche sin dal 1961;

c) altro motivo di incostituzionalità viene ravvisato nella violazione dell'art. 28 della Costituzione, che sancisce la responsabilità per gli atti e i fatti illeciti, compiuti da funzionari e dipendenti dello Stato e degli enti pubblici, e prevede che, in tali casi, la responsabilità civile si estende allo Stato e agli enti pubblici. Il principio di responsabilità ivi sancito non consentirebbe che il vettore sia esonerato, nemmeno entro i limiti previsti nel caso in esame, dall'obbligo del risarcimento.

Nessuna delle anzidette censure può, tuttavia, essere accolta.

2. - In primo luogo, va disatteso l'assunto che l'impugnata norma del decreto delegato non trovi supporto in alcuna previsione della legge di delegazione. Il giudice a quo, denunziando la violazione degli artt. 70 e 77 Cost., adombra il radicale difetto, e vuol comunque ipotizzare la violazione, della delega, della quale il Governo si é giovato in ordine alla normativa censurata. Ora, la legge di delegazione (27 febbraio 1960, n. 183: "Delega al Governo ad attuare la revisione delle vigenti condizioni per il trasporto delle cose sulle Ferrovie dello Stato") contempla, all'art. 2, tre criteri direttivi, ai quali il Governo doveva uniformarsi nell'operare un'organica revisione delle "condizioni e tariffe per i trasporti delle cose sulle Ferrovie dello Stato". Fra di essi, come si osserva nel provvedimento di rimessione, vi é, certo, anche quello che ha riguardo "all'opportunità di abbandonare i residui criteri collegati all'originaria posizione monopolistica del vettore ferroviario", e "di instaurare un maggior spirito di correntezza e di collaborazione con gli utenti". Ma il dedotto motivo di incostituzionalità non é suffragato da alcun dato dell'interpretazione testuale o logica della statuizione normativa, in cui é posto il criterio che qui si considera; né dai relativi lavori preparatori può argomentarsi che il regolamento della specie sia contrario - o, come si vorrebbe dal Pretore di Cosenza, estraneo addirittura - alle previsioni del legislatore delegante. Invero, sia la relazione del ministro proponente, sia quelle dei relatori alla Camera e al Senato, nell'illustrare il criterio direttivo in parola - sotto il particolare riflesso delle indicazioni che avrebbero potuto discenderne per la disciplina del caso in esame - si fermano a considerare una serie di ipotesi, le quali richiedevano, a loro avviso, la produzione di norme nuove, rispetto a quelle poste a suo tempo nel decreto legge n. 9 del 1940 e nella relativa legge di conversione n. 674 del 13 maggio 1940 (cfr. artt. 34, 43, 46, 47, 50 e 58): ma non toccano per alcun verso il problema della limitazione della responsabilità del vettore, né conducono altrimenti al risultato che la normativa censurata contraddice alla direttiva di rivedere i criteri connessi con l'originaria posizione monopolistica del vettore ferroviario. Del resto, l'esistenza di massimali per il risarcimento dei danni alle cose trasportate non trae motivo del pur gravoso regime di responsabilità incombente sul vettore ferroviario, né dalla sua originaria posizione di monopolista. Il legislatore delegante, di fronte alle dimensioni assunte dal trasporto ferroviario, che é trasporto di massa, ha semmai tenuto presente la necessità di non esporre l'Azienda Autonoma a insostenibili oneri finanziari; e d'altra parte si é preoccupato di disporre che la funzione sociale e la natura del pubblico servizio adempiuto dalle Ferrovie non influissero soverchiamente sul livello delle tariffe applicate.

3. - Depone, poi, per l'infondatezza della censura in esame un ulteriore argomento, che si desume dal contesto dell'articolo in cui figurano i criteri direttivi per l'esercizio della potestà delegata. Oltre a quello sopra richiamato, ne sono previsti, come si diceva, altri due, con esso strettamente collegati. Il Governo era infatti chiamato a rielaborare le norme del 1940 (R.D. n. 9), in relazione alla contingenza economica e alle mutate esigenze del traffico, e ad adeguare condizioni e tariffe per il trasporto ferroviario di cose - fin dove possibile, senza deroghe alle vigenti norme del diritto italiano - alla "legislazione ferroviaria internazionale" (cfr. art. 2 lett. a e c della legge n. 183 del 1960). La norma censurata non offende il criterio stabilito dalla legge di delega in ordine alla posizione monopolistica del vettore, e si giustifica, al tempo stesso, in ragione delle altre direttive testé ricordate. Essa tien conto, in qualche misura, della mutata condizione dei trasporti, con l'elevare il massimale relativo all'indennità per la perdita delle cose dalle lire 1.000 per ogni chilogrammo di peso netto - com'era disposto nell'art. 58 paragrafo 2, lett. c, del previgente testo normativo - a lire 15.000: la qual cifra si raddoppia, dove, come nel caso di specie, venga in rilievo la colpa grave del vettore. Il limite posto alla responsabilità di quest'ultimo, corrisponde, d'altro canto, alle disposizioni degli accordi internazionali concernenti la materia (cfr. gli artt. 31, 35 e 37 della Convenzione internazionale concernente il trasporto di cose per ferrovia, conclusa a Berna il 25 ottobre 1952, resa esecutiva in Italia con la legge del 28 giugno 1955, n. 916: e le analoghe previsioni (art. 31, 35 e 37) della più recente Convenzione di Berna del 25 febbraio 1961, resa esecutiva in Italia con la legge 2 marzo 1963, n. 806). La norma censurata dunque si é anche conformata alla prescrizione dell'art. 2, lett. c, della legge-delega, la cui importanza é rilevata nella relazione ministeriale, là dove si fa riferimento a un processo - già in atto anche presso le Amministrazioni estere - di unificazione del diritto ferroviario.

4. - Posto ciò, resta esclusa anche la prospettata lesione del principio di eguaglianza. Il regime del trasporto per ferrovia, quale risulta dal decreto delegato n. 197 del 1961, forma un corpo normativo, che costituisce, ai sensi dell'art. 1680 del codice civile, una legge speciale, in rapporto alla disciplina del contratto di trasporto, dettata, in via generale, dallo stesso codice. Le disposizioni di questa legge o normazione speciale vengono, quindi, a derogare lo schema dell'anzidetta disciplina. Ma la deroga, che nel caso in esame incide sulla responsabilità del vettore (quanto alla previsione, denunziata come illegittima, dei limiti nei quali essa viene contenuta), non é arbitraria, né comunque lesiva del precetto scaturente dall'art. 3 Cost.: sia perché le peculiari esigenze e condizioni del traffico ferroviario giustificano un regime diverso da quello adottato dal codice, sia perché il regolamento della specie si colloca razionalmente nel contesto di un apposito assetto normativo del trasporto ferroviario, che assicura parità di trattamento a tutti gli utenti di quel servizio.

5. - Non sussiste, infine, nemmeno la pretesa violazione dell'art. 28 Cost. É infatti appena il caso di osservare che, in virtù della disposizione censurata, la responsabilità dell'Azienda Ferroviaria non é esclusa, bensì é regolata, come richiede lo stesso invocato precetto del testo fondamentale, secondo la legge che concerne la materia, in quanto disciplina il trasporto per ferrovia: ed é così sancita, entro quei dati limiti, sempre fissati in via normativa, dei quali, in relazione agli altri profili della specie, si é or ora appurata la giustificatezza.

 

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale degli artt. 50, n. 1, lett. c, e 52, primo comma, del d.P.R. 30 marzo 1961, n. 197, sollevata con l'ordinanza in epigrafe in riferimento agli artt. 3, 70 e 77, primo comma, e 28 Cost.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 27 aprile 1982.

 

Leopoldo ELIA - Michele ROSSANO - Antonino DE STEFANO - Guglielmo ROEHRSSEN - Oronzo REALE - Brunetto BUCCIARELLI DUCCI - Alberto MALAGUGINI - Livio PALADIN - Antonio LA PERGOLA - Virgilio ANDRIOLI - Giuseppe FERRARI - Francesco SAJA - Giovanni CONSO.

Giovanni VITALE – Cancelliere

 

Depositata in cancelleria il 12 maggio 1982.