Sentenza n.303 del 1988

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SENTENZA N.303

ANNO 1988

REPUBBLICA ITALIANA

In nome del Popolo Italiano

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

Dott. Francesco SAJA Presidente

Prof. Giovanni CONSO

Prof. Ettore GALLO

Dott. Aldo CORASANITI

Prof. Giuseppe BORZELLINO

Dott. Francesco GRECO

Prof. Renato DELL'ANDRO

Prof. Gabriele PESCATORE

Avv. Ugo SPAGNOLI

Prof. Francesco Paolo CASAVOLA

Prof. Antonio BALDASSARRE

Prof. Vincenzo CAIANIELLO

Avv. Mauro FERRI

Prof. Luigi MENGONI

Prof. Enzo CHELI

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nei giudizi di legittimità costituzionale degli artt. 6, 20, 28, 48, 91, 93 e 96, lett. f, del D.P.R. 29 marzo 1973, n. 156 (Testo unico delle disposizioni legislative in materia postale, di bancoposta e di telecomunicazioni), promossi con le seguenti ordinanze:

a) ordinanza emessa il 26 ottobre 1983 dal Tribunale di Roma nel procedimento civile vertente tra la Banca d'Italia e il Ministero delle Poste e Telecomunicazioni, iscritta al n. 405 del registro ordinanze 1987 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 39/1a s.s. dell'anno 1987;

b) ordinanze emesse il 14 giugno 1985 (n. due ordinanze) dal Tribunale di Roma nei procedimenti civili vertenti tra la Banca d'Italia e il Ministero delle Poste e Telecomunicazioni, iscritti ai nn. 408 e 409 del registro ordinanze 1987 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 39/1a s.s. dell'anno 1987;

c) ordinanze emesse il 14 giugno 1985 (n. due ordinanze) dal Tribunale di Roma nei procedimenti civili vertenti tra la Banca d'Italia e il Ministero delle Poste e Telecomunicazioni iscritte ai nn. 406 e 407 del registro ordinanze 1987 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 39/1a s.s. dell'anno 1987 e ordinanza emessa il 18 marzo 1986 dalla Corte d'Appello di Roma nel procedimento civile vertente tra la Banca d'Italia e Losito Maria Pia ed altro, iscritta al n. 723 del registro ordinanze 1986 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 59/1a s.s. dell'anno 1986.

Visti gli atti di costituzione della Banca d'Italia nonchè gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell'udienza pubblica del 26 gennaio 1988 il Giudice relatore Luigi Mengoni;

uditi gli avvocati Massimo Severo Giannini e Giorgio Sangiorgio per la Banca d'Italia e l'Avvocato dello Stato Antonio Palatiello per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Considerato in diritto

l.-I giudizi promossi dalle sei ordinanze in esame hanno analogo contenuto, e pertanto devono essere riuniti e decisi con unica sentenza.

2.-La questione di legittimità costituzionale degli artt. 6, 28, 48 e 93 del d.p.r. n. 156 del 1973 é fondata.

Secondo una formula tralaticia, ricorrente nella giurisprudenza meno recente e ripresa dall'Avvocatura dello Stato, l'esenzione dell'Amministrazione delle Poste da responsabilità per danni verso l'utenza si giustificherebbe per la necessita <di garantire all'Amministrazione la più ampia discrezionalità nell'organizzazione del pubblico servizio>, ponendola <al riparo da sanzioni risarcitorie per inconvenienti e imperfezioni nell'adempimento delle prestazioni, inseparabili dalle scelte organizzative da essa fatte, le quali possono anche tradursi nel mancato rispetto di regole di servizio da parte del dipendente, delle quali, per la complessità dell'organizzazione e la difficoltà dei controlli, non é possibile garantire l'assoluta e costante osservanza>. Ma una simile giustificazione, improntata a una concezione del servizio postale come servizio puramente amministrativo, non regge di fronte all'art. 43 Cost., che ha istituito uno stretto collegamento tra la nozione di servizio pubblico essenziale e la nozione di impresa. Se ne deduce che tutti i servizi pubblici essenziali devono essere organizzati e gestiti in forma di impresa, ossia, come dispone l'art. 2 della legge 17 maggio 1985 n. 210 per il servizio ferroviario, <con criteri di economicità>, i quali comportano la conformazione dei rapporti con gli utenti come rapporti contrattuali, fondamentalmente soggetti al regime del diritto privato. A questo regime, che tende a convertirsi in <diritto comune a pubblici e privati operatori>, indifferente alla diversa natura degli interessi in gioco, é stata ricondotta, in ossequio alla direttiva costituzionale, la responsabilità per inadempimento dell'Amministrazione ferroviaria dalla legge 7 ottobre 1977, n. 754. Solo una discrezionalità organizzativa responsabilizzata secondo criteri di economicità può assicurare, tra l'altro, una seria politica delle assunzioni improntata esclusivamente a rigorosi requisiti di professionalità.

L'eccezione confermata dal d.p.r. n. 156 del 1973 in favore dell'Amministrazione delle Poste, la cui discrezionalità organizzativa non e correlata col principio di responsabilità, si spiega solo come retaggio storico di un privilegio risalente alle origini del servizio postale. Questo é nato agli inizi del secolo XVII come servizio <aulico>, affidato a privati ai quali il monarca concedeva, in compenso, la licenza di svolgere un servizio analogo per i sudditi, in regime di monopolio. Più tardi, quando lo Stato moderno si riservo il servizio postale come strumento di acquisizione di un'entrata, i privilegi precedentemente accordati dal sovrano ai Mastri delle sue Poste, si consolidarono in un privilegio del fisco, comprendente anche l'immunità da responsabilità per danni verso l'utenza. La sua conservazione non ha alcuna giustificazione nell'ordinamento attuale, dove il servizio postale non può essere più considerato un bene patrimoniale dell'erario e si configura invece, secondo il criterio organizzativo impartito dall'art. 43 Cost., come un'impresa gestita dallo Stato in regime di monopolio, ossia come una forma di partecipazione dello Stato all'attività economica.

3.-L'ingiustificatezza del privilegio si accentua nei casi ai quali i giudici remittenti hanno circoscritto la sollevata questione di legittimità costituzionale. In questi casi la forma della raccomandazione postale non é liberamente scelta ne dai creditori (destinatari), ne dalla Banca d'Italia (mittente) come mezzo di trasmissione dei vaglia cambiari, cosi che si possa dire, come afferma l'Avvocatura, che gli utenti assumono un rischio cui possono sottrarsi optando per la forma dell'<assicurazione>. Invero, la legge 23 ottobre 1962 n. 1575, rovesciando l'impostazione del precedente d.p.r. 25 gennaio 1962, n. 71 (alla quale e tornato il d.p.r. 10 febbraio 1984, n. 21, lasciandone fuori pero i rimborsi IRPEF, che continuano ad essere regolati dalla legge 31 maggio 1977, n. 247), attribuiva agli Uffici ordinatori della spesa la facoltà di disporre d'ufficio la commutazione dei titoli di spesa dello Stato in vaglia cambiari non trasferibili emessi dalla Banca d'Italia, indipendentemente da una richiesta del creditore: e ciò, come é scritto nella relazione al disegno di legge, allo scopo di ottenere una <semplificazione del sistema di pagamento dello Stato>. Il secondo e il terzo comma dell'articolo unico della legge n. 1575 del 1962, da integrare col primo comma dell'art. 2 del d.p.r. n. 71 dello stesso anno, prescrivevano che i vaglia fossero spediti dalle Tesorerie di Stato all'indirizzo dei creditori in piego raccomandato, a spese delle Amministrazioni interessate.

Disponeva, infine, il quinto comma che <l'emissione dei vaglia cambiari estingue il debito dello Stato>.

Dal complesso di questa disciplina risulta che: a) lo Stato é autorizzato a novare unilateralmente il proprio debito sostituendolo con una obbligazione pecuniaria di pari ammontare incorporata in un vaglia cambiario emesso dalla Banca d'Italia; b) il servizio di corrispondenza raccomandata, esercitato dall'Amministrazione postale, e indicato obbligatoriamente alla Banca d'Italia come mezzo di adempimento dell'obbligo di trasferire al creditore il possesso del vaglia, necessario per ottenere il pagamento della somma da esso portata.

L'integrazione del meccanismo approntato dalla legge n. 1575 del 1962 con le norme del codice postale relative all'istituto della <raccomandazione> fa emergere una irrazionale disparità di trattamento in contrasto con l'art. 3 Cost.: mentre nel rapporto tra Banca d'Italia e creditore l'inadempimento dell'obbligo di consegna del vaglia é regolato dalla norma generale dell'art. 1218 cod. civ., onde la Banca si libera da responsabilità solo con la prova del caso fortuito, invece nel rapporto tra Banca d'Italia e Amministrazione delle Poste l'obbligo di trasporto e di consegna del vaglia al destinatario, assunto dalla seconda verso la prima, é regolato da norme speciali che esonerano l'amministrazione da responsabilità per il risarcimento dei danni, con la conseguenza, non coerente con la ratio della legge n. 1575, di far ricadere il rischio dell'operazione sulla Banca.

4. -L'Avvocatura obietta che, diversamente dal servizio della corrispondenza assicurata, l'Amministrazione postale, cui la Banca d'Italia affida la raccomandata contenente il vaglia cambiario, non si obbliga a consegnare al destinatario il vaglia, ma soltanto un plico chiuso, del quale ignora il contenuto. Si può replicare anzitutto che la distinzione tra raccomandazione e assicurazione attiene propriamente alla prova del danno derivato dalla perdita del plico, ma non rileva sul piano del diritto sostanziale: in entrambi i casi, salvi per le raccomandate i divieti di cui all'art. 83 del d.p.r. n. 156 del 1973, l'Amministrazione postale assume contrattualmente l'obbligazione di trasportare e consegnare al destinatario il plico intatto nella sua originaria consistenza.

In secondo luogo non va trascurato il rilievo che nel caso di specie il modello delle buste usate dalla Banca d'Italia per la spedizione dei vaglia cambiari commutanti debiti dello Stato é corredato di segni esteriori che rendono chiaramente riconoscibili il contenuto della busta e la funzione cui la raccomandata - secondo legge - é deputata.

5.-Infine l'Avvocatura eccepisce che, in ogni caso, non le norme del codice postale che sollevano l'Amministrazione da responsabilità per danni dovevano essere impugnate, bensì le norme della contabilità di Stato o di altre leggi, le quali prevedono la commutazione d'ufficio dei debiti dello Stato in vaglia cambiari da spedire ai creditori in piego raccomandato, così ponendo a carico della Banca d'Italia e/o dello stesso creditore il rischio dello smarrimento o della sottrazione del titolo. Da questo punto di vista la questione sarebbe male impostata, é quindi inammissibile.

Ma nemmeno tale eccezione appare plausibile. Come si é detto, la disciplina della commutazione dei debiti dello Stato secondo la legge n. 1575 del 1962 é integrata dalle norme del codice postale (r.d. n. 645 del 1936, vigente all'epoca di emanazione della legge, poi sostituito dal d.p.r. n. 156 del 1973), concernenti la responsabilità dell'Amministrazione per la perdita della lettera raccomandata con cui il vaglia cambiario é stato spedito al creditore. Perciò la questione di costituzionalità, in riferimento all'art. 3 Cost., é stata posta correttamente dai giudici remittenti con riguardo non alle norme che prevedono la commutazione e impongono all'Amministrazione delle Poste un servizio di raccomandate in favore delle Tesorerie di Stato ai fini della trasmissione dei vaglia cambiari agli aventi diritto, ma appunto alle norme del codice postale nella parte in cui mantengono il privilegio di irresponsabilità per danni dell'Amministrazione anche quando essa é chiamata dalla legge al detto servizio.

6. - Le questioni di costituzionalità in riferimento agli artt. 28 e 113 Cost. rimangono assorbite.

7. - Le ordinanze del Tribunale di Roma indicate in epigrafe sub b) hanno sollevato anche la questione di costituzionalità, in riferimento agli artt. 3, 24 e 113 Cost., degli artt. 20, 91 e 96 lett. J) del codice postale, nella parte in cui, in caso di perdita di una corrispondenza raccomandata, subordinano l'azione giudiziaria contro l'Amministrazione postale alla previa presentazione di un reclamo in via amministrativa entro il termine decadenziale di sei mesi dalla data di impostazione: reclamo di cui l'Amministrazione ha eccepito la mancata tempestiva presentazione da parte della Banca d'Italia.

La questione, nella specie, é irrilevante, e pertanto va di chiarata inammissibile. Invero le norme impugnate si riferiscono all'azione giudiziaria esercitata in via principale dal mittente contro l'Amministrazione, mentre nei due casi in esame l'azione principale é esercitata, contro il mittente (Banca d'Italia), dal destinatario dei vaglia cambiari, il quale pretende che il pagamento sia ripetuto a sue mani. Nel processo l'Amministrazione é stata chiamata in garanzia, su istanza della Banca, la quale intende esercitare nel medesimo processo l'azione di regresso (o rivalsa) per l'eventualità che sia accolta la domanda principale (art. 106 cod. proc. civ.). A questa azione, la quale trova ingresso in conseguenza della dichiarazione di illegittimità costituzionale delle norme del codice postale che la escludono, la condizione di procedibilità prevista dagli artt. 20, 91 e 96 lett. J) del codice postale non e evidentemente applicabile, trattandosi di un'azione che accede a una causa principale promossa contro il mittente da un terzo il cui diritto di agire non e soggetto alla detta condizione.

Per la ragione svolta nel numero precedente risulta assorbita l'eccezione di inammissibilità opposta dall'Avvocatura dello Stato nel giudizio promosso dall'ordinanza indicata in epigrafe sub a): poichè l'azione di rivalsa della Banca non é soggetta alla condizione del previo tempestivo reclamo in via amministrativa, non ha rilevanza il fatto che il giudice a quo abbia omesso di accertare se tale condizione sia stata o no osservata.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara l'illegittimità costituzionale degli artt. 6, 28, 48 e 93 del d.p.r. 29 marzo 1973 n. 156 (<Testo unico delle disposizioni legislative in materia postale, di bancoposta e di telecomunicazioni>) nella parte in cui dispongono che l'Amministrazione delle Poste e delle Telecomunicazioni non é tenuta al risarcimento dei danni, oltre all'indennità di cui all'art. 28, in caso di perdita o manomissione di raccomandate con le quali siano stati spediti vaglia cambiari emessi in commutazione di debiti dello Stato;

dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale degli artt. 20, 91 e 96 lett. J) del d.p.r. 29 marzo 1973 n. 156, sollevata, in riferimento agli artt. 3, 24 e 113 Cost., dal Tribunale di Roma con le ordinanze indicate in epigrafe sub b).

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 10/03/88.

Francesco SAJA, PRESIDENTE

Luigi MENGONI, REDATTORE

Depositata in cancelleria il 17 Marzo 1988.