Ordinanza n. 90 del 2004

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ORDINANZA N.90

ANNO 2004

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

- Gustavo ZAGREBELSKY, Presidente

- Valerio ONIDA                    

- Carlo MEZZANOTTE         

- Fernanda CONTRI   

- Guido NEPPI MODONA    

- Piero Alberto CAPOTOSTI 

- Annibale MARINI    

- Franco BILE 

- Giovanni Maria FLICK

- Francesco AMIRANTE        

- Ugo DE SIERVO     

- Romano VACCARELLA    

- Paolo MADDALENA          

- Alfonso QUARANTA         

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nei giudizi di legittimità costituzionale dell’art. 34 del codice di procedura penale, promossi, nell’ambito di due diversi procedimenti penali, dal Tribunale di Reggio Calabria con ordinanze del 29 aprile e del 15 luglio 2003, iscritte al n. 612 e al n. 755 del registro ordinanze 2003 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 35 e n. 38, prima serie speciale, dell’anno 2003.

Visti gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio dell’11 febbraio 2004 il Giudice relatore Guido Neppi Modona.

Ritenuto che con due ordinanze di identico contenuto il Tribunale di Reggio Calabria ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 24, secondo comma, e 111, secondo comma, della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 34 del codice di procedura penale, "nella parte in cui non prevede che non possa partecipare al giudizio direttissimo il giudice che abbia convalidato l’arresto ed applicato una misura cautelare nei confronti dell’imputato";

che il rimettente premette che l’imputato, arrestato in flagranza di reato, è stato presentato ai sensi dell’art. 449 cod. proc. pen. al giudice del dibattimento per la convalida dell’arresto e per il contestuale giudizio direttissimo e che, convalidato l’arresto ed applicata la misura cautelare, nella prima udienza di trattazione la difesa dell’imputato ha eccepito l’illegittimità costituzionale dell’art. 34, comma 2, cod. proc. pen., nella parte in cui non include tra i casi di incompatibilità alle funzioni di giudizio quello del giudice che abbia convalidato l’arresto dell’imputato presentato direttamente a dibattimento;

che il rimettente non ignora che la Corte costituzionale con la sentenza n. 177 del 1996 ha dichiarato non fondata analoga questione, in quanto "non può essere configurata una menomazione dell’imparzialità del giudice, che adotta decisioni preordinate al proprio giudizio o incidentali rispetto ad esso", e richiama la giurisprudenza di legittimità e le ulteriori pronunce della Corte che hanno ribadito il principio affermato nella menzionata sentenza;

che, peraltro, ad avviso del giudice a quo le "significative" modifiche normative intervenute successivamente alle predette decisioni, costituite dal comma 2-bis dell’art. 34 cod. proc. pen., introdotto dal decreto legislativo 19 febbraio 1998, n. 51, e dal nuovo art. 111 Cost., inducono a riproporre la questione di legittimità costituzionale;

che con il comma 2-bis dell’art. 34 cod. proc. pen. il legislatore avrebbe "scandito all’interno della stessa fase delle indagini preliminari due sub-fasi", quella delle indagini preliminari in senso stretto e quella dell’udienza preliminare, introducendo, anche fuori dei casi previsti dal comma 2 dell’art. 34 del codice di rito, una nuova ipotesi di incompatibilità tra le funzioni di giudice per le indagini preliminari e le funzioni di giudice dell’udienza preliminare e del giudizio;

che la nuova ipotesi di incompatibilità troverebbe "il suo aggancio proprio nell’art. 111 della Costituzione appena novellato", dal momento che il principio dell’imparzialità del giudice "opera attraverso l’istituto della incompatibilità in relazione allo svolgimento di attività valutative e decisionali nell’ambito dello stesso procedimento penale";

che ad avviso del rimettente una ratio affatto analoga a quella ora esposta ricorrerebbe nell’ipotesi del "rito speciale direttissimo, avuto riguardo alla scansione delle due diverse sub-fasi che lo costituiscono, quella introduttiva del giudizio di convalida e dell’eventuale deliberazione in materia cautelare e quella dei giudizi di merito";

che la situazione del giudice per le indagini preliminari che nella "sub-fase procedimentale" convalida l’arresto e decide in materia cautelare e del giudice dell’udienza preliminare che nella "sub-fase processuale" celebra l’udienza sarebbe analoga a quella del giudice del giudizio direttissimo "che nella prima sub-fase" convalida l’arresto e decide in materia cautelare e poi "nell’altra sub-fase" celebra il giudizio di merito;

che sarebbero perciò violati gli artt. 3, 24, secondo comma, e 111, secondo comma, Cost., in quanto "la specialità del rito non giustifica ragionevolmente una diversa disciplina rispetto a quella prevista nell’ambito della fase delle indagini preliminari" e il principio dell’imparzialità del giudice "non può trovare applicazione diversa in situazioni simili";

che è intervenuto nel giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata inammissibile o comunque infondata;

che, quanto alla rilevanza, secondo l’Avvocatura il rimettente omette di precisare "se la questione sia stata sollevata nel corso di un dibattimento instaurato con giudizio direttissimo";

che, nel merito, l’Avvocatura richiama le numerose pronunce con le quali la Corte costituzionale, sulla base di argomentazioni dalle quali "non è possibile discostarsi neppure a seguito dei mutamenti di legge" menzionati dal rimettente, ha escluso l’incompatibilità del giudice del dibattimento che abbia proceduto alla convalida dell’arresto contestuale al giudizio direttissimo, trattandosi di ipotesi in cui il giudice "adotta decisioni preordinate al proprio giudizio e rispetto ad esso incidentali, attratte nella competenza per cognizione del merito".

Considerato che il Tribunale di Reggio Calabria dubita, in riferimento agli artt. 3, 24, secondo comma, e 111, secondo comma, della Costituzione, della legittimità costituzionale dell’art. 34 del codice di procedura penale, nella parte in cui non prevede l’incompatibilità alle funzioni di giudizio del giudice che ha convalidato l’arresto e applicato una misura cautelare nei confronti dell’imputato presentato a dibattimento per il giudizio direttissimo;

che, essendo la stessa questione sollevata in due distinti procedimenti con ordinanze di identico contenuto, deve essere disposta la riunione dei relativi giudizi;

che il rimettente, pur menzionando le decisioni con cui questa Corte ha ripetutamente escluso che il giudice che ha convalidato l’arresto e disposto una misura cautelare nei confronti dell’imputato presentato a dibattimento per il contestuale giudizio direttissimo sia incompatibile alle funzioni di giudizio, ritiene che la nuova ipotesi di incompatibilità del giudice per le indagini preliminari a svolgere le funzioni di giudice dell’udienza preliminare e del giudizio, introdotta dal comma 2-bis dell’art. 34 cod. proc. pen. anche fuori dei casi già previsti dal comma 2, imponga di riproporre la questione di legittimità costituzionale;

che dall’art. 34, comma 2-bis, cod. proc. pen. si desumerebbe che il legislatore ha "scandito" all’interno della fase delle indagini preliminari le due "sub-fasi" delle indagini preliminari in senso stretto e dell’udienza preliminare, introducendo, alla luce del principio di imparzialità sancito dall’art. 111, secondo comma, Cost., una nuova ipotesi di incompatibilità tra "attività valutative e decisionali nell’ambito dello stesso procedimento penale";

che tale ipotesi sarebbe del tutto analoga a quella riscontrabile tra le funzioni svolte dal giudice nelle due "sub-fasi" del giudizio direttissimo, quella introduttiva della convalida dell’arresto e dell’eventuale deliberazione in materia cautelare e quella del giudizio di merito;

che ad avviso del rimettente la disciplina censurata violerebbe pertanto gli artt. 3, 24, secondo comma, e 111, secondo comma, Cost., in quanto la specialità del rito direttissimo non può ragionevolmente giustificare una disciplina diversa rispetto a quella prevista per la fase delle indagini preliminari e il principio dell’imparzialità del giudice non può trovare un’applicazione diversa in situazioni simili;

che, in via preliminare, va respinta l’eccezione di inammissibilità prospettata dall’Avvocatura dello Stato, posto che il rimettente precisa, sia pure sinteticamente, che l’imputato è stato presentato al giudice ex art. 449 cod. proc. pen. per la convalida dell’arresto e il giudizio di merito;

che la specifica questione oggetto del presente giudizio è stata ripetutamente dichiarata infondata e manifestamente infondata da questa Corte (v. sentenza n. 177 del 1996 e ordinanze n. 267, n. 316 e n. 433 del 1996, n. 286 del 1998 e n. 40 del 1999), sulla base del rilievo che "non è configurabile una menomazione dell’imparzialità del giudice che adotta decisioni preordinate al proprio giudizio o rispetto ad esso incidentali, attratte nella competenza per la cognizione del merito";

che, da un punto di vista più generale, questa Corte con giurisprudenza costante ha escluso la sussistenza di ipotesi di incompatibilità quando la funzione pregiudicante e la funzione pregiudicata si collocano all’interno della medesima fase del processo (v., tra le tante, sentenze n. 155 del 1996 e n. 51 del 1997, ordinanze n. 24 del 1996 e n. 232 del 1999);

che le argomentazioni, poste dal rimettente a sostegno della riproposizione della questione, circa l’analogia tra le "sub-fasi" della convalida dell’arresto e del giudizio di merito nell’ambito della fase del giudizio direttissimo e le "sub-fasi" delle indagini preliminari in senso stretto e dell’udienza preliminare nell’ambito di una "fase" unica delle indagini preliminari, sono prive di fondamento, posto che le indagini preliminari, destinate ad esaurirsi nell’alternativa tra richiesta di archiviazione ed esercizio dell’azione penale, costituiscono una vera e propria fase del procedimento del tutto autonoma rispetto alla successiva e altrettanto autonoma fase dell’udienza preliminare, avente natura processuale (sulla udienza preliminare quale "momento di "giudizio"", v. sentenze n. 224 del 2001 e n. 335 del 2002, ordinanze n. 367 del 2002 e n. 271 del 2003);

che, infine, questa Corte ha avuto occasione di precisare che l’art. 111, secondo comma, Cost. non ha introdotto sostanziali elementi di novità circa la portata del principio di imparzialità del giudice già desumibile dagli artt. 3 e 24 Cost., così come interpretati dalla giurisprudenza costituzionale in tema di incompatibilità (v., tra molte, sentenza n. 134 del 2002, ordinanze n. 112 del 2001, n. 54 e n. 218 del 2003);

che pertanto, non essendovi motivi per discostarsi dalle conclusioni raggiunte da questa Corte con le decisioni sopra menzionate, le questioni devono essere dichiarate manifestamente infondate.

Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

riuniti i giudizi,

dichiara la manifesta infondatezza delle questioni di legittimità costituzionale dell’art. 34 del codice di procedura penale, sollevate, in riferimento agli artt. 3, 24, secondo comma, e 111, secondo comma, della Costituzione, dal Tribunale di Reggio Calabria, con le ordinanze in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 26 febbraio 2004.

Gustavo ZAGREBELSKY, Presidente

Guido NEPPI MODONA, Redattore

Depositata in Cancelleria il 9 marzo 2004.