ORDINANZA N. 316
ANNO 1996
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori Giudici:
- Avv. Mauro FERRI, Presidente
- Prof. Luigi MENGONI
- Prof. Enzo CHELI
- Dott. Renato GRANATA
- Prof. Giuliano VASSALLI
- Prof. Francesco GUIZZI
- Prof. Cesare MIRABELLI
- Prof. Fernando SANTOSUOSSO
- Avv. Massimo VARI
- Dott. Cesare RUPERTO
- Dott. Riccardo CHIEPPA
- Prof. Gustavo ZAGREBELSKY
- Prof. Valerio ONIDA
- Prof. Carlo MEZZANOTTE
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 34, comma 2, e dell'art. 566, comma 6, del codice di procedura penale, promosso con ordinanza emessa il 21 marzo 1996 dal Pretore di Ancona nel procedimento penale a carico di Luca Agostinelli, iscritta al n. 463 del registro ordinanze 1996 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 21, prima serie speciale, dell'anno 1996.
Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nella camera di consiglio del 10 luglio 1996 il Giudice relatore Cesare Mirabelli.
RITENUTO che il Pretore di Ancona, dopo avere convalidato l'arresto e disposto la misura cautelare degli arresti domiciliari nei confronti dell'imputato condotto a giudizio direttissimo, con ordinanza emessa il 21 marzo 1996 ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione, questioni di legittimità costituzionale: a) dell'art. 34, comma 2, cod. proc. pen., nella parte in cui non prevede che non possa partecipare al giudizio direttissimo il giudice che abbia convalidato l'arresto dell'imputato ed applicato una misura cautelare personale; b) dell'art. 566, comma 6, cod. proc. pen., nella parte in cui, disponendo senza ulteriori specificazioni che dopo la convalida dell'arresto si procede immediatamente al giudizio, indica nello stesso magistrato che ha proceduto alla convalida quello automaticamente designato alla trattazione del processo;
che il Pretore richiama i principi che la giurisprudenza costituzionale ha enunciato dichiarando l'illegittimità costituzionale dell'art. 34, comma 2, cod. proc. pen. (sentenza n. 432 del 1995), nella parte in cui non prevede l'incompatibilità per il giudizio del giudice che nel corso delle indagini preliminari abbia adottato una misura restrittiva della libertà personale nei confronti dell'imputato;
che, ad avviso del giudice rimettente, anche la disposizione denunciata violerebbe il diritto di difesa garantito dall'art. 24 della Costituzione, perché la valutazione dei gravi indizi di colpevolezza, necessaria per applicare le misure cautelari, costituirebbe un'anticipazione del giudizio idonea ad incidere sull'imparzialità del giudice;
che, inoltre, la stessa disposizione determinerebbe una disparità di trattamento tra l'arrestato nei cui confronti si proceda con rito direttissimo rispetto a quello nei cui confronti si proceda con rito ordinario;
che è intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che le questioni siano dichiarate infondate, dovendosi tenere conto della specificità del giudizio direttissimo, nel quale convalida dell'arresto e dibattimento sono sequenze di un'unica fase del procedimento.
CONSIDERATO che con la sentenza n. 177 del 1996 è stata già dichiarata non fondata analoga questione di legittimità costituzionale, sollevata, in riferimento agli artt. 24 e 101 della Costituzione, per l'omessa previsione nell'art. 34 cod. proc. pen. dell'incompatibilità per il giudizio di merito del pretore che, investito del giudizio con rito direttissimo, abbia convalidato l'arresto e disposto una misura cautelare nei confronti dell'imputato;
che nel giudizio direttissimo, delineato dall'art. 566 cod. proc. pen., il pretore, al quale è presentato l'imputato per il giudizio, si pronuncia pregiudizialmente, con la convalida dell'arresto, sull'esistenza dei presupposti che gli consentono di procedere immediatamente al giudizio ed è competente ad adottare incidentalmente misure cautelari, attratte nella competenza per la cognizione del merito;
che non può essere configurata una menomazione dell'imparzialità del giudice il quale, nell'ambito del giudizio con rito direttissimo dinanzi al pretore, adotti decisioni preordinate al proprio giudizio o incidentali rispetto ad esso, né una violazione del principio di eguaglianza, essendo tale situazione diversa da quella, presa in considerazione dalla sentenza di questa Corte n. 432 del 1995, del giudice del dibattimento che in precedenza, quale giudice per le indagini preliminari, abbia adottato una misura restrittiva della libertà personale;
che una volta esclusa la sussistenza, in questa ipotesi, delle ragioni di incompatibilità del giudice, non ha ragion d'essere la questione di legittimità costituzionale prospettata nei confronti dell'art. 566, comma 6, cod. proc. pen.;
che le questioni vanno quindi dichiarate manifestamente infondate.
Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87 e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara la manifesta infondatezza delle questioni di legittimità costituzionale dell'art. 34, comma 2, e dell'art. 566, comma 6, del codice di procedura penale, sollevate, in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione, dal Pretore di Ancona con l'ordinanza indicata in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 18 luglio 1996.
Mauro FERRI, Presidente
Cesare MIRABELLI, Redattore
Depositata in cancelleria il 25 luglio 1996.