Ordinanza n. 232/99

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ORDINANZA N. 232

ANNO 1999

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

- Dott.   Renato GRANATA, Presidente

- Prof.    Giuliano VASSALLI           

- Prof.    Francesco GUIZZI   

- Prof.    Cesare MIRABELLI            

- Prof.    Fernando SANTOSUOSSO

- Avv.    Massimo VARI         

- Dott.   Cesare RUPERTO    

- Dott.   Riccardo CHIEPPA  

- Prof.    Gustavo ZAGREBELSKY  

- Prof.    Valerio ONIDA        

- Prof.    Carlo MEZZANOTTE         

- Avv.    Fernanda CONTRI   

- Prof.    Guido NEPPI MODONA    

- Prof.    Piero Alberto CAPOTOSTI 

- Prof.    Annibale MARINI    

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nei giudizi di legittimità costituzionale dell'art. 34 del codice di procedura penale, promossi con ordinanze emesse il 30 aprile 1997 dal Pretore di Trani, sezione distaccata di Andria, nei procedimenti penali riuniti a carico di G. R., iscritta al n. 19 del registro ordinanze 1998 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 5, prima serie speciale, dell'anno 1998 e il 12 ottobre 1998 dal Pretore di Venezia, sezione distaccata di Dolo, nel procedimento penale a carico di G. G., iscritta al n. 64 del registro ordinanze 1999 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 7, prima serie speciale, dell'anno 1999.

  Udito nella camera di consiglio del 14 aprile 1999 il Giudice relatore Guido Neppi Modona.

  Ritenuto che il Pretore di Trani, sezione distaccata di Andria (r.o. n. 19 del 1998), ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, primo comma, 24, secondo comma, e 76 della Costituzione (in relazione all’art. 2, nn. 67 e 103, della legge-delega 16 febbraio 1987, n. 81), questione di legittimità costituzionale dell’art. 34, comma 2, del codice di procedura penale, nella parte in cui non prevede l’incompatibilità ad esercitare le funzioni di giudice del dibattimento del pretore che non abbia accolto la richiesta di oblazione presentata dall’imputato prima dell’apertura del dibattimento ai sensi dell’art. 162-bis del codice penale, in considerazione della permanenza delle conseguenze dannose o pericolose del reato e della ritenuta gravità del fatto;

  che, ad avviso del rimettente, l’accertamento della permanenza delle conseguenze dannose o pericolose del reato e della gravità del fatto presuppone una valutazione positiva circa la sussistenza del fatto e, quindi, una previa valutazione di merito sul fondamento dell’accusa, sì che la successiva funzione di giudizio può essere, o apparire, condizionata dalla cosiddetta forza di prevenzione;

  che, inoltre, il rigetto della domanda di oblazione fondato su tali accertamenti presuppone, secondo il giudice a quo, che non possa essere pronunciata una immediata declaratoria di non punibilità ex art. 129 cod. proc. pen.;

  che in tale situazione l’omessa previsione di una causa di incompatibilità si porrebbe in contrasto: con l’art. 3, primo comma, Cost., a causa della ingiustificata disparità di trattamento rispetto ad analoghe situazioni di incompatibilità previste dall’art. 34, comma 2, cod. proc. pen., così come integrato dalle sentenze della Corte costituzionale nn. 502 del 1991, 124 e 186 del 1992, 432 del 1995; con l’art. 24, secondo comma, Cost., per la palese compromissione della genuinità e della correttezza del processo formativo del convincimento del giudice del dibattimento e, quindi, della garanzia del giusto processo; con l’art. 76 Cost., in quanto le direttive nn. 67 e 103 della legge-delega n. 81 del 1987 impongono la rigorosa affermazione del principio della terzietà del giudice anche nel giudizio pretorile;

  che anche il Pretore di Venezia, sezione distaccata di Dolo (r.o. n. 64 del 1999), ha sollevato questione di legittimità costituzionale, in riferimento all’art. 76 della Costituzione (in relazione all'art. 2, n. 67, della legge-delega 16 febbraio 1987, n. 81), dell’art. 34, comma 2, del codice di procedura penale, nella parte in cui non prevede l’incompatibilità a procedere a dibattimento del giudice che, prima dell’apertura del dibattimento, abbia rigettato la domanda di oblazione per la ritenuta gravità del fatto, in quanto tale provvedimento é basato su una valutazione non formale, ma di merito, del fatto, tale da pregiudicare la successiva attività di giudizio.

  Considerato che, stante la sostanziale identità delle questioni sollevate dalle due ordinanze, deve essere disposta la riunione dei relativi giudizi;

  che le censure oggetto delle due ordinanze si basano sul presupposto che il giudice del dibattimento, avendo già espresso una valutazione di merito in ordine alla sussistenza del fatto nel momento in cui, prima dell’apertura del dibattimento, ha respinto la domanda di oblazione ex art. 162-bis cod. pen. per la permanenza delle conseguenze dannose o pericolose del reato o per la ritenuta gravità del fatto, versi in una situazione di incompatibilità analoga a quelle previste dall’art. 34, comma 2, cod. proc. pen., così come integrato dalle decisioni di questa Corte;

che il provvedimento con il quale il giudice respinge la domanda di oblazione é stato già preso in esame dalla sentenza n. 453 del 1994, con la quale questa Corte ha dichiarato l’illegittimità dell’art. 34, comma 2, cod. proc. pen. nella parte in cui non prevede l’incompatibilità alla funzione di giudizio del giudice per le indagini preliminari che abbia rigettato la domanda di oblazione per la ritenuta diversità del fatto, sulla base di una valutazione complessiva delle indagini preliminari;

che la situazione allora presa in esame riguardava però una funzione svolta dal giudice per le indagini preliminari e, quindi, riferibile ad una fase del procedimento diversa rispetto a quella in cui deve essere esercitata la funzione che si assume pregiudicata;

che la situazione oggetto del presente giudizio, nella quale la domanda di ammissione all’oblazione é stata rivolta allo stesso giudice del dibattimento, non può quindi essere assimilata a quella esaminata nella citata sentenza, avendo questa Corte in più occasioni affermato il principio che l’imparzialità del giudice non può ritenersi intaccata da una valutazione, anche di merito, compiuta all’interno della medesima fase del procedimento, <<intesa quale ordinata sequenza di atti, ciascuno dei quali legittima, prepara e condiziona quello successivo>>, al fine di evitare una <<assurda frammentazione del procedimento mediante l’attribuzione di ciascun segmento di esso ad un giudice diverso>> (ordinanza n. 24 del 1996 e, in precedenza, per una situazione analoga, sentenza n. 448 del 1995);

  che tale principio generale ha trovato espressione con particolare incisività in materia di provvedimenti sulla libertà personale (v. sentenza n. 177 del 1996 e ordinanza n. 267 del 1996), consentendo alla Corte di precisare che non può attribuirsi <<alle parti la potestà di determinare l’incompatibilità nel corso di un giudizio del quale il giudice é già investito>>, con la conseguenza che <<lo stesso giudice verrebbe spogliato di tale giudizio in ragione del compimento di un atto processuale cui é tenuto a seguito di un’istanza di parte; esito [...] non solo irragionevole ma in contrasto con il principio del giudice naturale precostituito per legge>>, nonchè di escludere che alla scelta processuale di una parte possa essere <<rimessa la permanenza della titolarità del giudizio in capo al giudice che ne é investito>> (sentenza n. 51 del 1997 e ordinanza n. 206 del 1998);

  che – ove venisse riconosciuta una situazione di incompatibilità nei sensi prospettati dai rimettenti – la possibilità, prevista dall’art. 162-bis, quinto comma, cod. pen., di riproporre la domanda di oblazione sino all’inizio della discussione finale del dibattimento di primo grado provocherebbe effetti paralizzanti sul processo del tipo di quelli che questa Corte ha inteso prevenire mediante le decisioni sopra menzionate;

che la giurisprudenza di questa Corte, nell'affermare il principio generale che l'imparzialità del giudice non é pregiudicata da una valutazione, anche di merito, compiuta nella medesima fase del procedimento, consente di ritenere superate le conclusioni cui é pervenuta questa Corte nella sentenza n. 186 del 1992, che aveva ravvisato un'ipotesi di incompatibilità alla funzione di giudizio del giudice che, prima dell'apertura del dibattimento, avesse respinto la richiesta di applicazione della pena concordata tra le parti;

che la questione deve pertanto essere dichiarata manifestamente infondata.

  Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

  riuniti i giudizi,

  dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell’art. 34, comma 2, del codice di procedura penale, sollevata, in riferimento agli artt. 3, primo comma, 24, secondo comma, e 76 della Costituzione, dal Pretore di Trani, sezione distaccata di Andria, e dal Pretore di Venezia, sezione distaccata di Dolo, con le ordinanze in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 7 giugno 1999.

Renato GRANATA, Presidente

Guido NEPPI MODONA, Redattore

Depositata in cancelleria l’11 giugno 1999.