Sentenza n. 453 del 1994

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SENTENZA N. 453

ANNO 1994

 

REPUBBLICA ITALIANA

In nome del Popolo Italiano

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori:

Presidente

Prof. Francesco Paolo CASAVOLA

Giudici

Prof. Gabriele PESCATORE

Avv. Ugo SPAGNOLI

Prof. Antonio BALDASSARRE

Prof. Vincenzo CAIANIELLO

Avv. Mauro FERRI

Prof. Luigi MENGONI

Dott. Renato GRANATA

Prof. Giuliano VASSALLI

Prof. Francesco GUIZZI

Prof. Cesare MIRABELLI

Prof. Fernando SANTOSUOSSO

Avv. Massimo VARI

Dott. Cesare RUPERTO

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 34 comma 2 del codice di procedura penale, promosso con ordinanza emessa il 24 settembre 1993 dal Pretore di Salerno, sezione distaccata di Eboli, nel procedimento penale a carico di Perna Aniello, iscritta al n. 119 del registro ordinanze 1994 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 13, prima serie speciale, dell'anno 1994.

Udito nella camera di consiglio del 6 luglio 1994 il Giudice relatore Ugo Spagnoli.

Ritenuto in fatto

Investito del giudizio dibattimentale a carico di un imputato di guida senza patente dopo che, nella fase delle indagini preliminari, aveva rigettato, in veste di giudice per le indagini preliminari, per errata qualificazione del fatto, una domanda di ammissione all'oblazione formulata dal medesimo imputato relativamente all'addebito di incauto affidamento di veicolo originariamente rubricato dal pubblico ministero, il Pretore di Salerno, sezione distaccata di Eboli, ha sollevato, in riferimento agli artt. 76, 25 e 101 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell'art. 34 comma 2 del codice di procedura penale, "nella parte in cui non prevede che non possa partecipare al giudizio dibattimentale il G.I.P. presso la pretura circondariale che abbia respinto la richiesta di ammissione all'oblazione per la ritenuta diversità della qualificazione giuridica del fatto sottoposto alla sua cognizione".

Dopo aver ricordato che dalla giurisprudenza costituzionale, e in particolare dalle sentenze nn. 496 del 1990, 502 del 1991 e 124 del 1992, si desume il principio che sussiste incompatibilità con la funzione di giudizio tutte le volte che, nelle precedenti fasi, il giudice abbia compiuto una valutazione non formale, ma di contenuto, dei risultati delle indagini preliminari, il remittente osserva che non dissimile è la situazione venutasi a creare nel caso in esame. Ed infatti, essendo stato investito, quale giudice per le indagini preliminari, della richiesta di ammissione all'oblazione, egli non solo ha avuto modo di conoscere e valutare tutti gli atti contenuti nel fascicolo del pubblico ministero, ma, soprattutto, rigettando la domanda per la ritenuta sussistenza di un'ipotesi di reato diversa da quella ravvisata dal pubblico ministero, ha effettuato una valutazione pregnante ed incisiva dei risultati delle indagini preliminari, attribuendo al fatto la nuova qualificazione giuridica sulla base della quale l'organo dell'accusa ha poi proceduto all'esercizio dell'azione penale attraverso l'emissione del decreto di citazione a giudizio.

Non essendo tale ipotesi contemplata tra le cause di incompatibilità previste dall'art. 34 comma 2 del codice di procedura penale, viene a profilarsi, ad avviso del giudice a quo, un contrasto tra detta norma e l'art. 76 Cost., in relazione alla direttiva n. 103 della legge-delega 16 febbraio 1987, n. 81, che impone la rigorosa affermazione, nel giudizio pretorile, del principio di terzietà del giudice.

Risulterebbero poi violati anche gli artt. 25 e 101 Cost., "in quanto anche il mero sospetto dell'emanazione di una decisione dibattimentale sulla base di una valutazione precostituita minerebbe l'indipendenza del giudice intesa come assoluta certezza della sua terzietà ed imparzialità, che costituiscono peraltro requisiti indefettibili del suo 'status' di giudice naturale".

Considerato in diritto

1.- Il Pretore di Salerno ha sollevato, in riferimento agli artt. 76, 25 e 101 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell'art. 34 comma 2 del codice di procedura penale, "nella parte in cui non prevede che non possa partecipare al giudizio dibattimentale il G.I.P. presso la pretura circondariale che abbia respinto la richiesta di ammissione all'oblazione per la ritenuta diversità della qualificazione giuridica del fatto sottoposto alla sua cognizione".

2.- La questione è fondata.

Nella delibazione della domanda di oblazione il giudice remittente, allora in funzione di giudice per le indagini preliminari, aveva ritenuto che l'ipotesi di reato in essa indicata (incauto affidamento di veicolo) non corrispondeva al fatto risultante dagli atti del procedimento (concorso in guida senza patente). Per tale motivo egli aveva respinto la domanda di oblazione, determinando il pubblico ministero ad esercitare l'azione penale per il reato di concorso in guida senza patente, procedimento del quale è stato poi investito il giudice a quo in funzione di pretore del dibattimento.

3.- Le due fattispecie contravvenzionali sopra indicate differiscono profondamente sia per l'elemento materiale sia per quello psicologico; sicchè non può esservi alcun dubbio che, per pervenire alla conclusione di cui si è detto, il giudice non ha potuto limitarsi a valutare la formale riconducibilità della fattispecie concreta alla fattispecie astratta risultante dalla domanda, ma ha dovuto necessariamente compiere un approfondito esame delle risultanze degli atti di indagine, ai fini della esatta individuazione del fatto.

4.- A partire dalla sentenza n. 496 del 1990, questa Corte ha ripetutamente affermato l'incompatibilità alla funzione di giudizio, sia dibattimentale che abbreviato, del giudice che abbia compiuto, in occasione dello svolgimento di alcune funzioni tipiche (esame della richiesta di archiviazione, del la richiesta di decreto penale di condanna, dell'applicazione di pena patteggiata), una valutazione non formale ma di contenuto delle risultanze delle indagini preliminari, quali esse si presentano nel momento di esercizio (o di non esercizio) dell'azione penale (v. anche sentenze nn. 401 e 502 del 1991; 124, 186, 399 del 1992; 439 del 1993).

Nella vicenda processuale in esame, la domanda di oblazione è stata proposta dalla persona sottoposta alle indagini, come reso possibile dalla procedura (v. in particolare art. 141 disp. att. cod. proc. pen.), prima ancora che il pubblico ministero si pronunciasse formalmente circa gli esiti delle indagini preliminari.

Senonchè, avendo il pubblico ministero espresso parere favorevole all'accoglimento della domanda di oblazione, può logicamente ricavarsi, in primo luogo, che l'ipotesi criminosa indicata nella notizia di reato, cui faceva riferimento la domanda, era corrispondente a quella per la quale, in difetto del procedimento di oblazione, il pubblico ministero avrebbe effettivamente esercitato l'azione penale e, in secondo luogo, che la delibazione del giudice è intervenuta, nella sostanza, a conclusione dell'attività di indagine, come risulta anche dal fatto che, a seguito del provvedimento di rigetto, il pubblico ministero ha emesso decreto di citazione a giudizio senza procedere a ulteriore attività investigativa.

5.- Appare dunque che al caso in esame debba applicarsi la medesima ratio decidendi di cui sono espressione le numerose pronunce sopra richiamate; ratio variamente articolata nelle singole fattispecie di cui la Corte è stata via via investita, ma che assume una configurazione unitaria.

Al fine della valutazione della sussistenza delle ragioni di incompatibilità con la funzione di giudizio, non rappresenta, infatti, un dato essenziale quello per cui la funzione presa a raffronto segua temporalmente la formale chiusura delle indagini preliminari, quanto l'aspetto sostanziale che questa funzione si concreti in una valutazione del merito delle indagini, complessivamente considerate nel loro stadio terminale, ai fini dell'eventuale adozione di un provvedimento idoneo a porre termine definitivamente al procedimento o a devolvere la regiudicanda alla sede processuale.

Non sussisterebbe, invece, la ratio affermativa della incompatibilità qualora la funzione concretamente svolta dal giudice non riguardi il merito dell'accusa, come potrebbe avvenire, stando alla fattispecie processuale qui dedotta, ove il giudice rigetti la domanda di oblazione per motivi formali, ovvero qualora tale funzione si estrinsechi nell'esame dei risultati di indagini non ancora di fatto esaurite.

6.- Per quanto si è sopra detto, una volta accertato che nel caso di specie la valutazione del giudice ha riguardato il merito della ipotesi criminosa, e che essa è stata effettuata sul complesso delle indagini preliminari, si deve ritenere che ricorrono gli stessi motivi di contrasto con la direttiva ex art. 2 n. 67 della legge-delega 16 febbraio 1987, n.81, intesa nel suo contenuto sostanziale (v. sentenza n. 496 del 1990), e, quindi, con l'art. 76 Cost., che avevano condotto questa Corte alle pronunce di accoglimento sopra menzionate, restando assorbiti gli ulteriori profili prospettati dal giudice a quo.

Conseguentemente, così definito il thema decidendum, va dichiarata l'illegittimità costituzionale dell'art. 34 comma 2 cod. proc. pen., nella parte in cui non prevede l'incompatibilità alla funzione di giudizio del giudice per le indagini preliminari il quale, per la ritenuta diversità del fatto, sulla base di una valutazione del complesso delle indagini preliminari, abbia rigettato la domanda di oblazione.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 34 comma 2 del codice di procedura penale, nella parte in cui non prevede l'incompatibilità alla funzione di giudizio del giudice per le indagini preliminari il quale, per la ritenuta diversità del fatto, sulla base di una valutazione del complesso delle indagini preliminari, abbia rigettato la domanda di oblazione.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 15/12/94.

Francesco Paolo CASAVOLA, Presidente

Ugo SPAGNOLI, Redattore

Depositata in cancelleria il 30/12/94.