Sentenza n. 439 del 1993

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SENTENZA N. 439

 

ANNO 1993

 

 

REPUBBLICA ITALIANA

 

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

 

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori:

 

Presidente

 

Prof. Francesco Paolo CASAVOLA,

 

Giudici

 

Prof. Gabriele PESCATORE

 

Avv. Ugo SPAGNOLI

 

Prof. Antonio BALDASSARRE

 

Prof. Vincenzo CAIANIELLO

 

Avv. Mauro FERRI

 

Prof. Luigi MENGONI

 

Prof. Enzo CHELI

 

Dott. Renato GRANATA

 

Prof. Giuliano VASSALLI

 

Prof. Francesco GUIZZI

 

Prof. Cesare MIRABELLI

 

Avv. Massimo VARI

 

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nei giudizi di legittimità costituzionale degli artt. 34, 444 e 446 del codice di procedura penale, in relazione all'art. 248 delle norme di attuazione, di coordinamento e transitorie approvate con decreto legislativo 28 luglio 1989, n. 271 ed all'art.61 del codice di procedura penale del 1930, promossi con ordinanze emesse il 22 dicembre 1992 dal Tribunale di Modica, il 2 dicembre 1992 dal Pretore di Napoli-sezione distaccata di Capri, il 26 febbraio l993 dal Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale militare di Roma (n. 4 ordinanze), l'8 febbraio 1993 dal Tribunale di Pordenone, il 19 marzo 1993 dal Tribunale di Torino ed il 2 aprile 1993 dal Giudice per le indagini preliminari presso la Pretura di Napoli, rispettivamente iscritti ai nn. 75, 80, 215, 216, 217, 218, 255, 279 e 285 del registro ordinanze 1993 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica nn. 9, 10, 20, 24 e 25, prima serie speciale, dell'anno 1993.

 

Visti gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

 

udito nella camera di consiglio del 6 ottobre 1993 il Giudice relatore Ugo Spagnoli.

 

Ritenuto in fatto

 

1.- Investito, in sede di atti preliminari al dibattimento, di una richiesta di applicazione di pena ex artt. 444 e 446 cod. proc. pen. identica a quella già in precedenza rigettata dallo stesso Tribunale, in diversa composizione, il Tribunale di Modica ha sollevato, con ordinanza del 22 dicembre 1992 (r.o. n. 75/1993), una questione di legittimità costituzionale degli artt. 446 e 34, secondo comma, del cod. proc. pen. (quest'ultimo, come integrato dalla sentenza di questa Corte n. 186 del 1992), assumendone il contrasto con gli artt. 25, 97 e 112 Cost..

 

Il giudice a quo premette, in punto di rilevanza, che il mutamento di composizione del Collegio era stato determinato dall'incompatibilità conseguente al rigetto della precedente richiesta alla stregua della predetta sentenza, e che, in assenza di norme impeditive, é a suo avviso lecita la riproposizione, anche nella stessa fase processuale, di una richiesta identica a quella in precedenza non accolta, attesa anche la natura di negozio processuale di essa e la possibilità di una diversa valutazione da parte del nuovo Collegio.

 

La riproponibilità della richiesta avrebbe però - osserva il giudice a quo - un effetto condizionante sul nuovo giudice chiamato a valutarla perchè, se anch'esso dovesse ritenere non congrua la pena richiesta, si riproporrebbe il problema della sua incompatibilità a giudicare, problema che finirebbe per essere indefinitamente prospettato ove l'imputato insistesse a riproporre la richiesta suddetta ai vari giudici di seguito nominati in sostituzione di quelli che di volta in volta si pronunciassero per il rigetto. Si determinerebbe, con ciò, una situazione incompatibile con l'esercizio della giurisdizione, ed in particolare con il principio del suo buon andamento (art. 97) e con quelli di cui agli artt. 25 e 112 Cost., dato che si consentirebbe all'imputato d'influire sulla scelta e composizione del giudice naturale fino al punto di renderle di fatto impraticabili e si finirebbe per intralciare, fino ad impedirlo di fatto, l'esercizio dell'azione penale; violazioni che - aggiunge il Tribunale - sarebbero ravvisabili anche se la nuova richiesta fosse formalmente diversa perchè avente ad oggetto una pena leggermente superiore, potendo anche in tal caso la strategia processuale dell'imputato dar luogo ad una serie indefinita di situazioni di incompatibilità.

 

1.1.- Una questione analoga, riferita però agli artt. 34 e 444 cod. proc. pen. - in relazione all'art. 248 delle relative disposizioni di attuazione (decreto legislativo 28 luglio 1989, n. 271) - nonchè all'art. 61 cod. proc. pen. del 1930, é stata sollevata, in un procedimento disciplinato da quest'ultimo codice, dal Tribunale di Pordenone con ordinanza dell'8 febbraio 1993 (r.o. n. 255/1993) emessa a seguito del rigetto di una richiesta di applicazione di pena concordata.

 

In ordine alla propria incompatibilità a procedere al dibattimento (cfr. sentenza cit.), il Tribunale osserva che da essa deriverebbe un'irragionevole limitazione all'esercizio della giurisdizione - se non la sua impossibilità, specie negli uffici con organico ridotto - dato che la richiesta di applicazione di pena potrebbe essere nuovamente formulata avanti al diverso giudice, che a sua volta, potrebbe di nuovo respingerla e così di seguito, senza limiti: donde l'asserita violazione dell'art. 3 nonchè - senza specifica motivazione - dell'art. 24 Cost..

 

1.2.- Il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, ha chiesto che le predette questioni (sub 1 e 1.1.) siano dichiarate infondate, osservando che la situazione denunciata, pur se può comportare, in casi limite, il rischio di una disfunzione nello svolgimento del processo, non viola alcuna disposizione costituzionale.

 

2.- Con quattro ordinanze di identico tenore emesse all'udienza preliminare del 26 febbraio 1993 (r.o. nn. 215, 216, 217 e 218/1993), il Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale militare di Roma ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 24 Cost., una questione di legittimità costituzionale dell'art. 34, secondo comma, cod. proc. pen., nella parte in cui non prevede l'incompatibilità a partecipare al giudizio abbreviato del giudice dell'udienza preliminare che abbia rigettato la richiesta di applicazione di pena concordata di cui all'art. 444 dello stesso codice.

 

Premesso che nei casi di specie tale richiesta era stata respinta per la ritenuta incongruità della pena e che poi gli imputati, con il consenso del pubblico ministero, avevano chiesto procedersi con rito abbreviato, il giudice rimettente osserva che se - in base alla citata sentenza n. 186 del 1992 - il rigetto della richiesta di applicazione di pena concordata costituisce "valutazione di merito circa l'idoneità delle risultanze delle indagini preliminari a fondare un giudizio di responsabilità dell'imputato", tale da determinare l'incompatibilità del giudice del dibattimento, alla medesima conclusione dovrebbe pervenirsi nel caso in esame.

 

Infatti - come questa Corte ha affermato nella sentenza n. 401 del 1991 - la locuzione "giudizio" "é di per sè tale da ricomprendere qualsiasi tipo di giudizio, cioé ogni processo che in base ad un esame delle prove pervenga ad una decisione di merito, compreso quello che si svolge con il rito abbreviato". Il rigetto della richiesta, inoltre, presuppone la valutazione di inesistenza delle condizioni legittimanti il proscioglimento ex art. 129 c.p.p., e la decisione già adottata circa l'entità della pena, ritenuta incongruità, sarebbe tale da pregiudicare l'imparzialità del giudice nel successivo giudizio.

 

2.1.        La mancata previsione dell'incompatibilità a procedere a giudizio abbreviato del giudice per le indagini preliminari che abbia rigettato la richiesta di applicazione di pena concordata per la ritenuta incongruità di questa é denunciata anche, con ordinanza del 2 aprile 1993 (r.o. n. 985/1993), dal Giudice per le indagini preliminari presso la Pretura di Napoli: il quale rileva che in tal caso é stata già compiuta una valutazione non solo di legittimità ma anche di merito dei fatti oggetto dei giudizio e che perciò in raffronto con altre ipotesi nelle quali questa Corte ha ritenuto sussistente l'incompatibilità (sentt. nn. 496 dei 1990, 401 e 509 dei 1991 e 124 del 1992) - la mancata previsione di questa darebbe luogo ad una disparità di trattamento di situazioni analoghe (art. 3 Cost.).

 

3. In un procedimento a carico di due imputate rinviate a giudizio come concorrenti nei medesimi reati, il Tribunale di Torino, dovendo procedere al dibattimento nei confronti dell'una dopo che per l'altra aveva previa separazione dei giudizi - rigettato la richiesta di applicazione di pena concordata per la ritenuta incongruità di questa e non concedibilità della sospensione condizionale della pena, ha sollevato, con ordinanza dei 19 marzo 1993 (r.o. n. 279/1993), una questione di legittimità costituzionale del citato art. 34, comma 2, c.p.p., ravvisando una violazione degli artt. 3, 25 e 101 Cost. nella mancata previsione dell'incompatibilità anche in tale ipotesi.

 

Ad avviso del Tribunale, la valutazione di merito operata nei confronti del richiedente l'applicazione di pena implica necessariamente una valutazione di merito nei confronti degli altri imputati concorrenti negli stessi reati: ond'é che costoro riceverebbero un trattamento deteriore rispetto a chi sia giudicato da un giudice che non abbia già espresso una siffatta valutazione e sarebbe violata la posizione di imparzialità del giudice garantita dai principi di precostituzione per legge del giudice naturale e di indipendenza del medesimo.

 

3.1. Nei giudizi cui ai parr. 2, 9. 1. e 3 il Presidente del Consiglio dei Ministri non é intervenuto.

 

4. Dovendo procedere al dibattimento per un reato di falsa testimonianza che sarebbe stato commesso, secondo l'accusa, in un precedente dibattimento da lui stesso celebrato, il Pretore (11 Napoli -- sezione distaccata di Capri - ha sollevato d'ufficio, con ordinanza del 9 dicembre 1992 (r.o. n. 80/1993), una questione di legittimità costituzionale dell'art. 34 c.p.p., nella parte in cui per tale ipotesi non prevede l'incompatibilità a partecipare al giudizio.

 

Pur premettendo di non avere, in esito al precedente procedimento, ottemperato alla richiesta dei pubblico ministero di trasmissione degli atti al proprio ufficio - ond'é che il procedimento per la falsa testimonianza aveva tratto origine dal sequestro dei verbale di dibattimento disposto dopo l'udienza dallo stesso pubblico ministero - il Pretore rimettente osserva che l'art. 907, comma 9, c.p.p. - prevedendo che la trasmissione degli atti a quest'ultimo sia disposta dal giudice se, definendo la fisse processuale in cui il testimone ha prestato il suo ufficio, " ravvisa indizi del reato " di falsa testimonianza - attribuisce al giudice medesimo un potere-dovere di valutazione di tali deposizioni. A suo avviso, l'attribuzione di tale potere (comunque esercitato), dovrebbe comportare l'incompatibilità a giudicare della falsità della testimonianza, pena la violazione del principio di terzietà del giudice desumibile, per il giudizio pretorile, dalla direttiva n. 103 della legge delega, nonchè degli artt. 25 e 101 Cost., per il sospetto che la valutazione precostituita richiesta dall'art. 207 mini l'indipendenza ed imparzialità del giudice.

 

4.1. Il Presidente del Consiglio dei Ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, ha chiesto che la predetta (Questione sia dichiarata non fondata, osservando che la trasmissione (degli atti al pubblico ministero " perchè proceda a norma dì legge " non é altro che la specificazione del generale obbligo di denunzia posto a carico dei pubblici ufficiali e non comporta alcun "giudizio sul merito della res iudicanda" suscettibile di minare l'imparzialità del giudizio sulla responsabilità dell'imputato.

 

Considerato in diritto

 

1. I nove giudizi investono, pur se sotto diversi profili, la medesima disposizione di legge. É perciò opportuno che siano riuniti e decisi con un'unica sentenza.

 

2. - Con l'ordinanza indicata in epigrafe, il Tribunale di Modica dubita che gli artt. 34, secondo comma e 446 del codice di procedura penale-il primo così come integrato dalla sentenza di questa Corte n. 186 del 1992 -- contrastino con gli artt. 25, 97 e 112 Cost., in quanto consentirebbero di reiterare indefinitamente, dopo che sia stata rigettata, la stessa richiesta di applicazione di pena (ovvero di richiedere di volta in volta l'applicazione di una leggermente superiore) e perciò permetterebbero all'imputato, in ragione dell'incompatibilità conseguente al rigetto, di influire sulla scelta e composizione del giudice naturale e di intralciare l'esercizio dell'azione penale ed il buon andamento dell'amministrazione della giustizia.

 

II Tribunale di Pordenone, a sua volta, prospetta una questione analoga, riferita però agli artt. 34 e 444 cod. proc. pen . - in relazione all 'art.248 delle relative disposizioni di attuazione (decreto legislativo 28 luglio 1989, n. 271)- nonchè all'art. 61 cod. proc. pen. del 1930, opinando che dall'incompatibilità a procedere al dibattimento conseguente al rigetto della richiesta di applicazione di pena concordata conseguirebbe, per l'indefinita reiterabilità di questa dinnanzi al nuovo giudice, un'irragionevole limitazione all'esercizio della giurisdizione, con violazione degli artt. 3 e 24 Cost..

 

2.l. - Le questioni non sono fondate.

 

I giudici a quibus censurano, nella sostanza, la previsione di incompatibilità alla celebrazione del giudizio in caso di rigetto della richiesta di applicazione della pena concordata introdotta con la sentenza n. 186 del 1992 di questa Corte, ponendo in luce le paradossali conseguenze che da essa deriverebbero in caso di indefinita reiterazione della medesima richiesta innanzi ad ognuno dei collegi di volta in volta costituiti. Ma tale censura sarebbe degna di considerazione solo ove se ne riconoscesse fondato il presupposto interpretativo, e cioè che sia ammissibile la reiterazione indefinita della medesima richiesta di patteggiamento.

 

Tale assunto non può, però, essere condiviso: innanzitutto, perchè-come lo stesso Tribunale di Modica riconosce- esso è smentito dalla Corte di cassazione, la quale ammette bensì che le richieste possano essere reiterate, anche nella stessa fase, ma solo se abbiano contenuto diverso; ed inoltre, perchè gli argomenti addotti in contrario dai giudici a quibus non sono affatto persuasivi.

 

In effetti, se dovesse valere quello dell'assenza di norme impeditive, se ne dovrebbe concludere che, anche prima del riconoscimento dell'incompatibilità per l'ipotesi in esame, era consentito riproporre indefinitamente allo stesso giudice la richiesta già da questo rigettata e così impedire la celebrazione del dibattimento. Nè potrebbe opporsi che la reiterazione è ammissìbile nell'uno e non nell'altro caso in quanto il nuove giudice potrebbe pervenire ad una diversa valutazione della richiesta, dato che la reiterabilità, in linea di principio, della richiesta di applicazione di pena concordata fino a quando non sia scaduto il termine previsto dall'art. 446, primo comma, cod. proc. pen., consentirebbe in astratto anche allo stesso giudice di mutare la propria decisione. La dedotta natura di negozio processuale della richiesta di patteggiamento, infine, non giova a dimostrare che possa ammettersene la riproposizione nei medesimi termini.

 

É da ritenere, perciò, che il potere di proporre utilmente una determinata richiesta si esaurisca con la pronuncia su di essa e non riviva sol perchè, proprio in ragione di tale vicenda, un nuovo giudice è chiamato ad esaminare il merito del processo.

 

Restano quindi prive di base le censure avanzate dai giudici remittenti; nè può valere ad avvalorarle la considerazione delle ipotesi di prospettazione innanzi à nuovo giudice (non della stessa, ma) di una richiesta di applicazione di una pena leggermente superiore, dato che una pronuncia su questa diversa fattispecie non sarebbe rilevante nei giudizi a quibus.

 

3.-I giudici per le indagini preliminari presso il Tribunale militare di Roma e la Pretura di Napoli dubitano, a loro volta, della legittimità costituzionale del medesimo art. 34, secondo comma - in riferimento, rispettivamente, agli artt. 3 e 24 ed all'art. 3 Cost. - nella parte in cui non prevede l'incompatibilità a partecipare al giudizio abbreviato del giudice per le indagini preliminari che abbia rigettato la richiesta di applicazione di pena concordata di cui all'art 444 dello stesso codice.

 

3.l. - La questione è fondata.

 

Con la citata sentenza n. 186 del 1992 - corretta con l'ordinanza n. 313 dello stesso anno - è stata dichiarata l'illegittimità costituzionale della predetta norma < nella parte in cui non prevede l'incompatibilità del giudice del dibattimento che abbia rigettato la richiesta di applicazione di pena concordata di cui all'art. 444 dello stesso codice a partecipare al giudizio> (cfr.anche, nello stesso senso, le sentenze nn. 124 e 399 del 1992).

 

Ciò posto, deve considerarsi, da un lato che con le sentenze nn.401 del 1991 e 261 del 1992 si è chiarito che nell'art. 34, secondo comma, la locuzione < giudizio> è da intendere come comprensiva anche del giudizio abbreviato; dall'altro, che-per le ragioni illustrate nelle sopra dette sentenze- il rigetto della richiesta di patteggiamento comporta una valutazione sul merito della res iudicanda idonea a radicare l'incompatibilità al giudizio, e che non può farsi differenza a seconda che il rigetto sia disposto dal giudice dibattimentale ovvero dal giudice per le indagini preliminari.

 

L'illegittimità costituzionale va perciò dichiarata anche per il caso qui considerato.

 

4. - Il Tribunale di Torino, poi, dubita che lo stesso art. 34, secondo comma, contrasti con gli artt. 3, 25 e 101 Cost., nella parte in cui non prevede l'incompatibilità del giudice del dibattimento, che ha rigettato la richiesta di applicazione di pena avanzata da uno degli imputati, a partecipare al giudizio nei confronti dei coimputati concorrenti negli stessi reati, dato che in tal modo questi riceverebbero un trattamento deteriore e sarebbe compromessa la posizione di imparzialità del giudice garantita dai principi di precostituzione per legge del giudice naturale e di indipendenza del giudice.

 

4.l. - La questione non è fondata.

 

Nella già citata sentenza n. 186 del 1992 questa Corte ha escluso che l'emissione di una sentenza di applicazione di pena concordata nei confronti di un coimputato determini incompatibilità a celebrare il giudizio nei confronti dei concorrenti negli stessi reati: ciò perchè il necessario presupposto di questa, e cioè l'identità dell'oggetto del giudizio, < non è ... ravvisabile nell'ipotesi di concorso di persone nel medesimo reato, perchè alla comunanza dell'imputazione fa necessariamente riscontro una pluralità di condotte distintamente ascrivibili a ciascuno dei concorrenti, le quali, ai fini del giudizio di responsabilità, devono formare oggetto di autonome valutazioni sotto il profilo tanto materiale che psicologico, e ben possono, quindi, sfociare in un accertamento positivo per l'uno e negativo per l'altro>>.

 

Tale diversità della regiudicanda sussiste, evidentemente, anche in caso di rigetto della richiesta di applicazione di pena concordata, ond'è che deve pervenirsi alla medesima conclusione.

 

5. - Il Pretore di Napoli - sezione distaccata di Capri - dubita, infine, che l'art. 34 cod. proc. pen. contrasti con gli artt. 76, 25 e 101 Cost., nella parte in cui non prevede l'incompatibilità a giudicare della falsa testimonianza da parte del giudice che, ravvisando indizi di tale reato (art. 207 cod. proc. pen.), abbia provveduto a trasmettere i relativi atti all'ufficio del pubblico ministero.

 

5.l.-La questione è inammissibile per difetto di rilevanza, dato che nel caso in esame la valutazione che dovrebbe radicare l'incompatibilità, e cioé l'avere il giudice ravvisato indizi del reato di falsa testimonianza, non è stata effettuata, ed anzi il giudice ha disatteso la richiesta del pubblico ministero di trasmettere per tale motivo gli atti al suo ufficio; nè può certo sostenersi che, ai fini in esame, siffatta ipotesi equivalga al suo opposto.

 

PER QUESTI MOTIVI

 

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

riuniti i giudizi,

 

1) dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 34, secondo comma, del codice di procedura penale, nella parte in cui non prevede l'incompatibilità a partecipare al giudizio abbreviato del giudice per le indagini preliminari che abbia rigettato la richiesta di applicazione di pena concordata di cui all'art. 444 dello stesso codice;

 

2) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale degli artt. 34, secondo comma e 446 del codice di procedura penale, in riferimento agli artt. 25, 97 e 112 della Costituzione, sollevata dal Tribunale di Modica con l'ordinanza indicata in epigrafe;

 

3) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale degli artt. 34 e 444 del codice di procedura penale -in relazione all'art. 248 delle norme di attuazione, di coordinamento e transitorie approvato con decreto legislativo 28 luglio 1989, n. 271 ed all'art. 61 del codice di procedura penale del 1930 - sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione, dal Tribunale di Pordenone con l'ordinanza indicata in epigrafe;

 

4) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 34, secondo comma, del codice di procedura penale, in riferimento agli artt. 3, 25 e 101 della Costituzione, sollevata dal Tribunale di Torino con l'ordinanza indicata in epigrafe;

 

5) dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell'art. 34 del codice di procedura penale, in riferimento agli artt. 76, 25 e 101 della Costituzione, sollevata dal Pretore di Napoli- sezione distaccata di Capri - con l'ordinanza indicata in epigrafe.

 

Così deciso in Roma, nella sede della Corte Costituzionale, Palazzo della Consulta, il 02/12/93.

 

Francesco Paolo CASAVOLA, Presidente

 

Ugo SPAGNOLI, Redattore

 

Depositata in cancelleria il 16/12/93.