Sentenza n. 186 del 1992

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SENTENZA N. 186

ANNO 1992

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

Dott. Aldo CORASANITI, Presidente

Prof. Giuseppe BORZELLINO

Dott. Francesco GRECO

Prof. Gabriele PESCATORE

Avv. Ugo SPAGNOLI

Prof. Francesco Paolo CASAVOLA

Prof. Antonio BALDASSARRE

Prof. Vincenzo CAIANIELLO

Avv. Mauro FERRI

Prof. Luigi MENGONI

Prof. Enzo CHELI

Dott. Renato GRANATA

Prof. Giuliano VASSALLI

Prof. Francesco GUIZZI

Prof. Cesare MIRABELLI

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nei giudizi di legittimità costituzionale dell'art. 34 del codice di procedura penale in relazione agli artt. 135 del decreto legislativo 28 luglio 1989, n. 271 (Norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del codice di procedura penale) e 444 del codice di procedura penale, promossi con n. 3 ordinanze emesse da diverse autorità giudiziarie, iscritte ai nn.699, 700 e 714 del registro ordinanze 1991 e pubblicate nelle Gazzette Ufficiali della Repubblica nn. 47 e 49, prima serie speciale, dell'anno 1991.

Visto l'atto di costituzione di XY nonchè gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell'udienza pubblica del 3 marzo 1992 il Giudice relatore Ugo Spagnoli;

uditi l'avvocato Michele Silverj per XY e l'Avvocato dello Stato Paolo Di Tarsia di Belmonte per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

1.- Nell'udienza dibattimentale del 14 ottobre 1991 concernente un procedimento a carico di XY e WZ, quest'ultimo chiedeva l'applicazione della pena ex art. 444 cod. proc. pen., ottenendo il consenso del pubblico ministero. Il Tribunale di Macerata, presa visione, ai sensi dell'art. 135 disp. att. cod. proc. pen., degli atti contenuti nel fascicolo del pubblico ministero, rigettava la richiesta.

Quindi, su eccezione della difesa del coimputato XY, sollevava, con ordinanza emessa nella medesima udienza (r.o. n. 699/91), una questione di legittimità costituzionale dell'art. 34, secondo comma, cod. proc. pen., assumendone il contrasto con gli artt. 3 e 24 Cost. "nella parte in cui non prevede tra le ipotesi di incompatibilità del giudice anche quella in cui il giudice del dibattimento abbia avuto conoscenza degli atti contenuti nel fascicolo del PM ai sensi del citato art. 135 D.lg.vo 271/89".

Il Tribunale sostiene che, quando la richiesta di applicazione di pena sia stata rigettata o accolta per uno solo dei coimputati, il diritto di difesa di entrambi sarebbe compromesso o menomato dalla previa conoscenza dei suddetti atti da parte del collegio: ciò perché è principio informatore del nuovo sistema processuale che il giudice non li debba conoscere, dato che la prova deve formarsi esclusivamente in dibattimento, e perché tale principio è indice di un'accentuazione nel sistema del rilievo assegnato alla terzietà del giudice (cfr. sentenza n. 496 del 1990).

Tale anticipata cognizione, inoltre, darebbe luogo a disparità di trattamento rispetto agli imputati nei cui confronti essa non si sia verificata, con conseguente violazione dell'art. 3 Cost.

1.1.- La parte privata XY, rappresentata e difesa dall'avv. M. Gentiloni Silverj, aderisce alle argomentazioni del giudice a quo, sottolineando che nel procedimento di applicazione di pena di cui all'art.444 cod. proc. pen., il giudice valuta gli atti delle indagini preliminari e motiva il provvedimento conclusivo non solo sotto il profilo della legittimità, ma anche sotto quello del merito (sentenza n. 313 del 1990), e quindi compie quella "valutazione non formale, ma di contenuto dei risultati delle indagini preliminari" che secondo la sentenza n.496 del 1990 radica l'incompatibilità.

1.2.- Il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, ha chiesto che la questione sia dichiarata non fondata, richiamando le conclusioni rassegnate nei giudizi instaurati con le ordinanze nn. 184 e 664 del 1991, già riassunte nelle sentenze nn. 401 del 1991 e 124 del 1992.

2.- Anche il Tribunale di Bari, con ordinanza del 10 ottobre 1991 (r.o. n.700/91), ha sollevato - in riferimento, però, agli artt. 76, 77 e 25 Cost.- una questione di legittimità costituzionale del citato art. 34, secondo comma, cod. proc. pen., "nella parte in cui non prevede l'incompatibilità a partecipare al giudizio del giudice che ha pronunciato o concorso a pronunciare sentenza nel giudizio di applicazione della pena ex art. 444 c.p.p. nei confronti di coimputato, nello stesso processo, di concorso negli stessi reati".

Il Tribunale premette che, nel procedimento a carico di AB e CD - ai quali erano addebitati sia il concorso negli stessi reati sia reati diversi per ciascuno - aveva, previa separazione dei giudizi, applicato la pena richiesta dal CD, col consenso del pubblico ministero, emettendo la sentenza prevista dall'art. 444 cod. proc. pen.. Così facendo, ha preso piena conoscenza degli atti dell'indagine preliminare ed ha espresso il proprio convincimento in ordine alla sussistenza ed alla qualificazione giuridica dei fatti, anche in relazione alle aggravanti contestate, escludendo altresì la ricorrenza dei presupposti per l'applicazione dell'art. 129 cod. proc. pen.. Da ciò deriva - secondo il Tribunale - un inevitabile condizionamento del giudice rispetto al successivo giudizio sugli stessi fatti cui è chiamato nei confronti del coimputato, dato che ha già compiuto una valutazione sul merito dei fatti medesimi e sulla fondatezza delle relative imputazioni.

Onde ricorrerebbe, a suo avviso, quella situazione, non di mera conoscenza degli atti delle indagini preliminari, ma di valutazione di contenuto dei loro risultati, che alla stregua della sentenza di questa Corte n.496 del 1990 vale a radicare l'incompatibilità.

2.1.- Il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, ha chiesto che la questione sia dichiarata infondata, richiamando le conclusioni rassegnate nel giudizio instaurato con l'ordinanza n. 287 del 1991, già riassunte nella sentenza n.401 del 1991.

3.- Rilevando di aver già conosciuto del procedimento penale a carico di Massi Natalia, Breda Alexander e XZ in quanto aveva, quale giudice per le indagini preliminari, respinto - per la ritenuta impossibilità di decidere allo stato degli atti - la richiesta di giudizio abbreviato avanzata dal Breda, il Pretore di Urbino ha sollevato d'ufficio, con ordinanza emessa nell'udienza dibattimentale del 3 ottobre 1991 (r.o. n.714/91), una questione di legittimità costituzionale dell'art. 34, secondo comma, del codice di procedura penale "nella parte in cui non prevede l'incompatibilità a partecipare al giudizio dibattimentale del giudice che abbia partecipato come giudice per le indagini preliminari al giudizio abbreviato".

Ad avviso del giudice rimettente, sarebbero violati gli artt. 76 e 77 Cost.- in relazione ai principi di cui all'art. 2 della legge delega 16 febbraio 1987, n. 81 - nonchè l'art. 25 Cost., in quanto tale omessa previsione sarebbe in contrasto col principio di "terzietà" del giudice del dibattimento, cui la legge delega si è ispirata ed a tutela del quale è stato introdotto il regime c.d. del "doppio fascicolo" (artt. 431 e 433 cod. proc. pen.), onde sottrarre alla conoscenza di detto giudice gli atti inclusi nel fascicolo del pubblico ministero; mentre questi - essendo il giudizio abbreviato condotto su tale fascicolo - sono in detta sede conosciuti, anche per la parte che non può confluire nel fascicolo del dibattimento.

3.1.- Il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, ha chiesto che la questione sia dichiarata infondata. A suo avviso, infatti, la legge delega (direttiva n.67) ed il principio di imparzialità del giudice (art. 25 Cost.) possono ritenersi violati solo quando lo stesso giudice è chiamato a pronunciarsi due volte sul medesimo oggetto partendo da atti già da lui conosciuti in sede di pregresse decisioni. Nel caso in esame il giudice si limita ad una cognizione sommaria ai soli fini di valutare l'ammissibilità del giudizio abbreviato, basandosi per di più su un materiale probatorio non coincidente con quello di cui dispone il giudice del dibattimento e ravvisandone perciò l'insufficienza ai fini della decisione di merito: onde non può dirsi che tale valutazione costituisca anticipazione del giudizio definito. è intervenuto nè vi è stata costituzione di parti private.

Considerato in diritto

1.- I tre giudizi investono, pur se sotto diversi profili, la medesima disposizione di legge. É perciò opportuno che siano riuniti e decisi con un'unica sentenza.

2.- Il Tribunale di Macerata (r.o. n. 699/91), dovendo celebrare il dibattimento nei confronti di due coimputati dello stesso reato ed avendo in precedenza respinto - previo esame degli atti contenuti nel fascicolo del pubblico ministero ai sensi dell'art. 135 disp. att. cod. proc. pen. - la richiesta di applicazione di pena concordata ai sensi dell'art.444 cod. proc. pen. avanzata col consenso del pubblico ministero da uno di essi, dubita che l'art. 34, secondo comma, del codice di procedura penale, in quanto non prevede in tal caso l'incompatibilità a partecipare al giudizio, contrasti con gli artt. 3 e 24 Cost., perché tale previa valutazione comporterebbe un deteriore trattamento per gli imputati nei cui confronti si sia verificata e ne menomerebbe il diritto di difesa.

2.1. - La questione è fondata.

Questa Corte ha già chiarito, nella sentenza n. 124 del 1992, che non la mera conoscenza degli atti, ma una valutazione di merito circa l'idoneità delle risultanze delle indagini preliminari a fondare un giudizio di responsabilità dell'imputato, vale a radicare l'incompatibilità;

e che questa deve riconoscersi sussistente nelle ipotesi (non di inammissibilità, ma) di rigetto della richiesta di applicazione di pena concordata, dato che essa comporta, quanto meno, una valutazione negativa circa l'esistenza delle condizioni legittimanti il proscioglimento ex art.129 cod. proc. pen. e circa la congruenza alle suddette risultanze della qualificazione giuridica del fatto e/o delle circostanze ritenute nella richiesta: ciò che risulta dagli atti essersi verificato nel caso di specie, in cui il rigetto concerneva appunto la suddetta qualificazione giuridica.

L'impugnato art. 34, secondo comma, va perciò dichiarato costituzionalmente illegittimo nella parte in cui non prevede l'incompatibilità a partecipare al giudizio del giudice che abbia rigettato la richiesta di applicazione di pena concordata ex art.444 cod. proc. pen..

3.- A diverse conclusioni deve invece pervenirsi in ordine alla questione sollevata dal Tribunale di Bari (r.o. n. 700/91) che, avendo, previa separazione dei giudizi, emesso una sentenza di applicazione di pena concordata nei confronti di un coimputato di concorso negli stessi reati, dubita che il citato art. 34, secondo comma, confligga con gli artt. 76, 77 e 25 Cost. in quanto non prevede, in tal caso, l'incompatibilità a celebrare il giudizio nei confronti dell'altro imputato: e ciò perché in tal modo sarebbe stata già compiuta una valutazione del merito dei fatti e della fondatezza delle relative imputazioni.

3.1.- Nella già citata sentenza n. 124 del 1992, questa Corte ha precisato che l'imparzialità è "connotato intrinseco dell'attività del giudice" e che perciò l'incompatibilità, nella disciplina qui in esame, "è ragionevolmente circoscritta ai casi di duplicità del giudizio di merito sullo stesso oggetto", dato che per attuare "la garanzia costituzionale del giusto processo" ciò che va evitato è "il rischio che la valutazione conclusiva di responsabilità sia, o possa apparire, condizionata dalla propensione del giudice a confermare una propria precedente decisione".

A tal fine è, però, necessario che la regiudicanda sia identica, dato che solo in tal caso può riconoscersi un condizionamento suscettibile di minare l'imparzialità. Un'identità dell'oggetto del giudizio non è invece ravvisabile nell'ipotesi di concorso di persone nel medesimo reato, perché alla comunanza dell'imputazione fa necessariamente riscontro una pluralità di condotte distintamente ascrivibili a ciascuno dei concorrenti, le quali, ai fini del giudizio di responsabilità, devono formare oggetto di autonome valutazioni sotto il profilo tanto materiale che psicologico, e ben possono, quindi, sfociare in un accertamento positivo per l'uno e negativo per l'altro.

La questione, di conseguenza, deve essere dichiarata infondata.

4.- Della legittimità del medesimo art. 34, secondo comma, dubita anche il Pretore di Urbino (r.o. n. 714/91) per la mancata previsione dell'incompatibilità a celebrare il giudizio dibattimentale di chi, quale giudice per le indagini preliminari, abbia respinto la richiesta di giudizio abbreviato - avanzata, nella specie, da uno dei tre imputati - per la ritenuta impossibilità di decidere allo stato degli atti.

Ad avviso del rimettente sarebbe violato, in tal caso, in ragione della previa conoscenza - preclusa al giudice dibattimentale - degli atti contenuti nel fascicolo del pubblico ministero, il principio di "terzietà" di detto giudice desumibile dalle direttive di cui all'art. 2 della legge delega n. 81 del 1987 e, quindi, gli artt. 76 e 77, nonchè l'art.25 della Costituzione. 4.1.- La questione non è fondata.

Anche rispetto ad essa deve ribadirsi, innanzitutto, che la mera conoscenza degli atti contenuti nel fascicolo del pubblico ministero non è, di per sè stessa, ragione sufficiente a radicare l'incompatibilità al giudizio.

Si è anche chiarito, d'altra parte, che a tal fine è necessario che si sia in presenza di una duplice valutazione di merito. Nel caso in esame, invece, la valutazione circa la decidibilità allo stato degli atti, da effettuarsi ai fini dell'introduzione del giudizio abbreviato, concerne solo la sufficienza di essi ai fini della formulazione di un giudizio definitivo di responsabilità e comporta, quindi, una decisione di natura meramente processuale, per ciò stesso inidonea a dar luogo ad un "pregiudizio" rispetto alla decisione di merito (cfr., da ultimo, la già citata sentenza n. 124 del 1992).

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

riuniti i giudizi,

1) dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 34, secondo comma, del codice di procedura penale, nella parte in cui non prevede l'incompatibilità del giudice per le indagini preliminari che abbia rigettato la richiesta di applicazione di pena concordata di cui all'art.444 dello stesso codice a partecipare al giudizio;

2) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale del medesimo art. 34, secondo comma, sollevata, in riferimento agli artt. 76, 77 e 25 della Costituzione dal Tribunale di Bari con ordinanza del 10 ottobre 1991;

3) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dello stesso art. 34, secondo comma, sollevata, in riferimento agli artt.76, 77 e 25 della Costituzione, dal Pretore di Urbino con ordinanza del 3 ottobre 1991.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 13/04/92.

Aldo CORASANITI, Presidente

Ugo SPAGNOLI, Redattore

Depositata in cancelleria il 22 aprile del 1992.