SENTENZA N.496
ANNO 1990
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori Giudici:
Prof. Giovanni CONSO, Presidente
Prof. Ettore GALLO
Dott. Aldo CORASANITI
Prof. Giuseppe BORZELLINO
Dott. Francesco GRECO
Prof. Gabriele PESCATORE
Avv. Ugo SPAGNOLI
Prof. Francesco Paolo CASAVOLA
Prof. Antonio BALDASSARRE
Prof. Vincenzo CAIANIELLO
Prof. Luigi MENGONI
Prof. Enzo CHELI
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 34, secondo comma, del codice di procedura penale, promosso con ordinanza emessa il 16 marzo 1990 dal Giudice per le indagini preliminari presso la Pretura di Massa nel procedimento penale a carico di Dalle Lucche Alfredo, iscritta al n. 389 del registro ordinanze 1990 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 25, prima serie speciale, dell'anno 1990.
Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nella camera di consiglio del 26 settembre 1990 il Giudice relatore Ugo Spagnoli.
Ritenuto in fatto
1.- Con ordinanza del 16 marzo 1990 il Giudice per le indagini preliminari presso la Pretura di Massa ha sollevato, in riferimento agli artt. 76, 77, 3, 25 e 101 Cost., una questione di legittimità costituzionale dell'art. 34, secondo comma, del cod. proc. pen. del 1988, "nella parte in cui non prevede che il giudice il quale abbia ordinato al P.M. di formulare l'imputazione, debba obbligatoriamente astenersi dal partecipare al giudizio".
Nella specie il giudice per le indagini preliminari aveva disposto l'archiviazione chiesta dal P.M. solo per uno dei due reati ipotizzati, mentre per l'altro aveva ordinato di formulare l'imputazione; ed essendosi per questo proceduto, su richiesta dell'imputato, a giudizio abbreviato, il difensore eccepiva in limine che il medesimo giudice per le indagini preliminari versava in un caso di incompatibilità analogo a quello di cui all'art. 34, secondo comma, cod. proc. pen. (emissione del provvedimento conclusivo dell'udienza preliminare) e che comunque avrebbe dovuto astenersi ai sensi dell'art. 36, lettera h), cod. proc. pen.
Il giudice a quo, dopo aver escluso che tali disposizioni, in quanto di carattere eccezionale, siano suscettibili di estensione analogica e che sia applicabile la seconda - perchè avente rilievo solo soggettivo - osserva però che nel concetto di "giudizio" rispetto al quale il compimento di determinati atti dà luogo all'incompatibilità ex art. 34, secondo comma, cod. proc. pen., deve essere ricompresa qualsiasi deliberazione conclusiva di una fase giurisdizionale, che implichi una decisione sulla responsabilità penale. Ora, poichè nel procedimento pretorile manca il filtro dell'udienza preliminare previsto in quello davanti al Tribunale, lo stesso giudice per le indagini preliminari che ha ordinato di formulare l'imputazione ritenendo non sussistere gli estremi dell'archiviazione - e quindi che gli elementi acquisiti siano idonei a sostenere l'accusa - si trova a dover decidere in base agli stessi atti sulla colpevolezza o innocenza dell'imputato.
Ad avviso del giudice rimettente, ciò contraddice ai caratteri del sistema accusatorio che il legislatore delegato doveva attuare in base all'art. 2 della legge n. 81 del 1987, dato che questo implica una netta separazione tra gli uffici requirente e giudicante: onde la lesione degli artt. 76 e 77 Cost.
Sarebbero violati, inoltre, gli artt. 25 e 101 Cost., dato che la garanzia del "giudice naturale precostituito per legge" sarebbe effettivamente osservata solo se il magistrato abbia tutti i requisiti che ne sostanziano lo status di giudice, tra i quali é essenziale, specie nel nuovo sistema, quello dell'indipendenza intesa come garanzia di imparzialità e "terzietà" dei singolo magistrato. E questa, ad avviso del rimettente, é minata quando vi sia anche solo il sospetto che il giudice si sia formato un convincimento prima dei giudizio, giacchè ciò toglie serenità alla funzione ed incide negativamente sui diritti dei suoi destinatari.
Sarebbe violato, infine, anche l'art. 3 Cost., dato che nel caso in questione non é previsto quell'obbligo di astenersi dallo svolgere le funzioni di giudicante che invece sussiste (arg. ex artt. 34, secondo comma e 565, secondo comma, cod. proc. pen.) nell'analogo caso dei giudice che abbia emesso il decreto penale, pur quando sia richiesto il giudizio abbreviato.
2.- Il Presidente del Consiglio dei ministri, intervenuto per il tramite dell'Avvocatura dello Stato, nega che vi sia violazione della delega, dato che la direttiva n. 67 prevede l'incompatibilità solo in caso di partecipazione allo stesso procedimento "giudicando nel merito", mentre nell'ipotesi in esame la decisione - diversamente da quella assunta in esito all'udienza preliminare - attiene non al merito ma solo al controllo giurisdizionale sull'azione penale, e cioé alla sussistenza delle condizioni per il suo inizio.
Il semplice sospettò che il giudice si sia formato un convincimento prima della decisione non basterebbe, d'altra parte, a ritenere violati gli artt. 25 e 101 Cost. Al riguardo, l'Avvocatura osserva che le ipotesi di incompatibilità disciplinate dall'art. 34, secondo comma, mirano ad evitare che lo stesso giudice pronunci due volte sul merito e che il suo convincimento sia pregiudicato dall'aver preso cognizione precedente degli atti contenuti nel fascicolo delle indagini e non utilizzabili anche per la decisione dibattimentale. Nel caso in questione, invece, il giudice non si é pronunciato nel merito e d'altra parte Tessendovi stata richiesta di giudizio abbreviato, non può porsi neppure alcuna differenza fra gli atti utilizzabili per l'uno o per l'altro provvedimento".
Quanto, infine, alla censura riferita all'art. 3 Cost., l'ipotesi di cui all'art. 565, secondo comma, non può secondo l'Avvocatura dirsi analoga a quella in esame, giacchè nella prima l'obbligo di astenersi in caso di giudizio abbreviato chiesto con l'opposizione al decreto penale sorge dal fatto che lo stesso giudice, emettendo il decreto, ha già esercitato la giurisdizione e deciso nel merito, mentre nella seconda non vi é stato alcun esercizio della giurisdizione.
Considerato in diritto
1. -Con l'ordinanza indicata in epigrafe il Giudice per le indagini preliminari presso la Pretura di Massa dubita della legittimità costituzionale dell'art. 34, secondo comma, del codice di procedura penale, in quanto non prevede tra le ipotesi di incompatibilità ivi disciplinate quella del giudice per le indagini preliminari presso la Pretura che, decidendo sulla richiesta di archiviazione del P.M., abbia ordinato di formulare l'imputazione e sia poi chiamato egli stesso a decidere sul merito di questa a seguito di richiesta di giudizio abbreviato. A suo avviso, ciò contrasterebbe: - con gli artt. 76 e 77 Cost., giacchè sarebbe violata la direttiva della legge delega (n. 81 del 1987) che impone l'attuazione del sistema accusatorio e quindi una netta separazione tra funzioni requirenti e giudicanti; -con gli artt. 25 e 101 Cost., perchè anche il solo sospetto di un giudizio precostituito minerebbe l'indipendenza del giudice, intesa come certezza di imparzialità e terzietà, con ciò facendo venir meno un requisito del suo status essenziale ai fini del rispetto del principio del giudice naturale; - con l'art. 3 Cost., in quanto l'incompatibilità è invece prevista nel caso-ritenuto analogo-in cui sia stato emesso il decreto penale e sia poi stato richiesto, a seguito di opposizione, il giudizio abbreviato.
2. - Occorre preliminarmente ricordare che nel processo pretorile, data l'esclusione dell'udienza preliminare disposta dal legislatore delegato (direttiva n. 103), il problema del controllo giurisdizionale sulla richiesta di archiviazione del pubblico ministero è stato risolto dettando una disciplina notevolmente semplificata rispetto a quella prevista per il procedimento davanti al Tribunale dagli artt. 408-415. Si è cioè stabilito che il giudice per le indagini preliminari, ove non accolga tale richiesta, restituisca gli atti al P.M., ordinandogli di formulare entro dieci giorni l'imputazione ai fini dell'emissione del decreto di citazione e giudizio (art. 554, comma secondo). Se poi, a seguito di questo, le parti raggiungono l'accordo per addivenire al giudizio abbreviato, gli atti verranno (nuovamente) trasmessi allo stesso giudice per le indagini preliminari, competente a celebrarlo ai sensi dell'art. 556, comma secondo, e la decisione, ove detto giudice ritenga di potervi pervenire (altrimenti restituisce gli atti al P.M. per l'instaurazione del giudizio dibattimentale), sarà resa <allo stato degli atti>, sulla base cioè degli stessi atti contenuti nel fascicolo del pubblico ministero già da lui conosciuti al momento della pronuncia sulla richiesta di archiviazione (artt. 561 e 562).
Circa, poi, la disciplina dell'incompatibilità determinata da atti compiuti nel procedimento, l'art. 34 cod. proc. pen., sulla scorta della direttiva n. 67 della legge delega, specifica che essa sussiste per il giudice che abbia pronunciato o concorso a pronunciare sentenza in altro grado del procedimento (comma primo) o abbia svolto nel medesimo funzioni di pubblico ministero o rivestito altri ruoli (comma terzo); nonchè nei casi in cui (comma secondo) abbia emesso il provvedimento conclusivo dell'udienza preliminare (decreto che dispone il giudizio o sentenza di non luogo a procedere), ovvero accolto la richiesta di giudizio immediato (formulata dal P.M. sulla base della ritenuta evidenza della prova) o emesso il decreto penale di condanna. Tali casi corrispondono a quelli espressamente previsti nella predetta direttiva; e ad essi il legislatore delegato ha aggiunto, per identità di ratio, solo quello della decisione sull'impugnazione avverso la sentenza di non luogo a procedere.
3. - Tanto premesso, la questione deve ritenersi fondata.
II regime delle incompatibilità indicato nella delega risponde, invero, all'esigenza di evitare che la valutazione di merito del giudice possa essere (o possa ritenersi che sia) condizionata dallo svolgimento di determinate attività nelle precedenti fasi del procedimento o della previa conoscenza dei relativi atti processuali.
É ben vero che nell'ottica della delega, quale emerge dalle sue enunciazioni espresse, non ogni attività precedentemente svolta vale a radicare l'incompatibilità. Ma è anche vero che il suo sostanziale rispetto richiede la verifica della ricorrenza o meno, nei singoli casi, delle ragioni che hanno ispirato tali enunciazioni: e ciò specie ove si tratti di istituti che la delega non ha direttamente previsto, come l'ordine di formulare l'imputazione emessa dal giudice per le indagini preliminari sulla richiesta di archiviazione.
Rispetto a questo, le ragioni dell'incompatibilità assunte dal legislatore delegante e recepite nell'art. 34 cod. proc. pen. convergono sotto più profili.
Respingendo la richiesta di archiviazione ed ordinando, conseguentemente, di formulare l'imputazione, il giudice per le indagini preliminari compie infatti una valutazione non formale, ma di contenuto, dei risultati delle indagini preliminari e della sussistenza delle condizioni necessarie per assoggettare l'imputato al giudizio di merito: e tale valutazione non è dissimile, nella sostanza, da quella che, nel procedimento davanti al Tribunale, lo stesso giudice per le indagini preliminari compie sia nell'emettere il provvedimento conclusivo dell'udienza preliminare - con il quale appunto valuta l'ipotesi accusatoria e dispone se del caso il rinvio a giudizio-sia nell'accogliere la richiesta di giudizio immediato formulata dal P.M., ciò che presuppone che egli condivida l'opinione sull'evidenza della prova che legittima il ricorso a tale rito.
É ben vero, d'altra parte, che l'ordine di formulare l'imputazione è lo strumento attraverso il quale il legislatore delegato ha inteso assicurare il controllo giurisdizionale sull'esercizio dell'azione penale, onde garantire che sia rispettato il principio costituzionale della sua obbligatorietà.
Ma ai fini delle valutazioni sull'incompatibilità conta non tanto la natura giurisdizionale dell'atto, quanto la constatazione che con esso il giudice per le indagini preliminari dà ex officio l'impulso determinante alla procedura che condurrà all'emanazione di una sentenza. Se si considera che il legislatore delegante ha dettato per il processo pretorile una specifica direttiva (n. 103) sulla necessaria distinzione tra funzioni requirenti e giudicanti-con ciò realizzando un capovolgimento rispetto al cumulo di tali funzioni che caratterizzava la vecchia figura del Pretore e pervenendo ad un assetto che questa Corte aveva ritenuto necessario ai fini di una rigorosa tutela della <terzietà> (cfr. sentenza n. 268 del 1986) - non può negarsi che demandare il giudizio allo stesso soggetto che lo ha promosso disattendendo la contraria opinione del P.M. sia dissonante con tale indirizzo.
Nel nuovo sistema, inoltre, il rilievo assegnato alla terzietà del giudice è stato significativamente accentuato con la previsione che il giudice della fase del giudizio non debba conoscere gli atti compiuti durante le indagini preliminari. Una così pregnante garanzia può indubbiamente risultare, o almeno apparire pregiudicata, ove il giudice investito del giudizio abbreviato debba valutare la responsabilità dell'imputato partendo dagli atti già da lui conosciuti in sede di determinazioni sulla chiesta archiviazione e ritenuti tali da rendere necessario, invece, il passaggio alla fase del giudizio.
Anche sotto questo profilo la mancata previsione dell'incompatibilità si discosta sul piano sistematico dalle scelte compiute dal legislatore delegante e non è coerente con le ragioni di fondo di detto istituto.
Nè varrebbe obiettare che la necessità di demandare il giudizio abbreviato presso la Pretura a magistrato diverso da quello che ha pronunciato sull'archiviazione potrebbe comportare, negli uffici di minori dimensioni, difficoltà di carattere organizzativo.
Ciò vale se mai a sottolineare l'esigenza di realizzare- al di là di quanto disposto con la legge 1° febbraio 1989, n. 30-una completa revisione delle circoscrizioni giudiziarie, del resto già oggetto di reiterate iniziative legislative, anche recenti.
Ma la perdurante inosservanza di tale compito non può giustificare deviazioni dal corretto svolgersi del processo.
La norma impugnata va quindi dichiarata costituzionalmente illegittima, in parte qua, per contrasto con la legge di delega.
Restano con ciò assorbite le ulteriori censure prospettate.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 34, secondo comma, del codice di procedura penale, nella parte in cui non prevede che non possa partecipare al successivo giudizio abbreviato il giudice per le indagini preliminari presso la Pretura che abbia emesso l'ordinanza di cui all'art. 554, secondo comma, del medesimo codice.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 15/10/90.
Giovanni CONSO, PRESIDENTE
Ugo SPAGNOLI, REDATTORE
Depositata in cancelleria il 26/10/90.