ORDINANZA N. 112
ANNO 2001
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori Giudici:
- Cesare RUPERTO, Presidente
- Fernando SANTOSUOSSO
- Massimo VARI
- Riccardo CHIEPPA
- Gustavo ZAGREBELSKY
- Valerio ONIDA
- Carlo MEZZANOTTE
- Fernanda CONTRI
- Guido NEPPI MODONA
- Piero Alberto CAPOTOSTI
- Annibale MARINI
- Franco BILE
- Giovanni Maria FLICK
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
nei giudizi di legittimità costituzionale dell’art. 34 (comma 2 o 2-bis) del codice di procedura penale promossi con ordinanze emesse il 27 marzo e il 18 aprile 2000 dal Giudice dell’udienza preliminare presso il Tribunale militare di Verona e il 6 giugno 2000 dal Giudice dell’udienza preliminare presso il Tribunale di Ascoli Piceno rispettivamente iscritte ai nn. 345, 346 e 513 del registro ordinanze 2000 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica nn. 26 e 40, prima serie speciale, dell’anno 2000.
Visti gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nella camera di consiglio del 7 febbraio 2001 il Giudice relatore Gustavo Zagrebelsky.
Ritenuto che con ordinanza del 27 marzo 2000 (r.o. n. 345/2000) il Giudice dell’udienza preliminare presso il Tribunale militare di Verona ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 24 e 111 della Costituzione, questione di costituzionalità dell’art. 34 del codice di procedura penale, nella parte in cui non prevede l’incompatibilità del giudice per l’udienza preliminare che abbia disposto il rinvio a giudizio a esercitare nuovamente - a seguito di annullamento del precedente decreto che dispone il giudizio - la funzione di trattazione dell’udienza preliminare, nei confronti dello stesso imputato e per il medesimo reato;
che nel giudizio principale é stata dichiarata in sede dibattimentale la nullità del decreto che dispone il giudizio emesso a conclusione di una prima udienza preliminare e che, a seguito di ciò, della trattazione della nuova udienza preliminare é stato investito lo stesso giudice-persona fisica che ha disposto il rinvio a giudizio dell’imputato;
che il rimettente solleva questione di costituzionalità dell’art. 34 cod. proc. pen. (comma 2) in quanto non esclude che sia affidata allo stesso giudice-persona fisica che ha disposto una prima volta il giudizio, con un decreto successivamente annullato, la funzione di trattazione della ulteriore udienza preliminare, nei confronti dello stesso imputato e per lo stesso reato, assumendo che questa possibilità si pone in contrasto con i principi costituzionali compendiati nella garanzia del giusto processo;
che, a tale riguardo, il rimettente esclude che una eventuale soluzione del problema possa essere ricercata nell’ambito degli istituti dell’astensione e della ricusazione (artt. 36 e 37 cod. proc. pen.), i quali, secondo l’interpretazione della Corte costituzionale, attengono alla tutela dell’imparzialità del giudice nei casi in cui il pregiudizio consegua all’esercizio di talune funzioni in un diverso processo, mentre quando il rischio di pregiudizio derivi da attività compiute nello stesso processo si verte nell’ambito di applicazione della disciplina denunciata, che però non ricomprende l’ipotesi anzidetta;
che il giudice a quo, pur consapevole del fatto che la Corte costituzionale - sulla premessa numerose volte affermata della mancanza dei caratteri del "giudizio" di merito nella sede dell’udienza preliminare anche dopo le modifiche recate dalla legge 8 aprile 1993, n. 105 - ha dichiarato la manifesta infondatezza di una questione analoga (ordinanza n. 367 del 1997), ritiene che sia possibile pervenire ora a diversa soluzione sulla base di ulteriori e più recenti modifiche legislative;
che, in particolare, il rimettente fa richiamo al nuovo comma 2-bis dell’art. 34 cod. proc. pen., inserito dall’art. 171 del decreto legislativo 19 febbraio 1998, n. 51, in quanto detta norma, nello stabilire l’incompatibilità alla trattazione dell’udienza preliminare per il giudice che nel medesimo procedimento abbia svolto funzioni di giudice per le indagini preliminari, dimostrerebbe l’abbandono, da parte del legislatore, dello stretto collegamento tra disciplina dell’incompatibilità e "giudizio", inteso come valutazione di merito sul contenuto dell’accusa, ponendo, invece, secondo un diverso e più limitato criterio, la sola condizione dell’aver effettuato una (pregressa) valutazione contenutistica dell’accusa e delle prove, ciò che sarebbe confermato dal successivo comma 2-ter del medesimo art. 34, recante specifiche ipotesi escluse dall’incompatibilità appunto perchè prive di qualsiasi connotato in tal senso;
che l’omissione legislativa appare al giudice a quo in contrasto con il canone di ragionevolezza (art. 3 della Costituzione), giacchè il giudice che abbia disposto una prima volta il rinvio a giudizio con proprio decreto successivamente annullato ha compiuto una valutazione di contenuto dell’accusa di certo più penetrante di quella riscontrabile in qualsiasi altra attività che sia svolta nell’esercizio delle funzioni di giudice per le indagini preliminari, nonchè con il principio di uguaglianza (ancora l’art. 3) sotto il profilo della parità di trattamento, nel raffronto con le ipotesi, assimilabili, che viceversa determinano l’incompatibilità;
che vi sarebbe inoltre lesione del diritto di difesa dell’imputato (art. 24 della Costituzione), compromesso dalla pregressa valutazione di contenuto dell’accusa, espressa dallo stesso giudice;
che sarebbe infine violata la garanzia costituzionale del giusto processo (art. 111 della Costituzione), nel suo aspetto di terzietà del giudice, perchè la nuova valutazione sul contenuto dell’accusa ai fini del rinvio a giudizio potrebbe essere condizionata dalla "forza della prevenzione", tendendo il giudice a mantenere ferma la medesima valutazione espressa in precedenza;
che con altra ordinanza in data 18 aprile 2000 (r.o. n. 346/2000) il medesimo Giudice dell’udienza preliminare presso il Tribunale militare di Verona ha sollevato questione identica e riferita agli stessi parametri costituzionali;
che con ordinanza del 6 giugno 2000 (r.o. n. 513/2000) il Giudice dell’udienza preliminare presso il Tribunale di Ascoli Piceno ha sollevato analoga questione, in riferimento agli artt. 3 e 111, secondo comma, della Costituzione;
che anche in questo giudizio di merito un primo decreto di rinvio a giudizio é stato annullato per ragioni processuali, e l’udienza preliminare é stata nuovamente affidata al medesimo giudice-persona fisica;
che tale ipotesi, si osserva nell’ordinanza di rimessione, non rientra nè nel comma 2 nè nel comma 2-bis dell’art. 34 cod. proc. pen., e che pertanto la disciplina risulta, ad avviso del rimettente (che denuncia specificamente l’art. 34, comma 2-bis), lacunosa e in contrasto con gli anzidetti parametri costituzionali: con l’art. 111, in quanto il principio di terzietà del giudice non si risolve nell’equidistanza rispetto alle parti, ma impone anche di evitare possibili situazioni di pregiudizio, sia esso reale o anche solo apparente, per il condizionamento derivante da precedenti attività; e con l’art. 3, perchè ne risultano differenziate situazioni processuali invece assimilabili, alla stregua della ratio dell’impugnato comma 2-bis, che il rimettente individua nella esigenza di preservare il giudice dell’udienza preliminare dalla conoscenza di atti del procedimento, conoscenza certo maggiore nell’ipotesi in discorso rispetto a quella conseguente alle spesso episodiche attività svolte dal giudice per le indagini preliminari;
che in tutti e tre i giudizi così promossi é intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, concludendo, con identiche argomentazioni nei relativi atti di intervento, per l’infondatezza delle questioni sollevate.
Considerato che le due ordinanze del Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale militare di Verona e l’ordinanza del Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Ascoli Piceno sollevano un’analoga questione di legittimità costituzionale dell’art. 34 cod. proc. pen. per motivi sostanzialmente identici e che quindi i relativi giudizi possono essere riuniti per essere decisi congiuntamente;
che le tre ordinanze sopra menzionate sottopongono a questa Corte il dubbio circa la compatibilità dell’art. 34 cod. proc. pen. con gli artt. 3, 24 e 111 della Costituzione, nella parte in cui non prevede che il giudice per l’udienza preliminare, il quale abbia disposto il rinvio a giudizio con decreto successivamente annullato, non possa esercitare nuovamente la funzione di trattazione dell’udienza preliminare nei confronti dello stesso imputato, per il medesimo reato;
che questa Corte ha in passato affermato numerose volte che, nell’udienza preliminare, il giudice é chiamato a svolgere una delibazione di carattere processuale circa l’idoneità della domanda del pubblico ministero a determinare l’apertura della fase del giudizio e non a esprimere valutazioni sul merito del giudizio stesso e che, su questa base, la questione di costituzionalità dell’art. 34 cod. proc. pen., nella parte anche in questa circostanza impugnata, é già stata dichiarata manifestamente infondata (ordinanze nn. 207 del 1998 e 367 del 1997);
che, quanto alla censura mossa alla disposizione denunciata sotto il profilo della violazione del principio del "giusto processo", i termini costituzionali della questione ora proposta non sono modificati, rispetto a quelli a suo tempo esaminati, in quanto (a) la nuova formulazione dell’art. 111, secondo comma, della Costituzione, imponendo che il processo si svolga "davanti a un giudice terzo e imparziale", non innova sostanzialmente rispetto ai principi già desumibili dagli a suo tempo invocati artt. 24 e 3 della Costituzione, quali interpretati dalla giurisprudenza di questa Corte e in quanto (b), in ogni caso, le innovazioni nel frattempo apportate alla disciplina dell’udienza preliminare con la legge 16 dicembre 1999, n. 479 – innovazioni dalle quali si trae spunto per argomentare l’introduzione di valutazioni sul merito dell’accusa da parte del giudice dell’udienza preliminare idonee a pregiudicare la terzietà e l’imparzialità del medesimo giudice, una volta chiamato a pronunciarsi nuovamente sulla richiesta di rinvio a giudizio – non erano ancora operanti nel momento in cui i giudici per l’udienza preliminare, nei tre procedimenti in questione, si erano pronunciati disponendo il giudizio con i decreti poi annullati - le udienze preliminari in questione, nei tre procedimenti penali, essendosi svolte rispettivamente il 5 ottobre 1998, il 27 ottobre 1999 e il 27 marzo 1998, prima quindi dell’entrata in vigore della citata legge n. 479 del 1999, dalla quale la disciplina dell’udienza preliminare é stata modificata -;
che, circa la violazione dell’art. 3 della Costituzione sotto il profilo della pretesa irrazionalità del sistema legislativo che non prevede l’incompatibilità a tenere la (ulteriore) udienza preliminare per il giudice dell’udienza preliminare che abbia pronunciato il decreto che dispone il giudizio successivamente annullato, mentre prevede l’incompatibilità a tenere l’udienza preliminare per il giudice che, nel medesimo procedimento, abbia svolto funzioni di giudice per le indagini preliminari (incompatibilità prevista dall’art. 34, comma 2-bis, cod. proc. pen. a seguito dell’art. 171 del decreto legislativo 19 febbraio 1998, n. 51), anche indipendentemente dal rilievo dell’inapplicabilità di detta disposizione in due dei tre procedimenti dai quali ha origine la presente questione, é sufficiente rilevare che la suddetta modifica legislativa indicata come tertium comparationis introduce una nuova causa di incompatibilità operante tra funzioni diverse svolte nell’ambito del procedimento, mentre la nuova causa di incompatibilità alla quale i giudici rimettenti tendono tramite la pronuncia di incostituzionalità della norma denunciata opererebbe in relazione a una medesima funzione e ciò di per sè basta a escludere l’esistenza di quella contraddizione del legislatore che alimenta la prospettata denuncia di irrazionalità delle scelte legislative;
che, per questo, la questione di legittimità costituzionale deve essere dichiarata manifestamente infondata.
Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.
Per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
riuniti i giudizi,
dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell’art. 34, comma 2 (o comma 2-bis) del codice di procedura penale, sollevata, in riferimento agli artt. 3, 24 e 111 della Costituzione, dal Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale militare di Verona e dal Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Ascoli Piceno con le ordinanze indicate in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 22 marzo 2001.
Cesare RUPERTO, Presidente
Gustavo ZAGREBELSKY, Redattore
Depositata in Cancelleria il 27 aprile 2001.