ORDINANZA N. 367
ANNO 1997
REPUBBLICA ITALIANA
In nome del Popolo Italiano
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori Giudici:
- Dott. Renato GRANATA, Presidente
- Prof. Giuliano VASSALLI
- Prof. Francesco GUIZZI
- Prof. Cesare MIRABELLI
- Prof. Fernando SANTOSUOSSO
- Avv. Massimo VARI
- Dott. Cesare RUPERTO
- Dott. Riccardo CHIEPPA
- Prof. Gustavo ZAGREBELSKY
- Prof. Valerio ONIDA
- Prof. Carlo MEZZANOTTE
- Avv. Fernanda CONTRI
- Prof. Guido NEPPI MODONA
- Prof. Piero Alberto CAPOTOSTI
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 34, comma 2, del codice di procedura penale, promosso con ordinanza emessa il 20 dicembre 1996 dal Tribunale di Locri nel procedimento penale a carico di Giuseppe Mazzaferro ed altri, iscritta al n. 68 del registro ordinanze 1997 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 9, prima serie speciale, dell'anno 1997.
Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nella camera di consiglio del 18 giugno 1997 il Giudice relatore Cesare Mirabelli.
Ritenuto che con ordinanza emessa il 20 dicembre 1996 il Tribunale di Locri ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell'art. 34, comma 2, del codice di procedura penale, nella parte in cui non prevede l'incompatibilità del giudice per le indagini preliminari che abbia disposto il rinvio a giudizio ad esercitare nuovamente, a seguito dell'annullamento del precedente decreto di rinvio a giudizio, tale funzione nei confronti degli stessi imputati e per i medesimi reati;
che il Tribunale di Locri aveva in precedenza dichiarato la nullità parziale del decreto di rinvio a giudizio, per l'omessa indicazione, in alcuni capi di imputazione, del tempo e del luogo del delitto; gli atti erano stati, quindi, restituiti al pubblico ministero che, integrata l'imputazione, aveva chiesto ed ottenuto dal giudice per le indagini preliminari, che già in precedenza aveva adottato il medesimo provvedimento, il rinvio a giudizio degli imputati;
che il Tribunale rimettente ricorda che l'art. 425 cod. proc. pen., nel testo iniziale, prevedeva che nell'udienza preliminare fosse emanata sentenza di non luogo a procedere se risultasse "evidente" la causa che consentiva l'adozione di quella pronuncia. Successivamente, essendo stato abrogato il requisito della "evidenza" (art. 1 della legge 8 aprile 1993, n. 105), sarebbe notevolmente aumentata la funzione di filtro, rispetto al dibattimento, del giudice dell'udienza preliminare; sicchè, ad avviso del giudice rimettente, l'art. 425 cod. proc. pen. richiederebbe ora, per il rinvio a giudizio, un accertamento positivo della colpevolezza dell'imputato;
che il giudice rimettente considera che l'incompatibilità disciplinata dall'art. 34 cod. proc. pen. riguarda la decisione di merito che definisce la responsabilità penale dell'imputato, ma ritiene che l'omessa previsione dell'incompatibilità anche per il giudice dell'udienza preliminare che debba nuovamente pronunciarsi sul rinvio a giudizio dopo avere adottato nel medesimo procedimento un analogo provvedimento, poi annullato, nei confronti degli stessi imputati e per i medesimi reati, sia in contrasto da un lato con il principio di parità di trattamento (art. 3 Cost.), essendo la situazione simile a quelle che determinano l'incompatibilità, dall'altro con il diritto di difesa dell'imputato (art. 24 Cost.), compromesso dal precedente giudizio dello stesso giudice;
che dinanzi alla Corte e' intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata inammissibile o manifestamente infondata, giacche' l'incompatibilità presuppone che il convincimento già espresso dal giudice possa incidere sulla valutazione nel merito; valutazione estranea all'udienza preliminare, che costituisce solo un momento processuale interlocutorio, diretto ad accertare la legittimità della richiesta di rinvio a giudizio.
Considerato che il presupposto interpretativo dal quale muove il giudice rimettente nel qualificare la funzione dell'udienza preliminare, pur dopo la modifica apportata all'art. 425 cod. proc. pen. dall'art. 1 della legge 8 aprile 1993, n. 105, e' inesatto. La giurisprudenza costituzionale ha già altre volte affermato che nell'udienza preliminare il giudice non e' chiamato ad esprimere valutazioni sul merito dell'accusa, ma solo a verificare, in una delibazione di carattere processuale, la legittimità della domanda di giudizio formulata dal pubblico ministero (da ultimo, sentenza n. 311 del 1997 e ordinanza n. 97 del 1997), sicche' non risulta pregiudicata la decisione di merito sull'oggetto del processo, in ordine alla quale e' destinato ad operare il regime delle incompatibilità;
che non porta a diversa conclusione la modifica legislativa che ha soppresso la parola "evidente", che qualificava le condizioni richieste ai fini dell'adozione di una sentenza di non luogo a procedere nell'udienza preliminare: la modifica stessa non muta le caratteristiche e la funzione di tale udienza (ordinanza n. 24 del 1996), che rimane destinata a valutare se si possa o meno dare ingresso alla successiva fase del dibattimento per il giudizio di merito (sentenze n. 71 del 1996 e n. 51 del 1997);
che, pertanto, la questione di legittimità costituzionale deve essere dichiarata manifestamente infondata.
Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87 e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell'art. 34, comma 2, del codice di procedura penale, sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione, dal Tribunale di Locri con l'ordinanza indicata in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 24/11/97.
Renato GRANATA, Presidente
Cesare MIRABELLI, Relatore
Depositata in cancelleria il 28/11/97.