Sentenza n. 87/2003

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SENTENZA N. 87

ANNO 2003

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

- Riccardo CHIEPPA, Presidente

- Gustavo ZAGREBELSKY

- Valerio ONIDA

- Carlo MEZZANOTTE

- Fernanda CONTRI

- Guido NEPPI MODONA

- Piero Alberto CAPOTOSTI

- Annibale MARINI

- Franco BILE

- Giovanni Maria FLICK

- Ugo DE SIERVO

- Romano VACCARELLA

- Alfio FINOCCHIARO

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale del combinato disposto degli artt. 1, comma 1, lett. b), e 2 della legge 29 gennaio 1994, n. 87 (Norme relative al computo dell’indennità integrativa speciale nella determinazione della buonuscita dei pubblici dipendenti), 14 e 36 della legge 14 dicembre 1973, n. 829 (Riforma dell’Opera di previdenza a favore dell’Azienda autonoma delle ferrovie dello Stato), promosso con ordinanza del 29 aprile 2002 dal Tribunale di Brescia nel procedimento civile vertente tra Bedulli Angelo ed altri e la Rete Ferroviaria Italiana s.p.a. (già Ferrovie dello Stato s.p.a.), iscritta al n. 338 del registro ordinanze 2002 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 33, prima serie speciale, dell’anno 2002.

  Visti gli atti di costituzione di Bedulli Angelo ed altri e della Rete Ferroviaria Italiana s.p.a. (già Ferrovie dello Stato s.p.a.) nonché l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

  udito nell’udienza pubblica del 25 febbraio 2003 il Giudice relatore Romano Vaccarella;

  uditi gli avvocati Luciano Nardino per Bedulli Angelo ed altri, Paolo Tosi per Rete Ferroviaria Italiana s.p.a. (già Ferrovie dello Stato s.p.a.) e l’avvocato dello Stato Gaetano Zotta per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

  1.- Con ordinanza del 29 aprile 2002, il Tribunale di Brescia – sezione del lavoro e della previdenza sociale – solleva, in riferimento agli artt. 3, 36 e 38 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale del combinato disposto degli artt. 1, comma 1, lettera b) e 2 della legge 29 gennaio 1994, n. 87 (Norme relative al computo dell’indennità integrativa speciale nella determinazione della buonuscita dei pubblici dipendenti) nonché degli artt. 14 e 36 della legge 14 dicembre 1973, n. 829 (Riforma dell’Opera di previdenza a favore dell’Azienda autonoma delle ferrovie dello Stato) nella parte in cui per i dipendenti delle Ferrovie dello Stato (e di altri lavoratori ad essi assimilabili) prevedono, così come stabilito per altre categorie di lavoratori, secondo l’interpretazione della Suprema Corte, la liquidazione "dell’indennità di buonuscita con calcolo della quota di indennità integrativa speciale al 48% (80% del 60%), in luogo del 60%", benché solo per essi sia prevista la ritenuta contributiva del 4% sull’intero 60% dell’i.i.s..

  Riferisce il rimettente che Angelo Bedulli e altri avevano proposto ricorso volto ad ottenere, nei confronti di Rete Ferroviaria Italiana s.p.a. (già Ferrovie dello Stato società di trasporti s.p.a.), l’accertamento del loro diritto alla rideterminazione dell’indennità di buonuscita con inserimento nella base di calcolo del 60%, piuttosto che del 48% dell’i.i.s., e la conseguente condanna dell’ente convenuto alla corresponsione della differenza del 12% sull’indennità integrativa speciale, da liquidarsi negli importi specificamente indicati; e ciò in quanto - premesso che i dipendenti delle Ferrovie dello Stato avevano ricevuto l’indennità di buonuscita, fino al 31 maggio 1994 dall’Opafs, ente previdenziale disciplinato dalla legge n. 829 del 1973, e successivamente da Ferrovie dello Stato s.p.a., mentre a partire dal 1° giugno 1996 avevano riscosso, al momento del collocamento a riposo, l’indennità di fine rapporto ex art. 2120 cod. civ. - la legge n. 87 del 1994, disponendo l’inserimento nella base di calcolo dell’indennità di buonuscita dei dipendenti pubblici, in determinate quote, dell’indennità integrativa speciale, ne aveva graduato il computo, nelle diverse gestioni, in misura inversamente proporzionale a quella del restante trattamento economico, al fine di assicurare, in conformità alle indicazioni formulate dalla Corte costituzionale nella sentenza 243 del 1993, una più ragionevole equivalenza nel risultato finale di calcolo; che in particolare l’art. 1 della legge n. 87 del 1994 aveva previsto il computo dell’indennità integrativa speciale nell’indennità di buonuscita nella misura del 30%, per i dipendenti degli enti pubblici di cui alla legge n. 70 del 1975 (in considerazione del fatto che la base di calcolo dell’emolumento era per essi costituita dal 100% dell’ultimo stipendio annuo complessivo), e del 60% per tutti gli altri dipendenti pubblici e per gli iscritti all’Opera di previdenza e assistenza per i ferrovieri dello Stato (per i quali invece il calcolo veniva effettuato sull’80% dell’ultimo stipendio); che la limitazione alla predetta percentuale della quota di indennità integrativa speciale da utilizzare nella liquidazione degli emolumenti dovuti alla cessazione del rapporto, ne aveva di fatto determinato l’abbattimento al 48%, tale essendo la cifra espressiva del valore dell’80% per cento del 60%; che invece l’art. 1 della legge n. 87 del 1994 andava interpretato, alla stregua di indici ermeneutici di carattere letterale, logico e sistematico, nel senso che la parte di indennità di buonuscita ricollegabile all’indennità integrativa speciale doveva essere calcolata secondo criteri distinti ed autonomi rispetto a quelli fissati nell’art. 14 della legge n. 829 del 1973, di guisa che, ai fini della liquidazione della prima, gli importi ottenuti attraverso l’adozione dei due sistemi di calcolo - l’80% dell’ultimo stipendio mensile, dell’eventuale assegno personale pensionabile e del compenso per ex combattenti, ex art. 14 della legge n. 829 del 1973, nonché della tredicesima mensilità, ex art. 2 della legge n. 75 del 1980, e il 60% dell’indennità integrativa speciale ex art. 1 della legge n. 87 del 1994 – dovevano essere sommati e non inseriti in un’unica "base"; che, a opinare diversamente, si sarebbe irragionevolmente consentito il versamento, da parte dei dipendenti delle ferrovie, di una contribuzione del 4% sul 60% di indennità integrativa speciale, pur avendo essi diritto al solo 48% della stessa e per di più senza alcuna possibilità di controllo sulla destinazione dei contributi corrisposti in eccedenza; che l’adozione dei criteri di calcolo utilizzati dalle Ferrovie dello Stato determinava un’ingiustificata disparità di trattamento tra dipendenti privati e dipendenti pubblici e all’interno della stessa categoria dei dipendenti pubblici, tra quelli di cui alla lettera a) e quelli di cui alla lettera b) dell’art. 1 della legge n. 87 del 1994, oltre a risolversi in una quantificazione dell’emolumento contraria ai principi di adeguatezza e proporzionalità della retribuzione.

  Riferisce ancora il rimettente che Rete Ferroviaria Italiana s.p.a. resisteva alla domanda attrice, osservando che, nel disporre l’inclusione, nella base di calcolo dell’indennità di buonuscita, dell’indennità integrativa speciale nella sola misura del 60%, l’art. 1 della legge n. 87 del 1994 aveva fatto segnatamente riferimento ai già vigenti criteri di calcolo di questa, e quindi alla limitazione all’80% del coacervo di voci da moltiplicare per il numero di anni di servizio del dipendente. Rilevava che tale approccio interpretativo era conforme alle indicazioni fornite dal Ministero del tesoro nella circolare del 10 novembre 1994 ed era inoltre stato costantemente condiviso dal Supremo Collegio.

  Tanto esposto in punto di fatto, osserva il rimettente che l’art. 1 lettera b) della legge n. 87 del 1994 ha introdotto anche per i dipendenti delle Ferrovie dello Stato l’indennità integrativa speciale nella misura del 60% nella base di calcolo dell’indennità di buonuscita, liquidata fino al 31 maggio 1994 dall’Opafs, e successivamente, ai sensi della legge n. 537 del 1993, da s.p.a. Ferrovie dello Stato; che in tale contesto, ai fini della determinazione del trattamento di fine servizio, disciplinato dalla legge n. 829 del 1973, le Ferrovie dello Stato hanno preso in considerazione l’ultimo trattamento retributivo annuo del dipendente e, aggiuntovi un importo pari al 60% dell’i.i.s., hanno diviso il totale per dodici, così ottenendo il trattamento mensile che, ridotto all’80%, viene poi moltiplicato per il numero dei mesi di servizio utile; che l’assunto della società convenuta, fondato sull’asserita operatività, anche nei confronti della quota di i.i.s. da inserire nella base di calcolo dell’indennità di buonuscita, della regola della riduzione all’80% di tutte le voci che la compongono, ha trovato riscontro nella costante giurisprudenza della Corte di cassazione, al punto da costituire vero e proprio diritto vivente.

  Osserva quindi il Tribunale che, per contro, in virtù del combinato disposto degli artt. 36 della legge n. 829 del 1973 e 2 della legge n. 87 del 1994, ai fini della liquidazione dell’indennità di buonuscita, a carico del lavoratore viene prelevato un contributo del 4% riferito all’intera quota del 60% dell’i.i.s., e non già alla percentuale utile del 48%; che la discrasia in tal modo introdotta per i soli dipendenti delle Ferrovie dello Stato non pare razionalmente giustificabile, tanto più che anche per essi tutte le altre voci della base di calcolo sono soggette a contribuzione nei limiti delle percentuali effettivamente utili ai fini del computo dell’indennità di buonuscita; che in particolare, per legittimare la menzionata differenza, non convince il richiamo al principio di solidarietà al quale, secondo la pur autorevole opinione espressa in sede di legittimità, sarebbe ispirato il nostro ordinamento previdenziale e nel cui ambito dovrebbe collocarsi, almeno quanto alla funzione, anche l’indennità di buonuscita.

  In ordine a tale ultimo assunto segnala il rimettente che esso si fonda, sia pure implicitamente, sul paragone tra la contribuzione pensionistica e quella effettuata in base all’art. 2 della legge n. 87 del 1994, laddove questa, al di là delle imprecisioni terminologiche del legislatore, realizza un’ipotesi di accantonamento anticipato analogo a quello previsto per l’indennità di fine rapporto del settore privato, col quale ha in comune la natura di retribuzione differita; che in tale ottica il richiamo della Suprema Corte a generiche esigenze di solidarietà non ha senso e non vale comunque a scardinare il principio basilare di proporzionalità e di adeguatezza della retribuzione, né a giustificare la diversità di trattamento tra il lavoratore delle Ferrovie dello Stato e il dipendente dello Stato o di altra parte del settore pubblico al quale, secondo l’orientamento accolto in giurisprudenza, spetterebbe l’indennità di buonuscita con calcolo dell’i.i.s. conteggiata al 48% ma con corrispondente onere finanziario a livello contributivo.

  Sulla base delle esposte considerazione ritiene quindi il rimettente che sia lecito dubitare della complessiva razionalità nonché della compatibilità con l’art. 3, in relazione agli artt. 36 e 38 della Costituzione, del combinato disposto degli artt. 1, comma 1, lettera b) e 2 della legge n. 87 del 1994 e degli artt. 14 e 36 della legge n. 829 del 1973, nella parte in cui comportano l’attribuzione, in favore dei dipendenti delle Ferrovie dello Stato, dell’indennità di buonuscita con calcolo della quota di i.i.s. nella sola misura del 48% (80% del 60%), in luogo della percentuale del 60%, stabilita per altre categorie di lavoratori, e ciò benché solo per essi sia previsto un prelievo contributivo sulla base dell’intero 60%.

  2.- Nel giudizio si sono costituiti Angelo Bedulli e 17 litisconsorti depositando una memoria nella quale sostengono che appaiono difficilmente conciliabili con i principi di equità i criteri seguiti da Rete Ferroviaria Italiana s.p.a. nella determinazione dell’indennità di buonuscita spettante ai suoi dipendenti, segnatamente nella parte in cui, operato un accantonamento corrispondente al 60% dell’i.i.s. ad essi spettante, in sede di liquidazione del trattamento di chiusura del rapporto, ne restituisce soltanto il 48%.

  Ribadito, in conformità a quanto ritenuto dalla stessa Corte costituzionale nella sentenza n. 243 del 1993, che l’i.i.s. ha natura retributiva e non assistenziale, essendo stata equiparata all’indennità di contingenza, sostengono l’incongruenza di qualsivoglia assimilazione della contribuzione operata ai sensi dell’art. 2 della legge n. 87 del 1994 con quella pensionistica.

  Deducono infine che, ove non si voglia accedere ad una interpretazione costituzionalizzante della disciplina impugnata – segnatamente ritenendo che ai fini della liquidazione dell’emolumento dovuto alla cessazione del rapporto, gli importi per i quali è espressamente prevista la corresponsione all’80% e quello, pari al 60%, dell’i.i.s. vanno sommati e non inseriti in un’unica "base" - la normativa de qua non può sfuggire alla censura di incostituzionalità.

  3.– Costituitasi ritualmente in giudizio, Rete Ferroviaria Italiana s.p.a., premesso che il richiamo all’art. 38 della Costituzione tra i parametri della sollevata questione presuppone una funzione previdenziale dell’istituto, in contrasto con le argomentazioni svolte a sostegno della pretesa irragionevolezza delle norme impugnate, sostiene l’infondatezza del dubbio di costituzionalità prospettato, avendo con esso il rimettente censurato un combinato disposto, piuttosto che singole norme nel loro specifico contenuto.

  Rileva che peraltro, a seguito di una scelta interpretativa operata dal Ministero del tesoro, il contributo del 4% viene ora calcolato sul 48% dell’i.i.s., di guisa che nei fatti la base della contribuzione e quella della prestazione sono state uniformate.

  Sostiene infine che in materia di indennità di buonuscita, non diversamente che nella materia pensionistica, la correlazione tra prestazione e contribuzione, e quindi anche l’eventuale discrasia tra misura della prestazione e base di calcolo della contribuzione, rientra nei discrezionali poteri di scelta del legislatore, almeno tutte le volte in cui la prestazione non è automaticamente pari alla somma delle contribuzioni.

  4.- Costituitosi a mezzo dell’Avvocatura generale dello Stato, anche il Presidente del Consiglio dei ministri, eccepisce l’inammissibilità o comunque la manifesta infondatezza del ricorso.

  Deduce in particolare che nell’ordinanza di rimessione non viene indicata la data di collocamento a riposo dei singoli ricorrenti, di modo che non è possibile verificare se le norme censurate siano o meno pertinenti al caso da decidere, e ciò tanto più che beneficiari della legge 29 gennaio 1994, n. 87, sono solo coloro che sono andati in pensione in data successiva al 30 novembre 1984.

  Sostiene poi che andrebbe appurato se non sia intervenuta e se non sia stata eccepita la prescrizione quinquennale, perché anche in questo caso la sollevata questione di legittimità costituzionale sarebbe irrilevante ai fini del decidere.

  Nel merito rileva che le argomentazioni svolte dal Tribunale non tengono conto del fatto che, pur dopo la privatizzazione del rapporto di lavoro dei dipendenti delle Ferrovie, il trattamento economico corrisposto al momento del loro collocamento a riposo ha continuato ad essere soggetto ad una particolare disciplina, ex art. 21 della legge n. 210 del 1985, di guisa che il ragionamento sviluppato nell’ordinanza di rimessione non ha senso ove non vengano sollevati dubbi sulla legittimità anche di quest’ultima norma.

  Ricorda che l’iscrizione ope legis dei ricorrenti all’Opafs ha comportato dei vantaggi e che gli eventuali risvolti negativi del trattamento di cui essi usufruiscono non possono essere disgiunti da quelli positivi, come del resto ripetutamente evidenziato dalla stessa Corte costituzionale.

  Osserva infine che non si può giudicare della legittimità di un trattamento prendendo in considerazione un solo elemento di calcolo, quale nella fattispecie l’asserita violazione della corrispondenza tra la contribuzione versata e la prestazione ricevuta, segnalando che in ogni caso l’Opafs riscuote un contributo calcolato su una base imponibile inferiore a quella sulla quale eroga poi la prestazione.

  5.- In prossimità dell’udienza, Rete Ferroviaria Italiana s.p.a. ha depositato una memoria nella quale ribadisce le ragioni per le quali la questione deve essere dichiarata infondata.

  6.- All’udienza del 25 febbraio 2003 gli avv.ti Tosi per R.F.I. s.p.a., Zotta per l’Avvocatura dello Stato e Nardino per Bedulli hanno insistito nelle rispettive conclusioni e argomentazioni.

Considerato in diritto

  1.- Il Tribunale di Brescia dubita della legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 1, lettera b) e dell’art. 2 della legge 29 gennaio 1994, n. 87 nonché degli artt. 14 e 36 della legge 14 dicembre 1973, n. 829 in quanto il diritto vivente – che prevede l’erogazione, in sede di indennità di buonuscita, del 48% (e cioè dell’80% del 60%) dell’i.i.s., a fronte di una ritenuta contributiva sul 60% della medesima i.i.s. – sarebbe in contrasto con l’art. 3 (in relazione agli artt. 36 e 38) Cost. nella parte in cui conduce all’attribuzione in favore dei lavoratori delle Ferrovie dello Stato dell’indennità di buonuscita comprensiva del solo 48% dell’i.i.s. – e ciò analogamente a quanto previsto per altre categorie di lavoratori cui si applica l’art. 1, comma 1, lettera b) della legge n. 87 del 1994 – sebbene solo i lavoratori delle Ferrovie dello Stato siano assoggettati ad una ritenuta sull’intero 60% dell’i.i.s., e non sul solo 48% (80% del 60%) percepito.

  2.- La questione non è fondata.

  2.1.- La legge n. 87 del 1994 costituisce il tentativo del legislatore di ottemperare a quanto questa Corte – prendendo atto, da un lato, della natura di retribuzione differita progressivamente assunta dall’indennità di buonuscita e, dall’altro lato, del venir meno degli elementi (esenzione da ritenuta fiscale: artt. 46 e 48 del d.P.R. n. 557 del 1973; esenzione da contribuzione previdenziale: artt. 22 della legge n. 160 del 1973; impignorabilità: sentenza n. 115 del 1990 di questa Corte) che giustificavano l’estraneità dell’i.i.s. rispetto alla retribuzione – ha statuito con la sentenza 19 maggio 1993, n. 243, dichiarando "costituzionalmente illegittime le norme che escludono l’indennità integrativa speciale dalla retribuzione da assumere alla base del calcolo per la determinazione dell’indennità di buonuscita spettante al personale civile e militare dello Stato".

  Con la medesima sentenza questa Corte – preso atto che "l’indennità di buonuscita e l’indennità di fine servizio del parastato sono calcolate sulla base dell’ultima retribuzione (che è, di regola, la più alta) mentre il trattamento di fine rapporto si determina sulla base delle retribuzioni concretamente percepite durante il servizio" – ha precisato che "la dichiarazione di illegittimità costituzionale delle norme che non prevedono meccanismi di computo dell’indennità integrativa speciale nei trattamenti di fine rapporto comporta l’obbligo del legislatore di provvedere e di reperire le necessarie risorse finanziarie … per l’impostazione e la formulazione di scelte globali della politica di bilancio", e che occorrevano "meccanismi legislativi di computo dell’indennità integrativa speciale secondo criteri di equilibrio, di compensazione e di omogeneizzazione dei trattamenti di fine rapporto che devono essere stabiliti dal legislatore".

  2.2.- La legge 29 gennaio 1994, n. 87, ha pertanto previsto che l’i.i.s. "viene computata nella base di calcolo della indennità di buonuscita", ma che ciò avviene (lettera a) nella misura del 30% per i dipendenti degli enti pubblici non economici di cui alla legge n. 70 del 1975 e (lettera b) nella misura del 60% di quella in godimento alla data della cessazione del servizio per i dipendenti delle altre pubbliche amministrazioni.

  2.3.- Investita di una serie di questioni di legittimità costituzionale questa Corte - nel dichiarare infondata quella principale relativa (art. 4 della legge n. 87 del 1994) all’estinzione ex officio, con compensazione delle spese, dei giudizi pendenti aventi ad oggetto la computabilità dell’i.i.s. nell’indennità di buonuscita - ha ricordato di aver affidato al legislatore "modi e tempi di un adeguato computo dell’indennità" e concluso che "avuto riguardo alla complessità del programma, alla molteplicità delle finalità e quindi all’ampiezza dell’intervento e dell’onere finanziario richiesti, deve giudicarsi la legge n. 87 del 1994 come una risposta adeguata oltre che sufficientemente tempestiva rispetto a quanto da questa Corte ritenuto non eludibile da parte del legislatore" (sentenza n. 103 del 1995). La "ragionevolezza" delle norme censurate (artt. 1, comma 1, lettera a) e b); 2, comma 4; 3, commi 1 e 2; 4 della legge n. 87 del 1994) è stata ripetutamente affermata da questa Corte con ordinanze di manifesta infondatezza (n. 207, n. 324, n. 468 e n. 495 del 1995; n. 19 e n. 125 del 1996; n. 55 del 1997).

  2.4.- Il giudice rimettente dà atto che è dominante nella giurisprudenza di legittimità e del Consiglio di Stato l’interpretazione secondo la quale la "base di calcolo" di cui alla legge n. 87 del 1994 (essendo tale locuzione testualmente ripresa dalla sentenza n. 243 del 1993) individua gli emolumenti utili (e quindi il 60% dell’i.i.s.) ai fini della composizione lorda della base contributiva, mentre la determinazione di quest’ultima avviene computando la quota netta (80%) di tali emolumenti; sicché la legge n. 87 del 1994 si limita a prevedere, come prescritto da questa Corte, l’inclusione dell’i.i.s. (nella misura del 60%) tra gli elementi computabili ai fini della individuazione della "base contributiva", ma nulla innova quanto ai criteri (80%) di calcolo dell’indennità di buonuscita.

  A tale consolidato orientamento giurisprudenziale il giudice rimettente nulla oppone, se non la "discrasia, riferibile ai soli lavoratori soggetti alla disciplina di cui all’art. 36 della legge cit. (n. 829 del 1973)" per cui, "al fine della liquidazione dell’indennità di buonuscita, viene prelevato a carico del lavoratore un contributo (4%) riferito all’intera quota del 60% dell’i.i.s. (e non, invece, alla sola quota utile, del 48%)"; "discrasia", a giudizio del rimettente, non superata dalla giurisprudenza di legittimità allorché essa invoca il principio di solidarietà.

  2.5.- La questione di legittimità posta dal rimettente si appunta sul rilievo che l’entità della contribuzione gravante sui lavoratori soggetti all’art. 36 della legge n. 829 del 1973 – in quanto irragionevolmente maggiore di quella, proporzionata alla sola quota utile, gravante sugli altri lavoratori – comporterebbe che l’i.i.s. andrebbe computata ai fini dell’indennità di buonuscita nella misura intera (60%) e non già del solo 48% (80% del 60%).

  In altri termini, il rimettente sostiene che la circostanza che la contribuzione del 4% sia calcolata sul 60% dell’i.i.s. comporti che l’intera quota del 60% debba sommarsi agli elementi retributivi computati all’80%, e che tale conclusione sia costituzionalmente dovuta. Al che, tra l’altro, parte resistente oppone che, in realtà, il prelievo contributivo avviene sul 48% (e non già sul 60%) dell’i.i.s.

  A prescindere dalla fondatezza di tale contestazione, l’inaccettabilità della conclusione cui perviene il rimettente emerge dal rilievo che l’indennità di buonuscita ha bensì natura di retribuzione differita, ma anche (quanto meno, funzione) previdenziale ed assistenziale (cfr., a proposito dell’indennità di fine rapporto, sentenza n. 99 del 1993); sicché è quanto meno apodittico escludere radicalmente che operi il principio di solidarietà a giustificazione della maggior base (60%), rispetto a quella utile (48%), sulla quale opererebbe il prelievo contributivo. Ed è appena il caso di rilevare che non è in relazione ai singoli elementi che confluiscono nella base di calcolo che va valutata la congruità della contribuzione, ma in relazione all’istituto (qui, l’indennità di buonuscita) che quei singoli elementi concorrono a determinare: e la circostanza che il rimettente invochi – oltre l’art. 36 Cost., il quale, peraltro, si riferisce alla globalità della retribuzione, e non già a singole voci di essa (da ultimo, sentenza n. 470 del 2002) - anche il parametro costituzionale dell’art. 38 costituisce conferma (sentenza n. 506 del 2002) della possibilità che un istituto come l’indennità di buonuscita (così come il T.F.R.) sia disciplinato anche tenendo conto del principio di solidarietà.

  Peraltro, una volta riconosciuto – come il rimettente riconosce – che per tutti i lavoratori contemplati dall’art. 1, comma 1, lettera b), della legge n. 87 del 1994 l’indennità di buonuscita è calcolata tenendo conto del 48% (80% del 60%) dell’i.i.s., è contraddittorio invocare l’art. 3 Cost. per arguirne che i dipendenti delle Ferrovie dello Stato – solo perché contribuirebbero con il 4% calcolato sul 60% dell’i.i.s. – devono poter godere di un’indennità di buonuscita maggiorata (rispetto agli altri lavoratori), perché dovrebbe essere calcolata sommando – alle voci utili per l’80% - per intero il 60% dell’i.i.s..

  Escluso, per quanto si è detto, che l’entità della contribuzione comporti, quale conseguenza costituzionalmente necessaria, una corrispondente entità nell’indennità di buonuscita dell’elemento sul quale la contribuzione è calcolata, resta soltanto la questione – prospettata tra le righe dal rimettente, ma irrilevante nel caso di specie – della (pretesa) violazione del principio di eguaglianza quanto all’entità in sé della contribuzione, che sarebbe irragionevolmente maggiore per i lavoratori soggetti all’art. 36 della legge n. 829 del 1973 rispetto a quelli la cui contribuzione è limitata ad una percentuale del 48%. In sintesi, se è corretta (come il rimettente riconosce) l’interpretazione dell’art. 1, comma 1, lettera b) della legge n. 87 del 1994 quale norma che, senza incidere sulle modalità di determinazione della base contributiva, si è limitata ad ampliare la base di calcolo dell’indennità di buonuscita, la (pretesa) violazione dell’art. 3 Cost. giammai potrebbe riguardare l’entità dell’indennità di buonuscita, ma soltanto (eventualmente) l’entità della contribuzione, e cioè una questione irrilevante in un giudizio avente ad oggetto il (preteso) diritto a percepire in misura maggiore l’indennità di buonuscita.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

  dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale degli artt. 1, comma 1, lettera b) e 2 della legge 29 gennaio 1994, n. 87 (Norme relative al computo dell’indennità integrativa speciale nella determinazione della buonuscita dei pubblici dipendenti) e 14 e 36 della legge 14 dicembre 1973, n. 829 (Riforma dell’Opera di previdenza a favore dell’Azienda autonoma delle Ferrovie dello Stato) sollevata, in riferimento agli artt. 3, 36 e 38 della Costituzione, dal Tribunale di Brescia con l’ordinanza in epigrafe.

  Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 13 marzo 2003.

Riccardo CHIEPPA, Presidente

Romano VACCARELLA, Redattore

Depositata in Cancelleria il 27 marzo 2003.