ORDINANZA N.399
ANNO 1997
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori Giudici:
- Prof. Francesco GUIZZI, Presidente
- Prof. Cesare MIRABELLI
- Prof. Fernando SANTOSUOSSO
- Avv. Massimo VARI
- Dott. Cesare RUPERTO
- Dott. Riccardo CHIEPPA
- Prof. Gustavo ZAGREBELSKY
- Prof. Valerio ONIDA
- Prof. Carlo MEZZANOTTE
- Avv. Fernanda CONTRI
- Prof. Guido NEPPI MODONA
- Prof. Piero Alberto CAPOTOSTI
- Prof. Annibale MARINI
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
nei giudizi di legittimità costituzionale dell’art. 444 del codice di procedura penale, promossi con n. 3 ordinanze emesse il 21, il 24 ed il 21 febbraio 1997 dal Pretore di Catania, sezione distaccata di Acireale, rispettivamente iscritte ai nn. 263, 264 e 265 del registro ordinanze 1997 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 21, prima serie speciale, dell’anno 1997.
Visti gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nella camera di consiglio del 12 novembre 1997 il Giudice relatore Guido Neppi Modona.
Ritenuto che con tre ordinanze di analogo contenuto (r.o. nn. 263, 264 e 265/97) il Pretore di Catania, sezione distaccata di Acireale, ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’articolo 444 del codice di procedura penale, nella parte in cui non prevede che il giudice, nel pronunciare la sentenza di applicazione della pena, accerti la colpevolezza dell’imputato, ovvero lo dichiari colpevole del reato, ovvero ne pronunci "condanna" alla pena concordata tra le parti, in riferimento agli articoli 27, primo e secondo comma, e 3 della Costituzione (quest’ultimo richiamato solo nell’ordinanza n. 264/97);
che, in particolare, il giudice rimettente lamenta che, alla stregua dell’interpretazione che il "diritto vivente" riserva all’art. 444 cod. proc. pen., la sentenza di applicazione della pena prescinde dal previo accertamento non solo della responsabilità dell’imputato, ma della stessa sussistenza del fatto-reato;
che tale disciplina violerebbe i principi costituzionali della personalità della responsabilità penale e della presunzione di non colpevolezza sino alla condanna definitiva, nonchè il principio di ragionevolezza, creando una assurda disparità di trattamento tra imputati a seconda del rito applicato;
che ad avviso del giudice rimettente si tratta di "una concezione aberrante, sia sul piano etico che giuridico, perchè, scindendo pena da responsabilità, vulnera il principio fondamentale del diritto penale secondo cui non può esserci applicazione di pena (cioé condanna penale) senza accertamento di responsabilità";
che la questione di legittimità costituzionale non investirebbe, secondo l’opinione del rimettente, l’istituto del patteggiamento nel suo complesso, in quanto il giudice avrebbe la possibilità di acquisire la certezza morale della colpevolezza dell’imputato patteggiante sulla base sia della stessa richiesta di applicazione della pena, che comporta una implicita ammissione di responsabilità, sia degli atti delle indagini preliminari, ma solo la funzione della sentenza di applicazione della pena, che alla luce della consolidata giurisprudenza di legittimità non comporta un accertamento di responsabilità;
che nei vari giudizi é intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo, con distinti ma identici atti di intervento, che la questione sia dichiarata infondata.
Considerato che, in relazione al pressochè identico contenuto delle tre ordinanze, deve disporsi la riunione dei relativi giudizi;
che, a prescindere dalla plausibilità della ricostruzione operata dal giudice rimettente circa la natura della sentenza di applicazione della pena e delle conclusioni che egli trae dalla più recente giurisprudenza di legittimità in materia, la questione pone in realtà in discussione non solo la natura di tale sentenza, ma la stessa struttura e la disciplina complessiva dell’istituto dell’applicazione della pena su richiesta delle parti;
che, in effetti, la richiesta del giudice rimettente di una sentenza additiva ove si affermi che il giudice, nel pronunciare sentenza di applicazione della pena, debba accertare la colpevolezza dell’imputato, o dichiararlo colpevole del reato, ovvero pronunciare, quantomeno, condanna alla pena concordata tra le parti, comporterebbe una completa revisione dell’istituto in esame, in quanto la diversa natura che il rimettente vorrebbe attribuire alla sentenza di applicazione della pena rispetto a quella risultante dall’attuale disciplina non potrebbe non riflettersi sui controlli e sugli accertamenti giurisdizionali che il giudice é chiamato ad effettuare prima di accogliere la richiesta delle parti (per cui v. sentenze n. 155 del 1995, n. 116 del 1992, n. 313 del 1990), nonchè sugli effetti della sentenza medesima;
che, in particolare, al fine di rendere l’istituto dell’applicazione della pena adeguato alla qualificazione che il rimettente vorrebbe attribuire alla sentenza di cui all’art. 444, comma 2, cod. proc. pen., dovrebbe comunque essere riscritta ex novo la disciplina che attualmente subordina l’accoglimento della richiesta di applicazione della pena alla condizione che il giudice non debba pronunciare sentenza di proscioglimento a norma dell’art. 129 cod. proc. pen., e circoscrive il controllo giurisdizionale del giudice all’accertamento della correttezza della qualificazione giuridica del fatto e dell’applicazione e comparazione delle circostanze del reato, nonchè alla verifica sulla congruità della pena indicata dalle parti;
che tali interventi, in quanto incidenti sui meccanismi predisposti dal codice di rito per creare un opportuno equilibrio tra la struttura negoziale dell’istituto dell’applicazione della pena, basato sull’iniziativa delle parti, e gli irrinunciabili accertamenti e controlli giurisdizionali, sono riservati alla sfera di discrezionalità del legislatore;
che, anche con specifico riferimento alla disciplina dei procedimenti speciali, questa Corte ha ripetutamente affermato che sono inammissibili questioni formulate in termini tali da comportare interventi legislativi non costituzionalmente vincolati e, in quanto tali, rientranti nella sfera della discrezionalità del legislatore (v. sentenze n. 265 del 1994, 129 del 1993, nn. 187 e 92 del 1992);
che la questione deve pertanto essere dichiarata manifestamente inammissibile.
Visti gli artt. 26, comma secondo, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
riuniti i giudizi,
dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell’art. 444 del codice di procedura penale, sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 27 della Costituzione, dal Pretore di Catania, sezione distaccata di Acireale, con le ordinanze in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte Costituzionale, Palazzo della Consulta, il 27 novembre 1997.
Presidente: Francesco GUIZZI
Redattore: Guido NEPPI MODONA
Depositata in cancelleria il 11 dicembre 1997.