SENTENZA N. 129
ANNO 1993
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
Presidente
Prof. Francesco Paolo CASAVOLA
Giudici
Dott. Francesco GRECO
Prof. Gabriele PESCATORE
Avv. Ugo SPAGNOLI
Prof. Antonio BALDASSARRE
Prof. Vincenzo CAIANIELLO
Avv. Mauro FERRI
Prof. Luigi MENGONI
Prof. Enzo CHELI
Dott. Renato GRANATA
Prof. Giuliano VASSALLI
Prof. Francesco GUIZZI
Prof. Cesare MIRABELLI
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nei giudizi di legittimità costituzionale degli artt. 446, primo comma e 517 del codice di procedura penale, promossi con le seguenti ordinanze:
1) ordinanza emessa il 16 giugno 1992 dal Tribunale militare di Padova nel procedimento penale a carico di Monticelli Massimo Augusto, iscritta al n. 496 del registro ordinanze 1992 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n.40, prima serie speciale, dell'anno 1992;
2) ordinanza emessa il 10 luglio 1992 dal Tribunale di Nuoro nel procedimento penale a carico di Delussu Giovanni Antonio, iscritta al n.528 del registro ordinanze 1992 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 40, prima serie speciale, dell'anno 1992.
Visti gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nella camera di consiglio del 27 gennaio 1993 il Giudice relatore Ugo Spagnoli.
Ritenuto in fatto
l.- Dovendo decidere sulla richiesta di applicazione di pena concordata formulata a seguito della contestazione in udienza di un reato concorrente, il Tribunale militare di Padova, ritenendo di non poterla accogliere per nessuno dei due reati in quanto non presentata prima della dichiarazione di apertura del dibattimento, ha sollevato una questione di legittimità costituzionale dell'art. 446, primo comma, del codice di procedura penale, assumendone il contrasto con l'art. 3 della Costituzione.
Ad avviso del giudice a quo, il principio di uguaglianza sarebbe violato sia nella parte in cui preclude il c.d. patteggiamento rispetto al reato concorrente contestato nel corso dell'istruzione dibattimentale, sia nella parte in cui non consente la rimessione in termine per effettuare la relativa richiesta rispetto al reato contestato originariamente. Quanto al primo, perchè la nuova contestazione avviene comunque per ragioni estranee alla volontà dell'imputato. Quanto al secondo, perchè la richiesta di applicazione della pena, pur riguardando i reati nella loro individualità, tiene conto nelle sue insindacabili motivazioni della complessiva situazione processuale. Per cui, mutando quest'ultima con la contestazione del reato concorrente, sarebbe irragionevole che non ne consegua la cennata rimessione in termine.
l.l.- Il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, ha chiesto che la questione sia dichiarata inammissibile, sul rilievo che questa Corte, con la sentenza n. 593 del 1990 ha dichiarato non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 517 cod. proc. pen. nella parte in cui non consente, in caso di contestazione suppletiva, di rimettere in termini le parti per la richiesta dell'adozione di un rito speciale e che l'ordinanza in esame non prospetta alcun elemento di novità rispetto alla citata decisione.
2.- Nel corso di un procedimento nel quale il giudice per le indagini preliminari aveva disposto il giudizio immediato dopo aver rigettato l'istanza di giudizio abbreviato proposta dall'imputato con il consenso del pubblico ministero ed in cui quest'ultimo, al dibattimento, aveva contestato un reato concorrente in continuazione con quelli contestati originariamente, il Tribunale di Nuoro riteneva, su richiesta dell'imputato, che il processo avrebbe potuto essere definito allo stato degli atti dal giudice per le indagini preliminari (cfr. sentenza n. 23 del 1992) e che fosse perciò doverosa la decurtazione di un terzo della pena irroganda, in relazione ai reati per i quali l'imputato era stato rinviato a giudizio.
Poichè, però, tale decurtazione non è consentita per il reato contestato in dibattimento, il Tribunale ha sollevato, con ordinanza del 10 luglio 1992, una questione di legittimità costituzionale dell'art.517 cod. proc. pen., "laddove non prevede o la possibilità per l'imputato di poter chiedere il rito abbreviato, o la preclusione di contestazioni suppletive (così come, invece, previsto dall'art. 441, primo comma c.p.p.) nel caso di celebrazione del dibattimento, a seguito di rigetto da parte del G.I.P. del rito alternativo in questione prescelto dall'imputato medesimo".
Dato che l'interesse dell'imputato a beneficiare dei vantaggi che discendono dall'instaurazione del rito abbreviato - e tra questi, oltre alla riduzione della pena di un terzo, anche la preclusione per il pubblico ministero ad effettuare contestazioni nuove o suppletive - in tanto rileva, in quanto egli rinunzi al dibattimento (v. Corte cost., sentenza n. 593 del 1990) e che invece, nel caso di specie, l'imputato aveva chiesto l'applicazione di tale rito alternativo, che gli era stata ingiustificatamente negata, il giudice a quo considera irragionevole - e perciò in contrasto con l'art. 3 Cost. - l'esclusione dell'ulteriore vantaggio, rappresentato o dalla suddetta preclusione ovvero dalla possibilità di usufruire del beneficio della diminuzione di pena anche per il nuovo reato contestato; e parimenti irragionevole la discriminazione rispetto all'imputato che, per propria inerzia, non si sia avvalso della facoltà di richiedere il giudizio abbreviato.
Per gli stessi motivi, sarebbe altresì violato il diritto di difesa (art.24 Cost.).
2.l.- Il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, ha chiesto che la questione sia dichiarata non fondata, osservando che essa muove dall'erronea premessa di confondere il diritto di difesa costituzionalmente protetto con l'interesse di fatto che l'imputato possa avere in ordine ad una fra le tante "situazioni" che possono verificarsi nel corso del processo: mentre gli "interessi" che muovono le parti in ordine alle scelte sui riti alternativi sono riguardati come un fenomeno normativamente indifferente, e come tale inidoneo a incidere sui rispettivi diritti o poteri processuali.
Il legislatore è quindi libero di stabilire specifici momenti che precludono alle parti ulteriori opzioni sul rito da adottare, nel quadro di una necessaria regolamentazione delle singole cadenze processuali: e di conseguenza, è da escludere, ad avviso dell'Avvocatura, la violazione tanto del principio di ragionevolezza che del diritto di difesa, posto che quest'ultimo mantiene inalterata la propria essenza e le relative garanzie, sia nel caso in cui venga adottato un rito alternativo, sia, ed a fortiori, nell'ipotesi in cui, come nella specie, occorra procedere con il rito ordinario.
Considerato in diritto
l.- Poichè le due ordinanze indicate in epigrafe propongono questioni analoghe, è opportuna la riunione dei relativi giudizi.
2.- Con la prima di tali ordinanze, il Tribunale militare di Padova dubita che l'art. 446, primo comma, del codice di procedura penale, in quanto prevede che la richiesta di applicazione della pena di cui all'art. 444 possa essere formulata solo "fino alla dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado" - e con ciò la preclude per il reato concorrente contestato in dibattimento ed esclude, in caso di contestazione suppletiva, la rimessione in termini per formularla in relazione al reato oggetto della richiesta di rinvio a giudizio - contrasti con l'art. 3 della Costituzione.
Ad avviso del Tribunale, tali preclusioni sarebbero irragionevoli, in quanto la nuova contestazione avviene per ragioni estranee alla volontà dell'imputato ed altera la complessiva situazione processuale sulla quale si misura la valutazione circa l'opportunità di chiedere il c.d. patteggiamento.
2.l.- La questione non è fondata.
Questa Corte, infatti, ha più volte osservato, tanto a proposito dell'applicazione di pena concordata che del giudizio abbreviato, che l'interesse dell'imputato a beneficiare dei vantaggi conseguenti a tali giudizi in tanto rileva, in quanto egli rinunzi al dibattimento e venga perciò effettivamente adottata una sequenza procedimentale che con senta di raggiungere l'obiettivo di rapida definizione del processo perseguito dal legislatore con l'introduzione di detti riti speciali. Ed ha altresì ritenuto, più specificamente, che la preclusione all'ammissione di tali giudizi in caso di contestazione dibattimentale suppletiva non è affatto irragionevole. Si tratta, infatti, di un'evenienza che non è infrequente in un sistema processuale imperniato sulla formazione della prova in dibattimento ed è - soprattutto - ben prevedibile, dato lo stretto rapporto intercorrente tra l'imputazione originaria ed il reato connesso; e, per contro, di un'evenienza che è preclusa ove tali riti siano introdotti. Di conseguenza, il relativo rischio rientra naturalmente nel calcolo in base al quale l'imputato si determina a chiederli o meno, onde egli non ha che da addebitare a sè medesimo le conseguenze della propria scelta (cfr., tra le tante, le sentenze nn. 277 e 593 del 1990 e 316 del 1992, nonchè l'ordinanza n. 213 del 1992).
3.- Nell'ambito della suddetta tematica, il Tribunale di Nuoro prospetta, con la seconda delle ordinanze, un'evenienza del tutto particolare, e cioè che la contestazione dibattimentale suppletiva sia potuta avvenire non perchè l'imputato non ha tempestivamente chiesto il giudizio abbreviato, ma perchè la richiesta è stata rigettata dal giudice per le indagini preliminari e che, inoltre, tale reiezione sia ritenuta ingiustificata dal giudice del dibattimento. La circostanza che l'art.517 cod. proc. pen. non preveda, in relazione a quest'ipotesi, o la possibilità di formulare la richiesta per il nuovo reato ovvero la preclusione della contestazione suppletiva comporterebbe, ad avviso del Tribunale, una violazione degli artt. 3 e 24 della Costituzione, dato che sarebbe irragionevole - e violerebbe il diritto di difesa - privare l'imputato tanto di tale preclusione che del beneficio della riduzione della pena di un terzo e che egli sarebbe in tal modo discriminato rispetto all'imputato che, per propria inerzia, non si sia avvalso della facoltà di chiedere il giudizio abbreviato.
3.- La questione è inammissibile.
Essa, infatti, è prospettata in modo ancipite, dato che il giudice a quo propone in via alternativa due soluzioni al quesito prospettato - e cioé o che sia reso ammissibile il giudizio abbreviato per il reato concorrente contestato in dibattimento ovvero che sia preclusa, nell'ipotesi considerata, la contestazione suppletiva - senza concentrare sull'una o l'altra di esse la richiesta di una sentenza additiva.
Nessuna delle due soluzioni, comunque, potrebbe essere considerata come costituzionalmente obbligata, e quindi suscettibile di dar luogo a tale tipo di pronuncia.
La prima, infatti, impinge nella discrezionalità legislativa in quanto ipotizza che l'introduzione del giudizio abbreviato per il reato concorrente avvenga dinnanzi allo stesso giudice dibattimentale già investito della cognizione del reato originariamente contestato - anzichè dinnanzi al giudice per le indagini preliminari, normalmente deputato a tale incombente - e lascia comunque aperte le modalità di inserimento dell'un giudizio nell'altro nonchè i loro reciproci rapporti.
La seconda soluzione - quella, cioé, della preclusione di contestazioni suppletive - presuppone un'articolazione del sindacato sul provvedimento del giudice per le indagini preliminari reiettivo della richiesta di giudizio abbreviato diversa da quella che - in base alla sentenza n. 81 del 1991 - è stata delineata da questa Corte con la sentenza n. 23 del 1992.
Alla stregua di tale decisione, infatti, la valutazione sul se il predetto provvedimento di rigetto fosse o meno giustificato può effettuarsi solo all'esito del dibattimento. Di conseguenza, ancorare all'accertamento dell'erroneità dell'apprezzamento del giudice per le indagini preliminari la preclusione delle contestazioni suppletive sarebbe contraddittorio, dato che queste possono farsi "nel corso dell'istruzione dibattimentale" (art. 517 cod. proc. pen.).
La problematica prospettata dal giudice a quo pertanto richiede che il legislatore, nel rispetto dei principi posti a base della sentenza n. 23 del 1992, opportunamente realizzi, per ipotesi quale quella qui considerata, un appropriato congegno normativo che componga le interferenze tra giudizio abbreviato e giudizio dibattimentale; semprechè la disciplina del giudizio abbreviato non venga modificata secondo le indicazioni contenute nella sentenza n. 92 del 1992 di questa Corte.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
riuniti i giudizi,
1) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 446, primo comma, del codice di procedura penale, sollevata, in riferimento all'art. 3 della Costituzione, dal Tribunale militare di Padova con l'ordinanza in epigrafe.
2) dichiara l'inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell'art. 517 del medesimo codice, sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione, dal Tribunale di Nuoro con l'ordinanza in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 25/03/93.
Francesco Paolo CASAVOLA, Presidente
Ugo SPAGNOLI, Redattore
Depositata in cancelleria il 01/04/93.