Ordinanza n. 213 del 1992

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ORDINANZA N. 213

ANNO 1992

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

-        Dott. Aldo CORASANITI, Presidente

-        Prof. Giuseppe BORZELLINO

-        Dott. Francesco GRECO

-        Prof. Gabriele PESCATORE

-        Avv. Ugo SPAGNOLI

-        Prof. Francesco Paolo CASAVOLA

-        Prof. Antonio BALDASSARRE

-        Avv. Mauro FERRI

-        Prof. Luigi MENGONI

-        Prof. Enzo CHELI

-        Dott. Renato GRANATA

-        Prof. Francesco GUIZZI

-        Prof. Cesare MIRABELLI

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 446, 516 e 519 del codice di procedura penale, come richiamati dagli artt. 563 e 567 dello stesso codice, promosso con ordinanza emessa il 3 ottobre 1991 dal Pretore di Treviso nel procedimento penale a carico di Bolzan Francesco, iscritta al n. 704 del registro ordinanze 1991 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 48, prima serie speciale, dell'anno 1991.

Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 1 aprile 1992 il Giudice relatore Francesco Greco.

RITENUTO che il Pretore di Treviso, nel procedimento penale a carico di Bolzan Francesco, con ordinanza del 3 ottobre 1991 (R.O. n. 704 del 1991), ha sollevato questione di legittimità costituzionale degli artt.446, 516, 519 c.p.p., come richiamati dagli artt. 563 e 567 c.p.p., nella parte in cui non prevedono per l'imputato la possibilità di richiedere l'applicazione della pena ai sensi degli artt. 444 e segg. c.p.p., nel caso di modifica della imputazione nel corso dell'istruttoria dibattimentale;

che, a parere del remittente, sarebbero violati: a) l'art. 3, primo comma, della Costituzione, risultando ingiustamente discriminata la posizione degli imputati che nel corso del dibattimento si trovino a rispondere di fatti e reati diversi da quelli di cui all'originario capo d'imputazione; b) l'art. 24, secondo comma, della Costituzione, per la compressione del diritto di difesa del quale è esplicazione la facoltà di avvalersi dei riti speciali previsti dall'ordinamento;c) l'art. 27, terzo comma, della Costituzione, perchè verrebbero frustrate le finalità speciali preventive della pena che trovano concreta attuazione nel riconoscimento all'imputato della facoltà di ricorrere al patteggiamento;

che nel giudizio è intervenuta, in rappresentanza del Presidente del Consiglio dei ministri, l'Avvocatura Generale dello Stato, la quale ha concluso per l'infondatezza della questione rilevando che la peculiarità del rito di cui agli artt. 444 e segg. c.p.p. consiste nell'applicazione di una pena concordata dalle parti quale corrispettivo della rinuncia al dibattimento e che rientra tra le valutazioni sulle quali si fonda la scelta del rito la evenienza della modificazione dell'imputazione a seguito della istruttoria dibattimentale, non infrequente nell'attuale sistema processuale penale il quale riserva al dibattimento la formazione della prova.

CONSIDERATO che il rito speciale di cui agli artt. 444 e segg. c.p.p. ha come peculiarità, in stretto collegamento, la rinuncia da parte dell'imputato al dibattimento con l'assunzione del conseguente rischio e la concessione del beneficio della riduzione della pena quale incentivo per la scelta del detto rito;

che il termine per avanzare la domanda di applicazione della pena su richiesta delle parti è logicamente individuato nella dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado, dopo la quale non sarebbero più giustificati i benefici concessi all'imputato nè dallo scopo, ormai impossibile, di eliminare il dibattimento, nè dalle scelte fatte dall'imputato, e non risulterebbe realizzata la finalità dell'istituto di assicurare la rapida definizione del maggior numero di processi (sentt. nn.277 e 593 del 1990; ordd. n. 355 e 421 del 1990);

che, come ha osservato l'Avvocatura Generale dello Stato, rientra nelle valutazioni che lo stesso imputato deve compiere ai fini della determinazione alla scelta del rito la evenienza della modificazione dell'imputazione a seguito dell'istruttoria dibattimentale, non infrequente nell'attuale sistema processuale penale il quale riserva al dibattimento la formazione della prova, mentre nella fase preliminare si raccolgono solo gli elementi sufficienti per la formulazione dell'accusa e il rinvio al giudizio;

che in tale situazione non sussiste la denunciata disparità di trattamento tra imputati per i quali sia stato aperto il dibattimento e imputati per i quali non lo sia stato, trattandosi di situazioni non omogenee; non è compresso il diritto alla difesa e non risultano frustrate le finalità della pena non connesse al c.d. patteggiamento;

che, pertanto, la questione è manifestamente infondata.

Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, secondo comma, delle Norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale degli artt. 446, 516 e 519 del codice di procedura penale, come richiamati per il procedimento pretorile dagli artt. 563 e 567 dello stesso codice, nella parte in cui non prevedono, in caso di modifica dell'imputazione nel corso dell'istruttoria dibattimentale, la possibilità per l'imputato di richiedere l'applicazione della pena ai sensi degli artt.444 e segg. del codice di procedura penale, in riferimento agli artt. 3, primo comma, 24, secondo comma, e 27, terzo comma, della Costituzione, sollevata dal Pretore di Treviso con l'ordinanza in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 04/05/92.

Aldo CORASANITI, Presidente

Francesco GRECO, Redattore

Depositata in cancelleria il 11/05/92.