Sentenza n. 155 del 1995

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SENTENZA N.155

ANNO 1995

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

-     Prof. Antonio BALDASSARRE, Presidente

-     Prof. Vincenzo CAIANIELLO

-     Avv. Mauro FERRI

-     Prof. Luigi MENGONI

-     Prof. Enzo CHELI

-     Dott. Renato GRANATA

-     Prof. Giuliano VASSALLI

-     Prof. Francesco GUIZZI

-     Prof. Cesare MIRABELLI

-     Prof. Fernando SANTOSUOSSO

-     Avv. Massimo VARI

-     Dott. Cesare RUPERTO

-     Dott. Riccardo CHIEPPA

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 8, commi 1 e 2, della legge 15 dicembre 1990, n. 396 (Interventi per Roma, capitale della Repubblica), promosso con ordinanza emessa l'11 maggio 1994 dal Consiglio di Stato sui ricorsi riuniti proposti dal Comune di Roma contro il Consorzio "Direzionalità 21" ed altri iscritta al n. 322 del registro ordinanze 1994 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 24, prima serie speciale, dell'anno 1994.

Visti gli atti di costituzione del Consorzio "Direzionalità 21" ed altri, del Consorzio "Portonaccio '82", del Consorzio Centro Direzionale Casilino ed altro, della s.p.a. Sistemi Urbani, del Comune di Roma; udito nell'udienza pubblica del 21 marzo 1995 il Giudice relatore Renato Granata; uditi gli avv.ti Federico Mannucci per il Consorzio "Direzionalità 21" ed altri e per il Consorzio "Portonaccio '82", Gianfilippo Delli Santi per il Consorzio "Centro Direzionale Casilino ed altro", Nicola Carnovale per il Comune di Roma.

Ritenuto in fatto

1. - Con ordinanza dell'11 gennaio 1994 il Consiglio di Stato - premesso che con deliberazione del 5 giugno 1991 n. 177 il Consiglio comunale di Roma, in attuazione dell'art. 8 della legge 15 dicembre 1990, n.396, si era determinato a procedere in forma completa e contestuale alla espropriazione di tutte le aree destinate all'attuazione del sistema direzionale orientale e che tale delibera, impugnata da parte di consorzi, società e persone fisiche proprietarie delle aree espropriate, era stata annullata dal T.A.R. del Lazio - ha sollevato (nel corso del giudizio di appello) questione incidentale di legittimità costituzionale dell'art. 8, commi 1 e 2, della legge 15 dicembre 1990, n. 396 in riferimento agli artt. 3 e 42, terzo comma, Cost.

Il Consiglio di Stato rimettente parte dal presupposto interpretativo che la formulazione letterale dell'art. 8 cit. - nella parte in cui prevede che gli immobili espropriati, eccettuati quelli destinati ad utilizzazioni da parte del comune di Roma o comunque interessati alla localizzazione delle sedi pubbliche, sono dal comune ceduti, anche tramite asta pubblica, in proprietà o in diritto di superficie a soggetti pubblici o privati che si impegnano mediante apposite convenzioni ad effettuare le previste trasformazioni ed utilizzazioni - induce a ricomprendere nella facoltà di esproprio generalizzato ogni area appartenente al sistema di rezionale orientale secondo lo strumento urbanistico del comune di Roma. Ed infatti gli immobili presi in considerazione dall'art. 8 (e quindi acquisibili tramite espropriazione) sono non solo quelli riservati ad interventi pubblici e destinati alla definitiva avocazione alla mano pubblica, ma anche quelli (direzionali o residenziali) riservati ad interventi privati e destinati ad essere riassegnati, dopo l'espropriazione, al mercato. Nè il terzo comma dell'art. 8, che richiama l'applicabilità dell'art. 27 della legge 22 ottobre 1971, n. 865 concernente i piani per gli insediamenti produttivi, può indurre ad intendere anche i commi precedenti nel senso di circoscrivere l'espropriabilità alle sole aree direzionali, con esclusione di quelle residenziali, in quanto la disposizione si limita ad estendere la facoltà, per l'Amministrazione comunale, di utilizzare lo strumento di cui all'art. 27 <<anche per insediamenti per attività terziarie e direzionali>>, ma non preclude (secondo la previsione dei commi precedenti) l'impiego del modello espropriativo generalizzato anche per le aree a destinazione residenziale.

Così interpretato quindi l'art. 8 nel senso di consentire l'esproprio generalizzato delle aree del sistema direzionale orientale e quindi anche di quelle destinate ad interventi privati il Consiglio di Stato ritiene non manifestamente infondata - oltre che rilevante dovendo farsi applicazione della normativa censurata - la questione di costituzionalità (in relazione all'art. 42, terzo comma, Cost.) della prevista estensione dell'esproprio generalizzato anche alle aree con destinazione meramente residenziale atteso che la norma censurata non indica esplicitamente i motivi di interesse generale dell'espropriabilità anche di tali aree.

D'altra parte le aree residenziali non restano acquisite alla mano pubblica, nè vanno utilizzate per particolari finalità solidaristiche o di politica economica, ma vanno cedute, anche tramite asta pubblica, in proprietà o in diritto di superficie a soggetti pubblici o privati che si impegnano mediante apposite convenzioni ad effettuare le previste trasformazioni ed utilizzazioni. Il rispetto del precetto costituzionale, secondo cui una espropriazione non può essere consentita dalla legge se non per "motivi di interesse generale" (o per "pubblica utilità"), ossia se non quando lo esigano ragioni importanti per la collettività, comporta la necessità che la legge indichi le ragioni per le quali si può far luogo all'espropriazione. Si ha invece - secondo il giudice rimettente - che mentre per le aree a destinazione direzionale l'esproprio generalizzato è strettamente connesso alla realizzazione del sistema direzionale orientale, altrettanto non può dirsi per le aree residenziali non essendo ravvisabile nè la finalità di assicurare all'Amministrazione comunale il costante controllo dell'intervento, nè quella di garantirle autosufficienza finanziaria, nè quella di calmierare i prezzi delle aree medesime.

Un'ulteriore censura poi muove l'ordinanza di rimessione con riferimento all'art. 3 Cost. per violazione del principio di eguaglianza in ragione della disparità tra i proprietari delle aree assoggettabili ad esproprio e quelli delle aree, parimenti residenziali ma esterne al settore interessato dalla previsione urbanistica, che invece non sono espropriabili.

2. - Si è costituito il Comune di Roma sostenendo - anche con una successiva memoria - l'infondatezza della questione di costituzionalità.

Osserva in particolare la difesa che la normativa censurata presuppone, ed assume a proprio contenuto, le previsioni del Piano Regolatore Generale di Roma, nella parte in cui prevede il sistema direzionale orientale come uno dei punti qualificanti della programmazione urbanistica e dell'assetto del territorio della Capitale. Il legislatore statale, nel prendere atto che l'assetto della città di Roma costituisce anche una questione di rilevanza nazionale, ha assunto il sistema direzionale orientale quale obiettivo prioritario, da realizzarsi anche col concorso finanziario e patrimoniale dello Stato. A tal fine ha approntato una disciplina speciale ritenendo inadeguati i modelli ordinari di attuazione del P.R.G. (piani particolareggiati e lottizzazioni convenzionate). La ritenuta sussistenza dei motivi di interesse generale che giustificano l'esproprio anche delle aree a destinazione residenziale ricadenti in quelle interessate dal sistema direzionale orientale rende poi ragione della disciplina differenziata rispetto a quella delle aree, anch'esse residenziali, esterne all'area suddetta.

3. - Si è costituita la società Sistemi Urbani S.p.A. concludendo per l'illegittimità costituzionale della norma censurata.

Analoga conclusione hanno rassegnato, nel costituirsi, il Consorzio Portonaccio '82, Il Consorzio Centro Direzionale Casilino, la società La Serapide S.r.l., il Consorzio "Direzionalità 21". Le parti private hanno poi presentato memorie in cui hanno sostenuto innanzi tutto l'inammissibilità della questione di costituzionalità perchè fondata su un presupposto interpretativo erroneo giacchè - come ritenuto dal T.A.R. Lazio nella sentenza di primo grado - la norma censurata non prevede affatto l'esproprio generalizzato di tutte le aree ricadenti nel sistema direzionale orientale, comprese quelle a destinazione meramente residenziale, atteso che nè l'art. 8 censurato, nè l'art. 27 della legge n. 865 del 1971 (richiamato dall'art. 8) ad esse fanno alcun riferimento.

In via subordinata la difesa delle parti private ha sostenuto l'incostituzionalità della disposizione censurata perchè non indica i motivi di interesse generale che consentirebbero l'esproprio generalizzato; motivi che non sono rinvenibili nel disposto dell'art. 1, lettera a), della legge n.396 del 1990 atteso che le aree residenziali non rientrano nè tra quelle destinate agli interventi per la realizzazione del sistema direzionale orientale, nè tra le connesse infrastrutture, nè infine ricadono nella più generale finalità di riqualificazione del tessuto urbano e sociale del quadrante Est di Roma. È stato poi sottolineato che in un quadro normativo della proprietà privata delle aree urbane edificabili assolutamente disciplinato sotto ogni profilo degli strumenti urbanistici e quindi in un regime di proprietà privata delle aree urbane funzionalizzato e conformato in modo da assicurarne la funzione sociale, l'espropriazione prevista dall'art. 42, terzo comma, Cost. può assumere soltanto il carattere di sanzione in caso di inerzia dei privati (salve naturalmente le espropriazioni per opere di pubblica utilità specifiche ed infungibili).

Considerato in diritto

1. - È stata sollevata questione incidentale dell'art. 8, commi 1 e 2, della legge 15 dicembre 1990, n. 396 (Interventi per Roma, capitale della Repubblica) nella parte in cui prevede l'esproprio generalizzato di tutte le aree destinate all'attuazione del sistema direzionale orientale del comune di Roma e quindi anche delle aree con destinazione residenziale per sospetta violazione sia dell'art. 42, terzo comma, Cost. perchè non sono indicati, nè sono identificabili, i <<motivi di interesse generale>> che giustifichino l'ablazione; sia dell'art. 3 Cost. per disparità di trattamento tra proprietari di aree con destinazione residenziale essendo assoggettate ad espropriazione solo quelle ricadenti nella zona destinata all'attuazione del sistema direzionale orientale.

2. - Va premesso che la citata legge n.396 del 1990 ha identificato una serie di interventi funzionali all'assolvimento da parte della città di Roma del ruolo di capitale della Repubblica, interventi che l'art. 1 qualifica come <<di preminente interesse nazionale>> indicando, nel catalogarli distintamente, innanzi tutto quelli diretti a <<realizzare il sistema direzionale orientale e le connesse infrastrutture, anche attraverso una riqualificazione del tessuto urbano e sociale del quadrante Est della città, nonchè definire organicamente il piano di localizzazione delle sedi del Parlamento, del Governo, delle amministrazioni e degli uffici pubblici anche attraverso il conseguente programma di riutilizzazione dei beni pubblici>>; obiettivo questo coerente con il Piano Regolatore Generale di Roma (d.P.R. 16 dicembre 1965 e successive varianti) che già prevedeva la riqualificazione di tale quadrante orientale della città (zona I: art. 12 delle norme tecniche di attuazione del piano) destinandolo ad insediamenti misti (attività direzionali e terziarie, residenze, servizi).

Per la realizzazione di tale sistema direzionale orientale il successivo art. 8 - oggetto, nei suoi due primi commi, delle censure mosse dal Consiglio di Stato rimettente - detta norme in materia di espropriazione, prevedendo innanzi tutto (al primo comma) che il Comune adotti un programma pluriennale contenente l'indicazione degli <<ambiti>> da acquisire tramite espropriazione e della cadenza temporale degli espropri (prescrizione questa che si salda con il precedente art. 7 che introduce uno speciale e settoriale criterio di quantificazione dell'indennità di espropriazione); contempla poi (al secondo comma) la destinazione degli immobili così espropriati distinguendo tra quelli interessati alla localizzazione delle sedi pubbliche o comunque utilizzabili da parte del Comune stesso e tutti gli altri; per questa seconda categoria è prevista la ricollocazione sul mercato in favore di soggetti pubblici o privati mediante atti di cessione (in proprietà o in diritto di superficie) degli immobili stessi, anche mediante asta pubblica; agli atti di cessione aderiscono apposite convenzioni che impegnano il cessionario ad effettuare le previste trasformazioni ed utilizzazioni; il prezzo di cessione, determinato sulla base del costo di acquisizione (essenzialmente l'indennità di espropriazione), è maggiorato delle quote proporzionali dei costi delle opere comunali per la sistemazione e l'urbanizzazione degli ambiti in cui ricadono gli immobili ceduti. Viene quindi approntato all'Amministrazione comunale uno strumento molto duttile e allo stesso tempo incisivo al fine del controllo dell'intera operazione di realizzazione del sistema direzionale orientale, strumento modulato e scandito in una duplice: la prima a carattere generale rappresentata dall'esproprio per zone (istituto questo già noto all'ordinamento) e la seconda a carattere individuale connotata dall'abbinamento della cessione alla convenzione.

Infine il terzo comma dell'art. 8 detta poi una ulteriore prescrizione richiamando l'applicabilità dell'art. 27 della legge 22 ottobre 1971, n.865, che facoltizza il Comune, previa autorizzazione della Regione, ad adottare un piano delle aree da destinare a insediamenti produttivi (che ha valore di piano particolareggiato di esecuzione del piano regolatore generale), estendendone la previsione anche agli insediamenti per attività terziarie e direzionali.

3. - L'ordinanza del Consiglio di Stato rimettente parte dal presupposto interpretativo che gli <<ambiti>> di cui al primo comma dell'art. 8 siano tutti quelli compresi nella localizzazione, operata dal Piano regolatore generale del Comune di Roma, del sistema direzionale orientale, senza possibilità in particolare di distinguere (in disparte le aree interessate alla localizzazione delle sedi pubbliche ovvero utilizzabili dal Comune) tra aree destinate ad insediamenti produttivi o ad attività terziarie e direzionali ed aree destinate ad attività residenziali; distinzione questa invece risultante dal terzo comma della medesima disposizione quanto alla facoltà del Comune di adottare il piano di cui all'art. 27 cit. E da tale interpretazione - ancorchè contestata dalla difesa di talune parti private - la Corte ritiene di prendere le mosse, in quanto ampiamente e plausibilmente motivata, nel procedere allo scrutinio della questione sottoposta al suo esame.

Resta quindi fermo, ai fini della verifica di costituzionalità, che la norma enucleabile dalla disposizione censurata, da porre in raffronto con i parametri evocati, reca una fattispecie di esproprio generalizzato, limitatamente alle aree ricadenti in quelle che definiscono il sistema direzionale orientale; esproprio che così comprende anche le aree a destinazione residenziale, le sole rispetto alle quali il giudice rimettente sospetta la violazione dei parametri evocati.

4. - Quanto al primo parametro (art. 42, terzo comma) il Consiglio di Stato rimettente ritiene che i <<motivi di interesse generale>>, che indefettibilmente devono sussistere perchè sia possibile l'espropriazione della proprietà privata, siano identificabili per le aree a destinazione direzionale, mentre dubita della loro riconoscibilità per quelle a destinazione residenziale.

Va in proposito innanzi tutto ribadito - in conformità con la giurisprudenza di questa Corte (sent. n. 95 del 1966) - che i motivi di interesse generale, che rendono possibile l'espropriazione della proprietà privata, valgono non solo ad escludere che il provvedimento ablatorio possa perseguire un interesse meramente privato, ma richiedono anche che esso miri alla <<soddisfazione di effettive e specifiche esigenze rilevanti per la comunità>> (sentenza n. 95 del 1966 cit.) in funzione delle quali l'utilizzazione del bene trasferito sia concreta ed attuale e non già meramente ipotetica.

L'identificazione di tali esigenze, che danno contenuto ai motivi di interesse generale, può rinvenirsi (come nella fattispecie in esame: v. infra) nella stessa legge che prevede la potestà ablato ria; come anche in essa può trovarsi definita soltanto la fattispecie astratta (a mezzo di clausola generale) che implica poi l'individuazione in concreto dei motivi di interesse generale mediante la dichiarazione di pubblica utilità dell'opera da realizzarsi sull'area espropriata o da acquisire alla mano pubblica. La valutazione di costituzionalità di siffatto requisito non tocca però la scelta discrezionale del legislatore (riservata alla valutazione politica e di merito del Parlamento) di perseguire proprio con lo strumento espropriativo obiettivi riconoscibili come <<motivi di interesse generale>> sempre che non appaia una palese irragionevolezza nella scelta del mezzo rispetto al fine ovvero una rilevante sproporzione tra l'interesse generale e lo strumento prescelto con correlativo sacrificio del proprietario dell'immobile trasferito, compensato dall'indennizzo espropriativo. Identificazione che - per richiamare in chiave paradigmatica la giurisprudenza formatasi in riferimento ad altre fattispecie - questa Corte (sentenza n. 44 del 1966) ha in passato operato con riferimento all'art. 13 della legge 5 marzo 1963, n. 246, ritenendo che i motivi di interesse generale fossero ravvisabili nel fine di formare un patrimonio comunale di aree fabbricabili per favorire lo sviluppo edilizio, urbanistico ed economico del territorio.

Così pure la Corte in altra pronuncia (sentenza n.95 del 1966) ha ritenuto sussistere i motivi di interesse generale con riferimento all'espropriazione del diritto di usufrutto (peraltro in favore del nudo proprietario), prevista dall'art. 15 della legge regionale siciliana 27 dicembre 1950, n.104, in funzione della più agevole esecuzione dei piani particolari di trasformazione agraria imposti ai proprietari; e nell'operare la valutazione della norma censurata limitandosi ad escluderne la lamentata arbitrarietà o irragionevolezza, la Corte ha precisato che <<un esame più penetrante comporterebbe un controllo delle scelte, lato sensu politiche, del legislatore, che è sottratto alla competenza della Corte>> (sentenza n.95 del 1966 cit.).

5. - Anche nella fattispecie in esame il giudizio di ragionevolezza, che - come già specificato - viene richiesto dal Consiglio di Stato con riferimento alle sole aree residenziali, conduce ad una pronuncia di non fondatezza della questione di costituzionalità.

Da una parte è la stessa fonte primaria che indica (all'art. 8 censurato) la finalità della prevista facoltà di esproprio generalizzato nella realizzazione del sistema direzionale orientale e che (al precedente art. 1, lett. a), espressamente richiamato dall'art. 8), qualifica - come già evidenziato - tale realizzazione, unitamente a quella delle connesse infrastrutture, come di <<preminente interesse nazionale>>. Ed è tale interesse, sotteso alla norma censurata, a giustificare il potere espropriativo essendo in esso all'evidenza riconoscibili i motivi di interesse generale, prescritti dal parametro invocato. Presupposto questo che, riconosciuto anche dal Consiglio di Stato rimettente per tutte le aree diverse da quelle residenziali, è in realtà identificabile anche per queste ultime.

Ed infatti è indubbio che lo specifico del sistema direzionale orientale sia rappresentato dalla dislocazione di opere pubbliche e da insediamenti a carattere direzionale nel dichiarato intento, riconosciuto dallo stesso Consiglio di Stato rimettente, di decongestionare il centro storico e di contrastarne la c.d. "terziarizzazione". Ma ciò avviene - secondo la scelta di fondo operata dal legislatore - non già sulla base di una mera predisposizione degli strumenti urbanistici di controllo dell'assetto del territorio e di indirizzo e (talora anche) di stimolo dell'attività edificatoria di soggetti privati e pubblici, bensì sulla base di un più radicale (ed ambizioso) progetto di profonda trasformazione di un'ampia area del territorio comunale, trasformazione che, proprio per l'entità delle sue dimensioni, è potenzialmente produttiva di effetti indotti non solo nel centro storico, ma anche nei vari comprensori confinanti e verosimilmente su tutto il territorio comunale.

Questa progettata traslazione del polo di attrazione della direzionalità pubblica e privata, proprio per la radicalità dell'intervento implicante la modifica delle condizioni di lavoro e delle consuetudini di vita per una considerevole parte della collettività comunale, rende sufficiente ragione sia del previsto più incisivo controllo dell'Amministrazione comunale (anche quanto ai tempi di realizzazione) a mezzo dello strumento dell'esproprio generalizzato, sia del coinvolgimento in particolare anche delle aree con destinazione residenziale per la sinergia che ne consegue in termini di concreta maggiore realizzabilità dell'intero progetto allorchè gli insediamenti direzionali si innestino in un effettivo contesto abitativo e non rimangano invece isolati in attesa dell'utilizzazione edificatoria (seppur incentivabile) delle medesime aree residenziali.

Questa necessaria interazione delle varie componenti (pubbliche e private, direzionali e residenziali) del complessivo quadro di interventi è stata non irragionevolmente considerata dal legislatore al fine di non escludere le aree residenziali dalla facoltà di esproprio generalizzato.

D'altra parte il carattere generalizzato dell'esproprio rende i proprietari delle aree indifferenti alla destinazione delle stesse eliminando in radice il rischio che su alcune aree piuttosto che su altre si accumuli un incremento di valore quale effetto indotto dal complessivo intervento di riqualificazione della zona. Nè la mancata imposizione normativa di strumenti sollecitatori dell'iniziativa spontanea del proprietario dell'area per prevenire ed evitare l'espropriazione costituisce in tale fattispecie sintomo della carenza, per le aree residenziali, dei motivi di interesse generale. È ancora una volta la dimensione dell'intervento complessivo a palesare la non irragionevolezza della possibilità di contestuale acquisizione di tutte le aree, strumentale anche al pieno controllo da parte dell'Amministrazione comunale dei tempi di realizzazione del sistema direzionale orientale, tempi che risulterebbero inevitabilmente frazionati là dove l'espropriazione delle aree residenziali fosse sistematicamente condizionata alle singole eventuali inadempienze dei soggetti proprietari. Non senza considerare che nella specie non si tratta di mera espansione residenziale, ma della realizzazione di nuovi insediamenti abitativi proporzionati alla dimensione complessiva dell'intervento di tipo direzionale e al trasferimento di sedi ed uffici pubblici sicchè è necessario non precludere all'Amministrazione la possibilità di disegnare le aree specialmente destinate a tali insediamenti nel modo più opportuno per raggiungere la finalità perseguita senza l'eventuale ostacolo o difficoltà della appartenenza a diversi proprietari delle aree medesime. La circostanza poi che l'esproprio generalizzato sia soltanto una facoltà e non un obbligo lascia spazio all'Amministrazione comunale di decidere se procedere o meno all'espropriazione di quegli immobili che siano già coerenti con l'intervento complessivo programmato ovvero i cui proprietari si impegnino a realizzare i previsti insediamenti residenziali con i moduli convenzionali prescelti dall'Amministrazione facendosi comunque carico al soggetto non espropriato delle quote proporzionali dei costi delle opere comunali per la sistemazione e l'urbanizzazione degli ambiti in cui ricadono le aree medesime, in conformità del modello di cui al secondo comma dell'art. 8.

6. - Infondato è anche l'ulteriore profilo di sospetta incostituzionalità dedotto dal Consiglio di Stato. La assunta disparità di trattamento tra proprietari di aree con destinazione residenziale secondo che ricadano, o meno, nella zona destinata all'attuazione del sistema direzionale orientale rappresenta null'altro che una conseguenza dell'identificazione delle zone operata con il vigente strumento urbanistico e non discende affatto dalla norma censurata, la quale invece - nel disciplinare l'espropriazione delle aree destinate alla realizzazione del sistema direzionale orientale - presuppone come già avvenuta tale identificazione.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 8, commi 1 e 2, della legge 15 dicembre 1990, n. 396 (Interventi per Roma, capitale della Repubblica) sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 42, terzo comma, della Costituzione, dal Consiglio di Stato con l'ordinanza indicata in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 05/05/95.

Antonio BALDASSARRE, Presidente

Renato GRANATA, Redattore

Depositata in cancelleria il 08/05/95.