Sentenza n. 175

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SENTENZA N. 175

ANNO 1997

 

REPUBBLICA ITALIANA

In nome del Popolo italiano

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

- Dott. Renato GRANATA, Presidente

- Prof. Giuliano VASSALLI

- Prof. Francesco GUIZZI

- Prof. Cesare MIRABELLI

- Prof. Fernando SANTOSUOSSO

- Avv. Massimo VARI

- Dott. Cesare RUPERTO

- Dott. Riccardo CHIEPPA

- Prof. Gustavo ZAGREBELSKY

- Prof. Valerio ONIDA

- Prof. Carlo MEZZANOTTE

- Prof. Guido NEPPI MODONA  

- Prof. Piero Alberto CAPOTOSTI  

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 3, comma 1, della legge 29 gennaio 1994, n. 87 (Norme relative al computo dell'indennità integrativa speciale nella determinazione della buonuscita dei pubblici dipendenti), promosso con ordinanza emessa il 30 novembre 1995 dal Tribunale amministrativo regionale per il Veneto, sul ricorso proposto da Turcato Anna Maria ed altri contro l'ENPAS ed altri, iscritta al n. 458 del registro ordinanze 1996 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 21, prima serie speciale, dell'anno 1996.

Visto l'atto di costituzione di Turcato Anna Maria ed altri nonchè l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell'udienza pubblica dell'8 aprile 1997 il Giudice relatore Cesare Ruperto;

uditi l'avv.to Angelo Foletto per Turcato Anna Maria ed altri e l'Avvocato dello Stato Giuseppe Stipo per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

1. -- Nel corso di un giudizio amministrativo -- promosso con ricorso notificato il 23 giugno 1994 da dipendenti del Ministero della pubblica istruzione, cessati dal servizio in periodi di tempo ricompresi tra il 1982 ed il 1986, al fine di ottenere l'accertamento del rispettivo diritto al computo totale dell'indennità integrativa speciale nella buonuscita -- il Tribunale amministrativo regionale per il Veneto, con ordinanza emessa il 30 novembre 1995, ha sollevato, in riferimento all'art. 3 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell'art. 3, comma 1, della legge 29 gennaio 1994, n. 87 (Norme relative al computo dell'indennità integrativa speciale nella determinazione della buonuscita dei pubblici dipendenti), nella parte in cui esclude dall'applicazione del beneficio della rideterminazione del computo dell'indennità di buonuscita tutti quei soggetti che siano cessati dal servizio prima del 30 novembre 1984.

Secondo il rimettente, il termine decennale di prescrizione del diritto derivante dalla dichiarazione di illegittimità costituzionale delle disposizioni che non stabilivano "meccanismi legislativi di computo dell'indennità integrativa speciale, secondo criteri di riequilibrio, di compensazione e di omogeneizzazione dei trattamenti di fine rapporto che devono essere stabiliti dal legislatore" (pronunciata con sentenza n. 243 del 1993), avrebbe dovuto viceversa decorrere -- ex art. 30 della legge 11 marzo 1953, n. 87 -- retroagendo di un decennio dal giorno di cessazione di efficacia erga omnes delle disposizioni ritenute incostituzionali (a seguito della pubblicazione in Gazzetta Ufficiale della menzionata sentenza, avvenuta il 26 maggio 1993) e quindi essere fissato al 27 maggio 1983.

Ulteriore profilo di arbitrarietà del termine in questione viene ravvisato nella sua coincidenza con la data di cessazione dal servizio dell'interessato, anzichè con quella della materiale liquidazione dell'indennità integrativa speciale, in quanto i termini di prescrizione di un diritto di contenuto esclusivamente economico non possono decorrere se esso non é certo, liquido ed esigibile, essendo irrazionale avere collegato la perdita del diritto alla riliquidazione ad un evento (cessazione dal servizio) di per sè inidoneo ai fini della relativa prescrizione.

Rileva, infine, il rimettente come il legislatore non abbia tenuto conto della peculiarità del rapporto di lavoro degli insegnanti, i quali non sono affatto liberi di scegliere il momento che essi reputano più conveniente per lasciare il servizio, ma sono vincolati da ben precise norme settoriali che li pongono obbligatoriamente in quiescenza a decorrere dal 1° settembre di ogni anno. Da ciò, la palese disparità di trattamento -- rispetto a tutti gli altri dipendenti del comparto statale -- del personale docente, per il quale non varrebbe la regola generale della prescrizione decennale dei diritti, ma quella deteriore di una prescrizione novennale.

2. -- E' intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato dall'Avvocatura generale dello Stato, che ha concluso per la manifesta infondatezza della questione.

Affermata la discrezionalità spettante al legislatore nel fissare il limite per l'attribuzione del beneficio stabilito dalla legge n. 87 del 1994, osserva l'Avvocatura come il termine del 30 novembre 1984 risulta intimamente ricollegato alla data del 1° dicembre 1994, momento in cui -- come previsto dall'art. 1, comma 1, della stessa legge -- l'indennità integrativa speciale viene concretamente computata nella base di calcolo della buonuscita e di analoghi trattamenti di fine rapporto: la qual cosa comporta una ragionevole retrodatazione del beneficio in questione, che coincide con il limite prescrizionale di dieci anni previsto dall'art. 2, terzo comma, del regio decreto-legge n. 295 del 1939, essendo erroneo riferire la decorrenza del suddetto termine alla data di pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale della sentenza n. 243 del 1993.

Inoltre, l'opzione sottesa alla fissazione del limite di decorrenza uguale per tutti, non rende affatto deteriore -- secondo l'Avvocatura -- il trattamento riservato al personale docente, il quale semmai é avvantaggiato, rispetto alla generalità dei pubblici dipendenti, dal peculiare regime di collocamento in quiescenza. Nè può dirsi contrastante con il canone di ragionevolezza il riferimento al momento di cessazione dal servizio, anzichè a quello della materiale esazione del beneficio, poichè la scelta normativa risponde ad un criterio logico-giuridico di carattere generale che semplifica e rende facilmente individuabili i beneficiari del trattamento in questione, il cui relativo diritto é sorto solo con l'emanazione della legge n. 87 del 1994.

3. -- Si sono costituite altresì le parti private del giudizio a quo, che hanno concluso per l'accoglimento della questione in conformità alle motivazioni svolte nell'ordinanza di rimessione, che vengono fatte proprie, nonchè a quelle contenute nella sentenza n. 439 del 1994, in cui la Corte sottolinea la peculiarità del regime di collocamento a riposo del personale docente rispetto a quello generale valevole per i restanti comparti del pubblico impiego.

Considerato in diritto

1. -- Il Tribunale amministrativo regionale per il Veneto dubita della legittimità costituzionale dell'art. 3, comma 1, della legge 29 gennaio 1994, n. 87 (Norme relative al computo dell'indennità integrativa speciale nella determinazione della buonuscita dei pubblici dipendenti), nella parte in cui esclude dall'applicazione del beneficio del computo in misura percentuale dell'indennità integrativa speciale nella base di calcolo dell'indennità di buonuscita, e di analoghi trattamenti di fine servizio, i dipendenti che siano cessati dal servizio prima del 30 novembre 1984.

Secondo il collegio rimettente, la norma censurata si porrebbe in contrasto con l'art. 3 Cost.:

a) perchè il termine di prescrizione decennale del diritto alla conseguente riliquidazione dell'indennità di buonuscita avrebbe dovuto decorrere dalla data di pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale -- avvenuta in data 26 maggio 1993 -- della sentenza n. 243 del 1993 (con la quale la Corte aveva dichiarato l'illegittimità costituzionale delle norme che non stabilivano meccanismi di computo dell'indennità integrativa speciale), e quindi essere fissato al 27 maggio 1983;

b) per avere stabilito la coincidenza del detto termine con la data di cessazione dal servizio, anzichè con quella della materiale liquidazione dell'indennità integrativa speciale;

c) per non aver tenuto in considerazione le peculiari modalità di cessazione dal servizio degli insegnanti, rispetto a quelle previste per gli altri pubblici dipendenti, trattando in modo uguale situazioni diverse.

2. -- La questione non é fondata.

2.1. -- Con la sentenza n. 243 del 1993 questa Corte -- nel dichiarare l'illegittimità costituzionale delle norme allora censurate "nella parte in cui non prevedono, per i trattamenti di fine rapporto ivi considerati, meccanismi legislativi di computo dell'indennità integrativa speciale secondo i princìpi e i tempi indicati in motivazione" -- aveva esplicitamente sottolineato come tale decisione, pur comportando il riconoscimento della titolarità, in capo ai soggetti, del diritto ad un adeguato computo del beneficio ai fini della determinazione del rispettivo trattamento di fine rapporto, lasciasse tuttavia al legislatore, secondo il suo "discrezionale apprezzamento", la funzione di determinare "la misura, i modi e i tempi di detto computo" onde "rendere in concreto realizzabile il diritto medesimo".

Successivamente, investita del vaglio di costituzionalità di alcune norme della legge n. 87 del 1994, la Corte ha ribadito come le aspettative degl'interessati, in virtù della citata sentenza n. 243 del 1993, avessero "bensì assunto il rango di diritti, ma non [fossero] ancora immediatamente determinabili". Da ciò l'affermazione della natura satisfattiva della legge n. 87 del 1994, considerata quale adeguata e sufficientemente tempestiva risposta a quanto ritenuto non eludibile da parte del legislatore, al fine di una graduale realizzazione delle pretese a suo tempo azionate (sentenza n. 103 del 1995), e come tale prodromica rispetto alla omogeneizzazione (realizzata poi con la legge 8 agosto 1995, n. 335) dei trattamenti retributivi e pensionistici per i lavoratori dei vari comparti della pubblica amministrazione e per i lavoratori privati.

2.2. -- Stante dunque l'ampia discrezionalità riconosciuta al legislatore in materia di interventi sui trattamenti pensionistici, ed in particolare sulla scelta del dato temporale cui necessariamente si ricollega la decorrenza degli effetti di una riforma (v. da ultimo sentenze n. 311 e n. 205 del 1995), a questa Corte é dato soltanto verificare se sia stato rispettato il limite della razionalità; e la conclusione non può essere che affermativa. Il termine del 30 novembre 1984, infatti, risulta collegato con il sistema predisposto dalla legge n. 87 del 1994 (v. sentenza n. 401 del 1996), poichè esso si pone -- come ripetutamente sottolineato anche in sede di lavori preparatori -- quale dies a quo della decorrenza della prescrizione decennale rispetto al nuovo regime introdotto a partire dal 1° dicembre 1994; e dunque non é ravvisabile la dedotta arbitrarietà nella scelta del legislatore.

2.3. -- Quanto poi alla stabilita coincidenza di detto termine con la data di cessazione dal servizio, va osservato come essa trovi una sua plausibile spiegazione, sul piano giuridico, nel fatto stesso che proprio in tale momento nasce il diritto a percepire il relativo trattamento di fine rapporto. Sicchè, neanche la scelta dell'adozione di siffatta data può considerarsi viziata da quelle manifeste ragioni di irrazionalità o discriminazioni prive di fondamento giuridico, che sole potrebbero consentire di sindacare il menzionato ampio potere discrezionale riservato al legislatore in materia (cfr. sentenze n. 417 del 1996 e n. 185 del 1995).

Sembra il caso di aggiungere che tale tipo di discrimine tra il vecchio ed il nuovo regime si dimostra fondato su un elemento univoco -- certamente più oggettivo rispetto a quello della concreta liquidazione delle spettanze prospettato dal rimettente -- valevole nei confronti di tutti i pubblici dipendenti e, di per sè, inidoneo a produrre il paventato vulnus all'art. 3 Cost. Nè rilevano le prospettate disparità di fatto che in concreto potrebbero derivarne. Questa Corte ha infatti più volte affermato che non dànno luogo a un problema di costituzionalità le disparità derivanti da circostanze contingenti ed accidentali, riferibili non alla norma considerata nel suo contenuto precettivo, ma semplicemente alla sua concreta applicazione: l'eventuale funzionamento patologico della norma stessa non può costituire presupposto per farne valere un'illegittimità riferita alla lesione del principio di uguaglianza (sentenze n. 417 del 1996 e nn. 295 e 188 del 1995).

2.4. -- La lesione all'art. 3 Cost. in danno dei ricorrenti nel giudizio a quo non é ravvisabile neppure avuto riguardo alla particolare sequenza procedurale di cessazione dal servizio del personale della scuola, vigente all'epoca del collocamento a riposo dei ricorrenti stessi (secondo gli artt. 15 della legge 30 luglio 1973, n. 477, e 110 del d.P.R. 31 maggio 1974, n. 417) ed alle relative limitazioni della libera determinazione degl'interessati, fondate sull'esigenza di preservare il regolare funzionamento degli apparati scolastici.

Difatti, nel caso di specie, la peculiarità di tale sistema di pensionamento -- in base al quale il collocamento a riposo per raggiunti limiti di età ovvero la decorrenza delle dimissioni avevano effetto dal 1° ottobre successivo -- non si risolve in danno del dipendente, poichè il meccanismo di posticipazione della data di cessazione dal servizio allarga la sfera dei soggetti beneficiari della nuova normativa, fino a ricomprendere nell'àmbito di operatività del termine decennale anche il personale dimessosi nel periodo tra il 1° aprile ed il 30 novembre 1984.

Non vale in contrario, pertanto, il richiamo alla sentenza n. 439 del 1994, la quale riguarda un caso del tutto diverso, in cui il cosiddetto "blocco" delle pensioni di anzianità sancito dal decreto-legge 19 settembre 1992, n. 384, convertito con modificazioni nella legge 14 novembre 1992, n. 438, produceva una lesione al personale della scuola proprio in ragione dello specifico regime di accettazione delle dimissioni e della sua valenza temporale, così come allora disciplinato dall'art. 10 del decreto-legge 6 novembre 1989, n. 357, convertito, con modificazioni, nella legge 27 dicembre 1989, n. 417.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 3, comma 1, della legge 29 gennaio 1994, n. 87 (Norme relative al computo dell'indennità integrativa speciale nella determinazione della buonuscita dei pubblici dipendenti), sollevata, in riferimento all'art. 3 della Costituzione, dal Tribunale amministrativo regionale per il Veneto, con l'ordinanza indicata in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 5 giugno 1997.

Renato GRANATA: Presidente

Cesare RUPERTO: Redattore

Depositata in cancelleria il 13 giugno 1997.