Sentenza n. 205 del 1995

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SENTENZA N. 205

ANNO 1995

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

-     Prof. Antonio BALDASSARRE, Presidente

-     Prof. Vincenzo CAIANIELLO

-     Avv. Mauro FERRI

-     Prof. Luigi MENGONI

-     Prof. Enzo CHELI

-     Dott. Renato GRANATA

-     Prof. Giuliano VASSALLI

-     Prof. Cesare MIRABELLI

-     Prof. Fernando SANTOSUOSSO

-     Avv. Massimo VARI

-     Dott. Cesare RUPERTO

-     Dott. Riccardo CHIEPPA

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 2 della legge 12 giugno 1984, n. 222 (Revisione della disciplina dell'invalidità pensionabile), promosso con ordinanza emessa il 2 luglio 1993 dal Pretore di Pisa nel procedimento civile vertente tra SUMMA Canio e l'I.N.P.S., iscritta al n. 609 del registro ordinanze 1993 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 42, prima serie speciale, dell'anno 1993. Visti l'atto di costituzione dell'I.N.P.S. nonchè l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri; udito nell'udienza pubblica del 2 maggio 1995 il Giudice relatore Cesare Ruperto; uditi l'avv. Giorgio Starnoni per l'I.N.P.S. e l'Avvocato dello Stato Antonino Freni per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

 

1. - Nel corso del procedimento civile promosso contro l'I.N.P.S. da Canio Summa, titolare di pensione di invalidità dal novembre 1980, al fine di ottenere la condanna dell'Istituto a corrispondergli la pensione ordinaria di inabilità in luogo di quella di invalidità, il Pretore di Pisa ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 38 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell'art. 2 della legge 12 giugno 1984, n. 222 (Revisione della disciplina dell'invalidità pensionabile), nella parte in cui non consente ai titolari di pensione di invalidità con decorrenza antecedente la data di entrata in vigore della legge stessa di conseguire, ricorrendone i requisiti contributivi, la pensione ordinaria di inabilità ove, a causa di un aggravamento delle proprie condizioni di salute, vengano a trovarsi, in epoca successiva alla suddetta data, nell'assoluta e permanente impossibilità di svolgere qualsiasi attività lavorativa, e ciò nemmeno nell'ipotesi in cui essi abbiano rinunciato al trattamento in godimento. Il remittente precisa che: a) con provvedimento dell'I.N.P.S.

In data 12 dicembre 1991 è stato accertato che il ricorrente si è venuto a trovare, in epoca successiva all'entrata in vigore della legge n. 222 del 1984, nelle condizioni di salute previste dall'art. 2, comma 1, della legge stessa per il conseguimento della pensione di inabilità; b) l'I.N.P.S. non ha contestato la sussistenza dei relativi requisiti di contribuzione, dovuta anche allo svolgimento di attività lavorativa in epoca successiva al 1° luglio 1984 (data di entrata in vigore della legge n. 222 del 1984); c) il ricorrente ha rinunciato, subordinatamente al consegui mento della nuova prestazione, alla pensione di invalidità che attualmente percepisce; d) l'I.N.P.S., con comunicazione del 3 marzo 1992, ha respinto definitivamente la richiesta del Sig. Summa, "non essendo stata disposta la revoca della pensione di invalidità"; e) lo stesso I.N.P.S., resistendo in giudizio, ha chiesto il rigetto della domanda invocando il disposto dell'art. 2 impugnato, secondo cui è da considerare inabile "l'assicurato o il titolare dell'assegno ordinario di invalidità con decorrenza successiva alla data di entrata in vigore della (presente) legge". Per quel che riguarda il merito della questione, il remittente osserva che, nonostante la precedente sentenza di questa Corte n. 1116 del 1988 abbia già esaminato la norma impugnata, egli ritiene opportuno di investire nuovamente il Giudice delle leggi dell'attuale questione, in quanto la fattispecie sottoposta al suo esame è diversa da quella che ha dato luogo al precedente incidente di costituzionalità, dal momento che in questo caso non solo vi è l'accertamento dell'I.N.P.S. in ordine alle condizioni fisiche e ai requisiti contributivi propri della pensione di inabilità, ma è pacifico che il ricorrente ha espressamente dichiarato di voler rinunciare alla pensione di invalidità. Se infatti non è possibile l'automatica "trasformazione" del trattamento di invalidità in pensione di inabilità, di tale nuova prestazione si potrebbe viceversa fruire qualora i relativi presupposti si verificassero in data successiva all'entrata in vigore della citata legge n. 222, quando l'assistito intenda rinunciare alla prestazione originaria. L'interpretazione contraria - che si fonderebbe solo sull'elemento letterale dell'art. 2 impugnato, secondo cui della pensione di inabilità possono fruire esclusivamente "gli assicurati" - si porrebbe in contrasto con: a) l'art. 3 della Costituzione, per la sua palese irrazionalità e per la disparità di trattamento che comporta tra soggetti, i quali - a parità di condizioni fisiche e contributive - si trovano ad essere destinatari di trattamenti diversi, specialmente allorchè, come nella specie, si sia pervenuti alle condizioni di inabilità "in parziale costanza di attività lavorativa, evidentemente usurante"; b) l'art. 38 della Costituzione, in quanto porta a non riconoscere la pensione di inabilità a soggetti assicurati, i quali, trovandosi nelle condizioni fisiche in astratto previste per questa prestazione ed avendo assolto al relativo obbligo contributivo, si vedono privati del trattamento previdenziale in questione "per la sola circostanza di averne conseguito un altro, peraltro ricollegato a condizioni di incapacità lavorativa aggravatesi nel tempo e al quale abbiano, comunque, rinunciato".

2. - Nel giudizio davanti alla Corte costituzionale si è costituito l'I.N.P.S., chiedendo una dichiarazione di inammissibilità o comunque di infondatezza della questione. L'Istituto sostiene principalmente che la questione deve considerarsi già decisa dalla sentenza n. 1116 del 1988, in quanto l'elemento differenziatore della presente fattispecie - rappresentato dalla rinuncia alla pensione di invalidità "peraltro, subordinata al conseguimento della nuova pensione di inabilità" - sarebbe ininfluente. L'I.N.P.S. contesta, inoltre, la premessa teorica del remittente secondo cui è ius receptum che la pensione ordinaria di inabilità configuri un nuovo rischio-evento non previsto dal regime precedente. Tale assunto sarebbe inaccettabile, in quanto la nuova normativa sulla invalidità pensionabile si innesta su quelle preesistenti quanto a prestazioni e ad erogazione e "comunque utilizza fuori sedes materiae, istituti già operanti per la 'vecchià pensione di invalidità". Comunque, anche l'eventuale adesione alla tesi minoritaria seguita dal remittente porterebbe al rigetto della questione, in quanto la denunciata diversità di trattamento risulterebbe giustificata dal principio di immutabilità del titolo della prestazione in godimento

3. - È intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato dall'Avvocatura dello Stato, concludendo per la manifesta infondatezza della questione, data la sua identità con quella già decisa con la sentenza n. 1116 del 1988. Nell'imminenza dell'udienza l'Autorità intervenuta ha presentato un'ulteriore memoria, insistendo per la declaratoria di manifesta infondatezza. In particolare l'Avvocatura esclude che la Corte, nella precedente sentenza n. 1116 del 1988, abbia fatto propria la tesi secondo cui la legge 222 del 1984 avrebbe riformato l'istituto dell'invalidità, separandone l'ipotesi di inabilità ed introducendo in sostanza un nuovo rischio- evento non previsto dal precedente regime. Nè potrebbe valere a differenziare il caso in esame da quello in oggetto della citata sentenza 1116 del 1988 la "rinunzia" che nel giudizio a quo il ricorrente aveva effettuato circa la pensione di invalidità in godimento, subordinandola all'ottenimento della pensione di inabilità. Si tratterebbe infatti di un caso ben diverso dalla "revoca" che consegue alla cessazione dello stato invalidante ed al recupero della capacità di lavoro.

Considerato in diritto

 

1. - È nuovamente prospettata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 2 della legge 12 giugno 1984, n. 222, nella parte in cui non consente il conseguimento della pensione d'inabilità a coloro che, pur affetti da inabilità assoluta, siano titolari di pensione d'invalidità da una data anteriore all'entrata in vigore della legge stessa. Il giudice a quo - nell'evocare gli stessi parametri, cioè gli artt. 3 e 38 della Costituzione, rispetto ai quali questa Corte ha già esaminato l'anzidetta questione dichiarandola non fondata nella sentenza n. 1116 del 1988 - ritiene che la fattispecie ora sottoposta al giudizio di legittimità si differenzi rispetto a quella oggetto della precedente sentenza, per il fatto che il pensionato ha continuato a prestare attività lavorativa successivamente alla data di entrata in vigore della detta legge maturando i requisiti contributivi per la pensione d'inabilità e venendosi a trovare, seppure in epoca successiva, nelle condizioni di assoluta e permanente incapacità di lavoro richieste per ottenere la pensione stessa.

2. - La questione non è fondata. Nella sentenza n. 1116 del 1988 questa Corte, pur dando atto dell'esistenza di una diversa minoritaria interpretazione (alla cui stregua si sarebbe potuto < forse sostenere> la tesi di quel giudice remittente) circa la portata innovativa della legge n. 222 del 1984, ha escluso che tale intervento legislativo si sia risolto in una riforma dell'istituto dell'invalidità comportante la separazione dell'ipotesi d'inabilità: giacchè la modifica sostanziale è intervenuta sul versante dei trattamenti previdenziali (come già rilevato nella sentenza n. 436 del 1988), ma il rischio tutelato è rimasto concettualmente unitario. E da questa premessa è pervenuta a ritenere il discrimine ratione temporis, contenuto nella denunciata normativa, "giustificato dal principio di gradualità dell'intervento legislativo per l'attuazione di un sistema attuale di prestazioni previdenziali secondo la direttiva dell'art. 38 della Costituzione". Principio che, secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, legittima differenze di trattamento collegate alla successione temporale. Tale conclusione deve qui essere ribadita; e va anzi sottolineata la coerenza dell'art. 2 in esame con la ratio di fondo della legge n. 222 del 1984, che ha soppresso ogni riferimento alla situazione socio- economica nell'accertamento dell'invalidità. Nella logica di una simile impostazione non può farsi carico al legislatore, senza vulnerare il senso politico della sua discrezionalità, di non aver previsto un regime transitorio che consentisse la trasformazione della pensione di invalidità già in godimento nella pensione di inabilità ove ricorressero i requisiti contributivi e il presupposto di menomazione della capacità di lavoro. Alla luce di quanto esibito dalla vicenda storica della concessione delle pensioni di invalidità non sembra affatto irragionevole l'opzione legislativa nel senso di porre una cesura, concettuale e temporale, netta rispetto ai criteri collegati alla capacità di guadagno.

3. - La descritta diversità delle situazioni soggettive del pensionato d'invalidità (beneficiario di un trattamento ormai definito e ricollegabile a presupposti valutativi completamente superati) e di chi abbia successivamente perduto in toto la propria capacità di lavoro, induce ad escludere l'evocata disparità di trattamento. La possibilità di svolgimento d'una limitata attività lavorativa è insita nella qualità di titolare di pensione d'invalidità à sensi della precedente legislazione; e quindi non assume rilevanza alcuna per differenziare, nell'àmbito della relativa categoria, chi tale attività svolge. Il legislatore, nella sua discrezionalità, ha inteso conservare all'intera categoria il trattamento già goduto, oggetto di un'assicurazione che - occorre notare - copriva anche il rischio d'invalidità oltre la soglia legale. Quella del titolare di pensione d'invalidità è una posizione di quiescenza già definita anteriormente all'entrata in vigore della nuova legge: dunque, così come rimane estranea alle vicende proprie dei due nuovi tipi di trattamento, non è suscettibile di convertirsi in uno di essi.

4. - Anche il profilo legato ad un'asserita rinunzia della pensione di invalidità conduce alla medesima conclusione di non fondatezza, per l'inidoneità della rinunzia stessa a differenziare la fattispecie dall'ipotesi a suo tempo esaminata nella sentenza n. 1116 del 1988. Ancor prima che da una poco attenta lettura della citata decisione, la prospettazione nasce da un'inaccettabile concezione del trattamento pensionistico d'invalidità, che ne esalta una valenza sinallagmatica quasi esso scaturisca da un rapporto di assicurazione privata. Vero è invece che le prestazioni in parola concretano l'adempimento di un dovere sociale da parte dello Stato, cui fa riscontro, da parte del singolo, l'indisponibilità del diritto. Nè la condizione posta dal secondo comma della norma denunciata, che impone per l'erogazione della pensione d'inabilità la "rinuncia" ai trattamenti a carico dell'assicurazione generale obbligatoria ("e ad ogni altro trattamento sostitutivo e integrativo della retribuzione"), consente di ricostruire la vicenda nei termini negoziali dell'opzione tra le due pensioni, incompatibile con l'anzidetta incomunicabilità tra i due regimi e con la connotazione pubblicistica che permea il rapporto. Ed è proprio il riferimento contenuto nel punto 3 del "considerato" della sentenza n. 1116 del 1988, a confermare tale argomento: anche a voler accogliere l'opposta tesi che ravvisa un nuovo rischio-evento nella previsione della legge n. 222 del 1984 - ha osservato la Corte -, per la concessione della nuova pensione d'inabilità sempre sarebbe necessario il prodursi di uno iato definitivo, e cioè che sia stata accertata l'inesistenza della riduzione della capacità di guadagno al di sotto della soglia legale, con conseguente soppressione della pensione d'invalidità: solo successiva mente potendosi riaprire la possibilità di fruizione dei nuovi trattamenti, ove ne ricorrano le condizioni.

5. - Alla luce di quanto sopra, rimane esclusa la violazione non solo dell'art. 3, ma anche dell'art. 38 della Costituzione. Infatti il contrasto con quest'ultima norma potrebbe configurarsi unicamente ove si potesse dedurre dal nuovo sistema, che mezzo adeguato alle esigenze di vita dell'assicurato venutosi a trovare nelle condizioni di totale perdita della capacità di lavoro, è solo la pensione di inabilità, sicchè inadeguata potrebbe risultare una prestazione di minore consistenza come la pensione d'invalidità. Ma questa Corte ha già affermato - ed ora non può non ribadire - che "l'istituzione della pensione d'inabilità come prestazione adeguata alle esigenze di vita del lavoratore che versi nelle condizioni indicate nell'art. 2 della legge n. 222 del 1984, non significa un giudizio di sopravvenuta inadeguatezza della pensione d'invalidità precedentemente concessa ai lavoratori che si trovavano nelle medesime condizioni" (sentenza n. 1116 del 1988).

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 2 della legge 12 giugno 1984, n. 222 (Revisione della disciplina dell'invalidità pensionabile), sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 38 della Costituzione, dal Pretore di Pisa con l'ordinanza di cui in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 18/05/95.

Antonio BALDASSARRE, Presidente

Cesare RUPERTO, Redattore

Depositata in cancelleria il 30/05/95.