Sentenza n.290 del 1987

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SENTENZA N. 290

ANNO 1987

 

REPUBBLICA ITALIANA

In nome del Popolo Italiano

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici

Prof. Virgilio ANDRIOLI , Presidente

Prof. Giuseppe FERRARI

Dott. Francesco SAJA

Prof. Giovanni CONSO

Prof. Aldo CORASANITI

Prof. Giuseppe BORZELLINO

Dott. Francesco GRECO

Prof. Renato DELL'ANDRO

Prof. Gabriele PESCATORE

Avv. Ugo SPAGNOLI

Prof. Francesco P. CASAVOLA

Prof. Antonio BALDASSARRE

Prof. Vincenzo CAIANIELLO

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 8, ultimo comma, del d.l. 10 febbraio 1977, n. 19 ("Decadenza della Società autostrade romane ed abruzzesi - S.A.R.A. - dalla concessione di costruzione ed esercizio delle autostrade Roma-Alba Adriatica e Torano-Pescara"), promosso con ordinanza emessa il 21 maggio 1985 dalla Corte di Appello di Roma, nel procedimento civile vertente tra la s.p.a. S.A.R.A. e l'A.N.A.S., iscritta al n. 42 del registro ordinanze 1986 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 22, 1a serie speciale, dell'anno 1986;

Visto l'atto di costituzione della s.p.a. S.A.R.A., nonché l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

Udito nell'udienza pubblica del 19 maggio 1987 il Giudice relatore Gabriele Pescatore;

Uditi l'avv. Vincenzo Jannone per la s.p.a. S.A.R.A. e l'Avv. dello Stato Giacomo Mataloni per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

1. - L'art. 1 del decreto legge 10 febbraio 1977, n. 19, convertito con modificazioni nella legge 6 aprile 1977, n. 106, ha dichiarato la decadenza della Società autostrade romane ed abruzzesi (S.A.R.A.) per azioni dalla concessione di costruzione ed esercizio delle autostrade Roma-Alba Adriatica e Torano-Pescara (A24 e A25).

In applicazione dell'ultimo comma dell'art. 8 del d.l. n. 19 del 1977 cit., la S.A.R.A. é stata obbligata a curare e sta ancora curando l'esercizio provvisorio, nei limiti dell'ordinaria amministrazione. A fronte di questa prestazione l'A.N.A.S. ha riconosciuto alla S.A.R.A. il rimborso delle spese di esercizio comprensive anche di una quota parte dei costi generali societari inerenti.

Con atto di citazione notificato il 29 febbraio 1980, la S.A.R.A. convenne in giudizio l'A.N.A.S. davanti al Tribunale di Roma, per sentirla condannare al pagamento in suo favore di un compenso, a norma dell'art. 1709 cod. civ., per l'opera di custodia dei beni e di esercizio delle autostrade, nonché al rimborso delle spese sostenute per tali incombenti, ivi comprese le spese generali della società.

Con sentenza non definitiva 9 dicembre 1981/ 2 marzo 1982, il Tribunale escluse il diritto dell'attrice al compenso per la custodia dei beni e l'esercizio delle autostrade e riconobbe invece il diritto della S.A.R.A. al rimborso delle spese per l'opera di custodia e gestione, ivi compresa una quota delle spese societarie generali relative alla gestione per conto.

Avverso tali decisioni la S.A.R.A., con atto notificato il 24 gennaio 1984, ha proposto appello davanti alla Corte di Appello di Roma.

Nel corso del giudizio di secondo grado la Corte di Appello, con ordinanza in data 21 maggio 1985, ha sollevato, in riferimento all'art. 42, terzo comma, della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell'art. 8, ultimo comma, del d.l. n. 19 del 1977 cit., nella parte in cui non prevede il diritto ad un compenso per l'attività di gestione imposta alla S.A.R.A.

In contrasto con le argomentazioni dell'appellante, il giudice a quo svolge, in sintesi, le seguenti osservazioni:

a) va escluso che nel caso di specie possa essersi attuata una prosecuzione, cioè una vera e propria prorogatio, del regime esistente nel vigore della concessione;

b) non può ipotizzarsi neppure che si sia costituito un nuovo rapporto di gestione. Dalla lettura del verbale di consegna e contestuale riconsegna del 22 dicembre 1977 si evince chiaramente che si tratta di un mero atto ricognitivo della consistenza dei beni mobili e immobili acquisiti all'A.N.A.S. e che perciò il rapporto tuttora in corso trova la sua unica fonte nell'art. 8 cit.;

c) non si può ritenere che l'art. 8 costituisca una mera applicazione della regola sancita dall'art. 1177 cod. civ. (per il quale l'obbligazione di consegnare una cosa determinata include quella di custodirla fino alla consegna). L'operatività di questa norma si sarebbe infatti esaurita con la consegna all'A.N.A.S. dei beni ad essa acquisiti e si sarebbe così determinata una soluzione di continuità nella gestione delle autostrade che il legislatore ha voluto espressamente evitare, prevedendo, appunto, la gestione provvisoria;

d) stante la natura di lex specialis della normativa considerata, non é possibile ricercare la disciplina del rapporto in questione in norme di diritto comune e quindi non é possibile ritenere fondata, in difetto di una espressa previsione legislativa, la pretesa della S.A.R.A. ad un compenso per l'attività di custodia e di gestione impostale.

La Corte rileva peraltro che la suddetta prestazione, la quale aveva in origine il requisito della provvisorietà (con conseguente giustificazione del sacrificio che, con carattere di temporaneità e straordinarietà, veniva imposto alla S.A.R.A.), si protrae da ormai oltre otto anni, senza che attualmente sia previsto o sia prevedibile il momento della cessazione. Ne deriva - prosegue la Corte - un vero e proprio congelamento sine die anche dei capitali investiti dai privati (azionisti) nella società, sottratti temporaneamente ma per un rilevante periodo di tempo all'iniziativa privata ed impiegati per fini esclusivamente pubblicistici, senza alcuna remunerazione.

Per il giudice a quo si é dunque di fronte ad un atto impositivo, disposto con legge ordinaria, che non si rivolge alla generalità o ad una determinata categoria di cittadini, né riguarda un'intera categoria di beni economici e che, pur non determinando la traslazione del relativo diritto, produce un temporaneo, ma rilevante, svuotamento del suo contenuto. Si tratta pertanto di una di quelle forme subdole di espropriazione (già individuate dalla Corte costituzionale fin dalla sentenza n. 55 del 1968), che non sono costituzionalmente legittime senza la previsione di un adeguato indennizzo, dovendosi equiparare l'espropriazione temporanea a quella definitiva, perché anche la prima comporta la sottrazione al privato di beni economici (frutti naturali o civili).

In altri termini la Corte - si legge ancora nell'ordinanza - é dell'avviso che l'art. 23 vada integrato con il disposto dell'art. 42, terzo comma, della Costituzione, nel senso che da tali norme si desume il principio costituzionale che la prestazione imposta non solo deve essere prevista e regolata da una legge ordinaria ma, se non si rivolge alla generalità o ad una determinata categoria di cittadini oppure non ha per oggetto un'intera categoria di beni, deve necessariamente comportare un adeguato indennizzo.

2. - L'ordinanza é stata ritualmente comunicata, notificata e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 22, 1a serie speciale, del 21 maggio 1986.

3. - Davanti alla Corte costituzionale si é costituita la S.A.R.A.

La memoria di costituzione si diffonde anzitutto nella illustrazione della situazione economica da cui ha avuto origine la normativa impugnata e nella ricostruzione della vicenda giudiziaria. Circa quest'ultima, la memoria critica la decisione della Corte di Appello, come già quella del Tribunale, perché si sono attenute entrambe ad una lettura limitata del dato normativo senza orientarsi invece verso una ricostruzione sistematica che avrebbe consentito una interpretazione conforme alla Costituzione.

Comunque, la censura di incostituzionalità dedotta dalla Corte va condivisa, anche se parrebbe più corretto parlare di ablazione del godimento dei capitali investiti, anziché di espropriazione dei frutti. In ogni caso, vige la regola dell'indennizzo, generale e comune ad ogni forma di attività ablatoria da parte dei pubblici poteri, posta dall'art. 42 della Costituzione.

Per la difesa della S.A.R.A., tuttavia, l'orizzonte andrebbe ampliato con il richiamo anche all'art. 43 della Costituzione, da cui si desume che "non appare costituzionalmente legittimo alcun trasferimento d'impresa se non quando - oltre ad essere, ancora una volta, accompagnato da indennizzo - avvenga in funzione dell'attribuzione esclusiva dell'attività nazionalizzata al soggetto nazionalizzatore. Ciò sarebbe appunto avvenuto nel caso di specie, in cui dovrebbe quindi ritenersi l'espropriazione non dei frutti del capitale della S.A.R.A., ma piuttosto dell'impresa - azienda propria della S.A.R.A., per la parte che ad essa era rimasta.

La parte costituita conclude quindi in primo luogo per l'accoglimento della questione di legittimità costituzionale. In via subordinata chiede che la Corte pronunzi sentenza interpretativa di rigetto, in quanto l'art. 8 impugnato, tacendo sull'argomento, non é idoneo ad escludere il diritto a compenso per la gestione per conto A.N.A.S., diritto che più semplicemente deriva, nel quadro di una interpretazione sistematica, dalle comuni regole in tema di attività gestoria per conto altrui.

4. - É intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione venga dichiarata inammissibile o comunque infondata.

Quanto alla prima conclusione, l'Avvocatura osserva che il problema nasce non dalla norma "ma dalla sua concreta attuazione, per il protrarsi dell'incarico oltre i termini originariamente previsti, a causa della mancata adozione dei successivi provvedimenti da esso presupposti". L'inerzia é da ascrivere a valutazione di natura analitica, non sindacabile in questa sede. In ogni caso, il mancato superamento della fase di provvisorietà non si risolve in una subdola forma di espropriazione, ma costituisce un inconveniente di mero fatto, non imputabile alla disposizione della cui costituzionalità si discute.

La conclusione relativa alla infondatezza della questione é nell'intervento soltanto enunciata.

5. - La S.A.R.A. ha depositato fuori termine una memoria, con la quale ribadisce le argomentazioni già svolte.

A sua volta l'Avvocatura generale dello Stato insiste per l'inammissibilità o l'infondatezza della questione.

Nel merito l'Avvocatura rileva soprattutto che non esiste "un principio di livello costituzionale di remunerabilità di prestazioni o di capitali". Inoltre nel caso di specie si é in presenza di una società di diritto privato che é però a prevalente capitale pubblico, già statutariamente vincolato a finalità e attività di pubblico interesse.

Considerato in diritto

6. - Si é già esposto (cfr. n. 1) che l'art. 1 del d.l. 10 febbraio 1977, n. 19, convertito con modificazioni nella legge 6 aprile 1977, n. 106, ha dichiarato la decadenza della Società (per azioni) autostrade romane ed abruzzesi (S.A.R.A.) dalla concessione di costruzione ed esercizio delle autostrade Roma-Alba Adriatica e Torano-Pescara (A24 e A25).

L'ultimo comma dell'art. 8 di tale decreto-legge dispone: "Dalla data di entrata in vigore del presente decreto i legali rappresentanti della società assumono le funzioni di custodi di tutti i beni mobili ed immobili, compresi gli impianti, le pertinenze e gli accessori, inerenti alla costruzione ed alla gestione delle autostrade, e sono tenuti, rendendone conto al direttore generale dell'A.N.A.S., a compiere tutti gli atti di ordinaria amministrazione necessari per l'esercizio delle stesse autostrade".

In applicazione di quest'ultima norma, la S.A.R.A. ha dovuto provvedere e sta ancora provvedendo all'esercizio anzidetto.

A fronte di tali prestazioni l'A.N.A.S. ha riconosciuto alla S.A.R.A. - secondo quanto si evince dall'ordinanza di rimessione - il rimborso di tutte le spese di esercizio, comprensivo anche di una quota parte dei costi generali societari di stretta pertinenza dell'esercizio stesso.

La Corte di Appello di Roma, nel corso del giudizio di secondo grado - del quale si é detto (cfr. n. 1) - con l'ordinanza di rimessione ha sollevato, in riferimento all'art. 42, terzo comma, Cost., questione di legittimità costituzionale dell'art. 8, ultimo comma, del decreto-legge n. 19 del 1977 su indicato, nella parte in cui non prevede il diritto ad un compenso per l'attività di gestione imposta alla S.A.R.A. Tale diritto era stato negato dal Tribunale di Roma, che, nella sentenza 13 maggio 1983, aveva configurato il rapporto instauratosi tra S.A.R.A. e A.N.A.S. (art. 4 del d.l. n. 19 cit.) come gestione per conto, ope legis, in base al conferimento di pubblico servizio ad un soggetto privato.

Di tale diniego la S.A.R.A. si era doluta con l'appello contro la sentenza di primo grado.

7. - É da esaminare preliminarmente l'eccezione di inammissibilità della questione di costituzionalità, sollevata dal Presidente del Consiglio, rappresentato dall'Avvocatura generale dello Stato.

La inammissibilità viene dedotta in base alla circostanza che il giudice rimettente solleva la questione stessa non già in riferimento al contenuto dell'ultimo comma dell'art. 8 del d.l. n. 19 del 1977, ma censurando piuttosto "l'operato omissivo del legislatore che, successivamente all'imposizione alla S.A.R.A. dell'esercizio delle autostrade, non ha adottato o non ha consentito di adottare gli ulteriori provvedimenti da quella disposizione postulati". La mancata adozione di tali provvedimenti conseguirebbe da "valutazioni insindacabili di natura politica".

Non può seguirsi tale prospettazione, dato che la sostanza della censura, mossa alla norma contestata, sta nella mancata previsione del compenso per la gestione imposta delle due autostrade.

Il riferimento al carattere transitorio della normativa ha funzione strumentale alla richiesta di tale compenso ed é diretto a sottolineare la grave incidenza del protrarsi della prestazione, anche al fine di dedurne effetti ablativi (forma "subdola" di espropriazione senza indennizzo).

Questo aspetto della censura, ricondotto alla norma impugnata, viene proposto come elemento della illegittimità costituzionale della norma stessa, con riferimento al terzo comma dell'art. 42 Cost.

La deduzione di inammissibilità é, pertanto, da dichiararsi priva di fondamento.

8. - La denunciata violazione del terzo comma dell'art. 42 Cost. trae base, secondo l'ordinanza, dal protrarsi dell'attività imposta alla S.A.R.A. - originariamente di carattere provvisorio - per il lungo periodo di tempo già trascorso e non ancora concluso, con grave incidenza sulla gestione della società e sulla posizione (anche patrimoniale) degli azionisti (cfr. n. 10).

Si tratterebbe di una condotta sostanzialmente espropriativa e, come tale, costituzionalmente illegittima, in quanto non accompagnata dalla previsione di un adeguato indennizzo. Tale condotta sarebbe in contrasto con l'art. 23, integrato con la disposizione del terzo comma dell'art. 42 Cost.

9. - La formulazione della censura, così sintetizzata, pone alla Corte il problema di definire il contenuto ed i caratteri della prestazione imposta per legge alla S.A.R.A.

Dichiarata la decadenza di questa società dalla concessione di costruzione e di esercizio delle autostrade Roma-Alba Adriatica e Torano-Pescara (A24 e A25) (art. 1 d.l. n. 19 del 1977 cit.), i legali rappresentanti della società venivano contestualmente investiti (per effetto dell'ultimo comma dell'art. 8 dello stesso d.l.) delle attribuzioni di custodi di tutti i beni inerenti alla costruzione e alla gestione delle autostrade e di gestori delle stesse, per provvedere agli "atti di ordinaria amministrazione necessari", "rendendone conto al direttore generale dell'A.N.A.S.".

Attraverso l'indicazione dei rappresentanti, la norma imponeva, in sostanza, alla società una prestazione di fare, sulla base di un rapporto obbligatorio ex lege, nel quale creditore si configurava l'A.N.A.S. e la S.A.R.A., soggetto debitore, era tenuta all'esplicazione di attività (oltre che di custodia) di gestione delle due autostrade.

Osserva la Corte che l'art. 23 Cost. consente l'imposizione di prestazioni, "personali o patrimoniali", sempre che siano previste dalla legge.

La norma regola unitariamente tali prestazioni, distaccandosi, così, dalla configurazione diversificata che le due figure avevano assunto nell'assetto della società feudale, dello Stato assoluto e della monarchia parlamentare. La congiunta previsione attuale spiega, poi, la mancanza di inserzione nella nostra Carta fondamentale della specifica garanzia (concernente i tributi) della riserva di legge, contenuta, invece, nell'art. 30 dello Statuto Albertino.

La formula, che unifica nella previsione i due tipi di prestazioni "imposte", conserva a ciascuna di esse la sua autonomia e dà base alla configurazione - alla stregua di un sicuro orientamento anche dottrinale - della categoria delle prestazioni (ablative) "personali" come comprensiva degli obblighi coattivi di fare, riferibili ad attività ed a servizi, anche gestiti da imprese. Quest'ultima ipotesi trova significativa espressione nell'art. 70 cod. nav., che prevede l'impiego obbligatorio di navi, munite del relativo equipaggio, per il soccorso a navi in pericolo o a naufraghi.

La garanzia della riserva di legge, prescritta per la imposizione delle anzidette prestazioni, é correlata alla esigenza della tutela della sfera della libertà del soggetto gravato; il divieto di limitazione o di invasione di tale sfera da parte di pubblici poteri può essere rimosso, dunque, soltanto dalla legge (cfr. Corte cost. 14 dicembre 1979, n. 148; 23 giugno 1965, n. 64). Alla legge é demandato altresì il compito di fissare, con adeguata determinatezza, il contenuto della prestazione nonché i criteri idonei a regolare qualche eventuale margine di discrezionalità che fosse consentito dalla legge stessa alla P.A. (cfr. Corte cost. 24 maggio 1979, n. 27; 30 gennaio 1962, n. 2).

La Corte sottolinea questa esigenza, con particolare riferimento alle prestazioni personali, che richiedono, nella previsione della norma impositiva, oltre la già rilevata precisa definizione del loro contenuto, l'osservanza di criteri di congruità e di ragionevolezza.

10. - Nella fattispecie, che concerne una prestazione coattiva di attività di impresa, la legge ne determina con completezza l'oggetto, non lasciando margine all'esercizio di alcun potere discrezionale da parte della P.A.

Infatti, l'art. 8, ultimo comma più volte citato, del d.l. n. 19 del 1977 pone una norma precisa circa il contenuto e i limiti della prestazione, riferendoli all'esercizio delle autostrade, limitatamente agli atti di ordinaria amministrazione. A fronte di tale prestazione l'A.N.A.S. é tenuta al rimborso alla S.A.R.A. delle spese, comprensive di una quota parte dei costi generali societari di stretta pertinenza dell'esercizio stesso.

L'ordinanza sottolinea un elemento particolare dell'attività imposta che, a suo avviso, le consente di penetrare nella sfera del terzo comma dell'art. 42 e lo riferisce al termine e alle modalità della prestazione, dovuta ex art. 23 Cost. Questa, originariamente diretta a fronteggiare un'evenienza provvisoria, é stata in concreto caratterizzata dalla lunga perduranza, "senza che sia previsto o sia prevedibile il momento della sua cessazione". Donde "un vero e proprio congelamento sine die anche dei capitali investiti dai privati (azionisti) della società", sì che essi, "sottratti sia pure temporaneamente, ma per un rilevante periodo di tempo, all'iniziativa privata e impiegati per fini esclusivamente pubblicistici, non trovano alcuna remunerazione". Situazione questa, che, appunto in base all'invocata integrazione dell'art. 23 col terzo comma dell'art. 42 Cost., dovrebbe comportare "la determinazione di un principio costituzionale che integri quello della riserva legislativa" con l'altro della corresponsione di un adeguato compenso.

11. - La censura non é fondata.

La Corte rileva che é canone indubbio quello relativo alla lettura sistematica di norme costituzionali, qualora un precetto possa trovare la sua integrazione, a pari livello, con altra disposizione. Siffatto principio é stato affermato, relativamente all'art. 23, dalla giurisprudenza della Corte, la quale ha rilevato che quest'ultima norma, il cui contenuto sta nel prescrivere una riserva di legge, non ha nessun ruolo da svolgere quando altra norma costituzionale, nel dettare una disciplina sostanziale della fattispecie, l'accompagni già con la garanzia formale di detta riserva (sent. 23 aprile 1965, n. 30).

La congiunta applicazione di disposizioni costituzionali può, dunque, ben realizzarsi quando ne derivi il rafforzamento di un precetto e la determinazione o il completamento della sua sfera di operatività.

Nella specie, l'ordinanza postula l'integrazione sostanziale (riserva di legge + corresponsione del compenso) attraverso l'impiego congiunto dell'art. 23 con il terzo comma dell'art. 42 Cost.

La lunga durata dell'attività di gestione imposta si rifletterebbe sulla rimunerabilità del capitale (privato) della S.A.R.A. (società per azioni), in quanto non renderebbe possibile compensare l'attività di gestione, "sottraendola all'iniziativa privata per un rilevante periodo di tempo". Un siffatto profilo della censura mal si colloca nell'ambito dell'art. 42 Cost., dato che esso deduce un impedimento all'iniziativa privata. Comunque, al di fuori dell'operatività di tale iniziativa, l'art. 8, ultimo comma, del d.l. n. 19 del 1977 non incide in alcun modo sulla titolarità del capitale sociale in capo agli azionisti, che sono liberi di gestirlo secondo le modalità proprie della struttura societaria, alla quale esso inerisce.

Questa considerazione vale anche nei riguardi dell'altro profilo della situazione societaria, posto in luce dalla difesa privata, quando si é riferita all'"ablazione del godimento dei capitali investiti".

É da osservare che nemmeno tale supposta ablazione é soccorribile col ricorso al precetto costituzionale invocato (art. 42, terzo comma). Trattandosi dell'imposizione di attività, questa non può riflettersi né sull'organizzazione societaria, né sull'appartenenza e sulla composizione del capitale sociale. L'incidenza riflessa, che su detto capitale può derivare dai vincoli di gestione dell'attività sociale, si colloca anch'essa al di fuori della norma costituzionale ora ricordata.

A tal proposito non vanno trascurati i rilievi del Presidente del Consiglio, secondo i quali, nella specie, si tratta di società di diritto privato a prevalente capitale pubblico, statutariamente vincolata a finalità e ad attività di pubblico interesse.

La decadenza dalla concessione originaria della costruzione e della gestione delle due autostrade fu sollecitata dalla stessa società S.A.R.A. (come essa stessa ha riconosciuto nelle difese depositate), "incapace ormai di far fronte ai relativi oneri finanziari" (memoria dell'Avvocatura generale dello Stato) e comportò "gravosi oneri venuti a ricadere sulla finanza pubblica, anche per effetto della successione dell'A.N.A.S. nei rapporti obbligatori della S.A.R.A. ai sensi dell'art. 2 del d.l. n. 19 del 1977 cit.".

Anche questi elementi, che consentono di precisare l'origine e il contenuto sostanziale della disposizione dell'art. 8, ultimo comma, del d.l. n. 19 cit., si oppongono al richiamo del terzo comma dell'art. 42 Cost. per trarne fondamento dell'attribuzione del compenso richiesto dalla società per l'opera di gestione.

12. - Non soccorre, poi, ai fini del riconoscimento del titolo al compenso, il principio di costituzione materiale, tratto da questa Corte dallo stesso art. 42, terzo comma, e richiamato dall'ordinanza di rimessione, secondo il quale rientrerebbe nell'ambito della tutela della proprietà, accanto alla fattispecie dell'espropriazione formale, il complesso delle situazioni, le quali, pur non concretando un trasferimento totale o parziale di tale diritto, ne svuotino il contenuto (cfr. sent. 27 aprile 1982, n. 92; 21 dicembre 1976, n. 89; 9 maggio 1968, n. 55; 22 giugno 1966, n. 90; 19 gennaio 1966, n. 6).

Muovendo da questa premessa la Corte ha affermato che l'indennizzo da corrispondere in caso di ablazione della proprietà può venir meno soltanto quando i modi e i limiti, che la legge impone a tale diritto, attengano al regime di appartenenza o ai modi di godimento dei beni in generale o di intere categorie di essi, ovvero quando la legge regoli la situazione dei beni rispetto alla P.A., sempre che le limitazioni tocchino la generalità dei soggetti che si trovino nelle accennate situazioni (sent. 19 gennaio 1966, n. 6 cit.; 15 novembre 1967, n. 119; 9 maggio 1968, nn. 55 e 56). Questo principio, che viene testualmente richiamato dall'ordinanza di rimessione, può definirsi del carattere generale, necessario, della previsione ablativa e della qualificazione delle limitazioni imposte (in quanto connesse con la disciplina della posizione del bene nei confronti della P.A.), deve ritenersi operante esclusivamente nei confronti delle ablazioni reali, cioè di quelle espropriazioni che concernono i beni, con l'imposizione di limiti e vincoli che li svuotino del loro contenuto. Il principio non é invece applicabile alle prestazioni (o ablazioni) obbligatorie, del tipo di quella che ricorre nella specie. Siffatta prestazione é definita dall'ultimo comma del più volte ricordato art. 8 del d.l. n. 19 del 1977 e questa norma, come si é visto, anche per la sua genesi e per il suo oggetto, non può considerarsi privativa o gravemente limitativa del contenuto sostanziale (e dell'appartenenza) di beni.

Le prestazioni obbligatorie consistono in un facere; il loro oggetto é caratterizzato dal compimento dell'opera o dell'attività, e, come tale, assume la sua specifica configurazione. Ed é a tale oggetto che deve riferirsi il giudizio sulla legittimità della normativa che l'impone.

Appare, anche sotto questo aspetto, arduo rinvenire un principio costituzionale - come auspica l'ordinanza di rimessione -, in base al quale, integrando l'art. 23 con l'art. 42, terzo comma, Cost., possa sancirsi, a favore dell'onerato, la spettanza di un adeguato compenso.

La corresponsione dell'indennizzo nelle ablazioni reali (ed a quelle sostanzialmente assimilate), é, invece, preventivamente e generalmente regolato dalla legge, e l'art. 42, terzo comma, Cost. conferisce ad esso la garanzia costituzionale.

13. - Collocando il problema sotto un angolo visuale più ampio, ma sempre con stretta aderenza alla fattispecie, é da osservare che i limiti e i vincoli che, alla stregua della giurisprudenza di questa Corte, incidono sul contenuto della proprietà, si differenziano nettamente, nella loro qualità e struttura, dagli obblighi inerenti alle prestazioni (o ablazioni) obbligatorie.

Questi debbono procedere da norme di legge; quelli, normalmente, derivano da atti amministrativi.

Nell'ablazione (o prestazione) obbligatoria, poi, il vincolo opera direttamente sul soggetto, limitandone la libertà, e non é ipotizzabile altra incidenza, che possa assimilarsi a questa. Il fenomeno dello svuotamento sostanziale - equiparabile al trasferimento coattivo - si realizza invece pienamente nelle ablazioni reali.

Nelle prestazioni obbligatorie può ben mancare la generale previsione normativa dell'indennizzo, avendo la Costituzione assunto come obiettivo primario la difesa della sfera di libertà del soggetto gravato; a questo fine opera la riserva di legge.

In ogni caso, nella fattispecie, che ha dato luogo al presente incidente di costituzionalità, la pretesa del soggetto obbligato, come si evince dall'ordinanza di rimessione, consiste nel "diritto ad un compenso per l'attività di gestione imposta(gli)", che é concetto tutt'affatto diverso dall'indennizzo.

A parte i rilievi già svolti circa le peculiarità della struttura e dell'oggetto della prestazione obbligatoria, l'art. 42, terzo comma, Cost., non può costituire base idonea per l'attribuzione di un compenso per la prestazione coattiva di un opus; compenso la cui determinazione sfugge, in generale, per la sua natura di corrispettivo di un'attività resa, ai criteri in base ai quali la legge fissa l'indennizzo per l'ablazione di beni.

La norma stessa non può, poi, aprire la via alla enucleazione di un altro principio, comprensivo dell'indennizzo e del compenso. La finalità e l'oggetto dell'indennizzo, essendo del tutto diversi da quelli della remunerazione di un'attività, impediscono l'individuazione dell'invocato unitario concetto.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

Dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 8, ultimo comma, del d.l. 10 febbraio 1977, n. 19 ("Decadenza della Società autostrade romane ed abruzzesi - S.A.R.A., dalla concessione di costruzione ed esercizio delle autostrade Roma-Alba Adriatica e Torano-Pescara"), convertito con modificazioni nella l. 6 aprile 1977, n. 106, questione sollevata con l'ordinanza 21 maggio 1985 dalla Corte di Appello di Roma (Reg. ord. n. 42 del 1986), in riferimento all'art. 42, terzo comma, Cost.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 4 giugno 1987.

 

Il Presidente: ANDRIOLI

Il Redattore: PESCATORE

Depositata in cancelleria il 28 luglio 1987.

Il direttore della cancelleria: MINELLI