Sentenza n. 30 del 1965
 CONSULTA ONLINE 

 

SENTENZA N. 30

ANNO 1965

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori Giudici:

Prof. GASPARE AMBROSINI, Presidente

Prof. GIUSEPPE CASTELLI AVOLIO

Prof. NICOLA JAEGER

Prof. GIOVANNI CASSANDRO

Dott. ANTONIO MANCA

Prof. ALDO SANDULLI

Prof. GIUSEPPE BRANCA

Prof. MICHELE FRAGALI

Prof. COSTANTINO MORTATI

Prof. GIUSEPPE CHIARELLI

Dott. GIUSEPPE VERZÌ

Dott. GIOVANNI BATTISTA BENEDETTI

Prof. FRANCESCO PAOLO BONIFACIO

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nel giudizio di legittimità costituzionale della legge 21 dicembre 1961, n. 1527, contenente norme sulla "determinazione del prezzo delle sanse", promosso con ordinanza emessa il 29 gennaio 1964 dal Consiglio di Stato in sede giurisdizionale - Sezione IV - sui ricorsi riuniti proposti dalla Società Antonio Trizza e figli, dalla ditta Giacomo Costa, dalla Società per azioni Gaslini, dalla Società per azioni Prima Spremitura Triestina d'olio e da altre ditte contro il Comitato interministeriale dei prezzi, i Comitati provinciali dei prezzi di Brindisi, Lecce, Teramo e Matera, il Ministero dell'industria e del commercio, Bacile Fabio ed altri, iscritta al n. 54 del Registro ordinanze 1964 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica, n. 108 del 2 maggio 1964.

Visti l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei Ministri e l'atto di costituzione in giudizio delle ditte Giacomo Costa, Gaslini e Prima Spremitura Triestina d'olio;

udita nell'udienza pubblica del 3 febbraio 1965 la relazione del Giudice Francesco Paolo Bonifacio;

uditi l'avv. Antonio Sorrentino, per le ditte, e il sostituto avvocato generale dello Stato Francesco Agrò, per il Presidente del Consiglio dei Ministri.

 

Ritenuto in fatto

 

1. - Con ordinanza emessa il 29 gennaio 1964 sui ricorsi riuniti proposti dal signor Antonio Trizza ed altri contro provvedimenti del Comitato interministeriale dei prezzi e dei Comitati provinciali dei prezzi di Brindisi, Lecce, Matera, Teramo e Macerata, il Consiglio di Stato ha sospeso il giudizio ed ha rimesso gli atti a questa Corte per la decisione sulla legittimità costituzionale degli artt. 2 e 3, in relazione all'art. 1 della legge 21 dicembre 1961, n. 1527, in riferimento agli artt. 23, 24, 36, 41 e 102 della Costituzione.

La predetta legge, contenente norme relative al prezzo delle sanse di oliva, nell'art. 1 demanda al C.I.P. di stabilire annualmente, entro il 30 settembre, i criteri per la determinazione dei prezzi di tale prodotto, in base alle sue caratteristiche di resa, umidità ed acidità, nonché in base agli altri criteri di valutazione ritenuti necessari; affida (secondo comma) ai Comitati provinciali dei prezzi la fissazione annuale dei prezzi minimi secondo i criteri suddetti; dispone (terzo comma) che i prezzi minimi, così stabiliti, sono inseriti di diritto nei contratti di acquisto delle sanse in sostituzione dei prezzi eventualmente inferiori fissati dalle parti; l'art. 2 prescrive che per le sanse prodotte nella campagna 1961-62 il C.I.P. provvede alla determinazione dei detti criteri entro 45 giorni dall'entrata in vigore della legge; l'art. 3, infine, dispone che con gli stessi criteri di cui all'art. 1 vengano stabiliti i prezzi minimi delle sanse prodotte nella campagna 1960-61, fissa i termini entro i quali C.I.P. e Comitati provinciali dei prezzi devono provvedere ai rispettivi adempimenti e stabilisce che la disposizione dell'ultimo comma dell'art. 1 si applichi ai contratti non ancora esauriti o non ancora definiti con sentenza passata in giudicato.

L'ordinanza di rimessione, esposte le ragioni che inducono a ritenere rilevante sul giudizio la decisione sulla legittimità costituzionale delle disposizioni impugnate, pone anzitutto il problema del fondamento costituzionale delle leggi in esame, problema che non può trovare la sua soluzione nella sentenza n. 103 del 1957 della Corte costituzionale, atteso che questa ebbe ad oggetto le norme che definiscono in via generale le competenze del C.I.P. e dei Comitati Provinciali dei prezzi, mentre le disposizioni impugnate attribuiscono a questi Comitati un potere - quello di stabilire, cioè, prezzi minimi - nuovo e diverso.

Ciò premesso, l'ordinanza, riferendosi alle deduzioni di uno dei resistenti, dubita che possa essere invocato l'art. 36 della Costituzione, a proposito del quale ci sarebbe da chiedersi se il principio della minima retribuzione, espressamente riferito ai lavoratori, possa estendersi ai rapporti fra contrapposte categorie di imprenditori.

Quanto all'art. 41, secondo comma, si osserva che se lo scopo prefissosi dal legislatore - che l'Avvocatura dello Stato identifica in quello di evitare una paventata sopraffazione di una categoria, ritenuta economicamente più forte, su altra considerata più debole - dovesse farsi rientrare nel concetto di "utilità sociale", in contrasto con la quale l'iniziativa privata non può svolgersi, si darebbe a questo limite una tale latitudine da svuotare di contenuto la garanzia di libertà affermata nel primo comma. Se, infine, ci si volesse riferire al terzo comma, sarebbe certo da escludere che nel caso in esame si verta in tema di programmazione, dato che gli artt. 2 e 3 della legge impugnata hanno effetto retroattivo; e se, invece, si volesse aderire ad una accezione molto lata del concetto di "controllo" si ricadrebbe nelle obiezioni prospettate a proposito del secondo comma, perché anche i controlli sono consentiti solo in vista di fini sociali.

In secondo luogo l'ordinanza prospetta un altro profilo di illegittimità costituzionale, in riferimento agli artt. 24 e 102 della Costituzione. Il Consiglio di Stato non intende negare che il legislatore - salvo l'ipotesi prevista dall'art. 25, secondo comma - possa dettare norme retroattive, ma osserva che nel caso in esame é da rilevare che gli artt. 2 e 3 della legge impugnata incidono su una serie di controversie relative a pregressi rapporti sorti in regime di autonomia contrattuale, e che avrebbero dovuto trovare la loro soluzione innanzi al giudice civile: ora - si osserva - anche se é da riconoscere che il principio della separazione dei poteri opera con minore rigidità nella direzione che muove dal potere legislativo verso quello giudiziario, ed anche se é innegabile che un incidenza sulle funzioni del giudice si ha anche nel caso di leggi interpretative, é tuttavia da considerare che la legge sulla determinazione del prezzo delle sanse ha sottratto ai titolari dei diritti già sorti la facoltà di agire in giudizio (art. 24 della Costituzione) ed ha trasferito dal magistrato (art. 102 della Costituzione) all'autorità amministrativa il potere di determinare con atti generali le situazioni contestate.

Infine il Consiglio di Stato ritiene di non poter escludere che le disposizioni impugnate violino l'art. 23 della Costituzione: dalla determinazione del prezzo delle sanse "in base alle caratteristiche di resa", e cioè con riferimento non al costo di produzione della merce, ma al risultato economico della sua trasformazione industriale, si potrebbe infatti desumere che la disciplina introdotta dal legislatore realizzi una forma di partecipazione del venditore all'utile conseguito dal compratore. E ove, perciò, si considerasse imposta agli estrattori una prestazione patrimoniale la cui concreta entità sarebbe discrezionalmente determinata dall'autorità amministrativa, ne deriverebbe una violazione dell'art. 23.

2. - L'ordinanza ritualmente notificata alle parti ed al Presidente del Consiglio dei Ministri e comunicata al Presidente della Camera dei Deputati e del Senato, é stata pubblicata nella Gazzetta Ufficiale, n. 108 del 2 maggio 1964.

Nel presente giudizio si sono costituite, con atto di deduzioni depositato il 29 aprile 1964, le ditte Giacomo Costa, S.p.a. Gaslini, S.p.a. Prima Spremitura Triestina d'olio, tutte rappresentate e difese dall'avv. Antonio Sorrentino; é intervenuto il Presidente del Consiglio dei Ministri, costituendosi - anche nella qualità di Presidente del C.I.P. (parte nel giudizio a quo) - con atto depositato il 21 maggio 1964 e con la difesa dell'Avvocatura generale dello Stato. In data 12 giugno 1964 - fuori del termine massimo prescritto dal secondo comma dell'art. 25 della legge 11 marzo 1953, n. 87 - ha depositato atto di deduzioni il signor Paolo Bacile.

3. - La difesa delle parti private premette che nel febbraio 1955 venne stipulato un accordo di categoria fra frantoiani ed estrattori, accordo che questi ultimi furono costretti a disdire a seguito della legge 13 novembre 1960, n. 1407, che, vietando l'impiego per usi commestibili degli oli di sansa ottenuti per esterificazione, comportò una maggiore onerosità della produzione dell'olio commestibile e, conseguentemente, una notevole modifica dei presupposti economici dell'accordo. A seguito di ciò i frantoiani, anziché portare innanzi al magistrato la questione della legittimità della disdetta che essi contestavano, preferirono, forti del loro peso politico, sollecitare l'intervento del Parlamento che emanò il provvedimento legislativo di cui si discute. Si premette altresì che l'incidente di legittimità costituzionale sollevato dal Consiglio di Stato riguarda l'intera legge 21 dicembre 1961, n. 1527, giacché l'ordinanza di rimessione pone gli artt. 2 e 3 in relazione con l'art. 1, con ciò investendo le tre disposizioni nel loro complesso.

Nel merito, escluso che possa essere invocato l'art. 36 della Costituzione, concernente i rapporti di lavoro subordinato, si sostiene in primo luogo la violazione dell'art. 41 sotto tre profili: a) la fissazione di un prezzo di imperio, secondo la giurisprudenza della Corte costituzionale (sent. n. 103 del 1957) può rientrare nell'ambito del secondo comma solo se non risponda ad un intento dirigistico, mentre tale é quello perseguito dalla legge impugnata, diretta a modificare autoritativamente le regole del mercato per sostenere un settore economico a danno di un altro. Le disposizioni, peraltro, non potrebbero trovare il loro fondamento di legittimità neppure nel terzo comma: quando, infatti, la legge entrò in vigore le campagne 1960-61 e 1961-62 erano già esaurite e l'intero sistema, tenuto conto dei termini (tanto più se ritenuti non perentori) fissati per i provvedimenti dei Comitati, é tale da non consentire mai che gli operatori acquistino le sanse sapendo quanto esse verranno a costare, e con ciò la libertà economica viene compressa fino al punto da eliminare il principale dei presupposti sui quali essa si basa. La legittimità dell'efficacia retroattiva é da negarsi anche se ci si volesse riferire al concetto di controllo o se si volesse invocare il secondo comma: infatti sotto il profilo della necessaria preventiva conoscibilità della disciplina i limiti, i programmi e i controlli costituzionalmente consentiti non si differenziano fra loro; b) le norme sono illegittime per il difetto dell'utilità sociale, non potendosi in questa comprendere l'utilità di un sol gruppo: se così fosse, qualunque legge potrebbe astrattamente esser ritenuta rispondente a scopi di utilità pubblica e, quindi, sociale; c) sussiste violazione della riserva di legge, perché la fissazione di criteri atti a delimitare la sfera di discrezionalità dei Comitati é solo apparente, essendo da escludere che le caratteristiche di resa, umidità e acidità - non riferite a qualche elemento di costo o al prezzo di prodotti simili o derivati - siano idonee ad individuare il prezzo: il necessario ricorso alla "valutazione degli altri elementi ritenuti necessari" lascia posto ad una assoluta discrezionalità dell'autorità amministrativa.

La difesa sottolinea, poi, la violazione degli artt. 24 e 102 della Costituzione, determinata dallo scopo prefissosi dal legislatore di demandare ai Comitati dei prezzi la funzione di definire una controversia fra due operatori economici, e mette infine in evidenza che la determinazione del prezzo delle sanse non in relazione al loro costo di produzione, ma al risultato economico della trasformazione operata dall'estrattore, mentre accentua la violazione dell'art. 41 della Costituzione, comporta l'ulteriore violazione dell'art. 23 della Costituzione, in quanto viene posto a carico degli estrattori un onere economico la cui entità, per le cose già dette, é affidata alla assolutamente discrezionale determinazione dell'autorità amministrativa.

4. - L'Avvocatura dello Stato, riferendosi a sua volta ai precedenti della legge ed alle complesse vicende sindacali, politiche e legislative relative ai rapporti fra frantoiani ed estrattori, afferma che le ragioni addotte da questi ultimi per disdire l'accordo del 1955 furono speciose, giacché l'art. 2 della legge 13 novembre 1960, n. 1407, si limitò a modificare la denominazione dell'olio ricavato dalle sanse. Risultati vani tutti i tentativi di conciliazione, il Parlamento intervenne con la legge ora all'esame della Corte, che assume a base di determinazione del prezzo lo stesso criterio che industriali e frantoiani avevano concordato nel 1955, ripristinando in tal modo l'equilibrio dei loro rapporti ed eliminando l'iniquità insita in un sistema nel quale uno solo dei contraenti può dettare all'altro le condizioni contrattuali. Da ciò apparirebbe evidente, secondo l'Avvocatura, che la legge del 1961 non riguarda una programmazione, ma persegue solo il fine di evitare il deterioramento delle condizioni di mercato per quanto riguarda l'attività dei frantoiani e, di riflesso, la stessa olivicoltura. E il perseguimento di questo fine, si aggiunge, trova il suo fondamento nei limiti che l'art. 41 pone alla libertà dell'iniziativa economica: non é contestabile che l'eliminazione di un fattore di perturbamento di un processo produttivo, che interessa nelle varie fasi più categorie di operatori, non può non tradursi in una utilità che non é soltanto economica, ma sociale. Ed é certo, anche alla stregua della giurisprudenza della Corte, che la fissazione di prezzi di imperio (anche se fissi) é compatibile col principio del rispetto della libertà economica.

Ricondotte le norme denunciate nell'ambito dei limiti consentiti dall'art. 41, é vano, secondo l'Avvocatura, il riferimento agli artt. 36 e 23, giacché il primo riguarda soltanto i prestatori d'opera, ed il secondo non appare violato da norme che lasciano comunque liberi di stipulare o meno il contratto e che comunque non comportano l'obbligo di una prestazione patrimoniale.

Per quanto riguarda infine gli artt. 24 e 102 si osserva che le argomentazioni svolte nell'ordinanza di rimessione porterebbero a ritenere illegittime tutte le leggi retroattive. Alla retroattività consegue che tutti i rapporti pendenti, anche se già portati alla cognizione del giudice, debbano ritenersi regolati ab origine dalla nuova legge, ma ciò non impedisce la tutela giurisdizionale, ma solo ne modifica l'ambito. Né, nel caso di specie, si trasferisce il potere giurisdizionale all'autorità amministrativa la quale, invece, si sostituisce all'autonomia privata ed é certamente soggetta al sindacato giurisdizionale previsto dall'art. 113 della Costituzione.

5. - In data 4 novembre 1964 le parti costituite hanno depositato le rispettive memorie.

L'Avvocatura dello Stato mette in evidenza che nella specie i Comitati dei prezzi non agiscono nell'ambito della loro competenza istituzionale e non trova pertanto applicazione quel complesso di garanzie dirette ad impedire che la funzione amministrativa straripi nella formazione di un indirizzo politico. La legge impugnata affida invece ai Comitati un compito ben determinato e i relativi provvedimenti sono certamente impugnabili per violazione di legge (ove non siano stati rispettati i criteri specificamente prescritti dal legislatore) o per eccesso di potere (ove gli altri elementi di valutazione ritenuti necessari tali in concreto non appaiano). Né si tratta di realizzare piani o programmi economici, sicché i limiti formali e sostanziali indicati nella sentenza 35 del 1961 non sono qui richiamabili. Il vero problema é quello di identificare il requisito dell'utilità sociale richiesto dall'art. 41. Affermato che in tema di libertà economica va distinto fra scelta dell'attività, incondizionatamente libera, e modo di svolgimento, certamente vincolabile, l'Avvocatura, richiamando la ordinanza n. 29 del 1959, ritiene che l'utilità sociale debba identificarsi col bonum commune: la esistenza, come nella specie, di un grave contrasto di interessi, é nociva per la comunità, e perciò il bene comune esige che esso sia autoritativamente composto in modo da realizzare il minimo danno e il massimo vantaggio per i cittadini. La gravità del conflitto tra frantoiani ed estrattori e il perturbamento di un vitale settore economico giustificano l'intervento del legislatore, che non attua, come dalla controparte si sostiene, una composizione in sede amministrativa di una controversia contrattuale.

La difesa delle parti private contesta l'esattezza della ricostruzione, fatta dall'Avvocatura, dei rapporti fra frantoiani ed estrattori e della situazione esistente al momento dell'emanazione della legge. In particolare nella memoria si mette in evidenza la diversa portata della legge 30 ottobre 1948, n. 1339, emanata per regolare in via transitoria il primo anno di regime di libertà economica e strutturata in modo da conferire al C.I.P. il compito di determinare il prezzo delle sanse in base a criteri economico-tecnici; si rileva che nell'accordo del 1955 il prezzo minimo valeva solo nel caso in cui nulla stabilisse in proposito il contratto; si esclude recisamente che fra frantoiani e estrattori si fosse instaurato un sistema di rapporti iniqui e di sopraffazione; si insiste, infine, nel sostenere le ragioni che dettero luogo alla disdetta.

Nel merito delle questioni la difesa - preso atto che la stessa Avvocatura dello Stato esclude ogni richiamo all'art. 36 - affronta l'esame della potestà demandata ai Comitati e mette in rilievo che proprio la diversità del compito ad essi affidato rispetto alle loro competenze istituzionali, offre validi argomenti per dubitare della legittimità costituzionale della legge. Il potere di cui attualmente si discute attua la regolamentazione dell'economia di un settore in vista di fini economico-politici (e la Corte nella sentenza 103 del 1957 esclude che un siffatto potere possa legittimamente essere affidato ad un organo amministrativo); con la determinazione di prezzi non massimi ma minimi contraddice il fine di tutelare la stabilità della moneta ed il valore reale dei salari (fine che la Corte riconobbe come legittimante dei poteri istituzionali del C.I.P.); nel difetto di criteri tecnici viene a mancare ogni delimitazione della discrezionalità amministrativa, con la conseguenza di rendere praticamente inoperante il controllo giurisdizionale.

Passando all'illustrazione del principio di libertà economica, la difesa, richiamando la giurisprudenza della Corte, afferma che i limiti ricavabili dall'art. 41 non possono mai giungere a rinnegarla o a snaturarne il contenuto. E questo é quanto accade ove, effettuandosi interventi con effetto retroattivo, non si consenta all'imprenditore di valutare preventivamente la convenienza di una determinata attività. L'esigenza che ciò, invece, sia garantito - puntualmente affermata dalla Corte nella sentenza n. 35 del 1961 - riguarda ogni e qualsiasi intervento in materia economica. Non si tratta di estendere il divieto di retroattività a casi diversi da quello contemplato nell'art. 25, ma di accertare se la retroattività leda altri principi affermati nella Costituzione.

Ma anche a prescindere da ciò, la difesa ritiene che la legge non possa trovare il suo fondamento nell'art. 41.

La fissazione di prezzi di imperio può rientrare nei limiti previsti dal secondo comma solo se si propone lo scopo, negativo, di impedire che l'iniziativa economica produca effetti pregiudizievoli per la collettività. Ove invece, come nella specie, la finalità sia quella di ottenere risultati positivi, quale la regolamentazione di un determinato settore, si va oltre i limiti meramente negativi della difesa dell'utilità sociale e si attua una politica dirigistica. Né il potere conferito ai Comitati potrebbe rientrare nel comma terzo, che consente (cfr. sentenza n. 78 del 1958) l'adozione di norme idonee a delineare programmi diretti a stimolare, indirizzare e coordinare l'attività economica: laddove, invece, nel caso in esame l'imposizione di un prezzo di imperio produce come effetto immediato la diretta coercizione dell'iniziativa privata. E se, nonostante queste considerazioni la legge potesse riassumersi nella previsione del terzo comma, ne emergerebbe a maggior ragione l'incostituzionalità, atteso che il programma non può che comprendere misure destinate ad operare per il futuro. Viene ancora rilevato che norme volte ad operare nell'ambito del sinallagma contrattuale per spostare a vantaggio di una delle parti le condizioni negoziali perseguono l'utilità di un gruppo di privati e non certo quello della collettività; si insiste, poi, nel contestare che sia stata rispettata la riserva di legge.

Quanto alla illegittimità in riferimento all'art. 23, la difesa sostiene che l'imposizione di un prezzo minimo, che sostituisce quello inferiore pattuito dalle parti, significa di per sé sottrazione di una parte di utile spettante all'acquirente: ed anche qui la mancanza di criteri idonei a circoscrivere la potestà amministrativa dimostra che é stata violata la riserva di legge. Si osserva infine che, se é vero che la legge ha inteso risolvere la controversia tra frantoiani ed estrattori di olio, viene in rilievo l'ulteriore contrasto delle norme in esame con gli artt. 24 e 102 della Costituzione: sta di fatto che di fronte ad una tal controversia il legislatore ha disposto un tipico intervento dell'autorità amministrativa in rapporti privati al fine di risolvere una controversia già insorta o in procinto di insorgere.

6. - Nella pubblica udienza l'Avvocatura dello Stato e la difesa delle parti private hanno ribadito le esposte considerazioni ed hanno chiesto rispettivamente la dichiarazione di non fondatezza delle questioni di legittimità costituzionale sollevate dall'ordinanza di rimessione e la pronuncia della illegittimità costituzionale delle norme impugnate.

 

Considerato in diritto

 

1. - I tre articoli della legge 21 dicembre 1961, n. 1527 - dei quali l'ordinanza di rimessione del Consiglio di Stato denunzia il secondo ed il terzo "in relazione" al primo - formano un sistema inscindibile, giacché gli artt. 2 e 3 estendono ai contratti relativi alle sanse prodotte rispettivamente nelle campagne 1961-62 e 1960-61 i poteri che l'art. 1 conferisce al Comitato interministeriale dei prezzi ed ai Comitati provinciali dei prezzi, secondo le direttive ivi indicate. L'oggetto del presente giudizio é pertanto costituito dall'intero provvedimento legislativo.

Deve essere tuttavia precisato che nell'ambito della legge denunziata e delle norme costituzionali delle quali si assume la violazione l'esame della Corte va contenuto nei limiti delle questioni enunciate nell'ordinanza e non può essere esteso a quelle altre che, al di 1à di essi, sono state prospettate e discusse dalle parti.

2. - La prima questione sollevata dal Consiglio di Stato attiene al fondamento costituzionale del potere che il legislatore ha esercitato col predisporre, attraverso i compiti demandati al C.I.P. ed ai Comitati provinciali dei prezzi, la determinazione di prezzi minimi delle sanse vergini di oliva da inserirsi nei contratti di compravendita, eventualmente anche in sostituzione di prezzi inferiori convenuti dai contraenti.

É da escludere, in proposito, che possa farsi utile riferimento all'art. 36 della Costituzione - sul che, in sostanza, concordano sia l'ordinanza che tutte le parti costituite -, atteso che questa norma si riferisce ai rapporti di lavoro e non può essere fonte di legittimi interventi legislativi in materie che, anche se di contenuto economico, sono di tutt'altra natura. Esattamente, invece, il Consiglio di Stato, partendo dal presupposto che le norme in esame incidono sulla libertà dell'iniziativa economica privata, pone l'attuale problema nei termini che gli sono propri, in quelli, cioé, di un raffronto fra la legge impugnata e l'art. 41 della Costituzione. Non é infatti contestabile che la garanzia posta nel primo comma di quest'articolo nell'ambito circoscritto dai successivi due capoversi riguarda non soltanto la fase iniziale di scelta dell'attività, ma anche i successivi momenti del suo svolgimento; ed é ugualmente certo che, poiché l'autonomia contrattuale in materia commerciale é strumentale rispetto all'iniziativa economica, ogni limite posto alla prima si risolve in un limite della seconda, ed é legittimo, perciò, solo se preordinato al raggiungimento degli scopi previsti o consentiti dalla Costituzione.

Ciò posto, é da rilevare che l'unico quesito dedotto nell'ordinanza riguarda la sussistenza nel presente caso di quel fine di utilità sociale che, alla stregua della richiamata norma costituzionale, condiziona il potere del legislatore ordinario. Si appalesa, pertanto, superfluo indagare, a questi limitati effetti, se la legge impugnata debba inquadrarsi nella previsione del secondo o del terzo comma dell'art. 41: si tratti, infatti, di limitazioni imposte dal secondo o di indirizzo, coordinamento e controlli consentiti dal terzo, l'utilità sociale deve pur sempre presiedere alle une ed agli altri.

L'ordinanza di rimessione dubita che lo scopo delle norme denunziate, se individuato in quello di proteggere una determinata categoria economica (frantoiani) nei confronti di altra categoria (estrattori) ritenuta più forte, possa identificarsi con l'utilità sociale nel senso in cui questa é intesa dall'art. 41 della Costituzione, e la difesa delle parti private costituite nel presente giudizio assume debba escludersi che il vantaggio di un gruppo di operatori economici, specie se realizzato a danno di un altro gruppo, possa coincidere con quello della collettività.

La Corte ritiene che siffatta censura sia infondata.

Già in altre occasioni é stato affermato che il carattere particolare o limitato della categoria economica considerata dalla legge non é, in linea di principio, sufficiente ad escludere che venga perseguita una finalità sociale (cfr. sentenza n. 54 del 1962); e, con diretto riferimento all'autonomia contrattuale, é stato accertato che rientra nei poteri conferiti al legislatore dall'art. 41 della Costituzione la riduzione ad equità di rapporti che appaiano sperequati a danno della parte più debole (sentenza n. 7 del 1962). Nel caso oggetto del presente giudizio é da osservare che a seguito della denuncia dell'accordo stipulato fra le due categorie il 23 febbraio 1955 - e sulla legittimità della quale ovviamente la Corte non può e non deve pronunziarsi - si verificò un grave conflitto di interessi fra frantoiani ed estrattori, determinato dalla circostanza, non contestata e comunque implicitamente emergente dallo stesso accordo ora ricordato, che i rapporti economici relativi alle sanse sono regolati, almeno in via generale e per ragioni che non occorre qui approfondire, dalla prassi secondo la quale all'atto della vendita e consegna della merce non ne viene fissato il prezzo. Ora ciò induce a ritenere che non irragionevolmente il legislatore é partito dalla premessa (implicita nella legge, ma chiaramente espressa nei lavori preparatori) che i frantoiani, in mancanza di ogni regolamentazione della materia, vengano a trovarsi, per il fatto stesso di aver adempiuto alla loro prestazione senza determinarne il corrispettivo, in una posizione più debole di quella degli estrattori, ed ha predisposto perciò, non arbitrariamente, un sistema che, nel contemperamento degli interessi delle due categorie, consenta la fissazione di prezzi equi e remunerativi: i quali, appunto perché tali considerati, non possono che essere prezzi minimi destinati a sostituire prezzi eventualmente inferiori accettati dai frantoiani (senza di che il proposito di proteggere il contraente meno forte non sarebbe conseguibile).

Né a ciò é opponibile che la protezione degli interessi dei frantoiani non potrebbe mai integrare quel fine sociale che solo può legittimare una disciplina legislativa destinata ad incidere sulla libertà economica.

Svariate norme costituzionali, infatti, appaiono espressione del principio della doverosa tutela delle posizioni economiche più deboli, ed é perciò da ritenere che ogni legge intesa a realizzare questa soddisfi un interesse che la stessa Carta costituzionale considera attinente all'ordinata vita della collettività e, quindi, di carattere generale. Ed é ulteriormente da rilevare che nella specie il legislatore, come risulta dagli atti parlamentari, ha tenuto presente la vastità quantitativa e territoriale delle conseguenze del fenomeno al quale occorreva par rimedio ed ha anche espressamente considerato gli effetti deleteri che ne derivavano a tutto il settore dell'olivocultura, compiendo così una valutazione di quell'interesse della produzione che certamente incide su quello della società (cfr. sentenza n. 5 del 1962).

Di fronte alla quale constatazione non vale osservare, come fa la difesa delle parti private, che comunque l'interesse riflesso dell'olivocultura verrebbe tutelato col corrispondente sacrificio dell'interesse dell'industria olearia, di pari rilevanza sociale: l'apprezzamento, infatti, del concreto interesse sociale da soddisfare e, nell'ambito di questo, dei singoli interessi settoriali che lo condizionano attiene al merito riservato al legislatore ed é sottratto al sindacato della Corte, che va contenuto in quei limiti di legittimità che già in altre occasioni sono stati precisati (cfr. sentenza n. 14 del 1964).

Le altre questioni sollevate dalla difesa delle parti private in riferimento allo stesso art. 41 della Costituzione - in particolare quella relativa all'assunta violazione della riserva di legge ed alla non consentita grave incidenza che sulla iniziativa economica privata produrrebbe l'efficacia retroattiva delle disposizioni impugnate - non trovano riscontro nell'ordinanza di rimessione e pertanto, per quel che si é premesso, restano fuori dell'attuale giudizio.

3. - Secondo l'ordinanza del Consiglio di Stato la legge 21 dicembre 1961, n. 1527, imponendo una prestazione a carico degli estrattori e demandandone la concreta determinazione al potere discrezionale dell'autorità amministrativa, non rispetterebbe l'art. 23 della Costituzione.

Anche questa seconda questione appare infondata.

Senza scendere alla valutazione dell'esattezza dell'interpretazione data al primo comma dell'art. 1, dalla quale il giudice a quo trae il convincimento che il sistema di determinazione dei prezzi delle sanse comporta la partecipazione dei frantoiani agli utili conseguiti dagli estrattori, é sufficiente osservare che se, come innanzi é stato accertato, la legge trova il suo fondamento nell'art. 41 della Costituzione, ciò esclude che essa debba essere valutata anche in riferimento all'art. 23. La Corte già altra volta (sentenza n. 70 del 1960) ha affermato che le due norme costituzionali coprono campi affatto diversi, ed invero il concetto di limite o il concetto di controllo dell'iniziativa privata, per loro stessa natura e finalità, non sono in alcun modo riconducibili a quello di "prestazione". Più in generale va rilevato che l'art. 23 della Costituzione, il cui contenuto si esaurisce nel prescrivere una riserva di legge, non ha nessun ruolo da svolgere 1à dove altra norma costituzionale - e tale é il caso dell'art. 41 - nel dettare una disciplina sostanziale della fattispecie già l'accompagni con la garanzia formale della riserva di legge.

4. - Un ulteriore profilo di legittimità costituzionale messo in rilievo dall'ordinanza di rimessione riguarda la compatibilità delle norme in esame con il diritto di difesa garantito dall'art. 24 della Costituzione e con la riserva della funzione giurisdizionale disposta dall'art. 102 della Costituzione. Gli artt. 2 e 3 della legge impugnata conferiscono ai Comitati, come si é detto, il potere di determinare i prezzi minimi delle sanse prodotte nelle campagne 1961-62 e 1960-61 e, cioè, relativamente a contratti già stipulati: l'indubbia efficacia retroattiva di queste disposizioni sottrarrebbe, secondo il giudice a quo, ai titolari di diritti già sorti la facoltà di agire in giudizio, con conseguente violazione dell'art. 24 della Costituzione, e, nello stesso tempo, in contrasto con l'art. 102 trasferirebbe dal magistrato all'autorità amministrativa il potere di definire le situazioni contestate.

Giova in proposito mettere subito in rilievo che non é esatto che il legislatore, secondo quanto su questo punto assume la difesa delle parti private, attraverso le norme di cui si discute ha demandato ai Comitati dei prezzi la definizione della controversia sorta a seguito delle opposte tesi sulla legittimità della ricordata disdetta dell'accordo del febbraio 1955. Vero é, invece, che la legge non volle apprestare i mezzi per la decisione di una controversia giuridica, sebbene (il che é ben diverso) risolvere un conflitto di interessi determinatosi fra le due categorie a seguito della sopravvenuta mancanza di ogni regolamentazione della materia.

Siffatta considerazione vale ad escludere la denunziata violazione dell'art. 102 della Costituzione. La nuova disciplina, a parte il fatto che lascia intatti i rapporti esauriti o definiti con sentenza passata in giudicato (art. 3, quarto comma), incide solo sull'autonomia contrattuale, integrandola se manca la fissazione del prezzo, sovrapponendovisi se é stato stabilito un prezzo inferiore, e non tocca in alcun modo le attribuzioni dell'autorità giudiziaria. Gli atti posti in essere dai Comitati, destinati a determinare la misura concreta dei prezzi minimi e certamente sottoposti al normale sindacato giurisdizionale (art. 113 della Costituzione), hanno natura amministrativa e perciò non usurpano le funzioni che la Costituzione assegna ai giudici (cfr. sentenze n. 8 del 1962 e n. 80 del 1964).

Le stesse ragioni dimostrano l'infondatezza del contrasto della legge con l'art. 24 della Costituzione.

Con giurisprudenza costante la Corte ha affermato che la garanzia costituzionale disposta dal primo comma di questa norma Si riferisce ai diritti ed agli interessi legittimi nell'ambito in cui questi sono configurati nella legge, sicché ogni loro modifica é costituzionalmente sindacabile solo in relazione alle norme che eventualmente ne garantiscano il contenuto, non già in riferimento alla norma che ne tutela l'azionabilità in giudizio. Nella specie, non essendo dubbio che la legge impugnata regola l'aspetto sostanziale dei rapporti presi in considerazione, e cioè ne disciplina un momento che logicamente precede ed é distinto da quello dell'azione giudiziaria, non é ravvisabile una qualsiasi violazione dell'art. 24.

 

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale della legge 21 dicembre 1961, n. 1527, contenente norme sulla "determinazione del prezzo delle sanse", in riferimento agli artt. 23, 24, 36, 41 e 102 della Costituzione.

 

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, l'8 aprile 1965.

Gaspare AMBROSINI - Giuseppe CASTELLI AVOLIO - Antonino PAPALDO - Nicola JAEGER - Giovanni CASSANDRO - Biagio PETROCELLI - Antonio MANCA - Aldo SANDULLI - Giuseppe BRANCA - Michele FRAGALI - Costantino MORTATI - Giuseppe CHIARELLI – Giuseppe VERZì - Giovanni Battista BENEDETTI -  Francesco Paolo BONIFACIO.

 

Depositata in Cancelleria il 23 aprile 1965.