Sentenza n. 64 del 1965
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SENTENZA N. 64

ANNO 1965

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori Giudici:

Prof. GASPARE AMBROSINI, Presidente

Prof. GIUSEPPE CASTELLI AVOLIO

Prof. ANTONINO PAPALDO

Prof. NICOLA JAEGER

Prof. GIOVANNI CASSANDRO

Prof. BIAGIO PETROCELLI

Dott. ANTONIO MANCA

Prof. ALDO SANDULLI

Prof. GIUSEPPE BRANCA

Prof. MICHELE FRAGALI

Prof. COSTANTINO MORTATI

Prof. GIUSEPPE CHIARELLI

Dott. GIUSEPPE VERZÌ

Dott. GIOVANNI BATTISTA BENEDETTI

Prof. FRANCESCO PAOLO BONIFACIO

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 2 della legge regionale siciliana 26 gennaio 1953, n. 2, promosso con ordinanza emessa il 18 dicembre 1961 dalla Commissione provinciale delle imposte dirette e indirette di Palermo su ricorso di Russo Lucia ed altri contro l'Ufficio del registro di Termini Imerese, iscritta al n. 92 del Registro ordinanze 1964 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica, n. 157 del 27 giugno 1964 e nella Gazzetta Ufficiale della Regione siciliana, n. 27 del 20 giugno 1964.

Visti l'atto di costituzione di Russo Lucia, Russo Maria e Lanzarotta Agostina Maria, e l'atto di intervento del Presidente della Regione siciliana;

udita nell'udienza pubblica del 12 maggio 1965 la relazione del Giudice Giuseppe Chiarelli;

uditi l'avv. Pietro Virga, per le ricorrenti, e l'avv. Salvatore Orlando Cascio, per il Presidente della Regione siciliana.

 

Ritenuto in fatto

 

1. - Le signore Lucia e Maria Russo e Agostina Maria Lanzarotta, rispettivamente figlie e moglie di Andrea Russo, deceduto ab intestato in Termini Imerese il 7 marzo 1957, provvedevano alla denuncia di successione e al pagamento dell'imposta principale. In seguito ad accertamento di maggior valore e a concordato, effettuavano il pagamento dell'imposta complementare.

In sede ispettiva, veniva successivamente rilevato che nella liquidazione dell'imposta era stata percetta l'addizionale del 10 per cento, mentre alla data dell'apertura della successione vigeva l'addizionale del 15 per cento, di cui 10 per cento giusta il D. L. 7 novembre 1954, n. 1025, e 5 per cento giusta la legge regionale 26 gennaio 1953, n. 2; agli eredi era pertanto ingiunto di pagare una differenza di L. 743.715.

Contro tale ingiunzione, le eredi ricorrevano alla Commissione provinciale delle imposte dirette e indirette di Palermo, deducendo, tra l'altro, la illegittimità della detta legge regionale.

La Commissione, con ordinanza emessa il 18 dicembre 1961, ma trasmessa a questa Corte con regolari notifiche solo il 29 maggio 1964, ha ritenuto rilevante e non manifestamente infondata la questione della legittimità costituzionale dell'art. 2 di detta legge, in riferimento agli artt. 36, 14 e 17 dello Statuto siciliano e agli artt. 3, 23 e 53 della Costituzione.

2. - Si osserva nell'ordinanza che l'art. 2 della legge regionale 26 gennaio 1953, n. 2, disponeva che nel territorio della Regione era protratta fino al 30 giugno 1958 l'efficacia della legge statale 2 gennaio 1952, n. 1, che aveva istituito una addizionale a carattere eccezionale, per la durata di un anno, destinata a coprire le spese sopportate dallo Stato per le opere di assistenza a favore degli alluvionati del Polesine. Se non che, prosegue l'ordinanza, con la detta legge regionale veniva in realtà istituito un nuovo tributo, diverso da quello previsto dalla legge statale, in quanto l'addizionale stabilita dalla Regione aveva carattere generale e continuativo, ed era destinata a sovvenzionare l'esecuzione di opere da parte di enti di assistenza e di culto, previste dall'art. 3 della stessa legge e dai successivi regolamenti. Si deduce, quindi, la violazione dei citati artt. 36, 14 e 17 dello Statuto siciliano, in base ai quali il potere normativo in materia tributaria deve essere esercitato dalla Regione con l'osservanza dei principi e interessi generali a cui si informano le leggi dello Stato per ogni singolo tributo.

L'ordinanza aggiunge che, essendosi ritenuto che la Regione possa solo adattare le leggi statali preesistenti alle particolari esigenze regionali, anche sotto questo riflesso pare dubbio che possa ad essa riconoscersi il potere di istituire nuovi tributi.

Motivi di perplessità, prosegue l'ordinanza, sorgono anche in relazione all'art. 53 della Costituzione, il quale, ribadendo il precetto dell'art. 3, sancisce l'eguaglianza di tutti i cittadini di fronte al regime tributario, mentre l'imposizione di una aliquota di addizionale sull'imposta di successione, non prevista dalla legge nazionale, porta alla conseguenza che, se la liquidazione dell'imposta avviene nell'isola, il cittadino é assoggettato a un più grave carico tributario.

Infine, l'ordinanza prospetta il dubbio che la legge regionale de qua contrasti con l'art. 23 della Costituzione, in quanto la riserva in questo contenuta si riferisce alla legge statale, e comunque a una fonte legislativa primaria, emanante da una potestà piena. Il potere di imposizione di nuovi tributi non può, pertanto, trovare la sua fonte in un potere normativo di carattere complementare e subordinato, come quello previsto dall'art. 17 dello Statuto siciliano.

3. - Si sono costituite in giudizio le eredi Russo, rappresentate e difese dall'avv. Pietro Virga, con deduzioni depositate il 24 aprile 1964.

In esse si sostiene, in primo luogo, l'incompetenza della Regione a istituire un tributo nuovo, di carattere generale e continuativo, non previsto dalla legislazione dello Stato. Infatti, non essendo state ancora emanate le norme di attuazione dell'art. 36 dello Statuto siciliano, la Regione siciliana ha una potestà legislativa concorrente e sussidiaria a quella dello Stato e deve esercitarla senza turbare l'unità dell'ordinamento tributario generale. Se ne deduce che non può adottare disposizioni di carattere fiscale che non corrispondano ai "tipi" previsti dalla legislazione statale: principio che, affermato in giurisprudenza per le esenzioni fiscali, a maggior ragione va applicato alle nuove imposizioni tributarie.

Inoltre, si deduce la violazione del principio di eguaglianza tributaria, in quanto i cittadini, per effetto della legge impugnata, vengono assoggettati a trattamento diseguale, secondo che il fatto generatore dell'imposta si verifichi entro o fuori il territorio della Regione.

Le deduzioni concludono nel senso che sia dichiarata costituzionalmente illegittima la legge regionale n. 2 del 1953, per quanto attiene alla imposizione di una addizionale ai tributi erariali.

4. - La Regione, rappresentata e difesa dall'avv. Salvatore Orlando Cascio, si é costituita con deduzioni depositate il 16 luglio 1964, nelle quali si chiede che la questione sia dichiarata manifestamente infondata.

La difesa della Regione si richiama alla sentenza dell'Alta Corte per la Regione siciliana 23 gennaio - 20 agosto 1953, la quale rigettò censure analoghe a quelle ora sollevate, in relazione alla medesima legge regionale. Ricorda, inoltre, che la Corte costituzionale ha ammesso che una legge regionale può istituire un'addizionale che corrisponda a un "tipo" previsto dall'ordinamento statale e ai principi a cui questo si ispira (sentenza n. 34 del 1961). Poiché, nella specie, tale corrispondenza é stata riconosciuta nella citata sentenza dell'Alta Corte, la difesa della Regione insiste nel chiedere il rigetto della eccezione di illegittimità costituzionale.

5. - In memoria 28 aprile 1965 la difesa degli eredi Russo ha osservato che il richiamo alla sentenza dell'Alta Corte é controproducente per la tesi della Regione, in quanto i motivi per i quali la legge regionale n. 2 del 1953 fu impugnata innanzi all'Alta Corte erano diversi da quelli denunciati nel presente giudizio, e in quanto la consolidata giurisprudenza della Corte costituzionale ha ritenuto che ai limiti della potestà tributaria regionale riconosciuti dall'Alta Corte sia da aggiungere quello dei principi fondamentali della legislazione statale per ogni singolo tributo. Inoltre la memoria insiste sulla violazione del principio di eguaglianza tributaria.

Nella discussione orale i difensori delle parti hanno svolto le tesi rispettive.

 

Considerato in diritto

 

1. - Il decreto legge 30 novembre 1937, n. 2145 (convertito in legge 25 aprile 1938, n. 614) istituiva una addizionale destinata all'integrazione dei bilanci degli Enti comunali di assistenza, nella misura di due centesimi per ogni lira di vari tributi erariali, comunali e provinciali. Con la stessa legge veniva soppressa l'addizionale per fini di assistenza sociale istituita con R.D.L. 30 dicembre 1936, n. 2171. Successivamente, con decreto legislativo 18 febbraio 1946, n. 100, la misura dell'addizionale E. C. A. veniva portata a cinque centesimi.

La legge 2 gennaio 1952, n. 1, elevava ulteriormente la detta addizionale a centesimi dieci, per il periodo dal 1 gennaio al 31 dicembre 1952, stabilendo però che il maggior provento derivante dall'aumento era riservato all'Erario e sarebbe stato versato in apposito capitolo dello stato di previsione. Nella relazione al disegno di legge era detto che tale provento sarebbe stato destinato alla copertura delle spese per gli alluvionati del Polesine.

La legge regionale siciliana 26 gennaio 1953, n. 2, dispose all'art. 2 che l'efficacia della predetta legge statale 2 gennaio 1952, n. 1, era protratta, nel territorio della Regione, sino al 30 giugno 1958. L'art. 3 stabiliva che il provento che sarebbe derivato dall'applicazione dell'articolo precedente era destinato in varia misura, anche in relazione ai diversi esercizi finanziari successivi, alla esecuzione di opere, di interesse di enti di assistenza e beneficenza giuridicamente costituiti, aventi per oggetto la costruzione o il miglioramento di brefotrofi e ospizi per vecchi indigenti; alla concessione di contributi per il medesimo fine; ad opere e spese di carattere straordinario e di interesse di enti di culto, di beneficenza e di assistenza, per la costruzione, il completamento e l'arredamento di edifici destinati alle rispettive finalità; infine, a contributi in favore dei predetti enti pubblici e privati mediante assunzione della spesa per rette di ricovero di minori poveri e di vecchi indigenti, anche a integrazione dei contributi dello Stato.

L'art. 2 di questa legge é stato denunciato per illegittimità costituzionale, in relazione agli artt. 36, 14, 17 dello Statuto siciliano, nonché in relazione agli artt. 53, 3 e 23 della Costituzione.

2. - Per procedere all'esame delle dedotte questioni di legittimità costituzionale é necessario premettere che nell'art. 2 della legge regionale 1953, n. 2, non può ravvisarsi una proroga di una legge preesistente.

A parte che, come questa Corte ha già affermato, una legge di proroga é sempre, agli effetti della sua sindacabilità costituzionale, un atto legislativo a sé stante, nella specie si é di fronte a un atto che é manifestazione dell'autonomia della Regione, laddove l'atto di cui si sarebbe prorogata l'efficacia, e cioè la legge dello Stato, era una manifestazione della sovrana potestà legislativa di quest'ultimo.

Nell'art. 2 in esame va pertanto riconosciuta una nuova imposizione di tributo disposta autonomamente dalla Regione.

Il problema di legittimità costituzionale, in relazione alle norme dello Statuto siciliano, si pone, quindi, nei seguenti termini: se la Regione, con la detta norma abbia superato i limiti del suo potere normativo tributario. Per rispondere al quesito é necessario richiamare i principi che questa Corte ha ripetutamente enunciati in proposito.

3. - Sin dalla sentenza n. 9 del 1957, questa Corte ha affermato che, in base all'art. 36 dello Statuto, la Regione siciliana ha potere normativo in materia tributaria anche riguardo ai tributi erariali, salvi i limiti che la stessa sentenza ha indicati e che nella successiva giurisprudenza sono stati confermati e ulteriormente precisati.

Questi limiti derivano, innanzi tutto, dal carattere non esclusivo, ma sussidiario (o, come altrimenti si dice, concorrente con la competenza dello Stato) della competenza legislativa regionale in materia. In base all'art. 17 dello Statuto, che prevede tale tipo di competenza, le leggi regionali tributarie, mentre debbono essere emanate al fine di soddisfare alle condizioni particolari e agli interessi propri della Regione, debbono rispettare i limiti derivanti dai principi ed interessi generali cui s'informa la legislazione dello Stato. In particolare, in materia tributaria la legislazione regionale deve uniformarsi all'indirizzo e ai principi fondamentali della legislazione statale per ogni singolo tributo, in modo che sia soddisfatta l'esigenza del coordinamento, in un sistema unitario, della finanza regionale con la finanza dello Stato e degli altri enti locali.

Nel caso in esame, la questione se i richiamati principi hanno trovato applicazione va considerata tenendo presente il carattere di "addizionale" a imposte erariali, proprio del tributo stabilito dalla norma impugnata.

Osserva la Corte che, in linea generale, non può escludersi che il potere impositivo della Regione si esplichi con la previsione di imposte addizionali a tributi dello Stato. Nel nostro ordinamento tributario il sistema delle cosiddette addizionali o sovraimposte é largamente usato nel campo dei tributi degli enti locali e degli altri enti pubblici, e non può perciò ritenersi che, solo col far ricorso a tale mezzo, la Regione contraddica al sistema dell'ordinamento tributario generale.

Però, in conformità ai principi innanzi richiamati, la Regione, ricorrendo alla forma dell'addizionale, non può introdurre tributi che non corrispondano a un tipo previsto dall'ordinamento statale e ai principi a cui questo s'ispira. Questa precisazione la Corte ha avuto occasione di fare nella sentenza n. 34 del 1961.

L'affermazione che l'addizionale imposta dalla Regione deve corrispondere a un "tipo" di addizionale erariale va intesa nel senso che deve presentare caratteri comuni con imposte addizionali conosciute dall'ordinamento tributario generale, dai quali risulti la conformità di essa ai principi di questo ordinamento, in modo che non sia alterato il sistema delle imposte erariali.

Per accertare, nei casi concreti, se la Regione, imponendo una addizionale, abbia osservato gli indicati limiti, occorre, innanzi tutto, riferirsi al rapporto di complementarietà e di dipendenza, che é proprio dell'addizionale rispetto al tributo (o ai tributi) a cui si aggiunge.

Tale rapporto implica che fra il tributo principale e l'addizionale esista una identità di base, nel senso che entrambi i tributi, non solo si riferiscano a determinati redditi, individuati con certezza, ma non siano informati a differenti criteri di valutazione delle capacità contributive, in modo che nell'addizionale non risultino alterati i caratteri del tributo principale e non ne derivi contrasto con l'unità del sistema tributario. É questa la ragione per cui, come questa Corte ha ritenuto nella ricordata sentenza n. 34 del 1961, la Regione non può introdurre una addizionale che sia basata su una discriminazione ignota all'ordinamento statale fra i contribuenti delle imposte erariali.

In relazione al ricordato rapporto di supplementarietà, che collega l'addizionale al tributo principale, anche la misura dell'imposta, che per se stessa, dato il suo carattere meramente quantitativo ed elastico, non può fornire un criterio qualificatore del tributo, può assumere rilevanza, nel giudizio di legittimità dell'imposizione, quando é tale da rompere il detto rapporto, anche qui con conseguente alterazione del sistema tributario generale. Sotto questo riflesso, il criterio di valutazione della legittimità dell'imposizione può essere fornito dal confronto con la misura delle addizionali affini, già conosciute dall'ordinamento.

Analogo ragionamento può farsi per quanto riguarda la destinazione del tributo. É noto che lo scopo per il quale un tributo viene imposto non può valere a caratterizzare il tributo stesso, salva la rilevanza che ad esso eventualmente attribuisca la legge istitutiva. Pertanto, se la legge che stabilisce l'addizionale prevede una determinata destinazione del provento di essa, viene con ciò stesso fornito un elemento di giudizio circa la sua legittimità e la sua conformità all'ordinamento tributario generale, desumibile, oltre che dalla corrispondenza della detta destinazione ai fini istituzionali, costituzionalmente garantiti, dell'ente impositore, dall'affinità di essa con gli scopi di altre addizionali, esistenti nell'ordinamento tributario.

Sulla base degli esposti criteri, e degli indici di legittimità costituzionale da essi deducibili, può fondarsi il giudizio sulla norma impugnata.

4. - In proposito va innanzi tutto rilevato che l'addizionale in esame aveva un carattere temporaneo, come l'addizionale prevista dalla legge statale 2 gennaio 1952, n. 1, di cui si era detto che si prorogava l'efficacia. Il pagamento di essa era infatti disposto per il periodo dal 31 dicembre 1952, data in cui aveva cessato di avere efficacia la detta legge statale, al 30 giugno 1958. Con la legge impugnata non si era pertanto introdotta nel sistema tributario una nuova imposta di carattere continuativo, come si afferma nell'ordinanza, bensì un'imposta di durata determinata e di carattere eccezionale, in relazione a particolari interessi pubblici, come risulta dalla destinazione dei proventi e dalla loro distribuzione nei successivi esercizi finanziari, secondo diverse misure per i vari anni, prevista dall'art. 3.

Ciò premesso, l'indagine sui caratteri della detta addizionale non porta a ritenerne la illegittimità costituzionale.

I tributi-base ai quali essa si riferiva erano i medesimi dell'addizionale istituita con D. L. 30 novembre 1937, n. 2145, ed elevata da due a cinque centesimi con decreto legislativo 18 febbraio 1946, n. 100. Su questa addizionale la legge statale 2 gennaio 1952, n. 1, aveva disposto - come si é innanzi ricordato - un aumento temporaneo di altri cinque centesimi, con destinazione ad apposito capitolo dello stato di previsione dell'entrata. La legge regionale in esame dispone, per un successivo periodo di tempo, l'ulteriore pagamento di una addizionale destinata a scopi di interesse regionale, nella stessa misura di cinque centesimi e sulla base dei medesimi tributi su cui gravava l'addizionale statale.

Da ciò si deduce che la legge regionale, pur avendo sostanzialmente introdotto un nuovo tributo, non aveva creato un tipo di addizionale in contrasto con l'ordinamento generale, in quanto si basava su tributi che già l'ordinamento dello Stato aveva considerato suscettibili di una sovrimposizione in forma di addizionale, ed in quanto, nel disporla, la Regione si era servita del sistema, già seguito dallo Stato, di imporre temporaneamente, e con destinazione autonoma, ma non contrastante con la destinazione dell'imposta principale, una maggiorazione di una preesistente addizionale.

Né la misura dell'addizionale imposta dalla Regione era tale da turbare il sistema tributario generale, giacché, come si é detto, essa corrispondeva alla misura dell'aumento che lo stesso Stato aveva imposto per un anno, con la legge la cui efficacia era cessata nel momento in cui fu emanata la legge regionale. Non può, in proposito, aver rilevanza il fatto che, circa due anni dopo, con D. L. 7 novembre 1954, n. 1025, lo Stato riportò a dieci centesimi l'addizionale istituita nel 1937, per il periodo dall'entrata in vigore del decreto al 31 ottobre 1956, limitatamente alle imposte di registro, di successione e ipotecarie, trattandosi di imposizione successiva all'emanazione della legge regionale impugnata, della quale non avrebbe mai potuto produrre retroattivamente l'illegittimità costituzionale. Né può, in concreto, disconoscersi che la misura dell'addizionale temporaneamente imposta dalla Regione non contrastava con la misura di addizionali normalmente disposte dallo Stato, com'é confermato dalle leggi statali innanzi ricordate.

Infine, la norma impugnata non può considerarsi costituzionalmente illegittima sotto il riflesso della destinazione attribuita ai proventi dell'addizionale. Come si é innanzi esposto, tale destinazione consisteva nella costruzione e nell'ampliamento e riparazione di edifici destinati a orfanotrofi, brefotrofi e ospizi per vecchi indigenti, e nell'assunzione della spesa per rette di ricovero di minori poveri e vecchi indigenti. Ora, tale destinazione, mentre rientra nel fine di soddisfare alle ben note condizioni particolari della Regione e corrisponde agli interessi propri di essa (art. 17 Statuto), trova riscontro nella finalità dell'addizionale statale a cui l'addizionale regionale si aggiungeva: infatti, l'addizionale statale, che aveva sostituito l'addizionale "per fini di assistenza sociale", era destinata, come si é detto, all'integrazione dei bilanci degli Enti comunali di assistenza; vale a dire, era destinata a scopi di assistenza di indigenti, mediante integrazione dei mezzi finanziari degli enti per tali scopi istituiti. Affini a tali scopi sono quelli della legge regionale, la quale ha ugualmente previsto una integrazione dei mezzi finanziari degli enti giuridici diversi dall'E. C. A., istituiti per analoghi scopi di assistenza.

Per le esposte ragioni non può ritenersi che con la norma impugnata la Regione abbia oltrepassato i limiti che derivano dallo Statuto al suo potere di imposizione tributaria.

5. - Ugualmente insussistente deve ritenersi la violazione dell'art. 53, in relazione all'art. 3, della Costituzione.

É fuori dubbio che l'art. 53 enuncia il fondamentale principio dell'eguaglianza dei cittadini di fronte al carico tributario: principio al quale sono tenuti a uniformarsi lo Stato e tutti gli altri enti investiti di potere tributario.

Il principio va però considerato in armonia con l'altro principio dell'autonomia finanziaria delle Regioni, sancito dalla Costituzione (art. 119), e con le norme degli Statuti speciali che prevedono una competenza regionale in materia tributaria. É ovvio che l'attribuzione alle Regioni a statuto speciale di una potestà di istituire tributi propri, osservando i principi dell'ordinamento tributario statale, implica necessariamente una diversità nel carico gravante sui contribuenti: diversità che si verifica in tutto l'ordinamento tributario, per effetto dei tributi degli enti locali. Ma tale diversità non incide sul principio di eguaglianza di trattamento dei contribuenti, in relazione alle singole imposte.

Del resto, questa Corte ha già ripetutamente riconosciuto la legittimità di leggi regionali che disponevano riduzioni o esenzioni tributarie. Ora, sarebbe veramente violato il principio di eguaglianza, nei confronti dei contribuenti del restante territorio statale, se per i contribuenti delle Regioni a statuto speciale si ammettesse che la Regione, mentre può emettere disposizioni a loro favore, non possa invece imporre ad essi particolari tributi, sempre nei limiti più volte ricordati.

6. - Infine, la norma impugnata non contrasta con l'art. 23 della Costituzione.

Ove la disposizione per cui nessuna prestazione può essere imposta se non in base alla legge dovesse intendersi nel senso che solo la legge dello Stato possa imporre tributi, si escluderebbe con ciò stesso la potestà normativa tributaria della Regione; ma ciò contrasterebbe con quelle altre norme costituzionali che attribuiscono tale potestà.

Alla stessa conseguenza si perverrebbe ove si attribuisse alla parola "legge", usata nell'art. 23, il significato di norma emanata nell'esercizio di una potestà legislativa piena, e cioè esclusiva. A parte il rilievo che questa interpretazione dell'art. 23 sarebbe arbitrariamente restrittiva, dato che gli atti emanati dalla Regione nell'esercizio della competenza legislativa concorrente o sussidiaria sono, nel linguaggio dei testi costituzionali, "leggi" come le altre, l'attribuire il predetto significato all'art. 23 equivarrebbe a negare quella competenza legislativa, che la Corte ha riconosciuto alla Regione nelle sentenze più volte ricordate, precisando che trattasi di competenza non esclusiva, ma concorrente e sussidiaria della competenza statale.

D'altra parte, il valore dell'art. 23 sta nel disporre una riserva legislativa, che é garanzia della sfera giuridica dei singoli soggetti, in quanto é diretta a escludere ogni limitazione e ogni invasione di essa, da parte della pubblica autorità, che non sia voluta dalla legge o posta in essere in base alla legge. La logica del sistema richiede che questa garanzia agisca ugualmente nei confronti dello Stato come della Regione.

 

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

dichiara non fondata la questione, proposta con l'ordinanza in epigrafe, sulla legittimità costituzionale dell'art. 2 della legge regionale siciliana 26 gennaio 1953, n. 2, in riferimento agli artt. 36, 14 e 17 dello Statuto regionale siciliano, nonché agli artt. 3, 53 e 23 della Costituzione.

 

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 23 giugno 1965.

Gaspare AMBROSINI - Giuseppe CASTELLI AVOLIO - Antonino PAPALDO - Nicola JAEGER - Giovanni CASSANDRO - Biagio PETROCELLI - Antonio MANCA - Aldo SANDULLI - Giuseppe BRANCA - Michele FRAGALI - Costantino MORTATI - Giuseppe CHIARELLI – Giuseppe VERZì - Giovanni Battista BENEDETTI -  Francesco Paolo BONIFACIO.

 

Depositata in Cancelleria il 12 luglio 1965.