SENTENZA N. 65
ANNO 1963
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori Giudici:
Prof. Gaspare AMBROSINI, Presidente
Prof. Giuseppe CASTELLI AVOLIO
Prof. Antonino PAPALDO
Prof. Giovanni CASSANDRO
Prof. Biagio PETROCELLI
Dott. Antonio MANCA
Prof. Aldo SANDULLI
Prof. Giuseppe BRANCA
Prof. Michele FRAGALI
Prof. Costantino MORTATI
Prof. Giuseppe CHIARELLI
Dott. Giuseppe VERZÌ
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale del secondo comma dell'art. 25 del D.P.R. 26 aprile 1957, n. 818, promosso con ordinanza emessa il 9 marzo 1962 dal Tribunale di Napoli nel procedimento civile vertente tra Catalano Anna e De Maria Maria Rosaria contro l'Istituto nazionale della previdenza sociale, iscritta al n. 98 del Registro ordinanze 1962 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 152 del 16 giugno 1962.
Visto l'atto di costituzione in giudizio dell'Istituto nazionale della previdenza sociale;
udita nell'udienza pubblica del 6 marzo 1963 la relazione del Giudice Aldo Sandulli;
udito l'avv. Guido Nardone, per l'Istituto nazionale della previdenza sociale.
Ritenuto in fatto
Con ordinanza emessa il 9 marzo 1962 nel giudizio civile promosso da Catalano Anna e De Maria Maria Rosaria, nei confronti dell'Istituto nazionale per la previdenza sociale, il Tribunale di Napoli rimetteva a questa Corte la questione di legittimità costituzionale del secondo comma dell'art. 25 del D.P.R. 26 aprile 1957, n. 818 - emanato in base alla delegazione di potestà legislativa concessa con legge 4 aprile 1952, n. 218 - per violazione della legge di delega. Infatti, mentre quest'ultima autorizzava il Governo (oltre all'emanazione di norme di attuazione e transitorie) alla emanazione di norme di semplice coordinamento delle preesistenti disposizioni legislative in materia di assicurazioni sociali con quelle della stessa legge n. 218 citata, con la disposizione impugnata il decreto emanato per l'attuazione della legge di delega, rendendo estensibile la riduzione di un quarto della pensione per l'invalidità, la vecchiaia e i superstiti ai prestatori d'opera retribuita beneficiari di pensioni a carico di forme obbligatorie di previdenza sostitutive dell'assicurazione generale per l'invalidità, la vecchiaia e i superstiti, avrebbe trasmodato dai limiti della delega, non risultando l'anzidetta estensione da alcuna preesistente disposizione riflettente i pensionati in questione, e anzi risultando in contrasto con l'art. 14 del R.D. 30 settembre 1920, n. 1538, riguardante la previdenza del personale addetto ai pubblici servizi di trasporto in concessione, cui si riferisce la fattispecie sottoposta all'esame del Tribunale.
L'ordinanza é stata comunicata ai Presidenti dei due rami del Parlamento, notificata al Presidente del Consiglio dei Ministri e ai procuratori delle parti costituite, ed é stata pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 152 del 16 giugno 1962.
Innanzi a questa Corte si é costituito soltanto l'Istituto nazionale per la previdenza sociale, depositando mandato e deduzioni in data 4 luglio 1962.
Nelle deduzioni, premesso che l'art. 14 del R.D. n. 1538 del 1920, ricordato nell'ordinanza di rinvio, non avrebbe alcun punto in comune con la disposizione impugnata in questa sede, si osserva che il trattamento di previdenza degli agenti ferrotranviari fin dalla sua origine sarebbe stato strettamente connesso all'assicurazione generale obbligatoria, ricordando, a tal riguardo, l'art. 4, n. 1, del R.D. n. 1538 del 1920, l'art. 2, lett. a, del D. Lg. 28 maggio 1945, n. 402, l'art. 3 del D. Lg. 16 settembre 1947, n. 1083, l'art. 17 della legge 28 dicembre 1952, n. 4435 - disposizioni dalle quali risulterebbe che il trattamento stesso sarebbe stato inteso dal legislatore come avente per base l'assicurazione generale obbligatoria, con l'aggiunta di certe integrazioni. Si aggiunge poi che la limitazione contenuta nell'art. 12 della legge n. 218 del 1952 - estesa agli iscritti alle forme speciali di previdenza col secondo comma dell'art. 25 del D. Lg. n. 818 del 1957 - risponderebbe a un criterio generale di politica legislativa che il legislatore delegato non avrebbe potuto ignorare. Si conclude chiedendo che la Corte dichiari infondata la questione sottopostale dal Tribunale di Napoli.
All'udienza di trattazione della causa la difesa dell'Istituto ha insistito nei medesimi sensi.
Considerato in diritto
La Corte é stata chiamata più volte a occuparsi della delegazione di potestà legislativa conferita dall'art. 37, principio e n. 1, della legge 4 aprile 1952, n. 218, in base alla quale il Governo poteva emanare disposizioni transitorie e di attuazione della citata legge, nonché norme intese a "coordinare" le preesistenti norme sulle assicurazioni sociali con quelle della legge stessa (sentenze nn. 24 del 1959, 34 e 35 del 1960, 2, 28, 38 del 1962, 3 e 4 del 1963). Se il Governo aveva, in base all'anzidetta delega, il potere di emanare disposizioni strumentali per render possibile l'applicazione delle nuove norme, nonché disposizioni volte a eliminare antinomie e disarmonie tra esse e le norme preesistenti, e a integrare il contenuto di queste ultime con quello delle nuove, non aveva certamente il potere di introdurre nella normazione preesistente innovazioni diverse da quelle implicate dalla legge del 1952.
L'impugnato art. 25, secondo comma, del D.P.R. 26 aprile 1957, n. 818, emanato in attuazione della delega concessa con la ricordata legge, statuisce che la disposizione dell'art. 12 di questa ultima - in base alla quale il trattamento di pensione per l'invalidità, la vecchiaia e i superstiti viene ridotto di un quarto (ma in misura non eccedente un quarto della retribuzione) quando il titolare percepisca tuttora una retribuzione in qualità di lavoratore subordinato - "si applica altresì ai pensionati il cui trattamento di pensione sia a carico di forme obbligatorie di previdenza sostitutive dell'assicurazione per l'invalidità, la vecchiaia e i superstiti". In tal modo é stata introdotta nel sistema dei trattamenti di pensione a carico di "forme obbligatorie di previdenza sostitutive dell'assicurazione per l'invalidità, la vecchiaia e i superstiti", che prima non conoscevano una siffatta limitazione del diritto dei beneficiari, una norma nuova. Né può dirsi che si tratti di una disposizione di attuazione della legge n. 218 del 1952 - non avendo la norma una funzione strumentale in vista dell'applicazione dell'art. 12 o di altri precetti di questa -, e neanche di una disposizione di coordinamento-non essendo la norma ordinata ad armonizzare, senza innovare, il contenuto della legge del 1952 con le norme previdenziali preesistenti.
Il carattere innovativo della disposizione impugnata sussiste tanto in via generale, quanto con particolare riferimento al trattamento previdenziale del personale dei servizi pubblici di trasporto in concessione, cui specificamente ha riguardo la ordinanza di rimessione.
Del fatto che senza di essa la disposizione dell'art. 12 della legge del 1952 non avrebbe potuto trovare applicazione per i soggetti contemplati nel secondo comma dell'art. 25 del decreto del 1957 ben furono consapevoli gli stessi compilatori di quest'ultimo, se il precetto in esame dice che quella disposizione "si applica altresì" (e cioè in aggiunta ai soggetti contemplati dall'art. 12) a quella particolare categoria di soggetti cui la norma del 1957 ha riguardo. Ma si tratta di constatazione alla quale si giunge indipendentemente da ciò. Che la legge 4 aprile 1952, n. 218, in cui é contenuta la delega della quale si discute, riguardi la sola assicurazione generale obbligatoria per l'invalidità, la vecchiaia e i superstiti, e non le forme obbligatorie di previdenza designate come "sostitutive" di tale assicurazione, risulta chiaramente sia dai testi legislativi e dal sistema ai quali la legge si raccorda modificandoli in parte, riguardanti anch'essi l'assicurazione generale obbligatoria (decreto-legge 14 aprile 1939, n. 636, convertito nella legge 6 luglio 1939, n. 1272, e leggi precedenti), sia da tutto il contesto della legge, la quale (a parte l'espressa eccezione relativa agli assicurati dell'E.N.P.A.L.S., contenuta nell'art. 34) non ha alcun punto di collegamento con le cosiddette forme "sostitutive", se non nell'art. 35, volto peraltro a preservarne la diversità di regime.
Con speciale riguardo alla previdenza del personale dei servizi pubblici di trasporto in concessione - cui in modo particolare si riferisce l'ordinanza di rimessione -, é poi da osservare che, fin dalle sue origini, la previdenza stessa fu regolata in modo del tutto particolare rispetto alla previdenza della generalità dei lavoratori, mediante provvedimenti normativi ad hoc e appositi "fondi" (legge 30 giugno 1906, n. 272; legge 14 luglio 1912, n. 835, decr. legisl. 25 marzo 1919, n. 467; regolamento 30 settembre 1920, n. 1538; decr. legisl. 19 ottobre 1923, n. 2311; decr. legisl. 28 maggio 1945, n. 402; decr. legisl. 16 settembre 1947, n. 1083; legge 28 dicembre 1952, n. 4435; legge 28 luglio 1961, n. 830).
Che la legge n. 218 del 1952 non riguardi tale personale, é confermato, tra l'altro, dall'emanazione, di poco successiva, per la previdenza del personale stesso, della legge 28 dicembre 1952, n. 4435, contenente una disciplina del tutto autonoma e diversa rispetto a quella della legge n. 218, e raccordantesi non a quest'ultima, bensì al preesistente sistema previdenziale della categoria. La distinzione dei due sistemi normativi risulta anche dal fatto che con l'art. 27 della citata legge n. 4435 fu accordata al Governo, autorizzato a riunire in testo unico tutte le disposizioni in materia di previdenza del personale in questione, "altresì la facoltà di integrare e di modificare le disposizioni stesse per coordinarle con quelle relative all'assicurazione obbligatoria per la invalidità, la vecchiaia e i superstiti e con le altre leggi dello Stato".
Ne può valere richiamarsi - come fa la difesa dell'Istituto nazionale per la previdenza sociale -al fatto che per il personale dei servizi pubblici di trasporto in concessione, più che una forma previdenziale obbligatoria "sostitutiva" di quella generale, si é avuta - ma limitatamente ad alcuni periodi (che in realtà riguardano soltanto il tempo tra il decr. legisl. 25 marzo 1919, n. 467, e il decr. legisl. 19 ottobre 1923, n. 2311, nonché il tempo tra il decr. legisl. 28 maggio 1945, n. 402, e la legge 28 luglio 1961, n. 830) - una forma previdenziale obbligatoria "integrativa" di quella generale. A prescindere dalla circostanza che anche in tali periodi la parte di contributi e di oneri facente capo ai "fondi" particolari é stata sempre di gran lunga prevalente su quella facente capo alla gestione "comune" dell'I.N.P.S. (salvo il biennio trascorso tra il decr. legisl. 28 maggio 1945, n. 402, e il decr. legisl. 16 settembre 1947, n. 1083), é da osservare che costantemente - e perciò anche nei periodi anzidetti - la forma di previdenza del personale di cui trattasi fu dissimile - sopra tutto (ed é ciò che specialmente interessa ai fini del presente giudizio) per quanto riguarda gli assegni attribuiti al personale in caso di cessazione dal servizio, di invalidità e di vecchiaia, e gli assegni attribuiti ai superstiti, nonché per quanto riguarda le modalità di erogazione - rispetto a quella della generalità degli assistiti dall'Istituto.
Né é senza importanza che il decreto luogotenenziale 30 dicembre 1945, n. 820, emanato in osservanza dell'art. 1, secondo comma, del decreto legislativo 1 marzo 1945, n. 177, ebbe a riconoscere al trattamento previdenziale del personale in questione - si noti, proprio nel periodo di maggiore attenuazione del carattere della "sostitutività" - natura "sostitutiva" dell'assicurazione generale obbligatoria.
É da ritenere dunque che, con l'estensione della disposizione dell'art. 12 della legge 4 aprile 1952, n. 218, a categorie di pensionati alle quali tale articolo non era applicabile, il secondo comma dell'art. 25 del D.P.R. 26 aprile 1957, n. 818, abbia esorbitato dai limiti della delega legislativa conferita con l'art. 37 della citata legge.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara l'illegittimità costituzionale del secondo comma del l'art. 25 del D.P.R. 26 aprile 1957, n. 818, in relazione all'art. 37 della legge 4 aprile 1952, n. 218, e in riferimento all'art. 76 della Costituzione.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 7 maggio 1963.
Gaspare AMBROSINI - Giuseppe CASTELLI AVOLIO - Antonino PAPALDO - Giovanni CASSANDRO - Biagio PETROCELLI - Antonio MANCA - Aldo SANDULLI - Giuseppe BRANCA - Michele FRAGALI - Costantino MORTATI - Giuseppe CHIARELLI - Giuseppe VERZÌ.
Depositata in cancelleria il 10 maggio 1963.