Sentenza n. 35 del 1960
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SENTENZA N. 35

ANNO 1960

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori Giudici:

Dott. GAETANO AZZARITI, Presidente

Avv. GIUSEPPE CAPPI

Prof. TOMASO PERASSI

Prof. GASPARE AMBROSINI

Prof. ERNESTO BATTAGLINI

Dott. MARIO COSATTI

Prof. FRANCESCO PANTALEO GABRIELI

Prof. GIUSEPPE CASTELLI AVOLIO

Prof. ANTONINO PAPALDO

Prof. NICOLA JAEGER

Prof. GIOVANNI CASSANDRO

Prof. BIAGIO PETROCELLI

Dott. ANTONIO MANCA

Prof. ALDO SANDULLI

Prof. GIUSEPPE BRANCA

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nei giudizi riuniti di legittimità costituzionale dell'art. 16 del D.P.R. 26 aprile 1957, n. 818, promossi con le seguenti ordinanze:

1) ordinanza emessa il 15 maggio 1959 dal Tribunale di Reggio Emilia nel procedimento civile vertente tra Camellini Giuseppe e l'Istituto nazionale della previdenza sociale, iscritta al n. 79 del Registro ordinanze 1959 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 184 del 1 agosto 1959;

2) ordinanza emessa il 7 aprile 1959 dal Tribunale di Massa nel procedimento civile vertente tra Bini Anna Maria e l'Istituto nazionale della previdenza sociale, iscritta al n. 87 del Registro ordinanze 1959 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 184 del 1 agosto 1959;

3) ordinanza emessa il 21 aprile 1959 dal Tribunale di Massa nel procedimento civile vertente tra Sergiampietri Tilde e l'Istituto nazionale della previdenza sociale, iscritta al n. 88 del Registro ordinanze 1959 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 184 del 1 agosto 1959.

Viste le dichiarazioni di intervento del Presidente del Consiglio dei Ministri;

udita nell'udienza pubblica del 6 aprile 1960 la relazione del Giudice Francesco Pantaleo Gabrieli;

uditi gli avvocati Vezio Crisafulli e Franco Agostini, per Camellini Giuseppe; Giovanni Lavagnini, per Bini Anna Maria e Sergiampietri Tilde; Guido Nardone, per l'Istituto nazionale della previdenza sociale, e il sostituto avvocato generale dello Stato Valente Simi, per il Presidente del Consiglio dei Ministri.

 

Ritenuto in fatto

 

La questione di legittimità costituzionale, che forma oggetto dei tre giudizi promossi con le ordinanze n. 79 del Tribunale di Reggio Emilia del 15 maggio 1959, n. 87 del Tribunale di Massa del 7 aprile 1959 e n. 88 dello stesso Tribunale di Massa del 21 aprile 1959, é unica ed é stata sollevata nel corso di altrettanti procedimenti civili vertenti tra Camellini, già coperto da assicurazione obbligatoria I.N.P.S. e successivamente iscritto d'ufficio alla Cassa Previdenza Enti Locali, Bini e Sergiampietri, già coperte da assicurazione obbligatoria I.N.P.S. e successivamente iscritte ad altra forma previdenziale quali dipendenti dall'Ospedale civico di Carrara, nei confronti dello Istituto nazionale della previdenza sociale (I.N.P.S.).

In tutti e tre i casi, in ottemperanza all'art. 16 del D.P.R. del 26 aprile 1957, n. 818, l'I.N.P.S. ha revocato l'autorizzazione già concessa a continuare, mediante versamenti volontari, l'assicurazione obbligatoria per invalidità, vecchiaia e superstiti, avendo rilevato che gli autorizzati fruivano di una forma di previdenza sostitutiva di detta assicurazione.

Nei procedimenti civili promossi contro l'I.N.P.S., dopo avere esperito con esito negativo il ricorso al comitato esecutivo dello stesso I.N.P.S., gli interessati hanno eccepito la illegittimità costituzionale della norma di cui al accennato art. 16, assumendo che essa, emanata in virtù della delega contenuta nell'art. 37 della legge 4 aprile 1952, n. 218, non si é mantenuta nei limiti né uniformata ai principi direttivi previsti in detta delega.

Le dette ordinanze sono state regolarmente notificate ai sensi di legge, comunicate ai Presidenti dei due rami del Parlamento e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica.

Nelle ordinanze del Tribunale di Massa, del tutto identiche, richiamati gli artt. 5 e 37 della legge 4 aprile 1952, n. 218, sull'ordinamento delle pensioni dell'assicurazione obbligatoria per la invalidità, la vecchiaia e i superstiti e l'articolo 16 del decreto del Presidente della Repubblica 26 aprile 1957, n. 818 - che detta norme di attuazione e di coordinamento della legge 4 aprile 1952, n. 218 - si rileva "che l'art. 16 afferma la incompatibilità tra contribuzione volontaria ed iscrizione ad altre forme previdenziali, incompatibilità che non sembra essere prevista neppure implicitamente nella legge delegante, la quale agli artt. 5 e segg. stabilisce i limiti alla contribuzione volontaria.

La legge delegante non poteva tacere un principio così importante per demandarlo a eventuali norme di attuazione e di coordinamento.

Conseguentemente, sospeso il procedimento, é stata disposta la trasmissione degli atti a questa Corte per la decisione della questione di legittimità costituzionale relativa all'art. 16 del D.P.R. 26 aprile 1957, n. 818, in relazione all'art. 37 della legge 4 aprile 1952, n. 218, e agli artt. 76 e 77 della Costituzione.

L'ordinanza del Tribunale di Reggio Emilia rileva che la ripetuta norma dell'art. 16, primo comma, prima parte, non sembra possa inquadrarsi fra le norme transitorie di attuazione o di coordinamento o fra quelle intese a raccogliere in un T.U. le disposizioni che regolano la materia.

Inoltre, non sembra, sempre secondo l'ordinanza, che l'anzidetta limitazione costituisca un principio generale vigente prima dell'emanazione della legge 4 aprile 1952, n. 218, ricavabile dal diritto positivo in soggetta materia. E se anche da talune norme anteriori alla legge n. 218 del 1952 (ad es. l'art. 38 del R.L.D. 4 ottobre 1935, n. 1827) potesse trarsi il principio che non era possibile per un unico rapporto di lavoro la coesistenza di due rapporti assicurativi obbligatori, tale coesistenza non potrebbe escludersi fra la prosecuzione volontaria nell'assicurazione obbligatoria ed altra forma di previdenza obbligatoria. Giacché se non può disconoscersi che la contribuzione con i versamenti volontari costituiva la prosecuzione del rapporto assicurativo obbligatorio, in quanto, per espressa disposizione di legge, ne rimanevano inalterati gli effetti, ciò nondimeno l'intrinseca natura del rapporto subiva notevoli modificazioni dovute a fondamentali diversità di caratteri rispetto alla originaria forma di assicurazione obbligatoria; quali la circostanza che la contribuzione volontaria veniva effettuata indipendentemente da un rapporto di lavoro ed a carico totale del beneficiano; che inoltre aveva lo scopo di conservare i diritti derivanti dalle assicurazioni obbligatorie, e di impedire che i medesimi rimanessero caducati per il venir meno dell'obbligo assicurativo.

Con atto depositato in cancelleria il 9 settembre 1959 la Sergiampietri, rappresentata e difesa dagli avvocati Giovanni Lavagnini ed Emanuele Cabibbo, con elezione di domicilio in Roma, presso lo studio di quest'ultimo in via G. Baglivi 12, deduce che col citato art. 16 si é derogato in peius alla legge di delega 4 aprile 1952, n. 218, la quale ha regolato compiutamente la materia, apportando modifiche alla precedente disciplina della contribuzione volontaria contenuta nel R.D.L. 4 ottobre 1935, n. 1827.

Si soggiunge che la legge 4 aprile 1952, n. 218, ha mantenuto la compatibilità fra la contribuzione volontaria e l'iscrizione ad altre forme previdenziali; compatibilità necessaria a che il lavoratore possa supplire con la pensione I.N.P.S. alla ridotta prestazione derivatagli dalla nuova previdenza alla quale é stato iscritto in età non più giovanile e comunque per garantirgli la possibilità di ottenere almeno una pensione nei casi in cui l'iscrizione al nuovo fondo di previdenza (sostitutivo delle assicurazioni sociali) non comporti per il lavoratore la prestazione prevista in via normale.

Ciò posto, si chiede che l'art. 16 del D.P.R. 26 aprile 1957, n. 818, e ogni altra norma connessa sia dichiarata viziata di illegittimità costituzionale.

Le deduzioni della Bini sono state depositate fuori termine (9 settembre 1959: ordinanza notificata il 4 maggio 1959). Con atto tempestivamente depositato in cancelleria Camellini Giuseppe, rappresentato e difeso dagli avvocati Franco Agostini e Vezio Crisafulli, con elezione di domicilio in Roma presso lo studio di quest'ultimo, in via Pasubio, n. 1, deduce che il ridetto art. 16 é un caso manifesto di eccesso di delega in quanto disciplina l'istituto della prosecuzione volontaria dell'assicurazione obbligatoria in modo contrastante con le norme contenute nella legge delegante. Questa - si fa rilevare - riproducendo sostanzialmente negli artt. 5 e 6 la regolamentazione già contenuta negli artt. 53 e 58 del R.D.L. 4 ottobre 1935, n. 1827, condiziona tra l'altro la prosecuzione volontaria alla interruzione o alla cessazione del rapporto di lavoro o al venir meno dell'obbligo assicurativo per il compimento dei limiti di età. Indica, poi, gli unici casi di esclusione in rapporto ai requisiti di contribuzione obbligatoria rispettivamente specificati per le diverse categorie, regola, infine, il versamento volontario dei contributi, il loro ammontare e le modalità per la consegna e la riconsegna delle relative tessere.

L'art. 16 del D.P.R. n. 818 del 26 aprile 1957, escludendo il diritto alla prosecuzione volontaria per i periodi durante i quali "l'assicurato sia iscritto a forme di previdenza sostitutive dell'assicurazione o per periodi che comportino diritto ad altro trattamento obbligatorio di pensione, non attua alcun principio o criterio direttivo contenuto nella legge delega, ma addirittura stabilisce per l'esercizio del diritto alla prosecuzione volontaria, compiutamente disciplinato nella legge, una grave e sostanziale limitazione, in nessun modo riconducibile all'ipotesi dell'art. 5, il quale ha esclusivo riguardo al rapporto di lavoro cui ineriva l'obbligo assicurativo, prescindendo dalla eventualità che l'assicurato venga a trovarsi in altro e diverso rapporto di lavoro, suscettibile di comportare forme previdenziali sostitutive e diritti ad altri trattamenti di pensione.

E neppure - si osserva ancora - la disposizione impugnata potrebbe considerarsi diretta a coordinare con la legge del 1952 le vigenti norme sulle assicurazioni sociali, poiché l'art. 16 non concerne alcuna innovazione introdotta dalla legge del 1952 rispetto alla preesistente disciplina.

Si chiede pertanto che l'art. 16 del D.P.R. 26 aprile 1957, n. 818, sia dichiarato viziato di illegittimità costituzionale per violazione dell'art. 76 della Costituzione.

Nel giudizio é intervenuto il Presidente del Consiglio con atto depositato in cancelleria il 9 luglio 1959. L'Avvocatura dello Stato assume che il principio della incompatibilità tra contribuzione volontaria ed iscrizione a forma di previdenza sostitutiva della assicurazione sociale obbligatoria risulta implicito dal sistema della legge delegante 4 aprile 1952, n. 218, e che la norma impugnata non ha fatto che dichiararlo espressamente.

L'attuazione ed il coordinamento della legge delega non possono non avere l'estensione del potere regolamentare di attuazione che compete jure proprio al potere governativo. Pertanto come un regolamento resta nei limiti, quando rende chiaro un principio già implicito nella legge e può sostenersene la validità anche quando dichiari un principio praeter legem, purché non sia contra legem, lo stesso é ad ammettersi per una legge delegata ad attuare e coordinare la norma della legge delegante.

Né può sfuggire - si sottolinea - che la contribuzione volontaria é un mezzo sostitutivo e conservativo dell'assicurazione obbligatoria, volta a conservare i benefici minimi di tale assicurazione, come risulta anche dall'ultimo comma dell'art. 6 della stessa legge del 1952, n. 218, secondo il quale i contributi volontari sono equiparati ai contributi obbligatori a tutti gli effetti.

Il che risulta ancor più evidente, ove si consideri il presupposto per l'autorizzazione al versamento dei contributi volontari e la ratio legis.

Il presupposto é duplice: che non si sia ancora raggiunto il minimo per il diritto a pensione, che vi sia stata non la semplice cessazione della iscrizione alla assicurazione obbligatoria, ma la cessazione o sospensione del rapporto di lavoro. E la cessazione del rapporto di lavoro si ha soltanto quando non si passi da un rapporto ad un altro e da una forma assicurativa ad un'altra che la sostituisce, sul fondamento appunto della trasformazione e non della cessazione del rapporto di lavoro.

Quanto alla ratio legis, essa é nel senso che la contribuzione volontaria é un mezzo per assicurare un minimo previdenziale, a condizioni di favore, che non ha ragione di esistere quando tale minimo sia già assicurato per opera della forma assicurativa sostitutiva.

A comprovare la sostenuta incompatibilità come insita nel sistema della legge, anche a prescindere dalla norma di attuazione, l'Avvocatura si richiama alla illogicità che il lavoratore, diventato impiegato dello Stato, goda da un lato del trattamento di pensione statale e dall'altro del concorso dello Stato stesso rispetto al versamento dei contributi volontari.

Si chiede pertanto che la Corte dichiari infondata la proposta questione di illegittimità costituzionale.

L'Istituto nazionale della previdenza sociale, con atto depositato in cancelleria il 17 agosto 1959, mette anzitutto in rilievo che la funzione dell'istituto della prosecuzione volontaria dell'assicurazione obbligatoria, secondo la disciplina del R.D.L. n. 1827 del 4 ottobre 1935, era triplice:

1) consentire a chiunque avesse raggiunto l'età pensionabile senza diritto a pensione, per insufficienza del periodo di assicurazione, di completare la contribuzione necessaria;

2) consentire a tutti gli assicurati di integrare volontariamente la contribuzione, fino ad ottenere l'accreditamento del contributo corrispondente alla classe massima di salario;

3) mantenere la qualità di assicurato obbligatorio a favore dei lavoratori che avessero contribuito per lo meno per un anno nell'assicurazione obbligatoria.

Queste finalità ben si armonizzavano con il sistema tecnico - attuariale dell'accumulazione dei contributi - premio in un conto individuale, che costituiva raccolta di un risparmio individuale obbligatorio secondo lo strumento economico utilizzato dal legislatore del 1935 per provvedere alla copertura degli oneri previdenziali.

La legge 4 aprile 1952, n. 218, ha modificato la base economica del sistema assicurativo, sostituendo al sistema di accumulazione delle riserve, quello a ripartizione degli oneri. Infatti, secondo tale legge - prescindendo dai dettagli - anziché accumulare nei conti individuali di ciascun assicurato i contributi destinati a coprire l'onere di ciascuna prestazione, si stabilisce annualmente il costo delle prestazioni liquidate e lo si ripartisce sulla massa degli assicurati tra i quali si costituisce così un rapporto a tipo mutualistico.

In armonia con tale sostanziale modificazione la medesima legge ha riordinato l'istituto della prosecuzione volontaria, disciplinandolo compiutamente negli artt. 5, 6, 7, nell'art. 28, che detta norme transitorie e nell'art. 38 che espressamente abroga i menzionati artt. 57 e 58 del R.D.L. 4 ottobre 1935, n. 1827. Particolarmente l'art. 5 si propone di contenere la facoltà degli assicurati che intendono proseguire volontariamente l'assicurazione, dando alla contribuzione volontaria la funzione di conservare gli effetti della contribuzione acquisita, ovvero di consentire di raggiungere i requisiti minimi di pensionabilità.

Di fronte a tale criterio chiaramente desumibile dalla lettera e dallo spirito della legge delegante, il legislatore delegato - continua l'I.N.P.S. al quale era demandato il compito di coordinare e di attuare la volontà del legislatore delegante, non poteva non provvedere con criterio restrittivo al caso in cui, interrotto il rapporto previdenziale obbligatorio ordinario, per l'istituzione di un altro rapporto sostitutivo di quello, fosse richiesta la prosecuzione volontaria della precedente assicurazione.

L'ex assicurato ordinario, infatti, entrato in un altro rapporto previdenziale, non ha motivo di proseguire la contribuzione né per conservare il diritto di contribuire nell'assicurazione obbligatoria, poiché i benefici economici della contribuzione effettuata gli sono stati conservati dall'art. 27 dello stesso decreto n. 218; né per bisogno di procurarsi il diritto ad un minimum previdenziale, potendo egli aspirare anzi ad un trattamento speciale di favore.

Inoltre con la disciplina dell'art. 16 non può verificarsi il periodo di "vuoto previdenziale" a danno dei lavoratori, reso impossibile dalla legge 2 aprile 1958, n. 322.

L'unicità del rapporto previdenziale avrebbe poi ispirato

- sempre secondo l'I.N.P.S. - molte norme relative a trattamenti particolari, nelle quali si ribadisce il divieto di proseguire volontariamente l'assicurazione obbligatoria, contemporaneamente alla iscrizione a fondi speciali di previdenza (es.: art. 28 della legge 31 marzo 1956, n. 293).

La difesa dell'I.N.P.S. richiama poi alcuni principi generali:

che un rischio non può formare oggetto di più rapporti di assicurazione, se non entro il limite del valore reale del danno (artt. 1886, 1909, 1910 Cod. civ.); che non é consentito di beneficiare due volte di una pensione formata con il contributo dello Stato; il quale concorre alla mutualità generale, nel campo della previdenza sociale, in misura del 25 per cento dell'onere contributivo (art. 16 della legge 4 aprile 1952, n. 218) oltre l'onere dell'intera spesa dei trattamenti minimi di pensione.

Si osserva ancora che nei confronti dei dipendenti pubblici é sancito il principio della unicità del trattamento previdenziale (art. 38, n. 2, R.D.L. 4 ottobre 1935, n. 1827).

A questo principio sostanzialmente risponde la norma dell'art. 16 con lo stabilire che il rapporto assicurativo interrotto per la assunzione in un pubblico impiego non può essere volontariamente proseguito, fermi restando gli effetti dei contributi obbligatori versati (art. 27 cit. legge n. 818).

La norma impugnata, infine, si colloca pienamente nei limiti della delega, poiché applica un divieto già contenuto nell'art. 38, n. 2, del R.D.L. 4 ottobre 1935, n. 1827, al caso di concorso di due trattamenti di previdenza che si escludono reciprocamente.

Si chiede pertanto che la proposta questione di legittimità costituzionale sia dichiarata infondata.

Nei termini prescritti le parti hanno presentato memorie illustrative.

La difesa dell'I.N.P.S., dopo avere sviluppato le precedenti argomentazioni, mette in evidenza che la legge del 1935, n. 1827, enuncia il principio della obbligatorietà dell'assicurazione per l'invalidità, la vecchiaia, la tubercolosi e la involontaria disoccupazione per le persone che prestino lavoro retribuito alle dipendenze altrui (art. 37), stabilendo delle esclusioni (artt. 38 e 43) dalle quali sono nate le forme sostitutive dell'assicurazione obbligatoria tendenti a garantire agli esclusi un trattamento di quiescenza o previdenziale. Soggiunge che l'art. 5 della legge n. 218 del 1952 condiziona il versamento dei contributi volontari al venir meno del rapporto di lavoro o alla cessazione dell'obbligo assicurativo per compimento dell'età pensionabile e collega il sorgere del diritto alla prosecuzione volontaria alle vicende del rapporto di lavoro, considerando l'ipotesi che per l'assicurato fosse venuta meno non soltanto la tutela previdenziale generale ma ogni tutela sostitutiva.

L'articolo 16, prosegue la stessa difesa, nella previsione della parte prima del primo comma, interpretando il criterio limite enunciato dal citato art. 5, ne specifica il contenuto rispetto a ipotesi particolari, negando il diritto alla prosecuzione volontaria per i periodi durante i quali l'assicurato sia iscritto a forme previdenziali sostitutive dell'assicurazione o per periodi che comportino diritto ad altro trattamento obbligatorio di pensione; quando cioè l'originario rapporto di lavoro si trasforma in altro rapporto di lavoro sottoposto a tutela previdenziale obbligatoria diversa da quella generale. Ed anche il precetto della seconda parte del primo comma dello stesso art. 16 risponde al criteri limite del citato art. 5, consistente nel divieto che il già pensionato prosegua volontariamente l'assicurazione, criterio che la norma delegata ha attuato vietando i versamenti volontari per periodi successivi alla data della decorrenza della pensione a carico dell'assicurazione obbligatoria o delle forme di previdenza e dei trattamenti sostitutivi.

La difesa conclude, che la norma impugnata ha regolato un caso di concorso tra differenti forme previdenziali, riconducendolo al principio unitario e armonico posto a base del vigente sistema previdenziale.

Secondo l'Avvocatura dello Stato il divieto della doppia assicurazione contenuto nel menzionato art. 16, e quindi della prosecuzione volontaria dell'iscritto a trattamenti sostitutivi, discende dai principi che regolano i rapporti tra assicurazione previdenziale generale e forme sostitutive (principio per cui se il periodo di iscrizione a trattamenti sostitutivi non raggiunge il minimo prescritto, si trasforma in valido periodo di contribuzione nell'assicurazione generale assicurando il minimo pensionabile, principio per cui i contributi versati nell'assicurazione generale danno luogo ad un trattamento integrativo a favore del lavoratore). Non é ammissibile che lo stesso periodo sia considerato utile ai fini di entrambe le predette forme assicurative. Inoltre l'art. 5 della legge n. 218 del 1952 é più restrittivo dei corrispondenti abrogati artt. 57 e 58 del R.D.L. 4 ottobre 1935, n. 1827, in quanto limita i casi di prosecuzione volontaria allo scopo di conservare i diritti quesiti; modificazione restrittiva giustificata dal nuovo sistema della "ripartizione" sostituito al precedente della "capitalizzazione" e per non porre gravami ingiustificati sulla categoria e sullo Stato a profitto del singolo anziché in rapporto alla finalità generale dell'assicurazione. Pertanto la esclusione disposta dall'art. 16 costituisce una retta interpretazione dell'art. 5, perché nella prevista ipotesi il rapporto di lavoro non cessa ma si trasforma, perché non vi é materia di conservazione di diritti. E conclude che l'art. 16, ricollegato agli artt. 27 e 37 della legge delegata - che rispettivamente stabiliscono l'utilizzazione dei contributi per attribuire supplementi integrativi alla pensione corrisposta dalla forma sostitutiva e la ricongiunzione delle posizioni - deve essere intesa come norma di attuazione dell'articolo 5 e come norma di coordinamento tra le varie forme previdenziali.

La difesa del Camellini, richiamata la sentenza di questa Corte n. 24 del 5 maggio 1959, e rilevato che la norma impugnata non può considerarsi né transitoria, né di attuazione e tanto meno di coordinamento, sostiene che la norma stessa avrebbe sconfinato dalla delega, violandone i limiti oggettivi. Passando poi a confutare le argomentazioni ex adverso, afferma che il potere di coordinamento conferito dall'art. 37 della legge n. 218 é limitato a coordinare le norme vigenti sulle assicurazioni sociali con quelle della legge di delegazione e non già a coordinare le norme di questa legge con i principi cui essa stessa si ispira; che non é stato regolato con criterio restrittivo l'istituto della prosecuzione volontaria da tenersi distinto dall'istituto della integrazione volontaria; che il principio del cumulo tra assicurazioni diverse, negato dalla norma impugnata, é stato ammesso dall'art. 10 della stessa legge n. 218 del 1952.

Infine, secondo la difesa Bini e Sergiampietri. l'istituto della prosecuzione volontaria é compiutamente regolato dagli artt. 5, 6, 7 e 20 della legge n. 218 del 1952 che, pur ponendo norme assai più restrittive degli artt. 57 e 58 della legge n. 1827 del 1935, hanno mantenuto il principio della compatibilità fra prosecuzione volontaria della contribuzione e iscrizione ad altre forme previdenziali con la possibilità del conseguente cumulo delle rispettive pensioni.

All'udienza le tre cause sono state congiuntamente discusse e i difensori delle parti hanno illustrato le tesi già svolte, insistendo nelle rispettive conclusioni.

 

Considerato in diritto

 

Le tre cause promosse con altrettante ordinanze indicate in epigrafe vanno riunite e decise con unica sentenza, identica essendo la questione di legittimità costituzionale con esse proposta.

Devesi poi dichiarare inammissibile la costituzione in giudizio della Bini Anna Maria in quanto la medesima non ha depositato in cancelleria le deduzioni e relativi atti nel termine indicato dall'art. 3 delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale (Gazzetta Ufficiale 24 marzo 1956, n. 71). Risulta infatti che dette deduzioni sono state depositate il 9 settembre 1959 e cioè oltre 20 giorni dalla notificazione dell'ordinanza con la quale l'autorità giurisdizionale ha promosso il giudizio di legittimità costituzionale, non computando in detto termine i giorni compresi tra quello dell'ultima notificazione e quello in cui l'ordinanza é stata pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica (1 agosto 1959).

Passando all'esame del merito é necessario precisare l'oggetto della questione sottoposta al giudizio della Corte, che si pone nei seguenti termini: se cioè l'art. 16, primo comma, parte prima, del decreto delegato 26 aprile 1957, n. 818, escludendo la facoltà della prosecuzione volontaria dell'assicurazione obbligatoria per l'invalidità, la vecchiaia, i superstiti e la tubercolosi per chi risulta iscritto a forme previdenziali sostitutive di tale assicurazione, ecceda o meno i limiti posti dalla legge delegante (art. 37, legge 4 aprile 1952, n. 218). La quale stabilisce che "con decreto del Presidente della Repubblica, su proposta del Ministro per il lavoro e la previdenza sociale, di concerto col Ministro per il tesoro, potranno essere 'emanate, in conformità dei principi e dei criteri direttivi cui si informa la presente legge, disposizioni transitorie e di attuazione, nonché norme intese a: 1) coordinare le vigenti norme sulle assicurazioni sociali con quelle della presente legge, anche per quanto riflette l'ordinamento degli organi e dei servizi; 2) raccogliere in un unico testo le disposizioni che regolano la materia".

Per risolvere detta questione occorre anzitutto tenere presente l'art. 5 della legge 4 aprile 1952, n. 218, secondo il quale "l'assicurato, qualora sia interrotto o cessi il rapporto di lavoro oppure venga meno l'obbligo assicurativo per il compimento dell'età di 60 anni, se uomo, e di 55 anni, se donna, può rispettivamente conservare i diritti derivanti dalle assicurazioni obbligatorie per la invalidità, la vecchiaia e i superstiti e per la tubercolosi o raggiungere i requisiti minimi per il diritto alla pensione di vecchiaia o di invalidità mediante il versamento di contributi volontari nella assicurazione base e al fondo per l'adeguamento delle pensioni". Ciò posto devesi accertare se nella locuzione "cessi il rapporto di lavoro" possano essere ricomprese tutte le ipotesi nelle quali il rapporto di lavoro cessa e anche quelle nelle quali tale rapporto subisce soltanto una trasformazione; ovvero se queste ultime, pur non rientrando nella ipotesi della "cessazione", debbano ritenersi implicitamente considerate e risolte, come sostiene l'Avvocatura dello Stato e l'I.N.P.S., con i principi restrittivi cui sarebbe informato il riportato art. 5. Principi che si desumerebbero, sempre secondo l'Avvocatura e l'I.N.P.S., dal confronto con gli abrogati artt. 57 e 58 della legge 4 ottobre 1935, n. 1827; e che si concreterebbero nel non aver più la legge n. 218 preveduto la facoltà di integrare con versamenti volontari l'assicurazione obbligatoria, avendo attribuito alla prosecuzione volontaria esclusivamente la funzione di conservare gli effetti della contribuzione acquisita ovvero di consentire di raggiungere i requisiti minimi di pensionabilità: una funzione cioè di conservazione e di integrazione, limitata al minimo previdenziale indispensabile.

In proposito la Corte osserva che se anche qualche limitazione al diritto del lavoratore alla prosecuzione volontaria dell'assicurazione obbligatoria si individuasse nella legge del 1952, essa non potrebbe, attesa la sua natura eccezionale, essere ritenuta valevole per casi non espressamente contemplati dalla stessa legge.

Sta di fatto però che dall'esame comparativo delle accennate norme, risulta che esse sono del tutto coincidenti, eccezione fatta per la sopra accennata integrazione, che, come si dirà, non ha valore risolutivo.

Ed invero, la legge n. 218 contemporaneamente alla delega ha disciplinato compiutamente la prosecuzione volontaria, indicando anche i casi nei quali l'esercizio di tale facoltà é precluso (art. 5, terzo comma). Il che porta a concludere che se la detta facoltà il legislatore avesse voluto negare anche nell'ipotesi contemplata nell'art. 16 del decreto in contestazione, lo avrebbe fatto in quella sede con disposizione espressa e non ne avrebbe demandata la previsione al legislatore delegato. Che anzi la ripetuta legge n. 218 ha integrato quella n. 1827 del 1935 e ha dato alla materia previdenziale un nuovo orientamento, conformandosi in ciò alla evoluzione che dalla legge del 1923 fino alla più recente del 2 aprile 1958, n. 322, si é sempre più ispirata in favore del lavoratore.

Infatti con l'art. 30 del R.D. 30 dicembre 1923, n. 1384, si consentì a chi avesse perduto la qualità di assicurato obbligatorio prima che fossero stati versati 240 contributi quindicinali, di ottenere che tali versamenti gli fossero computati utili agli effetti della liquidazione di una pensione facoltativa in caso di invalidità e vecchiaia, purché avesse effettuato versamenti per tale pensione nella misura e secondo le norme stabilite dal regolamento. L'art. 71 di questo regolamento, approvato con R.D. 28 agosto 1924, n. 1422, ha previsto che, sussistendo determinate condizioni, i contributi obbligatori potessero essere trasferiti nell'assicurazione facoltativa, in un conto individuale, con diritto a pensione secondo le norme e nella misura stabilita per i versamenti facoltativi. Con ciò si evitava che al venire meno della qualità di assicurato conseguisse la perdita dei contributi versati mentre si favoriva la libera previdenza del cittadino, posto che i versamenti volontari attraevano nell'assicurazione facoltativa i contributi obbligatori, inidonei, da soli, a far maturare il diritto a pensione.

Con la legge n. 2900 del 1928 é possibile, per la prima volta, far valere contributi facoltativi nell'assicurazione obbligatoria ai limitati fini, però, di raggiungere il massimo della contribuzione, cioè con effetto integrativo dell'ammontare della pensione.

Sin dal 1931, tuttavia, (circolare n. 225 del 10 novembre 1931 della Cassa nazionale per le assicurazioni sociali) con una benevola applicazione estensiva della accennata legge n. 2900 é stato consentito di effettuare versamenti volontari utili oltre che ad integrare la misura di quelli dovuti per legge al fine sopraindicato, anche a coprire periodi scoperti di assicurazione obbligatoria cessata e poi ripristinata.

Tale disciplina é stata successivamente accolta dal R.D.L. 4 ottobre 1935, n. 1827, che negli artt. 57 e 58 ha attribuito alla prosecuzione volontaria gli effetti più volte precisati.

E a tale orientamento é inequivocabilmente ispirata la legge del 1952, n. 218, la quale, oltre che per i motivi che saranno più innanzi specificati, nell'art. 27 ha stabilito che l'obbligo del versamento dei contributi non cessa qualora il lavoratore in età superiore a 55 anni, se donna, a 60, se uomo, presti attività retribuita alle dipendenze di altri. Il che si risolve in un vantaggio per il prestatore d'opera il quale, altrimenti, qualora intendesse giovarsi della prosecuzione volontaria, dovrebbe sopportare l'onere della intera contribuzione anziché quello del 50 per cento di essa, essendo il residuo 50 per cento per metà a carico del datore di lavoro e per metà a carico dello Stato.

Né va taciuto che con la prosecuzione volontaria, pur rimanendo inalterati gli effetti dell'assicurazione obbligatoria, l'intrinseca natura del rapporto subisce notevoli modificazioni rispetto all'assicurazione obbligatoria, in quanto la contribuzione volontaria é effettuata indipendentemente da un rapporto di lavoro ed é, come si é detto, a totale carico del beneficiano. Inoltre a sostegno della legittimità costituzionale della norma impugnata non si può trarre argomento dalla mutata base economica del sistema assicurativo, assumendo che la sostituzione della ripartizione degli oneri alla accumulazione dei contributi - premio in un conto individuale imponga un criterio restrittivo nel disciplinare la prosecuzione volontaria. Infatti, il cambiamento del metodo della capitalizzazione con quello della ripartizione non ha alterato la natura delle assicurazioni sociali, trasformando, come si vuol sostenere, il sistema assicurativo in un sistema assistenziale o in un sistema di "sollievo dal bisogno". Si tratta soltanto di una scelta che il legislatore ha fatto tra due soluzioni tecniche nell'ambito di un medesimo sistema. E ciò a prescindere dal rilievo che la sostituzione dell'uno all'altro metodo non é generale.

Né vale obiettare altresì che nella abrogata legislazione la prosecuzione volontaria aveva non solo lo scopo di assicurare il minimo della pensione, bensì anche quello di aumentare tale minimo (art. 57, secondo comma, legge 1935, n. 1827). In proposito é agevole rilevare che, essendo stato assicurato a tutti i pensionati un minimo di pensione non differenziato per classi di contribuzione (art. 10 citata legge 1952), minimo dovuto anche se i contributi effettivamente versati non siano all'uopo sufficienti, é venuta a mancare la ragion d'essere della accennata integrazione in quanto la medesima é stata, con l'assicurare detto minimo, efficacemente sostituita con uno strumento che non si affida più esclusivamente alla valutazione soggettiva del singolo.

Pertanto, non rinvenendosi nella legge del 1952 gli invocati principi restrittivi, rispetto alle leggi precedenti, in base ai quali sarebbero state risolte anche le ipotesi non rientranti in quella della "cessazione", deve concludersi che le ripetute ipotesi sono state dal legislatore considerate anch'esse quali "cessazione" del rapporto di lavoro, indipendentemente da ogni successiva eventualità che possa subire lo stesso rapporto.

Il che porta a riconoscere la illegittimità costituzionale dello art. 16 del decreto n. 818 del 1957, vizio che si desume non solo dai sopra accennati argomenti di sistema ma anche dalle seguenti considerazioni fondate su espresse disposizioni di legge.

Ed invero lo stesso art. 10, quinto e sesto comma della legge del 1952 prevede il cumulo di più pensioni a carico dell'assicurazione obbligatoria per l'invalidità la vecchiaia ed i superstiti ed i fondi e trattamenti sostitutivi di tale assicurazione, sia pure al solo fine di stabilire che le disposizioni relative al minimo di pensione non si applicano qualora per effetto del cumulo il pensionato fruisca di un beneficio mensile superiore al minimo garantito. Mentre invece sono operative qualora, nonostante il cumulo, il pensionato non raggiunga il minimo; in tale caso la pensione dell'assicurazione obbligatoria sarà integrata sino a raggiungere un trattamento complessivo pari al minimo garantito.

Irrilevante é anche il richiamo agli artt. 38, n. 2, 39, 42 del R.D.L. 4 ottobre 1935, n. 1827, secondo i quali non sono soggetti alle assicurazioni obbligatorie per l'invalidità e la vecchiaia, per la tubercolosi e per la disoccupazione involontaria gli operai, agenti e impiegati delle amministrazioni statali, comprese quelle ad ordinamento autonomo, delle Province, dei Comuni e delle istituzioni pubbliche di beneficenza, ecc. ecc., purché ad essi sia assicurato un trattamento di quiescenza e di previdenza. Da questa disposizione si desume che non possono coesistere per lo stesso rapporto di lavoro due assicurazioni obbligatorie, e non già che sia vietata la prosecuzione volontaria dell'assicurazione generale contemporaneamente ad altra assicurazione obbligatoria.

E lo stesso é a dirsi dell'art. 28 della legge 31 marzo 1956, n. 293, giacché tale disposizione vieta la contemporanea iscrizione ad ambedue le forme assicurative, quella generale dell'I.N.P.S. e quella sostitutiva del Fondo di previdenza per i dipendenti da aziende elettriche private o la contemporanea prosecuzione volontaria di esse, ma non vieta la prosecuzione volontaria dell'una in pendenza di un rapporto di lavoro che dia luogo all'iscrizione obbligatoria nell'altra.

 

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

pronunziando con unica sentenza sulle cause indicate in epigrafe

dichiara inammissibile la costituzione della signora Bini Anna Maria;

dichiara la illegittimità costituzionale dell'art. 16, comma primo, del D.P.R. 26 aprile 1957, n. 818, nella parte in cui stabilisce che "i contributi volontari per l'assicurazione per la invalidità la vecchiaia e i superstiti non possono essere versati per i periodi durante i quali l'assicurato sia iscritto a forme di previdenza sostitutive dell'assicurazione o per periodi che comportino diritto ad altro trattamento obbligatorio di pensione" in relazione all'art. 37 della legge 4 aprile 1952, n. 218, e in riferimento all'art. 76 della Costituzione.

 

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 24 maggio 1960.

Gaetano AZZARITI - Giuseppe CAPPI - Tomaso PERASSI - Gaspare AMBROSINI - Ernesto BATTAGLINI - Mario COSATTI - Francesco PANTALEO GABRIELI - Giuseppe CASTELLI AVOLIO - Antonino PAPALDO - Nicola JAEGER - Giovanni CASSANDRO - Biagio PETROCELLI - Antonio MANCA - Aldo SANDULLI - Giuseppe BRANCA.                   

 

Depositata in Cancelleria il 31 maggio 1960.