SENTENZA N. 3
ANNO 1963
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori Giudici:
Prof. Gaspare AMBROSINI, Presidente
Prof. Giuseppe CASTELLI AVOLIO
Prof. Antonino PAPALDO
Prof. Nicola JAEGER
Prof. Biagio PETROCELLI
Dott. Antonio MANCA
Prof. Aldo SANDULLI
Prof. Giuseppe BRANCA
Prof. Michele FRAGALI
Prof. Costantino MORTATI
Prof. Giuseppe CHIARELLI
Dott. Giuseppe VERZÌ
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 16, primo comma, secondo periodo, del D.P.R. 26 aprile 1957, n. 818, promosso con ordinanza emessa il 14 luglio 1961 dal Tribunale di Padova nel procedimento civile vertente tra Scalise Carlo e l'Istituto nazionale della previdenza sociale, iscritta al n. 159 del Registro ordinanze 1961 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 245 del 30 settembre 1961.
Visto l'atto di costituzione in giudizio di Scalise Carlo;
udita nell'udienza pubblica del 14 novembre 1962 la relazione del Giudice Giuseppe Verzì;
udito l'avv. Franco Agostini, per Scalise Carlo.
Ritenuto in fatto
Nel procedimento civile vertente fra Scalise Carlo e l'Istituto nazionale della previdenza sociale, il Tribunale di Padova ha pronunziato ordinanza, in data 14 luglio 1961, con la quale ha sollevato di ufficio la questione di legittimità costituzionale dell'art. 16, primo comma, secondo periodo, del D.P.R. 26 aprile 1957, n. 818, in relazione agli artt. 5, terzo comma, e 37 della legge 4 aprile 1952, n. 218, ed in riferimento all'art. 76 della Costituzione.
Nell'ordinanza si premette che questa Corte, con sentenza n. 35 del 30 giugno 1960, ha dichiarato la illegittimità costituzionale della norma delegata contenuta nella prima parte del primo comma dell'art. 16 suindicato, siccome eccedente i limiti della delega di cui all'art. 37 della legge 4 aprile 1952, n. 218. Secondo tale norma "i contributi volontari per l'assicurazione per l'invalidità, la vecchiaia ed i superstiti non possono essere versati per i periodi durante i quali l'assicurato sia iscritto a forme di previdenza sostitutive dell'assicurazione o per i periodi che comportino diritto ad altro trattamento obbligatorio di pensione". Si assume che ugualmente viziata, per le stesse ragioni, sia anche la norma contenuta nel secondo periodo del primo comma dello stesso art. 16, per il quale "parimenti, i contributi non possono essere versati per i periodi successivi alla data di decorrenza della pensione a carico dell'assicurazione obbligatoria, o delle forme di previdenza o dei trattamenti sopracitati". Si adduce che la norma in parola non ha carattere transitorio, né può essere considerata norma di attuazione o di coordinamento; al contrario, pone una restrizione al diritto del lavoratore alla prosecuzione volontaria dell'assicurazione obbligatoria, ignota alla legge delegante 4 aprile 1952, n. 218, la quale ha disciplinato altresì compiutamente (art. 5) detta prosecuzione, indicando i casi nei quali essa é preclusa.
L'ordinanza, ritualmente notificata e comunicata, é stata pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 245 del 30 settembre 1961.
Nel presente giudizio si é costituito soltanto il pensionato Carlo Scalise, rappresentato e difeso per atto notaio Grassi di Padova dagli avvocati Vezio Crisafulli e Franco Agostini. Nelle deduzioni depositate in cancelleria l'11 ottobre 1961, anche lo Scalise si richiama alla statuizione della sentenza n. 35 del 30 giugno 1960 di questa Corte; ed aggiunge, poi, le medesime argomentazioni addotte dal Tribunale per dimostrare la illegittimità costituzionale della norma in questione.
Considerato in diritto
La norma dell'art. 16, primo comma, secondo periodo, del D.P.R. 26 aprile 1957, n. 818 - la quale stabilisce che "i contributi volontari per l'assicurazione invalidità, vecchiaia e superstiti non possono essere versati per periodi successivi alla data di decorrenza della pensione a carico dell'assicurazione obbligatoria o delle forme di previdenza suindicate" (forme di previdenza sostitutive della assicurazione od altro trattamento obbligatorio di pensione) - modifica sostanzialmente la regolamentazione della prosecuzione volontaria nelle assicurazioni obbligatorie della previdenza sociale, e pone delle restrizioni al diritto del lavoratore, non contenute nella legge n. 218 del 4 aprile 1952, né in altre leggi vigenti in materia. Inoltre, siffatte restrizioni contrastano con i principi affermati implicitamente nella legge del 1952, siccome risulta anche dal fatto che l'I.N.P.S. - in applicazione dell'impugnato art. 16 - ha revocato le autorizzazioni alla prosecuzione volontaria dell'assicurazione obbligatoria concesse quando non era ancora entrata in vigore la legge delegata; e lo stesso legislatore delegato ha dovuto dettare una norma transitoria, per cui "si considerano comunque validi a tutti gli effetti i contributi volontari versati sino alla data di entrata in vigore del presente decreto" (art. 16, ultimo comma).
Per altro, le ragioni che sono state poste a fondamento della decisione di questa Corte n. 35 del 30 giugno 1960 - la quale ha dichiarato l'illegittimità costituzionale, per eccesso di delega, della norma contenuta nel primo periodo dello stesso primo comma dell'art. 16 - valgono anche per la norma in esame.
L'art. 5 della legge 4 aprile 1952, n. 218 - la quale ha riordinato la materia dell'assicurazione obbligatoria invalidità, vecchiaia e superstiti, modificando ed integrando le leggi del 1935 e del 1939 - ha disciplinato compiutamente la prosecuzione volontaria dell'assicurazione obbligatoria, concedendo tale diritto a "tutti" gli assicurati della previdenza sociale, in caso di interruzione o cessazione del rapporto di lavoro, oppure qualora venga meno l'obbligo assicurativo per il compimento dell'età pensionabile, subordinando tale concessione soltanto a due condizioni: 1) l'autorizzazione dell'Istituto della previdenza sociale; 2) la sussistenza di determinati requisiti di contribuzione obbligatoria. Nessuna limitazione vien posta dalla legge in relazione a condizioni soggettive dell'assicurato ed in ispecie ad altri rapporti assicurativi ai quali lo stesso partecipi.
Né é a dire che il divieto per i pensionati di usufruire del beneficio della prosecuzione volontaria dell'assicurazione obbligatoria sia disposto da altre vigenti leggi con le quali quella del 1952 debba essere coordinata. Perché, al contrario, la legislazione sulle assicurazioni della previdenza sociale si é sempre più ispirata a principi di favore per il lavoratore fino ad ammettere il cumulo della pensione della previdenza sociale con altre pensioni. Come é stato di già affermato nella sentenza n. 35 del 1960 di questa Corte, l'art. 10 della legge del 1952 prevede il cumulo di più pensioni a carico dell'assicurazione obbligatoria per l'invalidità la vecchiaia e superstiti e dei trattamenti sostitutivi di tale assicurazione, sia pure al fine di regolare i minimi di pensione, mentre dagli artt. 38, n. 2, e 42 della legge 4 ottobre 1935, n. 1827, si desume soltanto che non possono coesistere due assicurazioni obbligatorie per lo stesso rapporto di lavoro, e non già che sia proibita la prosecuzione volontaria dell'assicurazione generale contemporaneamente ad altra assicurazione obbligatoria.
É, dunque, ammesso il cumulo di pensioni; onde il pensionato non può essere privato del beneficio della prosecuzione volontaria dell'assicurazione obbligatoria per la invalidità, la vecchiaia o per la tubercolosi, al fine di conservare i diritti derivanti dalla assicurazione stessa o di raggiungere i requisiti minimi per il diritto a pensione (art. 5, primo comma, della legge n. 218 del 1952).
La Corte ritiene, pertanto, che la norma dell'art. 16, primo comma, secondo periodo, del D.P.R. n. 818 dell'anno 1957 - che toglie tale beneficio al pensionato - eccede dai limiti della delega conferita dall'art. 37 della legge 4 aprile 1952, n. 218.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara la illegittimità costituzionale del primo comma, secondo periodo, dell'art. 16 del D.P.R. 26 aprile 1957, n. 818, in relazione agli artt. 5, terzo comma, e 37 della legge 4 aprile 1952, n. 218, ed in riferimento all'art. 76 della Costituzione.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 5 febbraio 1963.
Gaspare AMBROSINI - Giuseppe CASTELLI AVOLIO - Antonino PAPALDO - Nicola JAEGER - Biagio PETROCELLI - Antonio MANCA - Aldo SANDULLI - Giuseppe BRANCA - Michele FRAGALI - Costantino MORTATI - Giuseppe CHIARELLI - Giuseppe VERZÌ.
Depositata in cancelleria il 12 febbraio 1963.