Sentenza n. 123 del 2025

SENTENZA N. 123

ANNO 2025

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta da:

Presidente: Giovanni AMOROSO;

Giudici: Francesco VIGANÒ, Luca ANTONINI, Stefano PETITTI, Angelo BUSCEMA, Emanuela NAVARRETTA, Maria Rosaria SAN GIORGIO, Filippo PATRONI GRIFFI, Marco D’ALBERTI, Giovanni PITRUZZELLA, Antonella SCIARRONE ALIBRANDI, Massimo LUCIANI, Maria Alessandra SANDULLI, Roberto Nicola CASSINELLI, Francesco Saverio MARINI,

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 85, comma 2-ter, del decreto legislativo 10 ottobre 2022, n. 150 (Attuazione della legge 27 settembre 2021, n. 134, recante delega al Governo per l’efficienza del processo penale, nonché in materia di giustizia riparativa e disposizioni per la celere definizione dei procedimenti giudiziari), promosso dal Tribunale ordinario di Verona, sezione penale, nel procedimento penale a carico di G.L. G., con ordinanza del 29 maggio 2024, iscritta al n. 135 del registro ordinanze 2024 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 28, prima serie speciale, dell’anno 2024.

Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 9 giugno 2025 il Giudice relatore Francesco Viganò;

deliberato nella camera di consiglio del 9 giugno 2025.

Ritenuto in fatto

1.– Con ordinanza del 29 maggio 2024 (iscritta al n. 135 reg. ord. del 2024), il Tribunale ordinario di Verona, sezione penale, ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 85, comma 2-ter, del decreto legislativo 10 ottobre 2022, n. 150 (Attuazione della legge 27 settembre 2021, n. 134, recante delega al Governo per l’efficienza del processo penale, nonché in materia di giustizia riparativa e disposizioni per la celere definizione dei procedimenti giudiziari), in riferimento all’art. 3 della Costituzione.

1.1.– Il rimettente deve giudicare, con rito ordinario, della responsabilità penale di G.L. G., imputato di atti persecutori ex art. 612-bis, secondo comma, del codice penale e di danneggiamento aggravato ex art. 635, secondo comma, cod. pen.

La pubblica accusa contesta all’imputato di avere inviato, tra dicembre 2022 e febbraio 2023, numerosi messaggi di insulti alla persona offesa attraverso il telefono e la posta elettronica, nonché di averle in più occasioni rivolto espressioni ingiuriose e minacciose in pubblico. In due occasioni, l’imputato avrebbe altresì danneggiato l’autovettura della stessa, rompendone i tergicristalli.

Il giudice a quo riferisce che la persona offesa, con dichiarazione depositata in cancelleria il 5 aprile 2023, ha rimesso la querela nei confronti dell’imputato. Quest’ultimo, a mezzo di procuratore speciale, ha accettato la remissione di querela con dichiarazione resa all’udienza del 17 maggio 2023, alla presenza anche della persona offesa. Il processo veniva quindi più volte rinviato, in attesa della decisione di questa Corte sulle numerose questioni allora pendenti in materia di procedibilità del delitto di danneggiamento di cose esposte alla pubblica fede, e poi dell’entrata in vigore del decreto legislativo 19 marzo 2024, n. 31 (Disposizioni integrative e correttive del decreto legislativo 10 ottobre 2022, n. 150, di attuazione della legge 27 settembre 2021, n. 134, recante delega al Governo per l’efficienza del processo penale nonché in materia di giustizia riparativa e disposizioni per la celere definizione dei procedimenti giudiziari), che ha previsto la perseguibilità a querela della persona offesa di tale ipotesi delittuosa. Sulla base di questa sopravvenienza normativa, le parti hanno concordemente chiesto emettersi sentenza di non doversi procedere in ordine ai reati ascritti all’imputato, perché estinti per intervenuta rimessione di querela.

Un tale esito sarebbe tuttavia precluso, secondo il rimettente, dall’art. 9 del d.lgs. n. 31 del 2024, il quale dispone: «[p]er il delitto di cui all’articolo 635 del codice penale, commesso prima della data di entrata in vigore del presente decreto, quando il fatto è commesso su cose esposte per necessità o per consuetudine o per destinazione alla pubblica fede, si osservano le disposizioni dell’articolo 85 del decreto legislativo 10 ottobre 2022, n. 150, come modificato dal decreto-legge 31 ottobre 2022, n. 162, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 dicembre 2022, n. 199, ma i termini ivi previsti decorrono dalla data di entrata in vigore del presente decreto».

Dal canto suo, l’art. 85 prevede, al comma 2-ter, che «[p]er i delitti previsti dagli articoli 609-bis, 612-bis e 612-ter del codice penale, commessi prima della data di entrata in vigore del presente decreto, si continua a procedere d’ufficio quando il fatto è connesso con un delitto divenuto perseguibile a querela della persona offesa in base alle disposizioni del presente decreto».

Secondo il rimettente, dalla lettura congiunta di tali disposizioni si desumerebbe che il delitto di atti persecutori continuerebbe a essere procedibile d’ufficio, allorché esso risulti connesso con il delitto di danneggiamento di cose esposte alla pubblica fede, divenuto perseguibile a querela della persona offesa in base alle disposizioni del d.lgs. n. 31 del 2024.

Tuttavia, la disposizione di cui all’art. 85, comma 2-ter, del d.lgs. n. 150 del 2022, della quale il giudice a quo sarebbe chiamato a fare applicazione in virtù del rinvio operato dall’art. 9 del d.lgs. n. 31 del 2024, contrasterebbe con l’art. 3 Cost.

1.2.– La rilevanza della questione di legittimità costituzionale emergerebbe in maniera evidente dall’impossibilità, allo stato, per il giudice a quo di accogliere la concorde richiesta delle parti di una pronuncia di proscioglimento per avvenuta remissione della querela. Qualora la disposizione censurata fosse invece dichiarata costituzionalmente illegittima, il processo nei confronti dell’imputato dovrebbe essere infatti immediatamente definito ai sensi dell’art. 129 del codice di procedura penale, in ragione della sopravvenuta perseguibilità a querela di entrambi i reati ascritti all’imputato e della intervenuta remissione di querela da parte della persona offesa, accettata dall’imputato.

A tale conclusione non osterebbe la giurisprudenza della Corte di cassazione, estesamente richiamata dal rimettente, secondo la quale, in materia di reati sessuali, la perseguibilità d’ufficio per effetto della connessione con un reato perseguibile d’ufficio permarrebbe anche in caso di estinzione per prescrizione di quest’ultimo (sono citate Corte di cassazione, sezione terza penale, sentenze 19 aprile-15 luglio 2019, n. 30938; 21 settembre-17 dicembre 2018, n. 56666; 19 marzo-28 aprile 2009, n. 17846; 27 ottobre 1978-12 gennaio 1979, n. 458; sezione prima penale, sentenza 30 maggio-26 settembre 1978, n. 11331). Tale giurisprudenza non sarebbe trasponibile nel caso in esame, dal momento che l’effetto estintivo sarebbe qui la conseguenza di un mutamento normativo attinente al regime di procedibilità del reato connesso, e non di una vicenda attinente al singolo fatto di reato.

Né costituirebbe ostacolo al proscioglimento dell’imputato la giurisprudenza di legittimità per la quale la perseguibilità d’ufficio ex art. 609-septies, quarto comma, numero 4), cod. pen., non verrebbe meno neppure nell’ipotesi di abolizione del reato connesso perseguibile d’ufficio (è citata Corte di cassazione, sezione terza penale, sentenza 31 gennaio-18 aprile 2019, n. 17070). Ad avviso del rimettente, tale principio sarebbe basato sull’erroneo presupposto che il regime di procedibilità dei delitti sessuali sia determinato al momento iniziale del processo, rimanendo poi fermo per tutta la durata del rapporto processuale. Una tale lettura renderebbe infatti priva di autonomo significato la previsione legislativa censurata, la quale sarebbe stata introdotta proprio per evitare che, in difetto di essa, la sopravvenuta procedibilità a querela dei reati connessi comportasse un mutamento del regime di procedibilità dei delitti ivi indicati.

1.3.– Quanto alla non manifesta infondatezza, il rimettente passa analiticamente in rassegna gli approdi della giurisprudenza di legittimità rispetto «alla natura anche sostanziale delle previsioni in materia di procedibilità, con conseguente applicazione ad esse della disciplina dettata dall’art. 2 c.p., in materia di successione di leggi penali nel tempo».

Osserva quindi che la disposizione censurata, impedendo l’applicazione del principio di retroattività in mitius nel caso da essa disciplinato, contrasterebbe con l’art. 3 Cost. sotto due distinti profili.

1.3.1.– In primo luogo, la deroga all’applicazione di questo principio sarebbe ingiustificata.

Il rimettente ricorda come questa Corte abbia riconosciuto che il principio di retroattività della legge più favorevole può «subire deroghe per via di legislazione ordinaria, quando ne ricorra una sufficiente ragione giustificativa» (è citata testualmente la sentenza n. 236 del 2011, ma anche le sentenze n. 198 del 2022, n. 238 del 2020, n. 63 del 2019, n. 215 del 2008, n. 393 del 2006, n. 80 del 1995, n. 74 del 1980 e n. 6 del 1978).

Il giudice a quo ritiene, per l’appunto, che nel caso in esame non sussistano adeguate ragioni giustificative della deroga al generale principio di retroattività della lex mitior. Rispetto ai reati contro la libertà sessuale, la ratio della perseguibilità a querela sarebbe stata ravvisata dalla giurisprudenza nell’esigenza di evitare «che la pubblicizzazione di fatti attinenti alla sfera intima possa spesso riuscire più di danno che di vantaggio per la vittima del reato». Tale ratio non opererebbe, però, allorché un processo debba comunque svolgersi, per effetto della procedibilità d’ufficio di un reato connesso a quello contro la libertà sessuale; il che spiegherebbe perché, una volta «verificatosi l’effetto attrattivo del reato perseguibile d’ufficio su quello (o quelli) perseguibili a querela di parte, esso perman[ga] per tutta la durata del rapporto processuale» (è citata nuovamente Cass., n. 17070 del 2019). L’argomento non potrebbe, tuttavia, essere trasposto ai delitti di cui agli artt. 612-bis e 612-ter cod. pen., rispetto ai quali la persona offesa ha sempre la possibilità, salvo rare eccezioni, di rimettere la querela, anche dopo l’esercizio dell’azione penale. Né altre ragioni giustificative parrebbero emergere dai lavori preparatori della disposizione censurata.

1.3.2.– In secondo luogo, la disciplina censurata creerebbe una irragionevole disparità di trattamento tra i casi in cui i delitti previsti dagli artt. 609-bis, 612-bis e 612-ter cod. pen. siano connessi a reati divenuti perseguibili a querela in base al d.lgs. n. 150 del 2022, e i casi in cui essi siano connessi a un delitto di danneggiamento commesso su cose esposte alla pubblica fede, divenuto perseguibile a querela in base al d.lgs. n. 31 del 2024.

Osserva infatti il rimettente che il d.lgs. n. 150 del 2022 è entrato in vigore il 30 dicembre 2022. Il censurato comma 2-ter dell’art. 85, inserito in tale decreto dalla legge n. 199 del 2022, in sede di conversione del decreto-legge 31 ottobre 2022, n. 162 (Misure urgenti in materia di divieto di concessione dei benefici penitenziari nei confronti dei detenuti o internati che non collaborano con la giustizia, nonché in materia di termini di applicazione delle disposizioni del decreto legislativo 10 ottobre 2022, n. 150, e di disposizioni relative a controversie della giustizia sportiva, nonché di obblighi di vaccinazione anti SARS-CoV-2, di attuazione del Piano nazionale contro una pandemia influenzale e di prevenzione e contrasto dei raduni illegali) è, invece, entrato in vigore soltanto il 31 dicembre 2022. A parere del giudice a quo, dunque, il 30 dicembre 2022 si sarebbero prodotte tutte le modifiche in mitius relative al regime di procedibilità dei reati contemplati dal d.lgs. n. 150 del 2022, compresa quella relativa ai delitti di cui agli artt. 609-bis, 612-bis e 612-ter cod. pen. connessi a delitti divenuti procedibili a querela in base allo stesso d.lgs. n. 150 del 2022. La deroga a tale disciplina stabilita dal censurato comma 2-ter dell’art. 85, entrata in vigore il giorno successivo, non avrebbe dal canto suo potuto applicarsi retroattivamente, stante il suo carattere sfavorevole: e non sarebbe – dunque – valsa a ripristinare l’ormai abrogato regime di procedibilità d’ufficio rispetto a tali ipotesi.

L’art. 85, comma 2-ter, del d.lgs. n. 150 del 2022 avrebbe invece trovato applicazione soltanto con riguardo all’ipotesi prevista dal d.lgs. n. 31 del 2024, rappresentata dalla connessione dei delitti ivi menzionati con un delitto di danneggiamento di cose esposte alla pubblica fede, divenuto procedibile a querela proprio in forza di tale decreto.

Con conseguente irragionevole disparità di trattamento tra ipotesi del tutto omogenee.

2.– È intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata non fondata.

A parere dell’Avvocatura generale dello Stato, il rimettente muoverebbe da «una lettura del parametro di costituzionalità di cui all’art. 3 Cost. non sintonica con la giurisprudenza costituzionale», fondando la questione sollevata non già su profili di manifesta irragionevolezza o assoluta arbitrarietà, quanto piuttosto sulla natura meramente inopportuna o discutibile della disposizione censurata.

Quanto al primo profilo di contrasto con l’art. 3 Cost. evidenziato dal giudice a quo, non sarebbe ravvisabile alcuna manifesta irragionevolezza nella disposizione censurata. All’opposto, la limitazione al principio di retroattività in mitius prevista dal legislatore si fonderebbe su esigenze di tutela della persona offesa dal reato, in ambiti in cui essa è spesso «connotata da particolare vulnerabilità». Tale limitazione sarebbe finalizzata a «fare scudo» alle persone offese evitando loro «la scelta, a distanza di un tempo anche non breve dai fatti e, in tesi, dall’inizio del processo penale, del se esporsi, proponendo querela, perché il processo continui, oppure omettere di tanto fare».

Sintomatica dell’esigenza di favorire «la rapida uscita dal circuito processuale delle vittime» sarebbe anche la disciplina risultante dal combinato disposto degli artt. 392, comma 1-bis, e 190-bis, comma 1-bis, cod. proc. pen., in materia di incidente probatorio per l’esame della vittima dei reati qui in rilievo.

Quanto al secondo profilo di irragionevolezza ricostruito dal rimettente, «ammesso e (assolutamente) non concesso che sia condivisibile la ricostruzione giuridico-normativa operata dal Giudice a quo», mancherebbe il presupposto fondante di una disparità di trattamento, poiché non si sarebbe di fronte a situazioni identiche disciplinate in maniera differente. Il rimettente porrebbe a confronto il caso della connessione con il delitto di «danneggiamento aggravato» con il caso della connessione con altri reati, rispetto ai quali il d.lgs. n. 150 del 2022 ha previsto la perseguibilità a querela. Tuttavia, la «diversità dei reati connessi» sarebbe elemento sufficiente per «ritenere insostenibile la premessa concettuale da cui prende le mosse il Tribunale di Verona nell’articolare la seconda censura».

Considerato in diritto

1.– Con l’ordinanza indicata in epigrafe, il Tribunale di Verona, sezione penale, ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 85, comma 2-ter, del d.lgs. n. 150 del 2022 (la cosiddetta “riforma Cartabia”), inserito dalla legge n. 199 del 2022 in sede di conversione del decreto-legge n. 162 del 2022, ritenendolo in contrasto con l’art. 3 Cost.

1.1.– Tale disposizione recita: «[p]er i delitti previsti dagli articoli 609-bis, 612-bis e 612-ter del codice penale, commessi prima della data di entrata in vigore del presente decreto, si continua a procedere d’ufficio quando il fatto è connesso con un delitto divenuto perseguibile a querela della persona offesa in base alle disposizioni del presente decreto».

La medesima disposizione è richiamata dall’art. 9 del d.lgs. n. 31 del 2024 (il cosiddetto decreto “correttivo” della riforma Cartabia), il quale dal canto suo prevede: «[p]er il delitto di cui all’articolo 635 del codice penale, commesso prima della data di entrata in vigore del presente decreto, quando il fatto è commesso su cose esposte per necessità o per consuetudine o per destinazione alla pubblica fede, si osservano le disposizioni dell’articolo 85 del decreto legislativo 10 ottobre 2022, n. 150, come modificato dal decreto-legge 31 ottobre 2022, n. 162, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 dicembre 2022, n. 199, ma i termini ivi previsti decorrono dalla data di entrata in vigore del presente decreto».

L’art. 9 del d.lgs. n. 31 del 2024 si connette a sua volta alla disposizione di cui all’art. 1, comma 1, lettera b), del medesimo decreto, che ha introdotto il regime di procedibilità a querela (anziché d’ufficio, come in passato) per il delitto di danneggiamento di cose esposte per necessità o per consuetudine o per destinazione alla pubblica fede previsto dall’art. 635, secondo comma, numero 1), cod. pen.

1.2.– Questo complesso reticolo normativo incide sul regime della procedibilità dei delitti di violenza sessuale (art. 609-bis cod. pen.), atti persecutori (art. 612-bis cod. pen.) e diffusione illecita di immagini o video sessualmente espliciti (art. 612-ter cod. pen.), commessi prima dell’entrata in vigore del d.lgs. n. 31 del 2024, allorché siano connessi con un delitto di danneggiamento commesso su cose esposte alla pubblica fede.

I tre delitti in questione sono perseguibili a querela della persona offesa, salvo che in una serie di ipotesi. Tra queste, viene qui in considerazione quella in cui il delitto sia «connesso con un altro delitto per il quale si deve procedere d’ufficio» (art. 609-septies, quarto comma, numero 4, cod. pen., in relazione alla violenza sessuale; art. 612-bis, quarto comma, cod. pen., in relazione agli atti persecutori; art. 612-ter, quinto comma, cod. pen., in relazione alla diffusione illecita di immagini o video sessualmente espliciti). In tal caso, anche i tre delitti in questione divengono procedibili d’ufficio.

La legge lascia aperto però il quesito circa la disciplina applicabile nell’ipotesi in cui il delitto connesso fosse procedibile d’ufficio al momento della commissione dei fatti, ma divenga procedibile a querela per effetto di una modifica normativa successiva.

Questa specifica ipotesi non era regolata dalla versione originaria della “riforma Cartabia”, che pure aveva trasformato il regime di procedibilità di numerosi delitti, prevedendone la procedibilità a querela.

Il censurato art. 85, comma 2-ter, del d.lgs. n. 150 del 2022 – introdotto dalla legge n. 199 del 2022, in sede di conversione del d.l. n. 162 del 2022 – fornisce invece una specifica soluzione al quesito: il regime di procedibilità d’ufficio dei delitti di cui agli artt. 609-bis, 612-bis e 612-ter cod. pen. viene mantenuto fermo anche nell’ipotesi in cui il delitto connesso, procedibile d’ufficio al momento della sua commissione, sia divenuto successivamente procedibile a querela per effetto della stessa “riforma Cartabia”.

Tale disposizione è stata poi estesa – in forza del richiamo contenuto nell’art. 9 del “correttivo” – all’ipotesi in cui i tre delitti in questione siano connessi a un danneggiamento di cose esposte alla pubblica fede, divenuto procedibile a querela in base allo stesso d.lgs. n. 31 del 2024.

1.3.– Secondo il rimettente, la regola stabilita dalla disposizione censurata si porrebbe in contrasto con l’art. 3 Cost., sotto un duplice concorrente profilo.

Anzitutto, essa derogherebbe senza alcuna giustificazione al principio della retroattività della lex mitior, applicabile anche ai mutamenti favorevoli del regime di procedibilità del reato (primo profilo di censura).

In secondo luogo, essa creerebbe – parimenti in violazione dell’art. 3 Cost. – una irragionevole disparità di trattamento fra i casi in cui uno dei tre delitti menzionati dalla disposizione censurata (i delitti, cioè, previsti dagli artt. 609-bis, 612-bis e 612-ter cod. pen.) sia connesso a un delitto divenuto procedibile a querela in base alla “riforma Cartabia” (il d.lgs. n. 150 del 2022), e quelli invece in cui uno dei tre delitti sia connesso con un delitto di danneggiamento di cose esposte a pubblica fede, divenuto procedibile a querela soltanto in base al successivo “correttivo” (il d.lgs. n. 31 del 2024).

Secondo il rimettente, infatti, la disposizione censurata – introdotta nel testo della “riforma Cartabia” dalla legge n. 199 del 2022, di conversione del d.l. n. 162 del 2022, entrata in vigore il 31 dicembre 2022 – non sarebbe applicabile all’ipotesi della connessione dei tre delitti in questione con i delitti divenuti procedibili a querela in base alla “riforma Cartabia”. Ciò in quanto tale riforma è entrata in vigore il 30 dicembre 2022, e dunque il giorno precedente l’entrata in vigore della disposizione censurata: data, questa, in cui – per effetto del principio della retroattività della lex mitior – si sarebbe ormai ipso iure prodotto il venir meno dell’originario regime di procedibilità d’ufficio dei tre delitti in questione per i delitti commessi sotto la vecchia disciplina. L’entrata in vigore, il giorno successivo, del censurato comma 2-ter dell’art. 85 del d.lgs. n. 150 del 2022 non sarebbe, dunque, valsa a determinare l’applicazione retroattiva di una più sfavorevole disciplina. Con conseguente irragionevole disparità di trattamento per situazioni in realtà del tutto omogenee (secondo profilo di censura).

2.– Preliminare all’esame del merito della questione è la precisa messa a fuoco della disciplina censurata, al filtro della sua rilevanza nel procedimento a quo.

Il rimettente deve giudicare della responsabilità di un imputato accusato di atti persecutori (art. 612-bis cod. pen.) connessi con un danneggiamento commesso su cose esposte alla pubblica fede (art. 635, secondo comma, numero 1, cod. pen.).

Oggetto dei suoi dubbi di illegittimità costituzionale è dunque, come sottolineato dallo stesso rimettente, l’art. 85, comma 2-ter, del d.lgs. n. 150 del 2022 in quanto richiamato dall’art. 9 del d.lgs. n. 31 del 2024. È infatti quest’ultima disposizione che estende il raggio applicativo della prima all’ipotesi, che qui rileva, in cui i delitti di violenza sessuale, atti persecutori e diffusione illecita di immagini e video sessualmente espliciti siano connessi con un delitto di danneggiamento di cose esposte alla pubblica fede.

Resta dunque esclusa in questa sede ogni valutazione sulla legittimità costituzionale dell’art. 85, comma 2-ter, del d.lgs. n. 150 del 2022, isolatamente considerato.

Inoltre, dal momento che il delitto della cui procedibilità si controverte nel giudizio a quo è unicamente quello di atti persecutori (art. 612-bis cod. pen.), l’oggetto dello scrutinio di questa Corte deve essere ulteriormente circoscritto alla parte della disposizione che concerne, appunto, tale delitto.

3.– Prima di esaminare il merito della questione, occorre verificare la correttezza del presupposto attorno a cui si articola la prospettazione del rimettente: quello, cioè, per cui la disposizione censurata avrebbe natura derogatoria rispetto alla ordinaria retroattività della lex mitior in materia penale. È proprio ascrivendo tale funzione alla disposizione, infatti, che il rimettente ne assume la contrarietà all’art. 3 Cost.

3.1.– Il rimettente osserva anzitutto, correttamente, che le modificazioni del regime di procedibilità sono sottoposte ai principi costituzionali che regolano la successione delle leggi penali nel tempo: irretroattività delle modifiche in peius e retroattività di quelle in mitius.

Come recentemente rammentato da questa Corte, le disposizioni che prevedono il regime di procedibilità a querela dei delitti hanno natura mista, sostanziale e processuale, dal momento che la querela costituisce al tempo stesso condizione di procedibilità e di punibilità (ordinanza n. 106 del 2024, e ivi puntuali riferimenti alla conforme giurisprudenza di legittimità).

Proprio sulla base di tale natura mista la giurisprudenza di legittimità considera la querela «come istituto da assimilare a quelli che entrano a comporre il quadro per la determinazione dell’an e del quomodo di applicazione del precetto», con conseguente applicazione alle disposizioni relative dei principi sulla successione delle leggi penali nel tempo di cui all’art. 2, quarto comma, cod. pen. (Corte di cassazione, sezioni unite penali, sentenza 21 giugno-7 settembre 2018, n. 40150, e ivi ulteriori riferimenti).

Da ciò deriva la necessaria sottoposizione delle disposizioni che modificano il regime di procedibilità di un delitto ai principi costituzionali che sovraintendono alla successione di leggi penali nel tempo: e cioè il divieto di applicazione retroattiva delle modifiche sfavorevoli al reo, da un lato; e il principio dell’applicazione retroattiva delle modifiche più favorevoli al reo, dall’altro.

3.2.– Resta però da chiarire se la disposizione censurata costituisca effettivamente una deroga al principio di retroattività delle modifiche in mitius. A tal fine, occorre stabilire se – in assenza di tale disposizione – si sarebbe comunque verificata una perpetuatio della procedibilità d’ufficio (tra gli altri) del delitto di atti persecutori originariamente connesso con un delitto procedibile d’ufficio, allorché quest’ultimo fosse divenuto procedibile a querela; ovvero se tale effetto sia ascrivibile proprio e soltanto alla disposizione censurata, la quale avrebbe in tale ipotesi derogato all’effetto favorevole per l’imputato che si sarebbe naturalmente prodotto dal mutamento del regime di procedibilità del delitto connesso.

3.2.1.– Nel primo senso, potrebbe invero sostenersi che la disposizione censurata si sarebbe limitata a chiarire una conseguenza già desumibile dalla disciplina previgente; sicché sarebbe da escludere che tale disposizione abbia introdotto un novum normativo idoneo a chiamare in causa il principio costituzionale della retroattività della lex mitior.

L’argomento chiave in questo senso potrebbe essere quello secondo cui la procedibilità d’ufficio dei delitti di cui agli artt. 609-bis, 612-bis e 612-ter cod. pen. resterebbe fissata una volta per tutte nel momento stesso in cui viene ad esistenza la connessione con un qualsiasi delitto procedibile d’ufficio, indipendentemente dalle vicende successive che interessino quest’ultimo.

Tale argomento potrebbe ritenersi deducibile dalla copiosa giurisprudenza di legittimità – con la quale il rimettente si confronta estesamente, non senza accenti critici –, secondo cui, in particolare in materia di violenza sessuale, la regola sulla procedibilità sancita dall’art. 609-septies, quarto comma, numero 4), cod. pen. si cristallizzerebbe «al momento iniziale del processo» (Cass., n. 56666 del 2018), permanendo «per tutta la durata del rapporto processuale» (Cass., n. 17070 del 2019).

Ciò comporta, tra l’altro, il permanere della procedibilità d’ufficio quando il delitto connesso divenga non punibile per effetto della prescrizione (da ultimo, Cass., n. 30938 del 2019), o comunque quando l’imputato venga prosciolto dall’imputazione relativa al reato connesso (Corte di cassazione, sezione terza penale, sentenza 17 settembre 2020-8 gennaio 2021, n. 383, nonché la già citata Cass., n. 56666 del 2018) per ragioni diverse dall’insussistenza del reato – ipotesi, quest’ultima, in cui si ravviserebbe una connessione soltanto «apparente», dissolvendosi ex tunc il legame intercorrente tra il delitto perseguibile d’ufficio e quello perseguibile a querela (Cass., n. 383 del 2021; nello stesso senso, da ultimo, Corte di cassazione, sezione seconda penale, sentenza 9 maggio-20 giugno 2024, n. 24547).

Questa stessa Corte, in una invero risalente occasione, ha preso atto della giurisprudenza di legittimità ora riferita, ritenendo in particolare che non contrastasse con la Costituzione il diritto vivente che, già all’epoca della pronuncia, teneva ferma la procedibilità d’ufficio per il delitto di violenza sessuale in caso di connessione con altro delitto procedibile d’ufficio, anche qualora quest’ultimo si fosse estinto per prescrizione (sentenza n. 64 del 1998).

3.2.2.– Tuttavia, il tema ora in discussione concerne l’ipotesi, a giudizio di questa Corte affatto diversa, in cui il delitto connesso, originariamente procedibile d’ufficio, divenga procedibile a querela in forza di una legge entrata in vigore successivamente al fatto.

Gli artt. 609-septies, quarto comma, numero 4), cod. pen. (in relazione alla violenza sessuale), 612-bis, quarto comma, cod. pen. (in relazione agli atti persecutori) e 612-ter, quinto comma, cod. pen. (in relazione alla diffusione illecita di immagini o video sessualmente espliciti) disegnano altrettante fattispecie normative complesse, imperniate sulla connessione tra i delitti in questione e un altro delitto procedibile d’ufficio. Tali regole, derogatorie rispetto all’ordinario regime di procedibilità a querela dei delitti considerati, dispongono che – in presenza del presupposto rappresentato dalla connessione con un delitto procedibile d’ufficio – il loro regime di procedibilità venga anch’esso attratto a quello della procedibilità d’ufficio. Lo schema disegnato dal legislatore è, insomma, quello secondo cui il regime di procedibilità del reato “A” (normalmente condizionato alla querela della persona offesa) si conforma a quello previsto per il reato “B”, procedibile d’ufficio, in ragione della connessione tra i due reati.

Ma allora, il mutamento del regime di procedibilità del reato connesso per effetto di una legge sopravvenuta non può – a giudizio di questa Corte – non riverberarsi anche sul regime di procedibilità dei tre delitti in questione: la sopravvenuta procedibilità a querela del reato “B” fa venir meno le ragioni della (eccezionale) attrazione del reato “A” al regime di procedibilità d’ufficio, in precedenza previsto per il reato “B”.

In tal caso, la fattispecie complessa – derogatoria rispetto alla regola generale – disegnata dagli artt. 609-septies, quarto comma, numero 4), 612-bis, quarto comma, e 612-ter, quinto comma, cod. pen. non risulterà più integrata. Al suo posto, si riespanderà il regime ordinario della procedibilità a querela dei delitti in discorso.

In questa ipotesi, la legge sopravvenuta opera dunque, a tutti gli effetti, come lex mitior, determinando una conseguenza – processuale e al tempo stesso sostanziale, in ragione della sopra evidenziata duplice natura della disciplina della procedibilità – favorevole all’imputato.

La situazione è, qui, nettamente diversa da quella, considerata dalla giurisprudenza di legittimità sopra citata, in cui il reato connesso – di cui resti ferma la procedibilità d’ufficio – si prescriva, ovvero l’imputato venga assolto dalla relativa imputazione per ragioni diverse dall’insussistenza del fatto. Queste ultime attengono infatti alla concreta punibilità del fatto di reato connesso; mentre ciò che ora è in discussione è l’astratto regime di procedibilità di quest’ultimo reato, mutato per effetto di una sopravvenienza normativa. Sopravvenienza che non può non evocare, per l’appunto, le regole codicistiche di cui all’art. 2 cod. pen. e, assieme, i principi costituzionali relativi alla successione delle leggi penali nel tempo.

3.2.3.– Rispetto a questo meccanismo, il censurato art. 85, comma 2-ter, del d.lgs. n. 150 del 2022 – lungi dal porsi come norma meramente confermativa di un risultato cui l’interprete sarebbe comunque pervenuto – ha in realtà carattere innovativo, e derogatorio, rispetto all’ordinario operare del principio della retroattività della legge penale più favorevole entrata in vigore dopo la commissione del fatto.

La disposizione stabilisce, in effetti, la perpetuatio della procedibilità d’ufficio dei delitti di violenza sessuale, atti persecutori e diffusione illecita di immagini o video sessualmente espliciti, originariamente connessi con un delitto procedibile d’ufficio al momento del fatto, ma divenuto procedibile a querela in base alla stessa “riforma Cartabia” ovvero – per effetto del rinvio contenuto nell’art. 9 del d.lgs. n. 31 del 2024 – in forza del suo “correttivo”. La disposizione in tal modo deroga – come giustamente osserva il giudice a quo, con conclusione, peraltro, che la stessa Avvocatura generale dello Stato non contesta – alla normale operatività della regola sancita, a livello di legislazione ordinaria, dall’art. 2, quarto comma, cod. pen.

4.– Tanto premesso, la questione è fondata sotto il primo profilo articolato dal rimettente, restando assorbito il secondo. Ciò per le ragioni di seguito sintetizzate, e più distesamente chiarite nei paragrafi successivi.

La costante giurisprudenza di questa Corte riconduce il fondamento del principio di retroattività della legge penale più favorevole, tra l’altro, all’art. 3 Cost. evocato dal rimettente (infra, 4.1.).

Tale principio, al quale corrisponde il diritto dell’imputato a che sia applicata nei propri confronti la legge più favorevole entrata in vigore dopo la commissione del fatto, non è assoluto e può subire deroghe da parte del legislatore, purché esse superino un vaglio positivo di ragionevolezza, in quanto si rivelino proporzionate alle esigenze di tutela di controinteressi essi stessi dotati di rango costituzionale (infra, 4.2.).

La deroga operata dalla disciplina censurata al principio di retroattività della legge penale più favorevole non supera, nei limiti sottoposti dal rimettente allo scrutinio di questa Corte, tale vaglio positivo di ragionevolezza e viola, pertanto, l’art. 3 Cost. (infra, 4.3.).

4.1.– Il principio di retroattività della legge più favorevole in materia penale ha, secondo la giurisprudenza di questa Corte, «un duplice, e concorrente, fondamento. L’uno – di matrice domestica – riconducibile allo spettro di tutela del principio di eguaglianza di cui all’art. 3 Cost., nel cui alveo peraltro la sentenza n. 393 del 2006, in epoca immediatamente precedente alle sentenze “gemelle” n. 348 e n. 349 del 2007, aveva già fatto confluire gli obblighi internazionali derivanti dall’art. 15, comma 1, del Patto internazionale relativo ai diritti civili e politici e dall’art. 49, paragrafo 1, [della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea], considerati in quell’occasione come criteri interpretativi (sentenza n. 15 del 1996) delle stesse garanzie costituzionali. L’altro – di origine internazionale, ma avente ora ingresso nel nostro ordinamento attraverso l’art. 117, primo comma, Cost. – riconducibile all’art. 7 [della Convenzione europea dei diritti dell’uomo], nella lettura offertane dalla giurisprudenza di Strasburgo (oltre alla sentenza Scoppola, Corte europea dei diritti dell’uomo, decisione 27 aprile 2010, Morabito contro Italia; sentenza 24 gennaio 2012, Mihai Toma contro Romania; sentenza 12 gennaio 2016, Gouarré Patte contro Andorra; sentenza 12 luglio 2016, Ruban contro Ucraina), nonché alle altre norme del diritto internazionale dei diritti umani vincolanti per l’Italia che enunciano il medesimo principio, tra cui gli stessi artt. 15, comma 1, del Patto internazionale relativo ai diritti civili e politici e 49, paragrafo 1, CDFUE, quest’ultimo rilevante nel nostro ordinamento anche ai sensi dell’art. 11 Cost.» (sentenza n. 63 del 2019, punto 6.1. del Considerato in diritto, e ivi ampi richiami a ulteriori precedenti).

La costante giurisprudenza di questa Corte ritiene invece che «il principio in parola resta estraneo alla sfera di tutela dell’art. 25, secondo comma, Cost., il quale si limita a sancire il distinto principio di irretroattività delle norme penali sfavorevoli, finalizzato primariamente a tutelare la libertà di autodeterminazione individuale, garantendo al singolo di non essere sorpreso dall’inflizione di una sanzione penale per lui non prevedibile al momento della commissione del fatto. Garanzia che non è posta in discussione dall’applicazione di una norma penale, pur più gravosa di quelle entrate in vigore successivamente, ma comunque vigente quando il fatto fu realizzato (sentenze n. 238 del 2020, n. 63 del 2019 e n. 394 del 2006)» (sentenza n. 176 del 2024, punto 5.1. del Considerato in diritto).

La ratio del principio della retroattività della legge penale più favorevole riposa, piuttosto, su due concorrenti fondamenti, entrambi enucleati dalla giurisprudenza di questa Corte.

Da un lato, il principio di eguaglianza «impone, in linea di massima, di equiparare il trattamento sanzionatorio dei medesimi fatti, a prescindere dalla circostanza che essi siano stati commessi prima o dopo l’entrata in vigore della norma che ha disposto l’abolitio criminis o la modifica mitigatrice» (sentenza n. 394 del 2006, punto 6.4. del Considerato in diritto). Ciò in quanto, in via generale, «[n]on sarebbe ragionevole punire (o continuare a punire più gravemente) una persona per un fatto che, secondo la legge posteriore, chiunque altro può impunemente commettere (o per il quale è prevista una pena più lieve)» (sentenza n. 236 del 2011, punto 10 del Considerato in diritto e, più di recente, sentenza n. 176 del 2024, punto 5.1. del Considerato in diritto; in senso analogo, sentenze n. 238 del 2020, punto 6 del Considerato in diritto; n. 230 del 2012, punto 7 del Considerato in diritto).

Dall’altro, il principio sottende – nel prisma stesso dell’art. 3 Cost. – il «diritto dell’autore del reato a essere giudicato, e se del caso punito, in base all’apprezzamento attuale dell’ordinamento relativo al disvalore del fatto da lui realizzato, anziché in base all’apprezzamento sotteso alla legge in vigore al momento della sua commissione» (sentenza n. 63 del 2019, punto 6.1. del Considerato in diritto). Tale diritto richiama, a sua volta, la garanzia della necessaria proporzione del quantum e dello stesso an della reazione sanzionatoria rispetto al reato, secondo la valutazione del legislatore (e della comunità politica che si esprime attraverso la legge) nel momento in cui la pena viene concretamente irrogata (nello stesso senso, Corte EDU, grande camera, sentenza 17 settembre 2009, Scoppola contro Italia n. 2, paragrafo 108).

4.2.– L’altrettanto costante giurisprudenza di questa Corte riconosce, peraltro, che il diritto dell’imputato a essere giudicato secondo la legge più favorevole entrata in vigore dopo la commissione del fatto non è assoluto, ed è dunque aperto a possibili deroghe da parte del legislatore, purché giustificabili al metro di quello che la sentenza n. 393 del 2006 di questa Corte ha definito «vaglio positivo di ragionevolezza» (punto 6.3. del Considerato in diritto, nonché – in senso analogo – sentenze n. 176 del 2024, punto 5.1. del Considerato in diritto; n. 278 e n. 238 del 2020, rispettivamente punti 11 e 7 del Considerato in diritto; n. 63 del 2019, punto 6.1. del Considerato in diritto e n. 236 del 2011, punto 10 del Considerato in diritto).

In altre parole, in tanto una deroga al diritto in questione può trovare giustificazione sul piano costituzionale, in quanto essa risulti proporzionata all’esigenza di salvaguardare altri interessi costituzionalmente rilevanti, che rischierebbero di essere pregiudicati laddove si desse luogo all’applicazione retroattiva della legge penale più favorevole.

4.3.– Occorre allora verificare se la deroga oggi all’esame superi la verifica di legittimità costituzionale ex art. 3 Cost., al metro di quel «vaglio positivo di ragionevolezza» di cui poc’anzi si diceva.

Secondo l’Avvocatura generale dello Stato, la limitazione al principio di retroattività in mitius stabilita dalla disposizione censurata si fonderebbe su esigenze di tutela delle persone offese, in circostanze in cui esse sarebbero specialmente vulnerabili; in particolare evitando loro la necessità, magari a considerevole distanza di tempo dai fatti, di “esporsi” proponendo querela.

Una simile motivazione non risulta persuasiva, ed è comunque ben lungi dall’evidenziare esigenze di tutela di interessi costituzionali di tale cogenza da controbilanciare le ragioni, poc’anzi riassunte, sottese al diritto dell’imputato a vedersi applicare la disciplina penale più favorevole entrata in vigore dopo la commissione del fatto.

Anzitutto, va rammentato che il regime ordinario stabilito dal legislatore è quello della procedibilità a querela dei delitti menzionati dall’art. 85, comma 2-ter del d.lgs. n. 150 del 2022, e in particolare – per quanto qui rileva – del delitto di atti persecutori: regime che necessariamente impone alla persona offesa che abbia interesse alla punizione del proprio offensore di “esporsi”, manifestando la propria volontà in tal senso. Tale regola, peraltro, è tradizionalmente giustificata dallo stesso interesse della persona offesa, che potrebbe non desiderare che aspetti intimi della propria vita privata siano scandagliati nell’ambito di un processo penale, in cui le ragioni del diritto di difesa dell’imputato impongono un esame dettagliato di tutte le circostanze del fatto (così già la sentenza n. 27 del 1973, punto 2 del Considerato in diritto, che individuò la ratio di questa regola generale in materia di violenza sessuale nella «opportunità di lasciare arbitre le persone offese da quei delitti di portare o no alla pubblica conoscenza fatti riguardanti la loro vita intima»).

Lo stesso legislatore ha invero ritenuto – con valutazione la cui legittimità non è in questa sede in discussione – che tale regola meriti di essere derogata quando il reato subito sia connesso con altro procedibile d’ufficio, in ragione della circostanza che, in tal caso, un accertamento processuale sui fatti dovrà comunque compiersi (così anche la sentenza n. 64 del 1998, punto 2 del Considerato in diritto).

Ma quando il delitto connesso divenga esso stesso procedibile a querela, non sono affatto chiare le ragioni che potrebbero militare a favore della perpetuatio della procedibilità d’ufficio per il delitto di atti persecutori.

Se il procedimento penale sui fatti è già stato avviato, la persona offesa dovrà in ogni caso “esporsi”, esprimendosi sulla propria volontà se proporre o meno querela per il delitto connesso; e a questo punto apparirebbe ovvio consentirle di esprimere analoga volontà di proporre o meno querela anche per il delitto di atti persecutori, in esito a una valutazione complessiva dei propri interessi che lei stessa è nella migliore posizione per compiere. E ciò tenendo conto anche della circostanza che, nel delitto di atti persecutori la persona offesa mantiene di regola – a differenza di quanto accade rispetto alla violenza sessuale – la possibilità di rimettere la querela, anche a processo già iniziato, e dunque anche quando il cosiddetto “strepitus fori” si è, ormai, ampiamente verificato.

Se invece il procedimento penale sui fatti non fosse ancora iniziato, il mantenimento della procedibilità d’ufficio risulterebbe ancor più irragionevole. In tale situazione, infatti, il mutamento del regime di procedibilità del reato connesso consentirebbe alla vittima di mantenere del tutto riservate circostanze attinenti alla propria sfera privata, se non fosse proprio per l’operatività della disposizione censurata: la quale la forza a prendere parte a un processo penale, quanto meno nella veste di testimone. Un processo nel quale tali notizie saranno oggetto di attento scrutinio, anche quando la persona offesa intendesse, invece, far prevalere il proprio interesse alla riservatezza.

La disciplina censurata comporta, in definitiva, un sacrificio netto dell’interesse dell’imputato che abbia commesso il fatto prima della modifica normativa a un trattamento uguale a quello di chi abbia commesso un fatto analogo dopo tale modifica, nonché del suo interesse all’applicazione di una disciplina che il legislatore reputa oggi proporzionata rispetto al complesso degli interessi in gioco. E ciò senza che tale sacrificio possa dirsi funzionale a tutelare controinteressi di rango costituzionale della persona offesa (la quale, anzi, rischia di subire addirittura un pregiudizio dalla disciplina in parola), né altri apprezzabili interessi collettivi – del resto, neppure evocati dalla difesa statale.

La deroga al principio di retroattività in mitius della legge penale realizzata da tale disciplina deve, pertanto, essere ritenuta lesiva dell’art. 3 Cost.

5.– La reductio ad legitimitatem della disciplina censurata, nei limiti che rilevano nel giudizio a quo (supra, 2), deve essere compiuta dichiarando l’illegittimità costituzionale dell’art. 85, comma 2-ter, del d.lgs. n. 150 del 2022, in quanto richiamato dall’art. 9 del d.lgs. n. 31 del 2024, nella parte in cui prevede che si continua a procedere d’ufficio per il delitto previsto dall’art. 612-bis cod. pen. connesso con il delitto di cui all’art. 635, secondo comma, numero 1), cod. pen. commesso, prima della data di entrata in vigore del medesimo d.lgs. n. 31 del 2024, su cose esposte per necessità o per consuetudine o per destinazione alla pubblica fede.

Il ripristino della regola generale della sopravvenuta procedibilità a querela dei fatti in parola comporta la necessità di assicurare alle persone offese la facoltà di proporre querela. Essendo ormai scaduti i termini stabiliti all’uopo dal d.lgs. n. 31 del 2024 per il delitto di danneggiamento commesso su cose esposte alla pubblica fede, è necessario ora individuare un nuovo dies a quo per il termine per la presentazione della querela per il delitto previsto dall’art. 612-bis cod. pen. già stabilito dall’art. 85, comma 1, del d.lgs. n. 150 del 2022 (come modificato dal d.l. n. 162 del 2022, come convertito). Un nuovo dies a quo deve essere individuato, altresì, per il termine previsto per l’acquisizione della querela da parte dell’autorità giudiziaria, nei casi di cui all’art. 85, comma 2, del medesimo decreto legislativo.

Tale dies a quo, in ambedue i casi, deve essere individuato nella data di pubblicazione della presente sentenza nella Gazzetta Ufficiale, poiché a partire da essa verrà meno l’efficacia della disposizione censurata e, con essa, la procedibilità d’ufficio dei fatti commessi anteriormente all’entrata in vigore del d.lgs. n. 31 del 2024.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 85, comma 2-ter, del decreto legislativo 10 ottobre 2022, n. 150 (Attuazione della legge 27 settembre 2021, n. 134, recante delega al Governo per l’efficienza del processo penale, nonché in materia di giustizia riparativa e disposizioni per la celere definizione dei procedimenti giudiziari), in quanto richiamato dall’art. 9 del decreto legislativo 19 marzo 2024, n. 31 (Disposizioni integrative e correttive del decreto legislativo 10 ottobre 2022, n. 150, di attuazione della legge 27 settembre 2021, n. 134, recante delega al Governo per l’efficienza del processo penale nonché in materia di giustizia riparativa e disposizioni per la celere definizione dei procedimenti giudiziari), nella parte in cui prevede che si continua a procedere d’ufficio per il delitto previsto dall’art. 612-bis del codice penale connesso con il delitto di cui all’art. 635, secondo comma, numero 1), cod. pen. commesso, prima della data di entrata in vigore del medesimo d.lgs. n. 31 del 2024, su cose esposte per necessità o per consuetudine o per destinazione alla pubblica fede, e nella parte in cui non prevede che, relativamente al suddetto delitto di cui all’art. 612-bis cod. pen., i termini previsti dall’art. 85, commi 1 e 2, del d.lgs. n. 150 del 2022 decorrano dalla data della pubblicazione della presente sentenza nella Gazzetta Ufficiale.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 9 giugno 2025.

F.to:

Giovanni AMOROSO, Presidente

Francesco VIGANÒ, Redattore

Roberto MILANA, Direttore della Cancelleria

Depositata in Cancelleria il 24 luglio 2025

 

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