Sentenza n. 91 del 2024

SENTENZA N. 91

ANNO 2024

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta da: Presidente: Augusto Antonio BARBERA; Giudici : Franco MODUGNO, Giulio PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO, Francesco VIGANÒ, Luca ANTONINI, Stefano PETITTI, Angelo BUSCEMA, Emanuela NAVARRETTA, Maria Rosaria SAN GIORGIO, Filippo PATRONI GRIFFI, Marco D’ALBERTI, Giovanni PITRUZZELLA, Antonella SCIARRONE ALIBRANDI,

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 600-ter, primo comma, numero 1), del codice penale, promosso dal Tribunale ordinario di Bologna, seconda sezione penale, nel procedimento a carico di P. B., con ordinanza del 15 settembre 2023 iscritta al n. 139 del registro ordinanze 2023 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 43, prima serie speciale, dell’anno 2023.

Udito nella camera di consiglio del 16 aprile 2024 il Giudice relatore Filippo Patroni Griffi;

deliberato nella camera di consiglio del 16 aprile 2024.

Ritenuto in fatto

1.– Con ordinanza del 15 settembre 2023, iscritta al n. 139 del registro ordinanze 2023, il Tribunale ordinario di Bologna, seconda sezione penale, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 27, primo e terzo comma, della Costituzione, questioni di legittimità costituzionale dell’art. 600-ter, primo comma, numero 1), del codice penale, nella parte in cui non prevede, per il reato di produzione di materiale pornografico mediante l’utilizzazione di minori di anni diciotto (da ora in poi, anche: materiale pedopornografico), l’attenuante per i casi di minore gravità.

1.1.– Il giudice rimettente espone di dover giudicare su un’imputazione di produzione di materiale pedopornografico, reato che sarebbe stato commesso con più azioni esecutive di un medesimo disegno criminoso, nonché di adescamento di minori. In particolare, l’imputato, mediante l’utenza telefonica del padre e con uno pseudonimo, contattava ragazze minorenni, inviando foto dei propri organi genitali ed ottenendo da alcune delle interlocutrici, su sua richiesta, foto ritraenti i loro «organi sessuali secondari», così inducendo le vittime a inviargli materiale pedopornografico.

1.2.– In punto di rilevanza, il giudice a quo assume la diretta e attuale incidenza della censurata disposizione al fine di definire il giudizio.

E ciò in quanto l’imputato è chiamato a rispondere del reato di cui all’art. 600-ter, primo comma, numero 1), cod. pen., fattispecie nella quale rientrerebbe la condotta da questi tenuta di realizzazione di materiale pedopornografico tramite l’«utilizzazione» di ragazze minorenni all’epoca dei fatti. Nel caso in esame, però, si tratterebbe di condotte di minore gravità, come evincibile da una serie di elementi: la contenuta differenza di età tra l’imputato (appena diciottenne) e le persone offese (tredicenni e quattordicenni); l’oggetto delle immagini pedopornografiche, ritraenti unicamente «organi sessuali secondari»; l’assenza di finalità commerciali o divulgative; la mancanza di particolari tecniche di manipolazione psicologica o seduzione affettiva, o comunque pressioni subdole e infide sintomatiche di un più riprovevole sfruttamento della propria posizione di supremazia in termini di età ed esperienza, essendo, l’istigazione, avvenuta tramite un’opera di persuasione non connotata da particolare ostinazione o insidia (la produzione e l’inoltro delle fotografie avevano luogo, rispetto alla prima vittima, pressoché su semplice richiesta, pur preceduta dall’inganno sull’età, e, rispetto alla seconda, a seguito di mera richiesta, «sia pure “insistente”», da parte dell’imputato).

1.3.– In punto di non manifesta infondatezza, il giudice a quo rileva che l’art. 600-ter, primo comma, numero 1), cod. pen., prevedendo quale trattamento sanzionatorio la reclusione da sei a dodici anni e la multa da 24.000 a 240.000 euro, senza prevedere attenuanti in casi di minore gravità, violerebbe gli artt. 3 e 27, primo e terzo comma, Cost.

Innanzitutto, viene sostenuta l’irragionevolezza del trattamento sanzionatorio che, nella sua eccesiva severità, precluderebbe al giudice di adeguare la sanzione al caso concreto, mitigando la risposta punitiva, assai severa, in presenza di elementi oggettivi – relativi a mezzi, modalità esecutive, grado di compressione della dignità e del corretto sviluppo sessuale della vittima, condizioni fisiche e psicologiche di quest’ultima anche in relazione all’età, occasionalità o reiterazione delle condotte e consistenza del danno arrecato, anche in termini psichici – indicatori di una minore gravità del fatto.

La formulazione della censurata disposizione, che include nel proprio ambito applicativo situazioni significativamente diverse sul piano del grado di offesa al bene giuridico tutelato, in assenza della previsione di una “valvola di sicurezza”, non consentirebbe, dunque, l’irrogazione di una pena adeguata al caso concreto. Né sarebbe di ausilio l’eventuale applicazione delle attenuanti generiche, che, come chiarito dalla giurisprudenza costituzionale (è citata la sentenza n. 63 del 2022), sono volte a mitigare la misura della pena in presenza di taluni indicatori soggettivi e oggettivi e non a correggere l’eventuale sproporzione dei minimi edittali.

La disposizione censurata violerebbe, inoltre, i princìpi di personalità della responsabilità penale e della finalità rieducativa della pena, sanciti rispettivamente dal primo e terzo comma dell’art. 27 Cost., in quanto la sproporzione derivante dall’omissione censurata, da un lato, ostacolerebbe l’individualizzazione della pena, corollario del carattere personale della responsabilità penale, e, dall’altro, ne svilirebbe la funzione rieducativa posto che una pena sproporzionata rischia di venire percepita dal condannato come ingiusta.

Per tali ragioni, il rimettente ritiene doversi estendere alla disposizione censurata la possibile attenuazione in misura non eccedente i due terzi, per i casi di minore gravità, già prevista per le figure delittuose di violenza sessuale e atti sessuali con minorenne di cui agli artt. 609-bis e 609-quater cod. pen.

2.– Il Presidente del Consiglio dei ministri non è intervenuto in giudizio e in esso non si è costituito l’imputato.

Considerato in diritto

1.– Con ordinanza iscritta al n. 139 del registro ordinanze 2023, il Tribunale di Bologna, seconda sezione penale, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 27, primo e terzo comma, Cost., questioni di legittimità costituzionale dell’art. 600-ter, primo comma, numero 1), cod. pen., nella parte in cui non prevede, per il reato di produzione di materiale pedopornografico, l’attenuante per i casi di minore gravità.

1.1.– Il rimettente espone di dover giudicare su un’imputazione di produzione di materiale pedopornografico, sottolineando che la condotta oggetto di imputazione debba considerarsi di minore gravità, alla luce di una serie di elementi: la contenuta differenza di età tra l’imputato (appena diciottenne) e le persone offese (tredicenni e quattordicenni), l’oggetto delle immagini pedopornografiche, ritraenti unicamente «organi sessuali secondari», l’assenza di finalità commerciali o divulgative, la mancanza di particolari tecniche di manipolazione psicologica o seduzione affettiva, o comunque pressioni subdole e infide sintomatiche di un più riprovevole sfruttamento della propria posizione di supremazia in termini di età ed esperienza, essendo l’istigazione avvenuta tramite un’opera di persuasione non connotata da particolare ostinazione o insidia (la produzione e l’inoltro delle fotografie avevano luogo, rispetto alla prima vittima, pressoché su semplice richiesta, pur preceduta dall’inganno sull’età, e, rispetto alla seconda, a seguito di mera richiesta, «sia pure “insistente”», da parte dell’imputato).

Il giudice a quo si duole dell’irragionevolezza del trattamento sanzionatorio sancito dall’art. 600-ter, primo comma, numero 1), cod. pen. che, nella sua eccesiva severità e in assenza di una “valvola di sicurezza”, anche in considerazione della significativa asprezza del minimo edittale (pari a sei anni di reclusione), gli precluderebbe di graduare il trattamento punitivo; gli sarebbe impedito, quindi, di adeguare la sanzione al caso concreto in presenza di elementi oggettivi – relativi a mezzi, modalità esecutive, grado di compressione della dignità e del corretto sviluppo sessuale della vittima, condizioni fisiche e psicologiche di quest’ultima anche in relazione all’età, occasionalità o reiterazione delle condotte e consistenza del danno arrecato, anche in termini psichici – indicatori di una minore gravità del fatto. La disposizione censurata violerebbe, inoltre, i princìpi di personalità della responsabilità penale e della finalità rieducativa della pena, sanciti rispettivamente dal primo e terzo comma dell’art. 27 Cost., in quanto la sproporzione derivante dall’omissione censurata, da un lato, ostacolerebbe l’individualizzazione della pena, corollario del carattere personale della responsabilità penale, e, dall’altro, ne svilirebbe la funzione rieducativa posto che una pena sproporzionata rischia di venire percepita dal condannato come ingiusta.

Per tali ragioni, il rimettente ritiene doversi estendere alla disposizione censurata la possibile attenuazione in misura non eccedente i due terzi, per i casi di minore gravità, già prevista per le figure delittuose di violenza sessuale e di atti sessuali con minorenne di cui agli artt. 609-bis e 609-quater cod. pen.

2.– Le questioni – aventi ad oggetto il solo reato di produzione di materiale pedopornografico, con esclusione quindi della diversa fattispecie di realizzazione di esibizioni o spettacoli pornografici prevista dal medesimo numero 1) del primo comma dell’art. 600-ter cod. pen. – sono fondate.

3.– Per costante giurisprudenza costituzionale, le valutazioni discrezionali di dosimetria della pena – in quanto massima espressione di politica criminale – spettano al legislatore, con il solo limite delle scelte sanzionatorie che si rivelino arbitrarie o manifestamente irragionevoli (ex multis, tra le ultime, sentenze n. 46 del 2024, n. 120 del 2023, n. 260 e n. 95 del 2022, n. 62 del 2021).

Nella perimetrazione del proprio sindacato di legittimità costituzionale, questa Corte, quanto meno a partire dalla sentenza n. 343 del 1993, ha sviluppato un modello di sindacato sulla proporzionalità “intrinseca” della pena, in modo da assicurare che questa sia adeguatamente calibrata sul fatto concreto; e ciò anche indipendentemente dalla individuazione di un preciso tertium comparationis alla cui luce condurre lo scrutinio di proporzionalità (si vedano, più di recente, tra le altre, le sentenze n. 136 del 2020 e n. 284 del 2019).

In particolare, nello scrutinio di legittimità costituzionale sulla proporzionalità della pena, assume rilievo centrale la formulazione particolarmente ampia della disposizione censurata, la cui latitudine normativa sia tale da ricomprendere fattispecie significativamente diversificate sul piano criminologico e del tasso di disvalore; e proprio in tali ipotesi è stata sottolineata la necessità di prevedere delle diminuenti al fine di garantire la possibilità di graduare e individualizzare la sanzione rispetto allo specifico disvalore della singola condotta e assicurare il rispetto dei princìpi fissati dagli artt. 3 e 27 Cost. (ex multissentenze n. 120 del 2023, n. 244 del 2022, n. 117 del 2021, n. 88 del 2019, n. 106 del 2014 e n. 68 del 2012).

In alcune ipotesi è stata, altresì, presa in considerazione l’eccessiva asprezza del minimo editale, idonea, in quanto tale, a precludere al giudice di graduare la sanzione per adattarla al caso concreto e allo specifico disvalore della condotta incriminata (ex multis, sentenze n. 46 del 2024, n. 120 del 2023, n. 244 e n. 63 del 2022, n. 143 del 2021 e n. 68 del 2012).

3.1.– Entrambi i profili – estesa latitudine normativa e minimo edittale particolarmente elevato – sono stati valorizzati, da ultimo, dalla sentenza n. 120 del 2023, che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 629 cod. pen. – per violazione degli artt. 3 e 27, terzo comma, Cost. – nella parte in cui non prevedeva una diminuzione di pena (in misura non eccedente un terzo) quando, per la natura, la specie, i mezzi, le modalità o circostanze dell’azione, ovvero per la particolare tenuità del danno o del pericolo, il fatto risultasse di lieve entità; e ciò sulla base della considerazione che «la mancata previsione di una “valvola di sicurezza” che consenta al giudice di modulare la pena, onde adeguarla alla gravità concreta del fatto estorsivo, può determinare l’irrogazione di una sanzione non proporzionata ogni qual volta il fatto medesimo si presenti totalmente immune dai profili di allarme sociale che hanno indotto il legislatore a stabilire per questo titolo di reato un minimo edittale di notevole asprezza». Richiamando anche la sentenza n. 68 del 2012 – che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 630 cod. pen., nella parte in cui non prevedeva una diminuzione di pena per il fatto di lieve entità – è stato altresì rimarcato che la disposizione era «capace di includere nel proprio ambito applicativo “episodi marcatamente dissimili, sul piano criminologico e del tasso di disvalore, rispetto a quelli avuti di mira dal legislatore dell’emergenza”».

Analoghe considerazioni sono alla base della sentenza n. 244 del 2022, con la quale è stata dichiarata l’illegittimità costituzionale, in riferimento agli artt. 3 e 27 Cost., dell’art. 167, primo comma, del codice penale militare di pace (che punisce il cosiddetto sabotaggio militare), nella parte in cui non prevedeva che la pena potesse essere diminuita se il fatto di rendere temporaneamente inservibili, in tutto o in parte, navi, aeromobili, convogli, strade, stabilimenti, depositi o altre opere militari o adibite al servizio delle Forze armate dello Stato poteva essere in concreto considerato, per la particolare tenuità del danno causato, di lieve entità. Al di là delle argomentazioni legate alla specificità della fattispecie, anche in tale caso questa Corte ha posto in rilievo tanto la «tessitura semantica particolarmente lata delle espressioni utilizzate dal legislatore» – idonea a includere anche fatti di lieve entità (in relazione in particolare alla modestia del pregiudizio cagionato alla efficienza operativa delle res oggetto della condotta) – quanto la eccezionale asprezza del minimo edittale. Ha dunque concluso che la disposizione censurata poteva condurre a un trattamento sanzionatorio «manifestamente sproporzionato rispetto alla gravità oggettiva e soggettiva del fatto, e comunque incapace di adeguarsi al suo concreto disvalore, con pregiudizio allo stesso principio di individualizzazione della pena e alla sua necessaria funzione rieducativa».

4.– Alla luce delle coordinate giurisprudenziali sopra riportate, le questioni di legittimità costituzionale – come si è detto – si rivelano fondate con riferimento a tutti i parametri evocati.

5.– Il primo comma, numero 1), dell’art. 600-ter cod. pen. punisce, con la reclusione da sei a dodici anni e con la multa da euro 24.000 a euro 240.000, chi, utilizzando minori di anni diciotto, produce materiale pornografico. Con la stessa pena edittale sono punite, ai sensi del medesimo art. 600-ter cod. pen., altre condotte, quali la realizzazione di esibizioni o spettacoli pornografici mediante l’utilizzazione di minori di anni diciotto (primo comma, numero 1) ovvero il reclutamento o l’induzione di minori di anni diciotto a partecipare a esibizioni o spettacoli pornografici ovvero il trarre profitto dai suddetti spettacoli (primo comma, numero 2), o, ancora, il commercio del materiale pedopornografico di cui al primo comma (secondo comma). Per converso, sono sanzionate con pene edittali minori condotte che possono avere un disvalore non inferiore rispetto alla mera produzione del materiale pedopornografico, soprattutto se la stessa sia realizzata in maniera tale da mantenere il materiale prodotto nella sfera privata di colui che lo produce. Si pensi alla distribuzione, divulgazione, diffusione e pubblicizzazione del predetto materiale pedopornografico, o anche alla distribuzione e divulgazione di notizie o informazioni finalizzate all’adescamento o allo sfruttamento sessuale di minori (terzo comma), condotte punite con la reclusione da uno a cinque anni e con la multa da euro 2.582 a euro 51.645.

Ma è all’interno della medesima fattispecie della produzione del materiale pedopornografico che possono essere ricomprese condotte e modalità esecutive del reato assai eterogenee tra loro.

Con la conseguenza che, in tale contesto, la mancata previsione di una “valvola di sicurezza” che consenta al giudice di modulare la pena, onde adeguarla alla concreta gravità della singola condotta, può determinare l’irrogazione di una sanzione non proporzionata, in quanto la formulazione normativa del censurato art. 600-ter, primo comma, numero 1), cod. pen., nella sua ampiezza, è idonea a includere, nel proprio ambito applicativo, condotte marcatamente dissimili, sul piano criminologico e del tasso di disvalore, alcune delle quali anche estranee alla ratio sottesa alla severa normativa in materia di pedopornografia; situazione resa più delicata, sul piano della legittimità costituzionale, da una cornice edittale del reato caratterizzata – proprio nella giusta considerazione del disvalore di tale tipologia di reati e per i pericoli agli stessi correlati – da un minimo di significativa asprezza.

6.– Invero, la perimetrazione del reato di produzione di materiale pedopornografico previsto dall’art. 600-ter, primo comma, numero 1), cod. pen. è particolarmente ampia.

La disposizione si caratterizza per una notevole latitudine descrittiva («utilizzando minori […] produce materiale pornografico»), atta a coinvolgere una vasta gamma di condotte dal diversificato disvalore, idonee cioè a compromettere il bene giuridico tutelato in maniera profondamente differente.

La norma, d’altronde, colpisce indistintamente condotte relative all’utilizzazione di minori di anni diciotto, senza operare alcuna graduazione (come, invece, avviene, ad opera dell’art. 609-quater cod. pen.) in base ad una serie di elementi idonei ad incidere sul disvalore della condotta e sul pregiudizio del bene giuridico tutelato, quali, ad esempio, l’età della vittima, il rapporto tra quest’ultima e l’agente o la differenza di età tra i due, o, ancora, il contenuto delle immagini prodotte; essendo peraltro irrilevante, perché sia integrato il reato in parola, che la produzione del materiale sia destinato alla successiva distribuzione, divulgazione o diffusione: condotte, queste, sanzionate come fattispecie autonome dal terzo comma, peraltro (come già ricordato) con una cornice edittale minore.

6.1.– Per comprenderne l’attuale formulazione, va considerato che la disposizione censurata è stata oggetto di una significativa evoluzione normativa e giurisprudenziale, volta al rafforzamento della prevenzione e della repressione di un reato di particolare gravità, sia che si abbia riguardo alla sfera psico-emotiva e quindi allo sviluppo della personalità del minore, sia per il pericolo che il reato in questione, al pari di altre condotte sanzionate nella stessa disposizione incriminatrice, possa favorire un sistema criminale che faccia leva sull’uso dei minori per illecite finalità di ordine lato sensu sessuale.

In particolare, la legge 6 febbraio 2006, n. 38 (Disposizioni in materia di lotta contro lo sfruttamento sessuale dei bambini e la pedopornografia anche a mezzo Internet), nel modificare l’art. 600-ter cod. pen., ha eliminato, per la configurazione del reato, il riferimento allo “sfruttamento” del minore, sostituendolo con la nozione di “utilizzazione”, nonché la finalità «di realizzare esibizioni pornografiche o di produrre materiale pornografico».

Come chiarito dalla Corte di cassazione, tale modifica ha comportato, per un verso, che per la consumazione dei delitti sia sufficiente l’utilizzazione dei minori per la produzione di esibizioni o di materiale pornografico, a prescindere da qualsiasi finalità lucrativa o commerciale, per un altro verso, che per l’individuazione dell’elemento soggettivo debba farsi riferimento al dolo generico (occorrendo, comunque, la consapevolezza che i soggetti utilizzati siano minorenni) e non più al dolo specifico richiesto in passato (Corte di cassazione, sezioni unite penali, 31 maggio - 15 novembre 2018, n. 51815).

Inoltre, con la legge 1° ottobre 2012, n. 172 (Ratifica ed esecuzione della Convenzione del Consiglio d’Europa per la protezione dei minori contro lo sfruttamento e l’abuso sessuale, fatta a Lanzarote il 25 ottobre 2007, nonché norme di adeguamento dell’ordinamento interno), è stata introdotta la nozione di pornografia minorile, con essa intendendosi «ogni rappresentazione, con qualunque mezzo, di un minore degli anni diciotto coinvolto in attività sessuali esplicite, reali o simulate, o qualunque rappresentazione degli organi sessuali di un minore di anni diciotto per scopi sessuali».

A fronte di una formulazione così «volutamente molto ampia», è stato di conseguenza ritenuto che, per la qualificazione del materiale rappresentativo come pedopornografico, sia sufficiente «“ogni rappresentazione”, realizzata “con qualunque mezzo”, e soprattutto oggettiva, da cui deriva la definizione giuridica di materiale pedopornografico, intendendosi per questo qualunque rappresentazione del minore che ne effigi la nudità con finalità sessuale o che ne ritragga il coinvolgimento in atti sessuali» (Corte di cassazione, sezione quinta penale, sentenza 8 giugno-19 luglio 2018, n. 33862) e che l’accertamento del reato prescinda da qualsivoglia soglia quantitativa, rientrando nel concetto di “materiale” qualsiasi rappresentazione pedopornografica di un minore, anche se costituita solo da poche foto o addirittura da una sola immagine (Cass., sez. un., n. 51815 del 2018; Corte di cassazione, sezione terza penale, sentenza 11 maggio-13 ottobre 2023, n. 41572).

Infine, la Corte di cassazione – alla luce delle modifiche normative intervenute nel tempo e dei mutamenti del contesto tecnologico e dello sviluppo del web – ha mutato orientamento sulla stessa natura del reato di cui all’art. 600-ter cod. pen. Diversamente da quanto sostenuto in passato, la medesima Corte ha, infatti, escluso la necessità dell’accertamento del pericolo concreto della diffusione del materiale prodotto nel perverso circuito della pedofilia, in quanto – essendo ormai insita nei nuovi strumenti tecnologici la potenzialità diffusiva di qualsiasi produzione di immagini o video, sì da rendere anacronistico il presupposto del pericolo concreto di diffusione del materiale realizzato – ha ritenuto che la produzione comporti in re ipsa il pericolo di diffusione (Cass., sez. un., n. 51815 del 2018; da ultimo, Cass., n. 41572 del 2023).

6.2.– Se dunque la disposizione censurata è stata oggetto di un’evoluzione normativa e giurisprudenziale che ne ha, in parte, ampliato l’ambito di applicazione, per le giuste finalità di prevenzione e repressione di questo reato e dei reati consimili, al contempo deve ritenersi che è proprio tale ampliamento a far emergere, sul piano della legittimità costituzionale, la necessità di una “valvola di sicurezza” che, fermo il minimo edittale elevato che il legislatore nella sua discrezionalità ha voluto porre, consenta al giudice comune, attraverso la previsione di un’attenuante speciale, di graduare e “personalizzare” la pena da irrogare in concreto con riferimento ai casi di minore gravità, al fine di assicurare la proporzionalità della sanzione in una con la individualizzazione della pena e la sua finalità rieducativa.

Questa Corte, d’altro canto, già in precedenti occasioni ha tenuto conto dell’evoluzione normativa delle disposizioni prese in esame al fine di affermare la necessità di assicurare una “valvola di sicurezza” (per esempio, con riferimento all’art. 609-bis cod. pen., la cui evoluzione normativa è stata presa in considerazione nelle pronunce n. 106 del 2014 e n. 325 del 2005, per garantire la proporzionalità della pena dopo la concentrazione in un unico reato di condotte dalla marcata differente portata lesiva del medesimo bene giuridico; ma anche con riferimento agli artt. 629 e 630 cod. pen., rispettivamente esaminati dalle già citate sentenze n. 120 del 2023 e n. 68 del 2012).

7.– I rilevati profili di contrasto con i princìpi costituzionali di cui agli artt. 3 e 27 Cost., in conseguenza della mancata previsione della diminuente, si palesano ancor più considerando l’asprezza del minimo edittale, pari a sei anni; asprezza già ravvisata da questa Corte per il minimo edittale pari a cinque anni di reclusione per il reato di estorsione nonché per il minimo edittale di otto anni di reclusione stabilito dall’art. 167, primo comma, cod. pen. mil. pace (rispettivamente nelle già citate sentenze n. 120 del 2023 e n. 244 del 2022).

Né può assumere alcun rilievo, al fine di escludere il vulnus ai princìpi costituzionali evocati, che la pena del reato in esame potrebbe essere comunque mitigata tramite l’applicazione delle circostanze attenuanti comuni, giacché, come già chiarito dalla costante giurisprudenza di questa Corte (sentenze n. 46 del 2024, n. 120 del 2023 e n. 63 del 2022), tali attenuanti hanno la funzione di adeguare la misura concreta della pena in forza di una serie di elementi, anche di ordine soggettivo, e non anche quella di correggere di fatto la mancanza di proporzionalità della pena quale deriva da un minimo edittale particolarmente significativo e dalla mancata previsione di una diminuente che, peraltro, il legislatore contempla per fattispecie di reato simili.

8.– D’altronde, il caso concreto all’esame del giudice a quo è emblematico delle irragionevoli conseguenze che possono derivare dall’assenza di una “valvola di sicurezza” che consenta al giudice di sanzionare in maniera proporzionata una condotta che – secondo quanto rilevato dal rimettente – potrebbe essere riconducibile, pur nel suo innegabile disvalore, a un’ipotesi di minore gravità, alla luce di una pluralità di elementi, individuati dal giudice a quo – nella valutazione di sua esclusiva pertinenza – nella contenuta differenza di età tra l’imputato e le persone offese, nell’oggetto delle immagini pedopornografiche scambiate e nell’assenza di particolari tecniche di pressione, manipolazione psicologica o seduzione affettiva.

9.– Tutto quanto sin qui esposto conduce in definitiva a ritenere sussistente la violazione del principio di proporzionalità della pena desumibile dagli artt. 3 e 27, terzo comma, Cost., con pregiudizio anche del principio di individualizzazione della stessa, alla luce del carattere «personale» della responsabilità penale (art. 27, primo comma, Cost.).

10.– Per l’individuazione della diminuente, questa Corte ritiene ragionevole fare riferimento – come peraltro richiesto dal giudice a quo – alla figura delittuosa di cui all’art. 609-quater cod. pen., che presenta significativi tratti in comune con quella ora all’esame, mirando anch’essa a tutelare il libero e armonico sviluppo della personalità del minore nella sfera sessuale. Tale figura delittuosa prevede la medesima cornice sanzionatoria dell’art. 600-ter cod. pen., ma al tempo stesso dispone che, nei casi di minore gravità, la pena sia diminuita in misura non eccedente i due terzi. Siffatta soluzione sanzionatoria, già esistente nell’ordinamento, costituisce una soluzione costituzionalmente adeguata (ex multis, sentenze n. 6 del 2024, n. 95 e n. 28 del 2022 e n. 63 del 2021), idonea a porre rimedio al vulnus riscontrato. Ciò ovviamente non esclude – secondo i princìpi – una generale riconsiderazione da parte del legislatore della tematica in esame, sotto il profilo sistematico delle fattispecie criminose, delle norme incriminatrici e dei trattamenti sanzionatori; riconsiderazione sistematica che dovrà ovviamente tener conto dei canoni costituzionali di proporzionalità e di individualizzazione della pena.

Va, infine, sottolineato che l’invocata diminuente potrà trovare ragionevole giustificazione limitatamente alle ipotesi di disvalore significativamente inferiore a quello normalmente associato alla realizzazione di un fatto conforme alla figura astratta del reato, trattandosi di condotta che incide comunque sull’equilibrato sviluppo e sul benessere psicofisico del minore, nonché sulla sua libertà sessuale e sulla sua dignità.

Al fine della sua applicazione è quindi richiesta, da parte del giudice del caso concreto, una prudente valutazione globale del fatto – in cui assumono rilievo le modalità esecutive e l’oggetto delle immagini pedopornografiche, il grado di coartazione esercitato sulla vittima (anche in riferimento alla mancanza di particolari tecniche di pressione e manipolazione psicologica o seduzione affettiva), nonché le condizioni fisiche e psicologiche di quest’ultima, pure in relazione all’età (e alla contenuta differenza con l’età del reo) e al danno, anche psichico, arrecatole – in applicazione anche dei criteri adottati dalla giurisprudenza di legittimità con riferimento all’attenuante di minore gravità del reato di atti sessuali con minorenne (di recente, Corte di cassazione, sezione terza penale, sentenze 10 maggio - 24 ottobre 2023, n. 43225 e 24 novembre 2022 - 1 marzo 2023, n. 8735).

In tale valutazione particolare rilievo assumerà, infine, l’estraneità della condotta incriminata rispetto a quei profili di particolare allarme sociale – ovverosia la riconducibilità del fatto, o anche solo la sua mera contiguità, al circuito della diffusione di immagini o video pedopornografici e, a maggior ragione, al relativo mercato – che hanno indotto il legislatore a stabilire per questo titolo di reato un minimo edittale di notevole asprezza e, più in generale, a colpire qualsiasi condotta comunque idonea ad alimentare l’offerta di pornografia minorile destinata al relativo mercato, mercato che è all’origine dello sfruttamento sessuale dei minori.

11.– Alla luce di quanto sin qui detto, deve essere dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 600-ter, primo comma, numero 1), cod. pen., per violazione degli artt. 3 e 27, primo e terzo comma, Cost., nella parte in cui non prevede, per il reato di produzione di materiale pornografico mediante l’utilizzazione di minori di anni diciotto, che nei casi di minore gravità la pena da esso comminata è diminuita in misura non eccedente i due terzi.

Per Questi Motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 600-ter, primo comma, numero 1), del codice penale, nella parte in cui non prevede, per il reato di produzione di materiale pornografico mediante l’utilizzazione di minori di anni diciotto, che nei casi di minore gravità la pena da esso comminata è diminuita in misura non eccedente i due terzi.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 16 aprile 2024.

F.to:

Augusto Antonio BARBERA, Presidente

Filippo PATRONI GRIFFI, Redattore

Roberto MILANA, Direttore della Cancelleria

Depositata in Cancelleria il 20 maggio 2024