SENTENZA N. 117
ANNO 2021
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
composta dai signori:
Presidente: Giancarlo CORAGGIO
Giudici: Giuliano AMATO, Silvana SCIARRA, Daria de PRETIS, Nicolò ZANON, Franco MODUGNO, Augusto Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO, Francesco VIGANÒ, Luca ANTONINI, Stefano PETITTI, Angelo BUSCEMA, Emanuela NAVARRETTA, Maria Rosaria SAN GIORGIO,
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 624-bis del codice penale, introdotto dall’art. 2, comma 2, della legge 26 marzo 2001, n. 128 (Interventi legislativi in materia di tutela della sicurezza dei cittadini), come modificato dall’art. 1, comma 6, della legge 23 giugno 2017, n. 103 (Modifiche al codice penale, al codice di procedura penale e all’ordinamento penitenziario), successivamente modificato dall’art. 5, comma 1, della legge 26 aprile 2019, n. 36 (Modifiche al codice penale e altre disposizioni in materia di legittima difesa), promosso dal Tribunale ordinario di Lecce, in composizione monocratica, nel procedimento penale a carico di L. M. e altro, con ordinanza del 19 febbraio 2020, iscritta al n. 182 del registro ordinanze 2020 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 52, prima serie speciale, dell’anno 2020.
Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nella camera di consiglio del 12 maggio 2021 il Giudice relatore Stefano Petitti;
deliberato nella camera di consiglio del 12 maggio 2021.
Ritenuto in fatto
1.– Con ordinanza del 19 febbraio 2020, iscritta al n. 182 del registro ordinanze 2020, il Tribunale ordinario di Lecce, in composizione monocratica, ha sollevato questioni di legittimità costituzionale dell’art. 624-bis del codice penale, introdotto dall’art. 2, comma 2, della legge 26 marzo 2001, n. 128 (Interventi legislativi in materia di tutela della sicurezza dei cittadini), come modificato dall’art. 1, comma 6, della legge 23 giugno 2017, n. 103 (Modifiche al codice penale, al codice di procedura penale e all’ordinamento penitenziario), successivamente modificato dall’art. 5, comma 1, della legge 26 aprile 2019, n. 36 (Modifiche al codice penale e altre disposizioni in materia di legittima difesa), «nella parte in cui, limitando la discrezionalità del [g]iudice, non consente, anche attraverso [un] adeguato bilanciamento delle circostanze concorrenti, ovvero la previsione di una ipotesi lieve autonomamente sanzionata, di calibrare la sanzione penale alla effettiva gravità del reato».
Il rimettente evoca i parametri di cui agli artt. 3 e 27 della Costituzione, che sarebbero a suo avviso violati non soltanto dall’eccessività della pena detentiva prevista dalla censurata disposizione per il reato di furto in abitazione, ma anche dalla limitazione del bilanciamento delle circostanze eterogenee stabilita dal quarto comma della disposizione stessa, «laddove, invece, la previsione di un minimo edittale più basso e la eliminazione dei rigidi automatismi di cui al quarto comma o la previsione di una “ipotesi lieve”, consentirebbe l’irrogazione di una pena molto più adeguata alla peculiarità del caso concreto».
1.1.– Il Tribunale di Lecce espone di dover giudicare sulle imputazioni di furto aggravato in abitazione ascritte a L. M. e F. G. in relazione a fatti commessi il 22 gennaio 2020, per essersi costoro impossessati, in concorso fra loro, al fine di procurarsi un ingiusto profitto, di alcuni oggetti di modesto valore, asportandoli da una privata dimora, nella quale si erano introdotti mediante l’effrazione di una finestra.
Il giudice a quo osserva che, pur riconoscendo agli imputati, persone incensurate, sia le attenuanti generiche che l’attenuante comune della speciale tenuità del danno patrimoniale, e nonostante la diminuente per il rito abbreviato dagli stessi richiesto, la pena da irrogarsi loro non potrebbe essere inferiore ad anni uno, mesi cinque e giorni ventisette di reclusione, oltre alla multa, sanzione da ritenersi «palesemente sproporzionata».
1.2.– Richiamata la giurisprudenza costituzionale sulla necessaria proporzionalità e individualizzazione della sanzione penale, il rimettente assume che la pena edittale del furto in abitazione manifesti un «eccessivo iato» rispetto ad altri reati contro il patrimonio, come emergerebbe dal confronto col furto semplice o aggravato, con la truffa semplice o aggravata, la circonvenzione di persone incapaci, la ricettazione, il danneggiamento di sistemi informatici, la frode in emigrazione e l’usura.
Il Tribunale di Lecce denuncia altresì come lesivo degli evocati parametri costituzionali che il legislatore, avendo tipizzato il furto in abitazione alla stregua di un’autonoma figura di reato, non ne abbia previsto un’ipotesi di lieve entità, sull’esempio del reato di ricettazione, e abbia invece precluso un adeguato bilanciamento fra attenuanti e aggravanti.
2.– È intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, che ha chiesto dichiararsi le questioni inammissibili o non fondate.
Ad avviso dell’interveniente, il severo trattamento sanzionatorio e il divieto di bilanciamento delle circostanze per il furto in abitazione costituirebbero opzioni discrezionali non manifestamente irragionevoli, attraverso le quali il legislatore ha inteso rispondere all’esigenza di tutelare non solo il patrimonio delle persone offese, ma soprattutto l’inviolabilità del loro domicilio, valore garantito dall’art. 14 Cost., a fronte di un reato «diffuso e di particolare allarme sociale».
3.– In qualità di amicus curiae, l’Unione camere penali italiane (UCPI) ha presentato un’opinione scritta, portatrice di argomenti favorevoli all’accoglimento delle questioni.
Come starebbe ad evidenziare la fattispecie concreta, la severità e la rigidità dell’apparato sanzionatorio del furto in abitazione impedirebbe al giudice di adeguare la pena all’effettivo disvalore del fatto, con il rischio che l’autore finisca per essere «strumentalizzato a fini di prevenzione generale».
L’opinione è stata ammessa con decreto presidenziale del 26 febbraio 2021.
Considerato in diritto
1.– Il Tribunale ordinario di Lecce, in composizione monocratica, ha sollevato questioni di legittimità costituzionale dell’art. 624-bis del codice penale, introdotto dall’art. 2, comma 2, della legge 26 marzo 2001, n. 128 (Interventi legislativi in materia di tutela della sicurezza dei cittadini), come modificato dall’art. 1, comma 6, della legge 23 giugno 2017, n. 103 (Modifiche al codice penale, al codice di procedura penale e all’ordinamento penitenziario), successivamente modificato dall’art. 5, comma 1, della legge 26 aprile 2019, n. 36 (Modifiche al codice penale e altre disposizioni in materia di legittima difesa).
Il rimettente dubita che la norma censurata violi gli artt. 3 e 27 della Costituzione, «nella parte in cui, limitando la discrezionalità del [g]iudice, non consente, anche attraverso [un] adeguato bilanciamento delle circostanze concorrenti, ovvero la previsione di una ipotesi lieve autonomamente sanzionata, di calibrare la sanzione penale alla effettiva gravità del reato».
L’eccessività della pena edittale stabilita dalla censurata disposizione per il reato di furto in abitazione e la stringente limitazione del bilanciamento delle circostanze prevista dal quarto comma della disposizione medesima sarebbero in contrasto con i principi di proporzionalità e individualizzazione della sanzione penale, «laddove, invece, la previsione di un minimo edittale più basso e la eliminazione dei rigidi automatismi di cui al quarto comma o la previsione di una “ipotesi lieve”, consentirebbe l’irrogazione di una pena molto più adeguata alla peculiarità del caso concreto».
1.1.– Il Tribunale di Lecce espone di dover giudicare sulle imputazioni di furto aggravato in abitazione ascritte a L. M. e F. G. in relazione a fatti commessi il 22 gennaio 2020, per essersi costoro impossessati, in concorso fra loro, al fine di procurarsi un ingiusto profitto, di alcuni oggetti di modesto valore, asportandoli da una privata dimora, nella quale si erano introdotti mediante l’effrazione di una finestra.
Il giudice a quo assume che, pur riconoscendo agli imputati, persone incensurate, le attenuanti generiche e quella della speciale tenuità del danno patrimoniale, e nonostante la diminuente per il rito abbreviato, la pena da irrogarsi loro risulterebbe comunque «palesemente sproporzionata».
1.2.– Ad avviso del rimettente, la pena edittale del furto in abitazione soffrirebbe un «eccessivo iato» rispetto ad altri reati contro il patrimonio, quali il furto semplice o aggravato, la truffa semplice o aggravata, la circonvenzione di persone incapaci, la ricettazione, il danneggiamento di sistemi informatici, la frode in emigrazione e l’usura.
Sarebbe inoltre lesivo degli evocati parametri che il legislatore, avendo tipizzato il furto in abitazione come autonoma figura di reato, non ne abbia previsto un’ipotesi di lieve entità e abbia invece precluso un adeguato bilanciamento fra attenuanti e aggravanti.
2.– Il Presidente del Consiglio dei ministri, intervenuto in giudizio per mezzo dell’Avvocatura generale dello Stato, ha chiesto dichiararsi le questioni inammissibili o non fondate, atteso che il pur severo trattamento sanzionatorio del furto in abitazione risponderebbe a opzioni discrezionali del legislatore, non manifestamente irragionevoli, finalizzate al contrasto di un reato di particolare allarme sociale.
3.– In qualità di amicus curiae, l’Unione camere penali italiane (UCPI) ha presentato un’opinione favorevole all’accoglimento delle questioni, in quanto la rigidità dell’apparato sanzionatorio del furto in abitazione impedirebbe al giudice di adeguare la pena all’effettivo disvalore del fatto, con il rischio che l’autore finisca per essere «strumentalizzato a fini di prevenzione generale».
4.– Seppure in forma contratta, l’ordinanza di rimessione denuncia il trattamento sanzionatorio del furto in abitazione sotto tre distinti profili, a ciascuno dei quali corrisponde un distinto petitum.
In primo luogo, sarebbe eccessivo il minimo edittale della pena detentiva, e occorrerebbe quindi ridurne l’entità; sarebbe poi necessaria la previsione di una “ipotesi lieve”, e occorrerebbe quindi introdurne la fattispecie; infine, il divieto di bilanciamento tra circostanze impedirebbe al giudice di adeguare la pena al disvalore del fatto, e andrebbe quindi rimosso.
I tre petita devono essere esaminati separatamente, giacché, pur ispirati da una medesima finalità di complessiva attenuazione del rigore punitivo, definiscono tuttavia questioni autonome, una sola delle quali riferibile all’intero testo dell’art. 624-bis cod. pen. (quella sulla mancata previsione di una “ipotesi lieve”), mentre le altre due sono chiaramente rivolte al primo e al terzo comma (quella sull’eccessività del minimo edittale) e al quarto comma (quella sulla limitazione del bilanciamento delle circostanze eterogenee) del medesimo articolo.
5.– Occorre premettere una breve illustrazione dell’excursus normativo che ha segnato il progressivo inasprimento del trattamento sanzionatorio del furto in abitazione.
Aggiunto dall’art. 2, comma 2, della legge n. 128 del 2001, l’art. 624-bis cod. pen., sotto la rubrica «[f]urto in abitazione e furto con strappo», disponeva, nel testo originario, che «[c]hiunque si impossessa della cosa mobile altrui, sottraendola a chi la detiene, al fine di trarne profitto per sé o per altri, mediante introduzione in un edificio o in altro luogo destinato in tutto o in parte a privata dimora o nelle pertinenze di essa, è punito con la reclusione da uno a sei anni e con la multa da lire seicentomila a due milioni» (primo comma); «[a]lla stessa pena di cui al primo comma soggiace chi si impossessa della cosa mobile altrui, sottraendola a chi la detiene, al fine di trarne profitto per sé o per altri, strappandola di mano o di dosso alla persona» (secondo comma); «[l]a pena è della reclusione da tre a dieci anni e della multa da lire quattrocentomila a tre milioni se il reato è aggravato da una o più delle circostanze previste nel primo comma dell’articolo 625 ovvero se ricorre una o più delle circostanze indicate all’articolo 61» (terzo comma).
La ratio dell’innovazione normativa risiedeva nella trasformazione del furto in abitazione (e del furto con strappo) da reato aggravato in reato autonomo, come tale ontologicamente sottratto al bilanciamento delle circostanze; pertanto, l’art. 2, comma 3, della legge n. 128 del 2001 ha soppresso il numero 1) del primo comma dell’art. 625 cod. pen., ove la condotta di chi «per commettere il fatto, si introduce o si trattiene in un edificio o in un altro luogo destinato ad abitazione» era prevista come un’aggravante del furto (del pari è stata espunta l’aggravante dello strappo).
In pari tempo, l’art. 2, comma 4, della medesima legge ha configurato un’attenuante speciale mediante l’addizione dell’art. 625-bis cod. pen., che prevede una riduzione di pena da un terzo alla metà per il furto – anche se commesso in abitazione – «qualora il colpevole, prima del giudizio, abbia consentito l’individuazione dei correi o di coloro che hanno acquistato, ricevuto od occultato la cosa sottratta o si sono comunque intromessi per farla acquistare, ricevere od occultare».
L’art. 1, comma 6, della legge n. 103 del 2017 è poi intervenuto sull’art. 624-bis cod. pen. in più punti: con la lettera a), ne ha modificato il primo comma, innalzando le pene (reclusione da tre a sei anni e multa da euro 927 a euro 1.500); con la lettera b), ne ha modificato il terzo comma, anche qui innalzando le pene (reclusione da quattro a dieci anni e multa da euro 927 a euro 2.000); infine, con la lettera c), vi ha aggiunto un quarto comma, a tenore del quale «[l]e circostanze attenuanti, diverse da quelle previste dagli articoli 98 e 625-bis, concorrenti con una o più delle circostanze aggravanti di cui all’articolo 625, non possono essere ritenute equivalenti o prevalenti rispetto a queste e le diminuzioni di pena si operano sulla quantità della stessa risultante dall’aumento conseguente alle predette circostanze aggravanti».
Da ultimo, l’art. 5, comma 1, della legge n. 36 del 2019 ha ulteriormente inasprito i riferimenti edittali dell’art. 624-bis cod. pen.: con la lettera a), ha aumentato la pena detentiva di cui al primo comma (ora da quattro a sette anni di reclusione); con la lettera b), le pene di cui al terzo comma (ora da cinque a dieci anni di reclusione e da euro 1.000 a euro 2.500 di multa).
L’art. 3, comma 1, della medesima legge ha modificato l’art. 165 cod. pen., aggiungendovi la previsione per cui «[n]el caso di condanna per il reato previsto dall’articolo 624-bis, la sospensione condizionale della pena è comunque subordinata al pagamento integrale dell’importo dovuto per il risarcimento del danno alla persona offesa».
6.– Le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 624-bis cod. pen. sollevate dal Tribunale di Lecce riguardo all’eccessività del minimo edittale di pena detentiva e all’omessa previsione di una fattispecie attenuata di reato sono inammissibili, mentre quella attinente al divieto di bilanciamento tra circostanze eterogenee non è fondata.
7.– In ordine alla denunciata eccessività del minimo edittale di pena detentiva, che, come detto, può intendersi riferita ai commi primo e terzo dell’art. 624-bis cod. pen., occorre rammentare che, come questa Corte ha più volte sottolineato, le valutazioni discrezionali di dosimetria penale competono in esclusiva al legislatore, chiamato dalla riserva di legge ex art. 25 Cost. a stabilire il grado di reazione dell’ordinamento al cospetto della lesione di un determinato bene giuridico: il sindacato di legittimità costituzionale al metro degli artt. 3 e 27 Cost. può quindi esercitarsi unicamente su scelte sanzionatorie arbitrarie o manifestamente sproporzionate, tali da evidenziare un uso distorto della discrezionalità legislativa (ex plurimis, sentenze n. 88 e n. 40 del 2019, n. 233 e n. 222 del 2018, n. 179 del 2017 e n. 236 del 2016).
L’ammissibilità delle questioni di legittimità costituzionale riguardanti l’entità della pena edittale è subordinata all’indicazione da parte del giudice a quo di previsioni sanzionatorie già rinvenibili nell’ordinamento, le quali, trasposte all’interno della norma censurata, garantiscano coerenza alla logica perseguita dal legislatore, una volta emendata dai vizi di illegittimità costituzionale addotti e riscontrati (sentenze n. 40 del 2019 e n. 233 del 2018).
7.1.– Il Tribunale di Lecce denuncia l’«eccessivo iato» della pena edittale del furto in abitazione rispetto ad altri reati contro il patrimonio, e ne menziona numerosi e assai diversi, e non indica una grandezza preesistente, che possa essere trasposta “per linee interne” nell’art. 624-bis cod. pen., sicché quel che il rimettente chiede alla Corte non è di rettificare una deviazione delle scelte legislative, bensì di sostituirsi ad esse.
D’altronde, nessuno dei tertia comparationis elencati dal rimettente (furto semplice o aggravato, truffa semplice o aggravata, circonvenzione di persone incapaci, ricettazione, danneggiamento di sistemi informatici, frode in emigrazione, usura) esprime un’offensività omogenea a quella del furto in abitazione, caratterizzata, quest’ultima, dalla lesione dell’inviolabilità del domicilio assicurata dall’art. 14 Cost.
Un tertium omogeneo potrebbe semmai trovarsi nell’art. 628, terzo comma, numero 3-bis), cod. pen., che tuttavia, per la rapina aggravata dall’essere stata commessa «nei luoghi di cui all’articolo 624-bis», stabilisce un minimo di pena detentiva di sei anni, in proporzione scalare con il minimo di quattro anni previsto per il furto in abitazione.
7.2.– La mancata indicazione di una grandezza predata, non meno che la palese eterogeneità dei tertia comparationis, rende inammissibile la questione sollevata dal Tribunale di Lecce in ordine alla congruità del minimo di pena detentiva stabilito dall’art. 624-bis, primo e terzo comma, cod. pen. per il furto in abitazione.
Come già nella sentenza n. 190 del 2020, questa Corte intende tuttavia rimarcare che il rapido e significativo incremento dei valori edittali dei reati contro il patrimonio – nell’ambito del quale si inscrive il progressivo inasprimento sanzionatorio del furto in abitazione – segnala una pressione punitiva ormai estremamente rilevante e «richiede perciò attenta considerazione da parte del legislatore, alla luce di una valutazione, complessiva e comparativa, dei beni giuridici tutelati dal diritto penale e del livello di protezione loro assicurato».
8.– La questione sollevata dal Tribunale di Lecce con riferimento alla mancata previsione di «una ipotesi lieve (come nel caso della ricettazione)» ovvero di «una ipotesi lieve autonomamente sanzionata», che, come anticipato, deve intendersi riferita all’art. 624-bis cod. pen. nel suo complesso, è inammissibile per genericità e oscurità del petitum.
Il giudice a quo non chiarisce se l’omissione normativa che egli denuncia riguardi la previsione di una specifica circostanza attenuante (come sembra indicare il riferimento all’attenuante speciale della ricettazione di particolare tenuità ex art. 648, secondo comma, cod. pen.) oppure la previsione di un’autonoma fattispecie incriminatrice distinta per lieve entità (come indicherebbe la locuzione «autonomamente sanzionata»).
In un caso analogo, nel quale il rimettente si doleva in modo generico dell’omessa previsione di un’ipotesi attenuata di reato per le fattispecie di minore gravità, questa Corte ha dichiarato la manifesta inammissibilità della questione (ordinanza n. 184 del 2018).
8.1.– Il Tribunale di Lecce neppure specifica l’oggetto della “lieve entità” cui intende riferirsi, che ovviamente non potrebbe esaurirsi nella speciale tenuità del danno patrimoniale, invero già considerata quale attenuante comune dall’art. 62, primo comma, numero 4), cod. pen.
D’altronde, questa Corte ha avuto occasione di evidenziare come la tecnica legislativa, consistente nel “ritagliare” fattispecie di minore gravità in funzione di un riequilibrio complessivo della disciplina penale, si addica essenzialmente alle ipotesi nelle quali il reato-base ha una formulazione molto ampia, come lo “spaccio” di stupefacenti, la ricettazione, la bancarotta o la violenza sessuale (sentenza n. 88 del 2019); per quest’ultimo reato, in particolare, la fattispecie attenuata ex art. 609-bis, terzo comma, cod. pen. è diretta proprio a temperare la notevole ampiezza dell’espressione «atti sessuali», che costituisce il fulcro della norma incriminatrice (sentenza n. 106 del 2014).
Se impiegare o meno la tecnica del “ritaglio” è quindi una scelta massimamente discrezionale del legislatore, poiché attiene alla costruzione della fattispecie-base, secondo criteri di maggiore o minore latitudine.
Quella del furto in abitazione è una fattispecie descritta dall’art. 624-bis cod. pen. in termini piuttosto definiti, né il giudice a quo evidenzia specifiche ragioni che rendano costituzionalmente necessaria l’introduzione di una fattispecie attenuata nel perimetro della norma incriminatrice. Non può, in proposito, non rilevarsi che la speciale tenuità considerata dal rimettente concerne un aspetto soltanto – e forse il meno importante – del bene giuridico complesso protetto dalla norma, cioè l’aspetto patrimoniale (laddove, peraltro, la modestia della lesione non necessariamente riflette la volontà dell’autore), mentre l’altro profilo, quello personalistico, non ne viene interessato affatto; del resto, quest’ultimo è insuscettibile di una graduazione quantitativa, atteso che il domicilio, quale spazio della persona, o è violato o non lo è, essendo pertanto inconcepibile già sul piano logico un ingresso “lieve” nell’abitazione altrui.
9.– La questione sollevata dal Tribunale di Lecce a proposito del divieto di bilanciamento tra circostanze eterogenee sancito dal quarto comma dell’art. 624-bis cod. pen. può accedere all’esame di merito, previa la necessaria delimitazione in rapporto alla fattispecie concreta.
Occorre infatti tenere presente che la norma censurata riferisce tale divieto al concorso tra qualunque circostanza attenuante (eccettuate solo la minore età ex art. 98 cod. pen. e la cooperazione ex art. 625-bis cod. pen.) e qualunque circostanza aggravante tra quelle previste per il furto dall’art. 625 cod. pen.
Sebbene formulata in termini generali, l’odierna censura deve intendersi quindi riferita alle sole circostanze effettivamente ricorrenti nella fattispecie concreta, cioè – secondo quanto espone lo stesso giudice a quo – al divieto di equivalenza o prevalenza dell’attenuante del danno patrimoniale di speciale tenuità ex art. 62, primo comma, numero 4), cod. pen. e delle attenuanti generiche ex art. 62-bis cod. pen. nella comparazione con l’aggravante della violenza sulle cose ex art. 625, primo comma, numero 2), cod. pen., quest’ultima elevata dall’art. 624-bis, quarto comma, cod. pen. al rango di circostanza “privilegiata”.
9.1.– Così delimitata, la questione sollevata dal Tribunale di Lecce sul divieto di bilanciamento correlato alla natura “privilegiata” dell’aggravante non è fondata.
9.2.– La giurisprudenza costituzionale sulle aggravanti “privilegiate” si è sviluppata prevalentemente in tema di recidiva reiterata, dopo che l’art. 3, comma 1, della legge 5 dicembre 2005, n. 251 (Modifiche al codice penale e alla legge 26 luglio 1975, n. 354, in materia di attenuanti generiche, di recidiva, di giudizio di comparazione delle circostanze di reato per i recidivi, di usura e di prescrizione), sostituendo il quarto comma dell’art. 69 cod. pen., ha stabilito il divieto di prevalenza delle circostanze attenuanti sulla recidiva ex art. 99, quarto comma, cod. pen.
La premessa costante di questa giurisprudenza è che le deroghe al regime ordinario del bilanciamento tra circostanze rientrano nell’ambito delle scelte discrezionali del legislatore e sono sindacabili solo qualora trasmodino nella manifesta irragionevolezza o nell’arbitrio (ex plurimis, sentenze n. 55 del 2021, n. 73 del 2020, n. 205 del 2017, n. 74 del 2016, n. 106 e n. 105 del 2014, n. 251 del 2012), non potendo però giungere in alcun caso a determinare un’alterazione degli equilibri costituzionalmente imposti nella strutturazione della responsabilità penale (sentenze n. 55 del 2021, n. 73 del 2020, n. 106 e n. 105 del 2014, n. 251 del 2012).
Su tale premessa, questa Corte ha pronunciato numerose declaratorie di illegittimità costituzionale, restituendo al giudice la possibilità di apprezzare pienamente in sede di bilanciamento circostanze attenuanti “ad effetto speciale” (cioè implicanti una diminuzione di pena superiore a un terzo: art. 63, terzo comma, cod. pen.), come tali espressive di un minor disvalore del fatto dal punto di vista dell’offensività, rispetto alle quali il divieto di prevalenza finiva per indirizzare l’individuazione della pena concreta verso un’abnorme enfatizzazione delle componenti soggettive riconducibili alla recidiva, a detrimento delle componenti oggettive del reato (sentenze n. 205 del 2017, n. 106 e n. 105 del 2014, n. 251 del 2012).
Talora, la declaratoria di illegittimità costituzionale è stata funzionale a tenere indenne dal concorso con la recidiva reiterata la specifica ratio di un’attenuante premiale, sempre “ad effetto speciale” (sentenza n. 74 del 2016).
Questa Corte è intervenuta recentemente per reintegrare la pienezza del giudizio di bilanciamento nella comparazione con la recidiva reiterata riguardo ad attenuanti che, pur essendo “ad effetto comune” (cioè implicanti una riduzione non eccedente un terzo: art. 65, primo comma, numero 3, cod. pen.), ineriscono tuttavia alla struttura stessa dell’imputazione penale: così, per la diminuente del vizio parziale di mente di cui all’art. 89 cod. pen. (sentenza n. 73 del 2020) e per l’attenuante del concorso anomalo di cui al secondo comma dell’art. 116 cod. pen. (sentenza n. 55 del 2021).
9.3.– Il divieto di bilanciamento sancito dall’art. 624-bis, quarto comma, cod. pen. opera tuttavia in base a un modello differente rispetto a quello della recidiva reiterata, in quanto, se da un lato è precluso anche il giudizio di equivalenza oltre che di prevalenza, così rafforzandosi il “privilegio” delle aggravanti, dall’altro è però stabilito che le diminuzioni di pena per le attenuanti siano comunque apportate, a valere «sulla quantità della stessa risultante dall’aumento conseguente alle predette circostanze aggravanti».
9.3.1.– Questa Corte ha avuto modo di vagliare la legittimità di un “privilegio” esteso all’equivalenza fin dalle questioni relative all’aggravante della finalità di terrorismo o eversione ex art. 1 del decreto-legge 15 dicembre 1979, n. 625 (Misure urgenti per la tutela dell’ordine democratico e della sicurezza pubblica), convertito, con modificazioni, nella legge 6 febbraio 1980, n. 15, nonché alle aggravanti dell’evento nei delitti di attentato per finalità terroristiche o di eversione ex art. 280 cod. pen.
Con la sentenza n. 38 del 1985 e, rispettivamente, con la n. 194 del 1985, sono state dichiarate non fondate le questioni di legittimità costituzionale del divieto di bilanciamento stabilito da tali norme, sulla base dell’interpretazione adeguatrice per cui il giudice tiene pur sempre conto anche delle attenuanti, sebbene dopo avere calcolato l’aumento di pena per le aggravanti “privilegiate”: da qui il periodo aggiunto ad entrambe le disposizioni dall’art. 4 della legge 14 febbraio 2003, n. 34 (Ratifica ed esecuzione della Convenzione internazionale per la repressione degli attentati terroristici mediante utilizzo di esplosivo, adottata dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite a New York il 15 dicembre 1997, e norme di adeguamento dell’ordinamento interno), secondo il quale «le diminuzioni di pena si operano sulla quantità di pena risultante dall’aumento conseguente alle predette aggravanti».
9.3.2.– Con la sentenza n. 88 del 2019 la Corte ha dichiarato non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 590-quater cod. pen., inserito dall’art. 1, comma 2, della legge 23 marzo 2016, n. 41 (Introduzione del reato di omicidio stradale e del reato di lesioni personali stradali, nonché disposizioni di coordinamento al decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285, e al decreto legislativo 28 agosto 2000, n. 274), norma a tenore della quale, se ricorrono le aggravanti speciali dei reati di omicidio stradale e lesioni personali stradali gravi o gravissime, le eventuali attenuanti «non possono essere ritenute equivalenti o prevalenti rispetto a queste e le diminuzioni si operano sulla quantità di pena determinata ai sensi delle predette circostanze aggravanti».
Ribadito in linea generale che «il giudizio di bilanciamento delle circostanze consente al giudice di apprezzare meglio lo specifico disvalore della condotta penalmente sanzionata», la sentenza n. 88 del 2019, messo del pari in luce «l’allarme sociale suscitato dal ricorrente fenomeno delle “vittime della strada”», ha osservato che, «quando ricorrono particolari esigenze di protezione di beni costituzionalmente tutelati, quale il diritto fondamentale e personalissimo alla vita e all’integrità fisica, ben può il legislatore dare un diverso ordine al gioco delle circostanze richiedendo che vada calcolato prima l’aggravamento di pena di particolari circostanze».
9.4.– La questione oggi in scrutinio deve essere decisa nel medesimo senso della non fondatezza, poiché il divieto di bilanciamento è posto a servizio di un bene giuridico di primario valore – l’intimità della persona raccolta nella sua abitazione –, al quale il legislatore ha scelto di assegnare una tutela rafforzata, con opzione discrezionale e non irragionevole.
9.4.1.– Occorre infatti considerare che nel furto in abitazione l’offensività patrimoniale assume una peculiare connotazione personalistica, in ragione dell’aggancio con l’inviolabilità del domicilio assicurata dall’art. 14 Cost., domicilio inteso come «proiezione spaziale della persona» (sentenza n. 135 del 2002).
È in proposito significativo che le sezioni unite penali della Corte di cassazione, chiamate a definire la «privata dimora» agli effetti dell’art. 624-bis cod. pen., ne abbiano adottato una nozione restrittiva, aderente per l’appunto alla concezione costituzionale del domicilio come «proiezione spaziale della persona», sì da ricomprendervi soltanto i luoghi aventi le caratteristiche proprie dell’abitazione ed escluderne viceversa i luoghi di lavoro, «salvo che il fatto sia avvenuto all’interno di un’area riservata alla sfera privata della persona offesa» (sentenza 23 marzo 2017-22 giugno 2017, n. 31345).
9.4.2.– La particolare gravità del reato di furto in abitazione è stata d’altronde evidenziata da questa Corte persino nel raffronto con il reato di furto con strappo, che pure, a norma dell’art. 624-bis, secondo comma, cod. pen., soggiace alla stessa pena del furto in abitazione.
Si fa riferimento al divieto di sospensione dell’esecuzione, che l’art. 656, comma 9, lettera a), del codice di procedura penale prevedeva indistintamente per i condannati per entrambi i delitti di cui all’art. 624-bis cod. pen. e che è stato dichiarato costituzionalmente illegittimo solo per il furto con strappo, non anche per il furto in abitazione.
Invero, la sentenza n. 125 del 2016 ha dichiarato costituzionalmente illegittimo il divieto di sospensione dell’esecuzione della condanna per il furto con strappo, essendo questo un reato affine alla rapina semplice e di frequente progressione in rapina semplice, titolo di reato per il quale il divieto di sospensione non è previsto.
Al contrario, la sentenza n. 216 del 2019 non ha ritenuto illegittimo il divieto di sospensione dell’esecuzione della condanna per il furto in abitazione, reato destinato a trasmodare non già in rapina semplice, bensì in rapina aggravata ex art. 628, terzo comma, numero 3-bis), cod. pen., titolo, quest’ultimo, per il quale la sospensione dell’esecuzione è preclusa in virtù dell’inclusione nell’elenco dei reati di cui all’art. 4-bis, comma 1-ter, della legge 26 luglio 1975, n. 354 (Norme sull’ordinamento penitenziario e sulla esecuzione delle misure privative e limitative della libertà).
Nel giustificare il differente trattamento in executivis di due reati pur soggetti ai medesimi valori edittali, la sentenza n. 216 del 2019 ha chiarito che esso trova la propria ratio nella «discrezionale, e non irragionevole, presunzione del legislatore relativa alla particolare gravità del fatto di chi, per commettere il furto, entri in un’abitazione altrui, ovvero in altro luogo di privata dimora o nelle sue pertinenze, e della speciale pericolosità soggettiva manifestata dall’autore di un simile reato».
L’assunto è stato confermato dall’ordinanza n. 67 del 2020, la quale, nel dichiarare manifestamente infondate le medesime questioni già respinte dalla sentenza n. 216 del 2019, ha precisato «che la particolare gravità del fatto e la speciale pericolosità soggettiva del suo autore, dimostrate dall’ingresso non autorizzato nei luoghi predetti al fine di commettervi un furto, non vengono meno per il solo fatto che l’autore non abbia usato violenza nei confronti di alcuno».
9.4.3.– Con specifico riferimento alle circostanze eterogenee concorrenti nella fattispecie concreta, il divieto di bilanciamento sancito dall’art. 624-bis, quarto comma, cod. pen. mostra efficacemente la sua non irragionevole finalità.
Invero, nel concorso tra l’aggravante della violenza sulle cose ex art. 625, primo comma, numero 2), cod. pen., che evidenzia un’offesa ancora più intensa alla privatezza della sfera domiciliare e personale, e l’attenuante della speciale tenuità del danno patrimoniale ex art. 62, primo comma, numero 4), cod. pen., che viceversa si esaurisce sul piano strettamente economico, non irragionevolmente il legislatore esclude che la prima possa essere eguagliata dalla seconda, o possa ad essa soccombere, e non irragionevolmente stabilisce che la diminuzione di pena per l’attenuante si operi solo dopo l’aumento per l’aggravante.
9.4.4.– In ultimo, sembra opportuno notare come la forza “privilegiata” delle aggravanti di cui al combinato disposto degli artt. 624-bis, quarto comma, e 625 cod. pen. ceda non solo di fronte all’attenuante della minore età ex art. 98 cod. pen., ma anche a quella della collaborazione del reo ex art. 625-bis cod. pen., attenuante “ad effetto speciale”, quest’ultima, appositamente introdotta dalla legge n. 128 del 2001, la cui previsione contribuisce all’equilibrio complessivo di una disciplina sanzionatoria pur certamente severa.
10.– Per tutto quanto esposto, devono essere dichiarate inammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 624-bis cod. pen., sollevate dal Tribunale di Lecce quanto all’eccessività del minimo edittale di pena detentiva e all’omessa previsione di una fattispecie attenuata di reato, mentre deve essere dichiarata non fondata quella sollevata in ordine al divieto di bilanciamento tra circostanze eterogenee.
Per Questi Motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
1) dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 624-bis, primo e terzo comma, del codice penale, introdotto dall’art. 2, comma 2, della legge 26 marzo 2001, n. 128 (Interventi legislativi in materia di tutela della sicurezza dei cittadini), come modificato dall’art. 1, comma 6, della legge 23 giugno 2017, n. 103 (Modifiche al codice penale, al codice di procedura penale e all’ordinamento penitenziario), successivamente modificato dall’art. 5, comma 1, della legge 26 aprile 2019, n. 36 (Modifiche al codice penale e altre disposizioni in materia di legittima difesa), sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 27 della Costituzione, dal Tribunale ordinario di Lecce, in composizione monocratica, con l’ordinanza indicata in epigrafe;
2) dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 624-bis cod. pen., nel suo complesso, sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 27 Cost., dal Tribunale ordinario di Lecce, in composizione monocratica, con l’ordinanza indicata in epigrafe;
3) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 624-bis, quarto comma, cod. pen., sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 27 Cost., dal Tribunale ordinario di Lecce, in composizione monocratica, con l’ordinanza indicata in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 12 maggio 2021.
F.to:
Giancarlo CORAGGIO, Presidente
Stefano PETITTI, Redattore
Roberto MILANA, Direttore della Cancelleria
Depositata in Cancelleria il 7 giugno 2021.