Sentenza n. 54 del 2023

SENTENZA N. 54

ANNO 2023

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

Presidente: Silvana SCIARRA;

Giudici: Daria de PRETIS, Nicolò ZANON, Augusto Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO, Francesco VIGANÒ, Luca ANTONINI, Stefano PETITTI, Angelo BUSCEMA, Emanuela NAVARRETTA, Maria Rosaria SAN GIORGIO, Filippo PATRONI GRIFFI, Marco D’ALBERTI,

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 669-quater del codice di procedura civile, promosso dal Tribunale ordinario di Siena, in funzione di giudice del lavoro, nel procedimento vertente tra la Banca Monte dei Paschi di Siena spa e L. D.S., con ordinanza del 30 marzo 2022, iscritta al n. 81 del registro ordinanze 2022 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 33, prima serie speciale, dell’anno 2022.

Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio dell’8 febbraio 2023 il Giudice relatore Maria Rosaria San Giorgio;

deliberato nella camera di consiglio del 10 febbraio 2023.

Ritenuto in fatto

1.– Con ordinanza del 30 marzo 2022, iscritta al n. 81 del registro ordinanze del 2022, il Tribunale ordinario di Siena, in funzione di giudice del lavoro, ha sollevato questioni di legittimità costituzionale dell’art. 669-quater del codice di procedura civile, in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione.

1.1.– Il rimettente premette di essere investito del ricorso per provvedimento d’urgenza ante causam ai sensi dell’art. 700 cod. proc. civ., promosso dalla Banca Monte dei Paschi di Siena spa, a cautela della fruttuosità della preannunciata azione di merito volta ad ottenere l’accertamento della violazione, da parte di L. D.S. – dipendente dell’istituto di credito con mansioni di gestore private banking, dimessosi con procedura telematica il 5 gennaio 2022, con decorrenza dal 7 gennaio 2022 – del patto di non concorrenza stipulato il 26 giugno 2019, previo accertamento della validità e dell’efficacia dello stesso, l’inibitoria dei comportamenti con esso contrastanti e la condanna del resistente al pagamento della penale pattuita, oltre interessi e rivalutazione, e al risarcimento del maggior danno.

Il giudice a quo precisa di avere, in accoglimento della istanza, con decreto del 19 gennaio 2022, ordinato al lavoratore di astenersi immediatamente dalla violazione del patto di non concorrenza, vigente alla data delle sue dimissioni, in pregiudizio della società ricorrente, fissando l’udienza per la conferma, la modifica o la revoca del decreto reso ai sensi dell’art. 669-sexies, secondo comma, cod. proc. civ.

Espone, ancora, il rimettente che, nel costituirsi nel giudizio cautelare, la parte resistente ha eccepito l’incompetenza del Tribunale di Siena in favore del Tribunale ordinario di Lucca, chiedendo revocarsi il provvedimento d’urgenza emesso inaudita altera parte. A tal fine ha dedotto di aver promosso, con ricorso ex art. 414 cod. proc. civ., depositato innanzi al Tribunale di Lucca il 7 gennaio 2022 – data di decorrenza delle rassegnate dimissioni – e notificato alla Banca Monte dei Paschi di Siena spa il 17 gennaio 2022, alle ore 14,45, un giudizio di cognizione ordinaria, avente ad oggetto l’accertamento che egli non stesse svolgendo alcuna attività in contrasto con il patto di non concorrenza stipulato con la datrice di lavoro il 26 giugno 2019 e che, pertanto, non fosse tenuto al versamento dell’importo ivi previsto a titolo di penale; l’accertamento della nullità, dell’annullabilità o comunque dell’inefficacia del patto di non concorrenza; in via subordinata, la riduzione della clausola penale e della durata del medesimo patto di non concorrenza nonché dell’estensione territoriale della relativa efficacia alla sola provincia di Lucca.

1.2.– Tanto premesso, il Tribunale di Siena dubita della legittimità costituzionale dell’art. 669-quater cod. proc. civ., del quale ritiene di essere chiamato a fare applicazione in ragione dell’eccezione di incompetenza formulata dalla parte resistente.

1.2.1.– Il rimettente muove dal presupposto secondo il quale tale disposizione – così come interpretata dalla giurisprudenza di merito assurta, per la sua uniformità, a diritto vivente –, nel caso in cui penda un giudizio di cognizione in rapporto di continenza con l’azione di merito preannunciata nel ricorso cautelare ante causam, impone al giudice della cautela di dichiarare la propria incompetenza in favore del giudice della causa continente e, quindi, di revocare il provvedimento cautelare inaudita altera parte eventualmente concesso.

1.2.2.– Argomenta, a tal fine, il giudice a quo che la «specularità contrapposta, alternativa, degli oggetti in comparazione» – da una parte, l’azione di cognizione ordinaria preannunciata dalla società ricorrente con la domanda cautelare, avente ad oggetto l’accertamento della violazione, da parte del proprio dipendente, del patto di non concorrenza, e, dall’altra, l’azione di cognizione ordinaria esercitata dal lavoratore, avente ad oggetto l’accertamento dell’illiceità dello stesso patto di non concorrenza e della sua mancata violazione – ha indotto la giurisprudenza di merito a ritenere l’incompetenza del giudice successivamente adito in via cautelare in favore di quello preventivamente adito in sede di cognizione ordinaria «generalmente attingendo all’istituto della continenza, talora alla litispendenza, come alla connessione».

A giudizio del rimettente, dalle numerose decisioni di merito che aderiscono a tale ricostruzione si ricaverebbe, infatti, un orientamento «ormai stabilizzato», e, quindi, un diritto vivente, rispetto al quale un percorso interpretativo difforme si rivelerebbe «[i]mprevedibile, inatteso e privo di segnali anticipatori».

È ben vero, precisa il giudice a quo, che la Corte di cassazione ha chiarito che alcune pronunce rese dalla giurisprudenza di merito non sono idonee a integrare un diritto vivente, essendo a tal fine necessari stabili approdi interpretativi del giudice di legittimità. Tuttavia, non è agevole reperire un orientamento di legittimità in materia cautelare, avendo la stessa Corte di cassazione affermato che il provvedimento d’urgenza ex art. 700 cod. proc. civ. non è autonomamente impugnabile, neppure con ricorso straordinario ai sensi dell’art. 111 Cost.

Osserva, quindi, il rimettente che, come chiarito dalla giurisprudenza di legittimità, sussiste continenza quando le due cause pendenti contemporaneamente tra gli stessi soggetti davanti a giudici diversi abbiano ad oggetto domande interdipendenti o contrapposte, relative ad un unico rapporto negoziale, nonché, e più in generale, quando questioni dedotte con la domanda anteriormente proposta costituiscano il necessario presupposto, alla stregua di un nesso di pregiudizialità logico-giuridica, per la definizione del giudizio successivo, come nell’ipotesi in cui le contrapposte domande abbiano ad oggetto il riconoscimento e la tutela di diritti derivanti dallo stesso rapporto e il loro esito dipenda dalla soluzione di una o più questioni comuni.

Il principio espresso dai giudici di legittimità – prosegue l’ordinanza di rimessione – sarebbe «assolutamente sintonico» con la richiamata giurisprudenza di merito, secondo la quale, nella fattispecie in questione, la preventiva instaurazione di un giudizio a cognizione piena, in rapporto di continenza con la causa di merito prefigurata nel ricorso d’urgenza ante causam successivamente promosso, comporta l’attrazione della decisione sulla domanda cautelare alla competenza del giudice della causa di merito preventivamente adito.

1.2.3.– Sulla base dell’esposta premessa interpretativa, il giudice a quo deduce che la norma in scrutinio, comportando l’immediato venir meno dell’efficacia del provvedimento cautelare adottato in assenza di contraddittorio, determinerebbe una irragionevole disparità di trattamento rispetto al processo penale, nel quale, ai sensi dell’art. 27 del codice di procedura penale, la misura cautelare emessa dal giudice incompetente perde efficacia solo se, decorsi venti giorni dalla ordinanza di trasmissione degli atti, il giudice competente non provvede a norma degli artt. 292, 317 e 321 cod. proc. pen.

Il rimettente dà atto che il meccanismo previsto per il processo penale non può essere esteso al processo civile, ma ritiene che la sottolineata differenza renda evidente una irragionevole disparità di trattamento in contrasto con l’art. 3 Cost. e, al contempo, la violazione del diritto di azione, avuto riguardo alla coessenzialità della tutela cautelare – e, in particolare, della tutela d’urgenza ex art. 700 cod. proc. civ. – alla garanzia espressa dall’art. 24 Cost. Infatti, mancando nel processo civile un meccanismo di conservazione dell’efficacia del provvedimento cautelare analogo a quello previsto per il processo penale, si determinerebbe, nella situazione indicata, un vuoto di tutela cautelare «anzitutto» nel caso in cui la parte che invochi una misura cautelare sul presupposto della minaccia imminente di un pregiudizio irreparabile non sia a conoscenza della prevenzione del giudizio di merito e «si affermi pertanto in buona fede titolare di un diritto cautelando».

Una discontinuità della tutela, prosegue il rimettente, si evidenzierebbe poi anche nell’ipotesi in cui il ricorrente in cautela, pur essendo a conoscenza della pendenza del giudizio di merito, intenda avvalersi di un foro alternativo, poiché «anche in questa ipotesi, non appare irragionevole ritenere che, alcuna azione di condanna a tutela del proprio credito sia stata esercitata nel giudizio preventivamente instaurato altrove, che in alcun modo possa porsi in relazione di necessaria strumentalità con la cautela azionata».

Nel caso di specie, il vuoto di tutela cautelare deriverebbe dalla necessità di dichiarare, in ragione dell’eccepita incompetenza, l’invalidità e l’inefficacia del provvedimento cautelare concesso inaudita altera parte a norma dell’art. 669-sexies, secondo comma, cod. proc. civ., nonostante continui a sussistere il rischio che, per opera del lavoratore dimessosi, ingenti masse patrimoniali possano transitare, in un breve lasso di tempo, dalla banca ricorrente alla concorrenza.

2.– Nel giudizio è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, concludendo per la dichiarazione di inammissibilità, e comunque di non fondatezza, delle questioni.

2.1.– La difesa statale ha, anzitutto, eccepito l’inammissibilità delle questioni per difetto di motivazione sulla rilevanza e sulla non manifesta infondatezza.

Sotto il primo profilo, l’interveniente rileva che il Tribunale rimettente, per un verso, ha dedotto che il denunziato vuoto di tutela deriverebbe dalla circostanza che la ricorrente nel giudizio a quo, all’atto della notifica del ricorso cautelare (il 17 gennaio 2022, ore 15,33), non poteva avere conoscenza della pendenza del giudizio di merito radicato dinanzi al Tribunale di Lucca, posto che il ricorso e il decreto di fissazione di udienza le erano stati notificati solo pochi minuti prima (il 17 gennaio 2022, ore 14,45).

Tuttavia, rimarca la difesa dello Stato, lo stesso rimettente ravvisa un vuoto di tutela anche nel caso in cui il soggetto che invoca la misura cautelare, pur essendo a conoscenza della pendenza del giudizio di merito continente, intenda, cionondimeno, avvalersi di un foro territoriale alternativo, nella specie ai sensi dell’art. 413 cod. proc. civ.

Ad avviso dell’Avvocatura generale dello Stato, la questione di legittimità costituzionale non potrebbe essere indifferentemente basata su entrambe le indicate prospettazioni del fatto processuale.

Il dubbio nell’inquadramento della situazione processuale – prosegue l’interveniente – inficia altresì la motivazione sulle ragioni della dedotta violazione degli artt. 3 e 24 Cost., essendosi il giudice a quo limitato a evocare tali parametri costituzionali senza, tuttavia, chiarire in che modo l’incompetenza del giudice adito per secondo comporterebbe, nei casi alternativamente descritti, un vuoto di tutela.

2.1.1.– La difesa dello Stato reputa le questioni sollevate comunque inammissibili per insufficiente interpretazione della disposizione oggetto di censura.

L’interveniente, pur ritenendo corretto l’assunto per il quale ricorre una relazione di continenza tra l’azione di nullità o di accertamento negativo del patto di non concorrenza previamente proposta dinanzi al Tribunale di Lucca dal resistente nel giudizio a quo e la domanda di adempimento del medesimo patto preannunciata dalla parte datoriale con la domanda cautelare avanzata davanti al Tribunale di Siena, reputa, per contro, inesatta l’affermazione secondo la quale, nel caso in cui la domanda “contenuta” non venga proposta come domanda di merito, ma di essa si chieda l’anticipazione cautelare, debba necessariamente trovare applicazione l’art. 669-quater cod. proc. civ.

La disposizione censurata, nel prevedere che, nel caso in cui la causa di merito, la cui fruttuosità debba essere assicurata da un provvedimento cautelare, penda davanti ad un determinato giudice, l’istanza cautelare va rivolta a quest’ultimo, si riferirebbe alla medesima domanda di merito, cioè ad una domanda caratterizzata da identici soggetti, petitum e causa petendi.

La ratio della previsione in scrutinio coinciderebbe con la finalità di unificare la cognizione cautelare e di merito dinanzi allo stesso giudice del processo di cognizione, onde evitare la scissione delle due tutele, attesa l’inidoneità del procedimento cautelare a pervenire ad un provvedimento definitivo.

Per contro, secondo la difesa statale, se la causa di merito già pendente è caratterizzata da un petitum e da una causa petendi diversi da quelli della domanda preannunciata nel procedimento cautelare autonomo successivamente promosso, l’art. 669-quater cod. proc. civ. «non è necessariamente applicabile».

Infatti, il giudice adito con la domanda cautelare, in caso di pendenza di un giudizio di merito avvinto da un rapporto di continenza alla causa ivi prefigurata, dovrebbe pronunciarsi sulla cautela e, in caso di accoglimento, fissare il termine ex art. 669-octies, primo comma, cod. proc. civ., per l’introduzione del giudizio di merito, spettando, poi, al giudice di questo processo valutare se sussista la continenza ed eventualmente provvedere ai sensi dell’art. 39, secondo comma, cod. proc. civ., fissando il termine per la riassunzione del processo davanti al giudice preventivamente adito.

2.2.– In subordine, l’Avvocatura generale dello Stato assume la non fondatezza delle questioni sollevate.

2.2.1.– Non risulterebbe, anzitutto, precisata la ragione per la quale la disposizione censurata si porrebbe in contrasto con l’art. 3 Cost., non essendo chiaro se la fattispecie assunta a tertium comparationis sia quella delineata dall’art. 27 cod. proc. pen.

Ritiene, comunque, l’interveniente che la disciplina delle misure cautelari penali non possa essere posta a confronto con quella del processo cautelare civile, essendo diverse le rispettive finalità.

2.2.2.– Secondo la difesa statale, la questione non sarebbe fondata neanche in riferimento all’art. 24 Cost.

Il principio secondo il quale la tutela cautelare costituisce un contenuto essenziale del diritto alla tutela giurisdizionale sarebbe violato soltanto nel caso in cui l’azione cautelare venisse del tutto esclusa dai mezzi di difesa di un determinato diritto.

Tale evenienza – argomenta l’interveniente – è, invece, da escludersi nel caso in scrutinio, in quanto l’art. 669-septies cod. proc. civ., non esaminato dal rimettente, dispone chiaramente che l’ordinanza di incompetenza non preclude la riproposizione della domanda cautelare.

2.2.3.– In merito alla censura che lamenta che la disposizione in scrutinio impedirebbe alla parte interessata di avvalersi di uno dei fori alternativi accordati dall’art. 413 cod. proc. civ., il Presidente del Consiglio dei ministri osserva che, in caso di competenze concorrenti, il sistema del processo civile non offre alla parte una garanzia assoluta della possibilità di rivolgersi facoltativamente ad uno dei giudici indicati come competenti, posto che, a norma degli artt. 39 e 40 cod. proc. civ., la continenza e la connessione tra cause determinano sempre una modificazione delle regole sulla competenza, attribuendola ad un solo giudice in base al criterio della prevenzione (art. 39, secondo e terzo comma, cod. proc. civ.) o dell’accessorietà (art. 40, primo comma, cod. proc. civ.).

Secondo la difesa statale, alla base di tali previsioni risiederebbero le esigenze di semplificazione, di concentrazione e di ragionevole durata del processo garantite dall’art. 111, primo comma, Cost.

2.2.4.– Non avrebbe fondamento neppure il rilievo secondo il quale, nella fattispecie in scrutinio, la tutela cautelare sarebbe limitata in ragione della mancata conoscenza, da parte del soggetto che invoca il provvedimento cautelare, della prevenzione del giudizio di merito.

Osserva, al riguardo, l’Avvocatura generale dello Stato che, a mente dell’art. 39, terzo comma, cod. proc. civ., la prevenzione può essere determinata dal semplice deposito dell’atto introduttivo del giudizio, ove questo debba essere instaurato con ricorso, né tale meccanismo può recare vulnus al principio di uguaglianza, posto che rientra nella discrezionalità del legislatore differenziare le forme processuali, proprio al fine di salvaguardare l’uguaglianza sostanziale.

Da ultimo, l’interveniente sottolinea che, comunque, nel caso di specie il ricorso cautelare, che il rimettente assume pregiudicato, risulta essere stato depositato dieci giorni dopo il deposito del ricorso introduttivo del giudizio di merito.

Considerato in diritto

1.– Il Tribunale ordinario di Siena, in funzione di giudice del lavoro, dubita della legittimità costituzionale dell’art. 669-quater cod. proc. civ., nella parte in cui, secondo l’interpretazione offertane da un consolidato orientamento della giurisprudenza di merito, ove penda un giudizio di cognizione in rapporto di continenza con la causa di merito prefigurata in un successivo ricorso cautelare ante causam, impone al giudice della cautela di dichiarare la propria incompetenza in favore del giudice della causa continente preventivamente adito.

Ad avviso del rimettente, la disposizione censurata, così interpretata, contrasterebbe con l’art. 3 Cost., in quanto, comportando, quale conseguenza della declinatoria di competenza del giudice della cautela in favore di quello del processo continente, l’inefficacia del provvedimento cautelare concesso inaudita altera parte, determinerebbe una irragionevole disparità di trattamento rispetto a quanto si verifica nel processo penale, nel quale, a norma dell’art. 27 cod. proc. pen., la misura cautelare emessa dal giudice incompetente perde efficacia solo se, decorsi venti giorni dalla ordinanza di trasmissione degli atti, il giudice competente non provveda ai sensi degli artt. 292, 317 e 321 cod. proc. pen.

Sarebbe, inoltre, violato l’art. 24 Cost., in quanto, nella situazione indicata, la norma in scrutinio determinerebbe un vuoto di tutela anzitutto nel caso in cui la parte che invoca la cautela, non essendo a conoscenza della pendenza della causa di merito continente, abbia introdotto in buona fede il procedimento cautelare ante causam dinanzi ad un diverso giudice astrattamente competente.

Un vuoto di tutela cautelare si verificherebbe, altresì, nell’ipotesi in cui, pur essendo a conoscenza di tale pendenza, la stessa parte intenda avvalersi di un foro territoriale alternativo, giacché nel giudizio preventivamente instaurato non è stata avanzata alcuna domanda rispetto alla quale l’esperita azione cautelare si ponga in relazione di strumentalità.

2.– Va preliminarmente dato conto delle diverse eccezioni di inammissibilità sollevate dal Presidente del Consiglio dei ministri, intervenuto nel giudizio con il patrocinio dell’Avvocatura generale dello Stato.

2.1.– La difesa statale ha, anzitutto, eccepito il difetto di motivazione sulla rilevanza e sulla non manifesta infondatezza delle questioni proposte.

Una prima ragione di inammissibilità discenderebbe dalla formulazione in termini di irrisolta alternatività della censura che denunzia il vuoto di tutela cautelare, per essere la stessa basata, al contempo, sia sulla impossibilità, per il ricorrente in via cautelare in buona fede, di conoscere materialmente la pendenza del giudizio di merito continente, sia sull’impedimento, per lo stesso richiedente la cautela, ad avvalersi di un altro foro concorrente ai sensi dell’art. 413, secondo comma, cod. proc. civ. in ragione della preventiva instaurazione della causa di merito continente.

L’interveniente lamenta, altresì, la carenza della motivazione sulle ragioni della dedotta violazione degli artt. 3 e 24 Cost., per essersi il giudice a quo limitato a evocare tali parametri costituzionali senza, tuttavia, chiarire in che modo l’incompetenza del giudice adito per secondo comporterebbe, nei casi alternativamente descritti, un vuoto di tutela.

La difesa dello Stato reputa, poi, le questioni inammissibili per «insufficiente interpretazione delle norme denunciate», nonché per l’erroneità – oltre che per la carenza di motivazione – della premessa interpretativa secondo la quale, in caso di continenza tra la causa di merito previamente introdotta e il procedimento cautelare successivamente promosso davanti ad un diverso ufficio giudiziario, la domanda cautelare non potrebbe essere esaminata dal giudice adito, il quale dovrebbe dichiararsi incompetente in favore del giudice della causa continente.

3.– L’eccezione da ultimo illustrata ha carattere logicamente preliminare rispetto alle altre e pertanto deve essere esaminata prioritariamente.

Essa è fondata, sia pure alla stregua di un percorso argomentativo parzialmente diverso da quello svolto dalla difesa statale.

3.1.– I dubbi di illegittimità costituzionale sollevati dal rimettente traggono origine dall’interpretazione – accolta da un cospicuo numero di pronunce di merito, per lo più adottate da giudici del lavoro e in fattispecie analoghe a quella oggetto del processo principale – secondo la quale, ai fini dell’individuazione della competenza cautelare pendente iudicio, per «causa pendente per il merito» ai sensi dell’art. 669-quater, primo comma, cod. proc. civ. deve intendersi anche il giudizio di cognizione avvinto da una relazione di continenza a quello prefigurato nella domanda cautelare ante causam.

Tale esegesi poggia sull’orientamento di legittimità secondo il quale la disciplina della continenza dettata dall’art. 39, secondo comma, cod. proc. civ. non trova applicazione solo nell’ipotesi in cui due cause, pendenti contemporaneamente tra gli stessi soggetti davanti a giudici diversi, condividono la medesima causa petendi, ma differiscono nel petitum sotto il profilo quantitativo, in quanto l’una è contenuta nell’altra. Essa si applica altresì quando le domande, pur vertendo su un unico rapporto sostanziale, siano interdipendenti o contrapposte, nonché, più in generale, «quando le questioni dedotte con la domanda anteriormente proposta costituiscano il necessario presupposto (alla stregua della sussistenza di un nesso di pregiudizialità logico-giuridica) per la definizione del giudizio successivo, come nell’ipotesi in cui le contrapposte domande abbiano ad oggetto il riconoscimento e la tutela di diritti derivanti dallo stesso rapporto e il loro esito dipenda dalla soluzione di una o più questioni comuni» (ex aliis, Corte di cassazione, sezione sesta civile, ordinanza 18 febbraio 2022, n. 5340).

Sulla scorta di tale ricostruzione, la richiamata giurisprudenza di merito evidenzia che, nelle fattispecie come quella sottoposta all’odierno rimettente, si pone la necessità di addivenire ad un accertamento coerente e unitario sulla validità del patto di non concorrenza ex art. 2125 del codice civile, il quale, da un lato, è oggetto di un processo di accertamento negativo a cognizione piena introdotto dal dipendente cessato dal rapporto di lavoro, e, dall’altro, è dedotto a fondamento della contrapposta e speculare domanda prospettata dal datore di lavoro con il ricorso cautelare. Sicché, se è vero che la domanda cautelare ha un contenuto essenzialmente inibitorio, e quindi differente dalla dichiarazione di nullità del patto di non concorrenza richiesta nel giudizio di cognizione, tuttavia all’accertamento incidentale della validità di tale convenzione è chiamato il giudice della cautela, in sede di valutazione della sussistenza del fumus boni iuris, così come il giudice della causa di merito ai fini della decisione a cognizione piena.

In definitiva, secondo l’interpretazione di merito evocata dal rimettente, la diversità del petitum e della causa petendi non osta alla configurabilità di una relazione di continenza tra i due procedimenti, né vale ad escludere che tra gli stessi intercorra il tipico rapporto di strumentalità funzionale che lega il processo cautelare a quello di cognizione (Tribunale di Roma, sezione lavoro, ordinanza 21 dicembre 2020; in senso conforme, ex aliis, Tribunale di Milano, sezione lavoro, ordinanza 20 gennaio 2022; Tribunale di Bergamo, sezione lavoro, ordinanza 29 aprile 2021; Tribunale di Parma, sezione lavoro, ordinanza 20 aprile 2018).

3.2.– Il giudice a quo, da un lato, considera il ricordato orientamento di merito espressione di un “diritto vivente”, tanto da sostenere che un diverso percorso interpretativo si rivelerebbe «[i]mprevedibile, inatteso e privo di segnali anticipatori»; dall’altro, sospetta che l’esegesi che ne costituisce il fondamento, per gli esiti applicativi cui conduce, esibisca i profili di illegittimità costituzionale prospettati.

3.2.1.– È, tuttavia, da rilevarsi che sull’interpretazione oggetto dei dubbi di illegittimità costituzionale manca, in realtà, un “diritto vivente”, posto che, a fronte dell’indirizzo di cui dà conto il rimettente, si registrano pronunce di segno contrario non solo nell’ambito della stessa giurisprudenza di merito (Tribunale di Roma, ordinanza 6 ottobre 2015, resa in procedimento per sequestro conservativo; Tribunale di Pescara, 21 ottobre 2006, resa in procedimento ex art. 700 cod. proc. civ. in materia di segnalazione alla Centrale dei rischi della Banca d’Italia), ma anche in seno a quella di legittimità.

La Corte di cassazione si è, infatti, espressa sullo specifico tema in esame, sia pure in un limitato numero di risalenti decisioni relative a fattispecie soggette alla disciplina anteriore alla introduzione del rito cautelare uniforme, al quale si riferisce la disposizione censurata.

Alcune pronunce hanno affermato che la causa pendente per il merito, rilevante ai fini della determinazione della competenza cautelare nel corso del giudizio, coincide con quella, vertente tra le stesse parti, nella quale si faccia valere il medesimo diritto che si afferma minacciato da un pregiudizio imminente e irreparabile ai fini della tutela in via cautelare e non quando investa un diritto diverso, ancorché connesso o contrapposto a quello dedotto nel procedimento d’urgenza; che, quindi, la causa pendente deve identificarsi per personae, petitum e causa petendi con quella che dovrebbe essere instaurata dopo il provvedimento cautelare (Corte di cassazione, sezione prima civile, sentenze 8 ottobre 1987, n. 7508 e 2 luglio 1981, n. 4284).

In altre occasioni, la stessa Corte di legittimità si è orientata in senso diverso, assumendo che, in tema di provvedimenti d’urgenza, la causa per il merito è quella tra le stesse parti, nella quale si faccia valere il medesimo diritto che si afferma minacciato da un pregiudizio imminente ed irreparabile, ancorché si tratti di fatti cronologicamente successivi e diversi da quello precedente già denunciato, e per il quale pende causa di merito, ed «[è] quindi logico e legittimo ritenere […] la sussistenza di un univoco disegno illegittimo esplicatosi, cronologicamente, in una serie di episodi non autonomamente valutabili ma nella loro globalità», (Corte di cassazione, sezione prima civile, sentenza 23 dicembre 1993, n. 12765; in senso analogo Corte di cassazione, sezione prima civile, sentenza 23 ottobre 1993, n. 10554).

3.3.– Alla luce di quanto premesso, deve escludersi che l’interpretazione sulla quale si incentrano le censure del rimettente possa essere assunta a diritto vivente valutabile ai fini del giudizio di legittimità costituzionale, posto che, come questa Corte ha già avuto modo di precisare, «alcune pronunzie adottate in sede di merito non sono idonee ad integrare un “diritto vivente”» (ex aliis, sentenze n. 78 del 2012 e n. 217 del 2010), essendo, per contro, necessario un orientamento consolidato della giurisprudenza di legittimità (ex aliis, sentenze n. 243 e n. 20 del 2022 e n. 1 del 2021), o comunque espresso a Sezioni unite (sentenze n. 13 del 2022 e n. 33 del 2021). Un siffatto orientamento non può ritenersi formato nella materia in scrutinio, avuto riguardo alla non univocità e al carattere risalente dei ricordati precedenti.

D’altro canto, risulta difficilmente ipotizzabile che sulla quaestio iuris qui in esame si delinei un indirizzo interpretativo dell’organo della nomofilachia connotato dai caratteri della costanza e della ripetizione, posto che, secondo l’impostazione da tempo accolta dalla giurisprudenza di legittimità, l’ordinanza di incompetenza cautelare ai sensi dell’art. 669-septies, primo comma, cod. proc. civ. non è impugnabile mediante regolamento preventivo di giurisdizione (ex aliis, Corte di cassazione, sezioni unite civili, ordinanze 24 maggio 2022, n. 16764 e 28 febbraio 2019, n. 6039), né mediante regolamento di competenza (Corte di cassazione, sezioni unite civili, ordinanze 29 luglio 2013, n. 18189 e 9 luglio 2009, n. 16091; sezione sesta civile, ordinanza 20 gennaio 2017, n. 1613). Più in generale, avverso i provvedimenti cautelari ante causam, ivi compresi quelli aventi natura anticipatoria, non è proponibile il ricorso straordinario ai sensi dell’art. 111, settimo comma, Cost., trattandosi di pronunce prive del carattere della stabilità e inidonee al passaggio in giudicato (ex aliis, ancora Corte di cassazione, sezioni unite civili, ordinanza n. 6039 del 2019).

La peculiarità effettuale della tutela cautelare non consente nemmeno di trarre utili indicazioni ricostruttive dalle enunciazioni espresse dalla giurisprudenza di legittimità in merito alla pronuncia di litispendenza o di continenza emessa nella fase sommaria del procedimento ex art. 1, commi 47 e seguenti, della legge 28 giugno 2012, n. 92 (Disposizioni in materia di riforma del mercato del lavoro in una prospettiva di crescita), dal momento che, come chiarito dalla stessa Corte di cassazione, l’ordinanza che conclude la fase sommaria di tale giudizio è, a differenza del provvedimento d’urgenza ante causam, idonea al passaggio in giudicato in caso di omessa opposizione (Corte di cassazione, sezioni unite civili, ordinanza 31 luglio 2014, n. 17443).

4.– Il rimettente, quindi, erroneamente ha ritenuto che sulla interpretazione contestata si sia formato un diritto vivente e, promuovendo l’incidente di legittimità costituzionale, ha inteso conseguire dalla Corte un avallo ad una delle possibili opzioni ricostruttive.

Siffatto uso improprio dello strumento dello scrutinio di legittimità costituzionale rende inammissibili le questioni sollevate (ex plurimis, sentenze n. 132 del 2019 e n. 21 del 2013; ordinanze n. 97 del 2017, n. 87 e n. 33 del 2016), con assorbimento di ogni altro profilo di inammissibilità.

Per Questi Motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara inammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 669-quater del codice di procedura civile sollevate, in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione, dal Tribunale ordinario di Siena, in funzione di giudice del lavoro, con l’ordinanza indicata in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 10 febbraio 2023.

F.to:

Silvana SCIARRA, Presidente

Maria Rosaria SAN GIORGIO, Redattore

Igor DI BERNARDINI, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 30 marzo 2023.