SENTENZA N. 256
ANNO 2022
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
Presidente: Daria de PRETIS
Giudic : Nicolò ZANON, Franco MODUGNO, Augusto Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO, Francesco VIGANÒ, Luca ANTONINI, Stefano PETITTI, Angelo BUSCEMA, Emanuela NAVARRETTA, Maria Rosaria SAN GIORGIO, Filippo PATRONI GRIFFI, Marco D’ALBERTI,
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 22, comma 2, della legge della Regione Puglia 4 agosto 2004, n. 14 (Assestamento e prima variazione al bilancio di previsione per l’esercizio finanziario 2004), promosso dal Tribunale ordinario di Bari, seconda sezione civile, nel procedimento instaurato da V. D. e S. D. nei confronti dell’Azienda sanitaria locale (ASL) di Bari, con ordinanza del 27 agosto 2021, iscritta al n. 6 del registro ordinanze 2022 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 7, prima serie speciale, 2022.
Visto l’atto di costituzione della ASL di Bari;
udito nella udienza pubblica del 22 novembre 2022 il Giudice relatore Nicolò Zanon;
uditi gli avvocati Libera Valla e Anna Faretra per la ASL di Bari;
deliberato nella camera di consiglio del 22 novembre 2022.
Ritenuto in fatto
1.– Con ordinanza del 27 agosto 2021, iscritta al n. 6 del registro ordinanze 2022, il Tribunale ordinario di Bari, seconda sezione civile, ha sollevato questioni di legittimità costituzionale dell’art. 22, comma 2, della legge della Regione Puglia 4 agosto 2004, n. 14 (Assestamento e prima variazione al bilancio di previsione per l’esercizio finanziario 2004), in riferimento agli artt. 3, 32 e 117, secondo comma, della Costituzione.
2.– Innanzi al rimettente pende un giudizio introdotto, nel 2013, da V. D. e S. D. nei confronti della Azienda sanitaria locale (ASL) di Bari, per l’accertamento del loro «diritto alla erogazione gratuita dei farmaci iposensibilizzanti» agli stessi prescritti, con conseguente condanna della convenuta al rimborso delle spese sostenute (pari, rispettivamente, a euro 4.743,04 e a euro 3.093,10) e di quelle ulteriori eventualmente affrontate in corso di causa.
I ricorrenti sono affetti, il primo, da rinite e asma allergica persistente, il secondo, da rinite allergica perenne, e tali terapie sono state loro somministrate per evitare l’insorgenza di complicanze quali «infezione dell’orecchio e dei seni nasali e paranasali», «disturbi del sonno ed altro».
Riferisce il giudice a quo che, a fronte della richiesta di rimborso presentata dagli attori, la ASL di Bari non negava il carattere necessario e insostituibile dei «vaccini» prescritti per la cura delle loro patologie, ma rigettava l’istanza, sia perché i farmaci in questione «non rientrerebbero nel novero delle prestazioni cd. essenziali», sia per la «insussistenza dei requisiti economici» previsti dalla disposizione censurata. L’art. 22 della legge reg. Puglia n. 14 del 2004, dopo aver infatti previsto, al comma 1, che «le ASL provvedono al rimborso delle spese per la vaccinoterapia, necessaria e insostituibile per la cura delle allergopatie», precisa, al comma 2, che «[i]l rimborso di cui al comma 1 è dovuto ai componenti di nuclei familiari con reddito non superiore a euro 20 mila annui».
È su tale ultima disposizione che il Tribunale di Bari, accogliendo l’eccezione di parte attrice, ha promosso l’odierno giudizio di legittimità costituzionale, assumendo violati gli artt. 3, 32 e 117, secondo comma, Cost.
3.– In punto di rilevanza, osserva il rimettente che dalla valutazione sulla legittimità costituzionale dell’art. 22, comma 2, della legge reg. Puglia n. 14 del 2004 – disposizione che pone un «condizionamento economico e reddituale, riferito all’intero nucleo familiare», alla possibilità di accedere al rimborso dei costi per prestazioni sanitarie necessarie e insostituibili – dipendono le sorti del giudizio principale, avendo la ASL rigettato la domanda attorea in ragione proprio dell’insussistenza dei requisiti reddituali imposti dalla disciplina regionale.
4.– Quanto alla non manifesta infondatezza, il rimettente riconosce che efficacia terapeutica ed economicità del farmaco sono criteri compatibili con il riconoscimento del diritto alla salute, tanto che con l’ordinanza n. 396 del 1990 questa Corte ha dichiarato manifestamente infondata una questione di legittimità costituzionale sollevata sull’art. 28, secondo comma, della legge 23 dicembre 1978, n. 833 (Istituzione del servizio sanitario nazionale), norma che limita l’assistenza sanitaria in riferimento ai farmaci rientranti nel «prontuario terapeutico del servizio sanitario nazionale», controvertendosi in quel caso dell’esclusione di quelli stranieri non commercializzati in Italia.
Tuttavia, osserva che il «diritto vivente» formatosi in epoca successiva presso la giurisdizione di legittimità si sarebbe attestato nel senso che – in base a quanto disposto dall’art. 10, comma 2, del decreto-legge 12 settembre 1983, n. 463 (Misure urgenti in materia previdenziale e sanitaria e per il contenimento della spesa pubblica, disposizioni per vari settori della pubblica amministrazione e proroga di taluni termini), convertito, con modificazioni, nella legge 11 novembre 1983, n. 638 – tale criterio di economicità «non può portare ad escludere l’esenzione dalla compartecipazione alla spesa per un farmaco che risulti indispensabile ed insostituibile per il trattamento di gravi condizioni o sindromi che esigono terapie di lunga durata» (sono citate Corte di cassazione, sezioni unite civili, sentenza 20 febbraio 1985, n. 1504, nonché Corte di cassazione, sezione lavoro, sentenze 24 gennaio 2003, n. 1092, e 14 febbraio 2000, n. 1665).
Inoltre, con specifico riferimento al vaccino antiallergico, la giurisprudenza prevalente avrebbe stabilito che «il diritto all’assistenza farmaceutica comprende la somministrazione di farmaci che, sebbene non inclusi nella classificazione di cui alla lett. a) o b) dell’art. 8 legge 24 dicembre 1993, n. 537, risultino essenziali o di rilevante interesse terapeutico».
La conseguenza consisterebbe nel fatto che «la sostanza medicinale, ancorché non compresa nel prontuario terapeutico, può essere posta a carico del SSN, previa disapplicazione» del medesimo prontuario «nella parte in cui quest’ultimo non comprende il farmaco» (è citata Corte di cassazione, sezione lavoro, sentenze 26 maggio 2014, n. 11713 e 6 febbraio 2008, n. 2776).
4.1.– Tanto premesso, afferma il rimettente che «alla stregua dei principi fondamentali dettati dalla legislazione statale», e precisamente dall’art. 10 del citato d.l. n. 463 del 1983, come convertito, «il quale si iscrive nella cornice» dell’art. 28 della legge n. 833 del 1978, la disposizione regionale censurata sarebbe da considerarsi lesiva di plurimi parametri costituzionali: dell’art. 3 Cost., nella parte in cui per questi specifici farmaci, ancorché indispensabili e necessari per la salute dell’assistito, istituisce «peculiari limiti reddituali, oltretutto riferiti all’intero nucleo familiare»; dell’art. 32 Cost., giacché, quale incomprimibile diritto, la tutela della salute non tollererebbe ponderazioni di carattere economico «allorquando non vi siano soluzioni alternative altrettanto valide»; e, infine, dell’«art. 117, co. II, Cost.», in relazione al «riparto di competenze tra Stato e Regioni in tema di tutela della salute, disposizione che vincola l’esercizio della potestà legislativa regionale al rispetto dei principi fondamentali dettati dalla normativa statale», principi «tra cui […] rientrano i livelli essenziali delle prestazioni sanitarie (art. 117, co. I, lett. m) Cost.».
Ad escludere un contrasto con tali parametri costituzionali non soccorrerebbe, aggiunge in conclusione il Tribunale di Bari, una soluzione interpretativa, perché l’art. 22, comma 2, della legge reg. Puglia n. 14 del 2004 prescrive che ad essere sottoposto a limite reddituale è «il rimborso di cui al comma 1», non potendosi allora intendere che tale limite valga unicamente per i farmaci «non aventi carattere indispensabile ed urgente».
5.– Con atto depositato in data 8 marzo 2022, si è costituita in giudizio la ASL di Bari, chiedendo che le sollevate questioni di legittimità costituzionale siano dichiarate inammissibili «per mancanza del requisito della non manifesta infondatezza». Gli attori del giudizio principale avrebbero dato prova del fatto che la terapia vaccinale sarebbe necessaria e insostituibile, ma non della «gravità» della propria allergopatia, ovvero di una delle condizioni che, stando proprio alla giurisprudenza di legittimità richiamata dal giudice a quo, giustificherebbe l’esenzione a favore dell’assistito.
6.– Nel merito, quanto alla censura riferita all’art. 117 Cost., secondo comma, Cost., la difesa della parte osserva che i livelli essenziali di assistenza (LEA), la cui determinazione spetta in esclusiva al legislatore statale, sono attualmente stabiliti con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 12 gennaio 2017 (Definizione e aggiornamento dei livelli essenziali di assistenza, di cui all’articolo 1, comma 7, del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502), e che tra di essi non è inserita la vaccinoterapia. Di conseguenza, la disciplina regionale non avrebbe in alcun modo inciso nell’ambito di competenza legislativa dello Stato.
In ordine alla dedotta lesione dell’art. 3 Cost., aggiunge che alle regioni non è precluso ampliare – al di là di quanto statuito dal citato d.P.C.m. 12 gennaio 2017 – la gamma delle prestazioni gratuite, salvo doverne assicurare la copertura finanziaria, in considerazione della limitatezza delle risorse finanziare pubbliche. Del resto, si sostiene, questa Corte avrebbe costantemente affermato che il diritto alla salute sarebbe soggetto alla determinazione degli strumenti, dei tempi e dei modi di attuazione della relativa tutela da parte del legislatore, chiamato a operare valutazioni di bilanciamento tra diversi interessi (vengono citate le sentenze n. 416 del 1995, n. 356 del 1992, n. 1011 del 1988, n. 212 del 1983 e n. 175 del 1982).
In tale contesto, la Regione Puglia, con la legge 12 aprile 1995, n. 17 (Diagnostica e terapia delle allergopatie presso le USL della Regione Puglia), ha riconosciuto, all’art. 1, le allergopatie quali malattie «di particolare interesse», e con il censurato art. 22 della legge reg. Puglia n. 14 del 2004 avrebbe coerentemente previsto, quali prestazioni aggiuntive rispetto ai LEA, il rimborso delle vaccinoterapie necessarie e insostituibili per la cura di tali patologie, a prescindere dalla loro gravità. Tuttavia, a fronte della «platea vastissima di pazienti» potenzialmente interessati, avrebbe correttamente «controbilanciato» tale previsione con l’introduzione di un limite reddituale capace di salvaguardare le risorse a disposizione del bilancio regionale.
Infine, in riferimento alla censura relativa all’art. 32 Cost., la ASL di Bari evidenzia come le pronunce della Corte di cassazione evocate dal rimettente avrebbero prospettato la possibilità di estendere la copertura a carico del Servizio sanitario nazionale (SSN) dei farmaci solo quando insostituibili e indispensabili per la cura di patologie gravi; nella prospettiva indicata, si tratterebbe di una giurisprudenza coerente con l’orientamento espresso da questa Corte, secondo cui le esigenze della finanza pubblica non possono condurre a comprimere il nucleo essenziale del diritto alla salute.
7.– La ASL di Bari ha depositato memoria illustrativa in vista dell’udienza, riproducendo un parere pro veritate a supporto delle proprie argomentazioni.
Nel citato parere, è prospettata una articolata interpretazione costituzionalmente orientata del comma 1 del censurato art. 22 della legge regionale, in forza della quale si dovrebbe ritenere che le restrizioni previste dal legislatore regionale sarebbero in realtà coerenti con la «pregressa legislazione statale», e in particolare con l’art. 10 del d.l. n. 463 del 1983, come convertito; ciò, se si assume che il riferimento alle «gravi condizioni», richiesto da tale disposizione, rimanga «prescrittivo, anche se non richiamato esplicitamente dal primo comma dell’art. 22 della legge regionale». In questa prospettiva, le questioni di legittimità costituzionale sollevate dal Tribunale di Bari sul comma 2 della disposizione regionale sarebbero da considerarsi inammissibili per difetto di rilevanza, mancando la verifica della gravità delle condizioni patite dagli attori.
La censura riferita all’art. 3 Cost. sarebbe in ogni caso da dichiarare inammissibile per difetto di motivazione.
Nel merito, le ulteriori doglianze sarebbero comunque da rigettare. Con riferimento alla dedotta lesione dell’art. 117, secondo comma, Cost., la legge regionale disciplinerebbe, infatti, «una fattispecie diversa da quella definita dalla legge statale»; quanto alla censura riferita all’art. 32 Cost., la disposizione regionale, riferendosi per l’appunto ad un farmaco non considerato dalla disciplina statale, avrebbe previsto un ragionevole bilanciamento tra interessi assistiti da pari tutela costituzionale.
Considerato in diritto
1.– Il Tribunale ordinario di Bari solleva, in riferimento agli artt. 3, 32 e 117, secondo comma, Cost., questioni di legittimità costituzionale dell’art. 22, comma 2, della legge reg. Puglia n. 14 del 2004, che subordina al ricorrere di un requisito reddituale il diritto dell’assistito al rimborso delle spese sostenute per taluni farmaci necessari per la cura di allergopatie.
Il comma 1 della medesima disposizione, che il rimettente non include nella censura, dispone che «[a]i sensi della legge regionale 12 aprile 1995, n. 17 (Diagnostica e terapia delle allergopatie presso le USL della Regione Puglia) le ASL provvedono al rimborso delle spese per la vaccinoterapia, necessaria e insostituibile per la cura delle allergopatie», mentre il censurato comma 2 specifica, appunto, che «[i]l rimborso di cui al comma 1 è dovuto ai componenti di nuclei familiari con reddito non superiore a euro 20 mila annui».
Il giudice a quo è chiamato a definire un giudizio promosso nei confronti della Azienda sanitaria locale (ASL) di Bari da due soggetti – affetti, rispettivamente, da rinite e asma allergica persistente e da rinite allergica perenne – allo scopo di veder accertato il loro diritto al rimborso del costo dei farmaci. Le terapie in questione erano state prescritte, precisa l’ordinanza, al fine di evitare «complicanze», quali «infezione dell’orecchio e dei seni nasali e paranasali» nonché «disturbi del sonno ed altro». La ASL aveva tuttavia rigettato l’istanza di rimborso presentata dagli attori, sia perché le vaccinoterapie «non rientrerebbero nel novero delle prestazioni cd. essenziali», sia per la insussistenza delle condizioni dettate proprio dall’art. 22, comma 2, della legge reg. Puglia n. 14 del 2004.
Ad avviso del giudice a quo, la previsione di un requisito reddituale riferito all’intero nucleo familiare per l’accesso gratuito a cure, qualificate dallo stesso legislatore regionale come necessarie e insostituibili, comporterebbe la lesione di plurimi parametri costituzionali.
Sarebbe innanzitutto violato l’art. 3 Cost., nella parte in cui la disposizione censurata istituisce «peculiari limiti reddituali, oltretutto riferiti all’intero nucleo familiare» per l’accesso a farmaci indispensabili e necessari per la salute dell’assistito. La stessa disposizione contrasterebbe, inoltre, con l’art. 32 Cost., giacché, quale diritto incomprimibile, la tutela della salute non tollererebbe ponderazioni di carattere economico «allorquando non vi siano soluzioni alternative altrettanto valide». Vi sarebbe, infine, lesione dell’«art. 117, co. II, Cost.», in relazione al «riparto di competenze tra Stato e Regioni in tema di tutela della salute, disposizione che vincola l’esercizio della potestà legislativa regionale al rispetto dei principi fondamentali dettati dalla normativa statale», principi «tra cui […] rientrano i livelli essenziali delle prestazioni sanitarie (art. 117, co. I, lett. m) Cost.».
Tutti tali parametri costituzionali sono dal rimettente evocati, sia «alla stregua dei principi fondamentali dettati dalla legislazione statale», sia alla luce della interpretazione che di tali previsioni normative è stata fornita dal «diritto vivente».
Quali riferimenti normativi il giudice a quo richiama, da una parte, l’art. 28 della legge n. 833 del 1978, che garantisce l’assistenza farmaceutica prevedendo la possibilità dell’assistito di accedere ai preparati galenici e ai medicinali «compresi nel prontuario terapeutico del servizio sanitario nazionale» (secondo comma); dall’altra, l’art. 10 del d.l. n. 463 del 1983, come convertito, ai cui sensi «non è dovuta alcuna quota di partecipazione» per una serie di farmaci ricompresi nel prontuario, precisamente per quelli «destinati al trattamento delle situazioni patologiche di urgenza, delle malattie ad alto rischio, delle gravi condizioni o sindromi morbose che esigono terapia di lunga durata, nonché alle cure necessarie per assicurare la sopravvivenza nelle malattie croniche» (comma 2).
Quanto all’interpretazione dei citati riferimenti normativi, l’ordinanza di rimessione sottolinea come la giurisprudenza di legittimità abbia più volte affermato che, in talune circostanze – in particolare, quando si tratti di farmaco «indispensabile ed insostituibile per il trattamento di gravi condizioni o sindromi che esigono terapia di lunga durata» (il rimettente cita Cass., sentenze n. 1092 del 2003, n. 1665 del 2000 e n. 1504 del 1985) o ancora di medicinali «che risultino essenziali o di rilevante interesse terapeutico» (ancora, Cass., sentenze n. 11713 del 2014 e n. 2776 del 2008) – il criterio di economicità che orienta la composizione del prontuario terapeutico dovrebbe recedere, potendosi giungere alla sua disapplicazione, con l’effetto di collocare a carico del Servizio sanitario nazionale (SSN) anche la sostanza medicinale non ricompresa nel prontuario stesso.
È, dunque, in considerazione della cornice normativa e giurisprudenziale così descritta che, secondo il Tribunale di Bari, l’art. 22, comma 2, della legge reg. Puglia n. 14 del 2004 contrasterebbe con gli artt. 3, 32 e 117, secondo comma, Cost.
2.– È utile premettere che la disposizione censurata si colloca nel più ampio quadro della disciplina introdotta, nella Regione Puglia, dalla legge regionale n. 17 del 1995, in tema di diagnostica e terapia delle allergopatie. Quest’ultima ha qualificato le allergopatie «malattie di particolare interesse» (art. 1) e ha istituito, presso ogni ASL, un Centro di allergologia e immunologia clinica per l’assistenza agli allergopatici (art. 2), con il compito di provvedere alla erogazione diretta di prestazioni diagnostiche e immunologiche (art. 3).
Con l’art. 22 della legge reg. Puglia n. 14 del 2004, il legislatore regionale è nuovamente intervenuto in materia, disciplinando questa volta uno specifico aspetto della materia, ovverosia il regime di copertura finanziaria della «vaccinoterapia».
L’espressione indica l’immunoterapia desensibilizzante o immunoterapia specifica (ITS), che comporta la somministrazione per via sottocutanea o sublinguale di allergeni, e dunque di estratti di sostanze che si trovano nell’ambiente esterno, con l’obiettivo di attenuare la risposta immunitaria anomala del soggetto allergopatico. La terapia in questione, dunque, si propone di agire sulla causa della patologia, diversamente dai farmaci che intervengono sui sintomi di quest’ultima.
Come si è visto, il legislatore regionale ha ritenuto di introdurre, nella forma del rimborso, un sostegno economico a favore dei soggetti che si sottopongono a tali trattamenti, richiedendo, però, la sussistenza di due condizioni, la prima di ordine terapeutico e la seconda di natura reddituale. Al comma 1 dell’art. 22 ha infatti specificato che deve trattarsi di vaccinoterapia «necessaria e insostituibile per la cura delle allergopatie»; al secondo comma ha aggiunto che l’istanza di rimborso deve provenire da «componenti di nuclei familiari con reddito non superiore a euro 20 mila annui».
3.– Ciò posto, le questioni di legittimità costituzionale sono inammissibili.
4.– Tale deve anzitutto ritenersi, come eccepito dalla difesa della ASL di Bari, la censura riferita all’art. 3 Cost., apoditticamente motivata in base all’asserzione che, per i farmaci in questione, «pur indispensabili e necessari per la salute dell’assistito», la disposizione istituisce «peculiari limiti reddituali, oltretutto riferiti all’intero nucleo familiare».
Il rimettente non chiarisce, in primo luogo, se ad essere leso sia il principio di uguaglianza e, in ogni caso, non ne spiega le ragioni, né individua un idoneo tertium cui comparare la disciplina censurata. In secondo luogo, nemmeno illustra se, a suo avviso, la disciplina regionale difetti invece di ragionevolezza, a causa dello specifico criterio reddituale introdotto quale condizione per fruire del rimborso del costo del farmaco. Infine, non è spiegato se la censura intenda colpire la previsione stessa di un limite reddituale per ottenere il rimborso, o invece la circostanza che tale limite sia riferito, anziché alla condizione del singolo, a quella complessiva del nucleo familiare dell’assistito.
In definitiva, la censura è inammissibile poiché non sorretta da adeguata motivazione in punto di non manifesta infondatezza (ex multis, sentenze n. 118 del 2022, n. 213 e n. 178 del 2021).
5.– Anche le questioni di legittimità costituzionale relative all’asserita violazione degli artt. 117, comma secondo, e 32 Cost. devono essere dichiarate inammissibili. Nella prospettazione del giudice a quo le due censure muovono da un’identica premessa normativa e giurisprudenziale, e perciò possono essere unitariamente valutate e decise.
5.1.– Secondo il rimettente, alla stregua dei principi statali di cui agli artt. 28 della legge n. 833 del 1978 e 10 del d.l. n. 463 del 1983, come convertito, nella lettura offerta da un asserito «diritto vivente», la norma regionale risulterebbe, ad un tempo, contrastante: con l’«art. 117, co. II, Cost.», che ripartisce le competenze tra Stato e Regioni «in tema di tutela della salute», «disposizione che vincola l’esercizio della potestà legislativa regionale al rispetto dei principi fondamentali dettati dalla normativa statale», «tra cui […] rientrano i livelli essenziali delle prestazioni sanitarie (art. 117, co. I, lett. m) Cost.»; e con l’art. 32 Cost., perché la tutela della salute, «quale diritto incomprimibile», non sarebbe assoggettabile a ponderazioni di carattere economico «allorquando non vi siano soluzioni alternative altrettanto valide».
Anche a prescindere dalla assai incerta formulazione della censura riferita al riparto delle competenze legislative statali e regionali, e assumendo che il rimettente abbia inteso prospettare una lesione dei «livelli essenziali delle prestazioni sanitarie» (art. 117, secondo comma, lettera m, Cost.), l’ordinanza di rimessione presenta molteplici carenze, che riguardano, sia la descrizione della fattispecie oggetto del giudizio (richiesta non solo ai fini della valutazione della rilevanza, ma anche allo scopo di valutare la non manifesta infondatezza della questione sollevata: ex plurimis, sentenze, n. 56 del 2015 e n. 128 del 2014; ordinanze n. 261 del 2019 e n. 209 del 2015), sia quella del quadro normativo di riferimento.
5.2.– Per costante giurisprudenza di questa Corte, la tutela apprestata al diritto alla salute dall’art. 32 Cost. «non può non subire i condizionamenti che lo stesso legislatore incontra nel distribuire le risorse finanziarie delle quali dispone», fermo restando che da ciò non può derivare la compressione del «nucleo irriducibile del diritto alla salute», quale «ambito inviolabile della dignità umana» (ex multis, sentenza n. 203 del 2016).
In questa prospettiva, tuttavia, l’ordinanza fallisce l’obiettivo di rendere possibile una valutazione sulla lamentata lesione dell’art. 32 Cost. Essa, infatti, nulla dice, né sulla gravità delle patologie da cui erano affetti i ricorrenti nel giudizio a quo, né, di riflesso, sul significato della disciplina regionale, laddove si riferisce ad una «vaccinoterapia, necessaria e insostituibile per la cura delle allergopatie». Il giudice a quo, in altre parole, non si interroga sul significato di tale espressione, né sostiene che essa debba interpretarsi nel senso che la vaccinoterapia vada intesa come «necessaria e insostituibile» per la cura delle patologie gravi. Per queste ragioni, l’ordinanza non fornisce elementi sufficienti per valutare se si sia in presenza della violazione del nucleo incomprimibile del diritto alla salute.
Nemmeno è in grado di colmare le lacune evidenziate il richiamo a quella specifica giurisprudenza di legittimità che, ritenendo sindacabili nel merito le determinazioni dell’autorità amministrativa deputata a stabilire il regime di copertura dei farmaci, ha riconosciuto la gratuità anche di farmaci non coperti dal SSN, purché «indispensabili» e «insostituibili» per la cura di talune patologie (altra giurisprudenza, che invece il rimettente omette di considerare, sostiene peraltro che su tali determinazioni sia unicamente esperibile un sindacato circoscritto alla legittimità e non esteso al merito: ad esempio Corte di cassazione, sezione lavoro, sentenze 7 luglio 2006, n. 15486 e 7 giugno 2004, n. 10777; inoltre, sulla complessità delle valutazioni di bilanciamento rimesse all’Agenzia italiana del farmaco (AIFA), alla luce delle previsioni normative che ne definiscono i poteri anche in ordine alla negoziazione del prezzo dei farmaci da porre a carico del SSN, Consiglio di Stato, sezione terza, sentenze 7 gennaio 2021, n. 271, e 30 novembre 2017, n. 5624).
In base ad un ragionamento che, per vero, l’ordinanza di rimessione non sviluppa compiutamente, il Tribunale di Bari parrebbe assumere che la locuzione utilizzata nella disposizione regionale censurata – farmaci “necessari” e “insostituibili” – coincida con i risultati della specifica interpretazione giurisprudenziale richiamata. Ne ricava così, in premessa, la necessità che anche quei farmaci per la cura delle allergopatie siano sempre gratuiti, e conclude, quale conseguenza, per l’illegittimità costituzionale della disposizione regionale, poiché quest’ultima, prevedendo requisiti reddituali, farebbe invece da “schermo” a tale incondizionata gratuità. Tuttavia, anche in questo caso, il rimettente non si interroga sul significato della locuzione utilizzata dal legislatore regionale con specifico riferimento alle allergopatie, e non la compara con la giurisprudenza di legittimità utilizzata. Non considera, in particolare, che tale giurisprudenza pretende solitamente la verifica, in fatto, delle condizioni specifiche del soggetto e, soprattutto, della gravità della patologia da cui sia affetto (si riferisce, ad esempio, a «casi di particolare gravità» Corte di cassazione, sezione lavoro, sentenza 23 febbraio 2000, n. 2034; in materia di allergopatie, dà rilievo alle specificità del caso Corte di cassazione, sezione lavoro, sentenza 24 gennaio 2003, n. 1092).
Allo stesso modo, non risulta possibile l’esame circa l’asserita violazione dell’art. 117, secondo comma, lettera m), Cost., poiché l’ordinanza non specifica di quali farmaci la ASL resistente in giudizio abbia negato il rimborso. In assenza di questa informazione resta imprecisato se si tratti di farmaci collocati (all’epoca della prescrizione, o anche successivamente) nella cosiddetta classe A, cioè, come si dirà meglio d’appresso, nella categoria dei farmaci che il legislatore statale, nell’esercizio della propria esclusiva competenza in materia di determinazione dei livelli essenziali di assistenza (LEA), pone a carico del SSN.
5.3.– Invero, l’identificazione dei farmaci in questione, e la indicazione della loro corretta classificazione, avrebbero richiesto una migliore ricostruzione del quadro normativo. Il rimettente, invece, lo tratteggia in modo inadeguato rispetto a quanto necessario a sorreggere una censura di lesione del riparto di competenze legislative e regionali.
Va precisato che, in base alla costante giurisprudenza costituzionale, «l’erogazione di farmaci rientra nei livelli essenziali di assistenza (LEA), il cui godimento è assicurato a tutti in condizioni di uguaglianza sull’intero territorio nazionale» (sentenza n. 330 del 2011; così anche sentenza n. 282 del 2002), allo scopo di evitare che, in parti di esso, «gli utenti debbano, in ipotesi, assoggettarsi ad un regime di assistenza sanitaria inferiore, per quantità e qualità, a quello ritenuto intangibile dallo Stato» (sentenza n. 387 del 2007). Si è, dunque, in presenza di una competenza legislativa esclusiva statale, anche se questa Corte ha al contempo affermato che la materia presenta possibili punti di contatto con altri ambiti materiali, quali anzitutto la tutela della salute, «cui è da ricondurre l’organizzazione del servizio farmaceutico» (sentenze n. 330 del 2011, n. 8 del 2011 e n. 87 del 2006), in regime di competenza ripartita tra Stato e regioni ai sensi dell’art. 117, terzo comma, Cost.
In tale cornice costituzionale, sia con l’art. 2 del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 29 novembre 2001, recante «Definizione dei livelli essenziali di assistenza» – vigente al momento dell’entrata in vigore della legge regionale oggetto di censure – sia con il successivo art. 8 del d.P.C.m. 12 gennaio 2017, lo Stato ha inserito tra i LEA l’assistenza farmaceutica, specificamente riferendosi, per quanto qui rileva, alla fornitura dei medicinali appartenenti alla classe A di cui all’art. 8, comma 10, della legge 24 dicembre 1993, n. 537 (Interventi correttivi di finanza pubblica), ovverosia ai farmaci che tale ultima disposizione, alla lettera a), qualifica come «essenziali» e «per malattie croniche».
L’ordinanza di rimessione omette tuttavia qualsiasi richiamo a tali previsioni statali e, perciò, non si confronta con esse (da ultimo, sulla inammissibilità per omessa ricostruzione del quadro normativo, sentenza n. 225 del 2022; con riguardo specifico proprio al mancato riferimento al d.P.C.m. di aggiornamento dei LEA, sentenza n. 8 del 2011).
È ben vero che il rimettente cita gli artt. 28 della legge n. 833 del 1978 e 10 del d.l. n. 463 del 1983, come convertito, che hanno istituito e definito i contenuti del prontuario terapeutico del SSN. Tuttavia, non dà conto della circostanza che il prontuario disciplinato dalle predette disposizioni è stato abolito dall’art. 8, comma 9, della citata legge n. 537 del 1993 e sostituito con il regime della classificazione dei farmaci, demandata alla Commissione unica del farmaco e, a partire dal 2003, all’AIFA.
Neppure è ricordato l’art. 8, comma 10 – espressamente richiamato dal d.P.C.m. di definizione e aggiornamento dei LEA – che stabilisce, in combinato disposto con il successivo comma 14, che i medicinali collocati in classe A, ovverosia i «farmaci essenziali e [i] farmaci per malattie croniche», sono «a totale carico del Servizio sanitario nazionale»; mentre i farmaci in classe C e C-bis – essendo stata abrogata la classe B – sono «a totale carico dell’assistito».
Ciò, fermo restando che le regioni possono prevedere «livelli ulteriori di tutela» (sentenza n. 91 del 2020; analogamente, sentenza n. 115 del 2012), purché non siano regioni assoggettate a piano di rientro (ex multis, da ultimo, sentenze n. 242 e n. 190 del 2022), come è il caso, a partire dal 2010 (e quindi solo dopo l’entrata in vigore della legge che contiene la norma censurata), della stessa Regione Puglia: profilo, quest’ultimo, che il giudice non ha preso in considerazione, nel contesto di un’ordinanza orientata, del resto, ad ottenere un ampliamento delle prestazioni sanitarie erogabili gratuitamente.
5.4.– Alla luce dell’inadeguata descrizione della fattispecie concreta, nonché della solo parziale ricostruzione del complessivo quadro normativo statale appena delineato, smarrisce il suo significato la censura secondo cui il legislatore regionale non può porre limiti al rimborso del costo di medicinali relativi alla vaccinoterapia pur qualificata come «necessaria e insostituibile». Le carenze segnalate impediscono infatti al rimettente di argomentare efficacemente la doglianza più rilevante, pur adombrata, in base alla quale, come già accennato, la disposizione regionale potrebbe fungere da “schermo”, costituzionalmente illegittimo, rispetto all’applicazione dei livelli essenziali di tutela, che il rimettente collega alla necessaria garanzia del “nucleo centrale del diritto alla salute”.
Il giudice a quo, inoltre, neppure prova a confrontarsi con la ben diversa prospettiva secondo cui l’art. 22 della legge reg. Puglia n. 14 del 2004 potrebbe essere indirizzato a prevedere – anziché un illegittimo schermo alla applicabilità dei LEA fissati a livello statale – prestazioni aggiuntive rispetto a questi ultimi, come pure parrebbero suggerire, sia i lavori preparatori della disposizione (seduta del Consiglio regionale del 27 luglio 2004), sia il dato testuale della stessa, che ragiona, a favore degli assistiti, di un «rimborso delle spese per vaccinoterapia», con previsione a rigore superflua per farmaci collocati in classe A.
6.– In definitiva, sia le carenze in punto di descrizione della fattispecie, sia l’incompleta ricostruzione del quadro normativo, impediscono a questa Corte di accedere alla valutazione del merito delle censure, che devono perciò essere dichiarate inammissibili.
Per Questi Motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara inammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 22, comma 2, della legge della Regione Puglia 4 agosto 2004, n. 14 (Assestamento e prima variazione al bilancio di previsione per l’esercizio finanziario 2004), sollevate, in riferimento agli artt. 3, 32 e 117, secondo comma, della Costituzione, dal Tribunale ordinario di Bari, seconda sezione civile, con l’ordinanza indicata in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 22 novembre 2022.
F.to:
Daria de PRETIS, Presidente
Nicolò ZANON, Redattore
Igor DI BERNARDINI, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 20 dicembre 2022.