Sentenza n. 225 del 2022

SENTENZA N. 225

ANNO 2022

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

Presidente: Silvana SCIARRA;

Giudici: Daria de PRETIS, Nicolò ZANON, Franco MODUGNO, Augusto Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO, Francesco VIGANÒ, Luca ANTONINI, Stefano PETITTI, Angelo BUSCEMA, Emanuela NAVARRETTA, Maria Rosaria SAN GIORGIO, Filippo PATRONI GRIFFI, Marco D’ALBERTI,

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’intero testo del decreto-legge 25 giugno 2017, n. 99 (Disposizioni urgenti per assicurare la parità di trattamento dei creditori nel contesto di una ricapitalizzazione precauzionale nel settore creditizio nonché per la liquidazione coatta amministrativa di Banca Popolare di Vicenza S.p.A. e di Veneto Banca S.p.A.), convertito, con modificazioni, nella legge 31 luglio 2017, n. 121; nonché dei suoi artt. 2, commi 1, lettera c), e 2; 3, commi 1, lettere a), b) e c), 2, 3 e 4; 4, commi 1, lettere b) e d), 3, 4 e 5; e 6, promosso dal Tribunale ordinario di Firenze nel procedimento vertente tra A. P. e Intesa Sanpaolo spa e altro, con ordinanza del 20 luglio 2021, iscritta al n. 179 del registro ordinanze 2021 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 47, prima serie speciale, dell’anno 2021.

Visti gli atti di costituzione di Intesa Sanpaolo spa e della Banca Popolare di Vicenza spa in liquidazione coatta amministrativa, nonché l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell’udienza pubblica del 4 ottobre 2022 il Giudice relatore Stefano Petitti;

uditi gli avvocati Massimo Luciani, Gian Michele Roberti e Carlo Pedersoli per Intesa Sanpaolo spa, Mario Esposito per Banca Popolare di Vicenza spa in liquidazione coatta amministrativa, l’avvocato dello Stato Paolo Gentili per il Presidente del Consiglio dei ministri;

deliberato nella camera di consiglio del 5 ottobre 2022.

Ritenuto in fatto

1.– Con ordinanza del 20 luglio 2021, iscritta al n. 179 del registro ordinanze 2021, il Tribunale ordinario di Firenze ha sollevato questioni di legittimità costituzionale dell’intero testo del decreto-legge 25 giugno 2017, n. 99 (Disposizioni urgenti per assicurare la parità di trattamento dei creditori nel contesto di una ricapitalizzazione precauzionale nel settore creditizio nonché per la liquidazione coatta amministrativa di Banca Popolare di Vicenza S.p.A. e di Veneto Banca S.p.A.), convertito, con modificazioni, nella legge 31 luglio 2017, n. 121, nonché dei suoi artt. 2, commi 1, lettera c), e 2; 3, commi 1, lettere a), b) e c), 2, 3 e 4; 4, commi 1, lettere b) e d), 3, 4 e 5; e 6, nella parte in cui non prevede la possibilità di ristoro anche per gli azionisti (così il dispositivo dell’ordinanza di rimessione).

Dalla motivazione dell’ordinanza, secondo quanto agevolmente emerge dai capi di essa, si ricava tuttavia che censure specifiche sono rivolte nei confronti:

a) dell’art. 4, commi 1, lettere b) e d), e 3, e dell’art. 6 del d.l. n. 99 del 2017, come convertito, in riferimento agli artt. 2, 3, 23, 41, 42, 45 e 47 della Costituzione, nonché all’art. 1 del Protocollo addizionale alla Convenzione europea dei diritti dell’uomo e all’art. 17 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea;

b) del d.l. n. 99 del 2017, come convertito, nella sua interezza;

c) dell’art. 3, comma 1, lettere a), b) e c), del d.l. n. 99 del 2017, come convertito, in riferimento agli artt. 3, 24, 42, 45, 47 e 111, primo comma, Cost. e all’art. 47 CDFUE.

2.– Il Tribunale di Firenze espone che, con citazione del 13 febbraio 2019, A.P. aveva convenuto Intesa Sanpaolo spa per sentir dichiarare l’invalidità o l’inefficacia delle operazioni di acquisto di azioni emesse da Banca Popolare di Vicenza spa per violazione degli obblighi informativi di cui all’art. 21 del decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58 (Testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria, ai sensi degli articoli 8 e 21 della legge 6 febbraio 1996, n. 52) e all’art. 26 della deliberazione della Commissione nazionale per le società e la borsa (CONSOB) n. 11522 del 1° luglio 1998 (Adozione del regolamento di attuazione del decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58, concernente la disciplina degli intermediari), anche ai sensi dell’art. 1322 del codice civile, e altresì per la mancata verifica dell’adeguatezza di dette operazioni, nonché per ottenere la condanna di Intesa Sanpaolo spa al risarcimento dei danni.

Espone, ancora, che quest’ultima aveva eccepito il proprio difetto di legittimazione passiva, e che in giudizio era intervenuta volontariamente Banca Popolare di Vicenza spa in liquidazione coatta amministrativa (da ora, anche: LCA), anch’essa eccependo in via pregiudiziale il difetto di legittimazione passiva della convenuta Intesa Sanpaolo spa.

3.– Il giudice a quo ricorda che il d.l. n. 99 del 2017, come convertito, richiama nel preambolo le decisioni della Banca centrale europea del 23 giugno 2017, con le quali era stato accertato che Banca Popolare di Vicenza spa e Veneto Banca spa erano in dissesto o a rischio di dissesto ai sensi dell’art. 18, paragrafo 1, lettera a), del regolamento (UE) 806/2014 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 15 luglio 2014, che fissa norme e una procedura uniformi per la risoluzione degli enti creditizi e di talune imprese di investimento nel quadro del meccanismo di risoluzione unico e del Fondo di risoluzione unico e che modifica il regolamento (UE) n. 1093/2010.

Ricorda ancora che, con le decisioni n. SRB/EES/2017/11 e n. SRB/EES/2017/12 del 23 giugno 2017, il Comitato di risoluzione unico aveva accertato la non configurabilità di misure alternative che permettessero di superare la situazione di dissesto o di rischio di dissesto in tempi adeguati ai sensi dell’art. 18, paragrafo 1, lettera b), del citato regolamento n. 806/2014/UE e che l’avvio della risoluzione nei confronti di Banca Popolare di Vicenza spa e di Veneto Banca spa non era necessario nell’interesse pubblico ai sensi dell’art. 18, paragrafi 1, lettera c), e 5, del medesimo regolamento; che, a seguito delle citate decisioni della Banca centrale europea e del Comitato di risoluzione unico, la Banca d’Italia aveva ravvisato la necessità di avviare la procedura di liquidazione coatta amministrativa nei confronti di Banca Popolare di Vicenza spa e di Veneto Banca spa; che il d.l. n. 99 del 2017, come convertito, al fine di consentire l’ordinato svolgimento delle operazioni di fuoriuscita dal mercato delle banche sottoposte a liquidazione coatta amministrativa ed evitare un grave turbamento dell’economia nella loro area di operatività, aveva quindi dettato la disciplina dell’avvio e dello svolgimento delle procedure, nonché le modalità e le condizioni delle misure a sostegno delle banche coinvolte in conformità con la disciplina europea in materia di aiuti di Stato, ai sensi dell’art. 107 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea.

3.1.– Il Tribunale di Firenze evidenzia che le individuate finalità sono state perseguite imponendo ai commissari liquidatori di cedere l’azienda, suoi singoli rami, nonché beni, diritti e rapporti giuridici individuabili in blocco, ovvero attività e passività, anche parziali o per una quota di ciascuna di esse, di uno dei soggetti in liquidazione o di entrambi, a Intesa Sanpaolo spa, individuata, ai sensi del comma 3 dell’art. 3 del d.l. n. 99 del 2017, come convertito, sulla base di trattative svolte prima dell’entrata in vigore del medesimo decreto-legge, che ne ha poi integralmente recepito il contenuto. In particolare, l’art. 3, comma 1, del d.l. n. 99 del 2017, come convertito, ha previsto che restano in ogni caso esclusi dalla cessione, anche in deroga all’art. 2741 cod. civ.:

– le passività indicate all’art. 52, comma 1, lettera a), punti i), ii), iii) e iv), del decreto legislativo 16 novembre 2015, n. 180, recante «Attuazione della direttiva 2014/59/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 15 maggio 2014, che istituisce un quadro di risanamento e risoluzione degli enti creditizi e delle imprese di investimento e che modifica la direttiva 82/891/CEE del Consiglio, e le direttive 2001/24/CE, 2002/47/CE, 2004/25/CE, 2005/56/CE, 2007/36/CE, 2011/35/UE, 2012/30/UE e 2013/36/UE e i regolamenti (UE) n. 1093/2010 e (UE) n. 648/2012, del Parlamento europeo e del Consiglio»;

– i debiti delle banche nei confronti dei propri azionisti e obbligazionisti subordinati derivanti dalle operazioni di commercializzazione di azioni o obbligazioni subordinate delle banche o dalle violazioni della normativa sulla prestazione dei servizi di investimento riferite alle medesime azioni o obbligazioni subordinate;

– le controversie relative ad atti o fatti occorsi prima della cessione, sorte successivamente ad essa, e le relative passività.

3.2.– L’ordinanza di rimessione sostiene, quindi, che in tal modo la cessionaria Intesa Sanpaolo spa avrebbe acquisito a un prezzo simbolico Banca Popolare di Vicenza spa e Veneto Banca spa, depurate da ogni criticità e compreso il loro avviamento, ricevendo la somma di euro 4,785 miliardi circa a titolo di aiuti provenienti dagli stessi soggetti sottoposti a liquidazione.

3.3.– Tanto premesso, il Tribunale di Firenze dubita, innanzitutto, della legittimità costituzionale dell’art. 4, commi 1, lettere b) e d), e 3, e dell’art. 6 del d.l. n. 99 del 2017, come convertito, in riferimento agli artt. 2, 3, 23, 41, 42, 45 e 47 Cost., nonché all’art. 1 Prot. addiz. CEDU e all’art. 17 CDFUE.

Il giudice rimettente ravvisa l’irragionevolezza delle norme indicate e l’eccesso di potere legislativo, in quanto l’aiuto di Stato affiancato alla procedura di liquidazione coatta amministrativa avrebbe dovuto gravare sulla generalità dei cittadini e non su una categoria ristretta di soggetti, il cui risparmio risulterebbe integralmente annullato.

L’ordinanza lamenta, ancora, la «violazione della normativa europea sugli aiuti di Stato» e l’eccesso di potere legislativo, perché i risparmi degli azionisti e dei creditori subordinati delle due Banche sarebbero rimasti nelle liquidazioni non per assorbire le perdite nella massima misura necessaria, ma allo scopo di trasferirli alla cessionaria Intesa Sanpaolo spa sotto la voce fittizia di «aiuti di Stato».

Il sostanziale azzeramento del capitale azionario e delle obbligazioni subordinate, per effetto del trasferimento a Intesa Sanpaolo spa, si risolverebbe altresì in una espropriazione, senza indennizzo, a favore di un soggetto privato per l’esclusivo interesse dello stesso, non prevedendo l’art. 6 del d.l. n. 99 del 2017, come convertito, alcuna possibilità di ristoro per gli azionisti, con violazione dell’art. 42 Cost., dell’art. 1 Prot. addiz. CEDU e dell’art. 17 CDFUE.

L’aiuto di Stato realizzato mediante l’annullamento del capitale azionario e delle obbligazioni subordinate delle due Banche sarebbe inoltre lesivo degli artt. 45 e 47 Cost., che tutelano la cooperazione e il risparmio, atteso che il costo della crisi aziendale è stato fatto ricadere in primo luogo sugli azionisti e sui detentori di obbligazioni subordinate delle due Banche, i cui diritti sono stati mantenuti nella liquidazione e potranno essere soddisfatti solo nell’eventualità in cui lo Stato recuperi integralmente quanto versato a supporto dell’intervento e siano stati soddisfatti gli altri creditori.

È quindi dedotta la violazione dell’art. 23 Cost., essendo imposta agli azionisti e obbligazionisti subordinati una prestazione patrimoniale nell’interesse privato di una società con fini di lucro, nonché degli artt. 3, 41 e 45 Cost. per disparità di trattamento tra gli azionisti delle banche poste in liquidazione coatta amministrativa, i cui diritti sono regolati dalla legge n. 121 del 2017, di conversione del d.l. n. 99 del 2017, e quelli di altre banche, in particolare del Monte dei Paschi di Siena (da ora, anche: MPS) che è stato ricapitalizzato «salvando gli azionisti».

3.4.– Il Tribunale di Firenze solleva poi questione di legittimità costituzionale del d.l. n. 99 del 2017, come convertito, «nella sua interezza», atteso che esso recepisce la proposta vincolante di acquisto delle due Banche presentata da Intesa Sanpaolo spa, della quale è parte integrante la concessione dell’«aiuto di stato» per l’importo di euro 4,785 miliardi. Ne conseguirebbe, secondo il rimettente, «la caducazione del decreto-legge nella sua interezza, in modo che il governo possa nuovamente valutare la soluzione più conforme all’interesse pubblico perseguito».

3.5.– Da ultimo, il rimettente dubita della legittimità costituzionale dell’art. 3, comma 1, lettere a), b) e c), del d.l. n. 99 del 2017, come convertito, e cioè delle disposizioni che escludono espressamente dalla cessione:

– le passività indicate all’art. 52, comma 1, lettera a), punti i), ii), iii) e iv), del d.lgs. n. 180 del 2015 (lettera a);

– i debiti delle banche nei confronti dei propri azionisti e obbligazionisti subordinati derivanti dalle operazioni di commercializzazione di azioni o obbligazioni subordinate delle banche o dalle violazioni della normativa sulla prestazione dei servizi di investimento riferite alle medesime azioni o obbligazioni subordinate (lettera b);

– le controversie relative ad atti o fatti occorsi prima della cessione, sorte successivamente ad essa, e le relative passività (lettera c).

Tali disposizioni, ad avviso del Tribunale di Firenze, sarebbero costituzionalmente illegittime per eccesso di potere legislativo e per violazione degli artt. 3, 24, 42, 45, 47 e 111, primo comma, Cost.

Verrebbe violata la parità di trattamento tra i creditori, restando sacrificati quelli individuati dalle norme censurate, mentre sarebbero assimilati i creditori di cui alle indicate lettere a) e b), «pur essendo radicalmente diversa la situazione di chi ha effettuato un investimento con la consapevolezza di assumere determinati rischi e quella invece di chi vanta un credito nascente dalla illegittimità nella specie del comportamento della Banca».

Secondo il giudice a quo, se è vero che «i rischi di una crisi bancaria dovrebbero ricadere su creditori che hanno assunto consapevolmente il rischio», questa argomentazione non avrebbe potuto essere utilizzata proprio «nei confronti dei creditori di cui alla lettera b), il cui investimento in azioni e obbligazioni subordinate è stato effettuato sulla base di informazioni non corrette da parte delle rispettive banche o subordinando la concessione di mutui al loro acquisto, con violazione in generale della normativa sulla prestazione dei servizi di investimento come nel caso di specie».

L’ordinanza di rimessione osserva che il decreto-legge in esame non contiene alcuna motivazione sulla disparità di trattamento cui sono assoggettati i debiti delle banche esclusi dalla cessione, a fronte dell’intenzione, dichiarata nella relazione del Governo al disegno di legge di conversione, di dare tutela, senza distinzione alcuna, ai creditori chirografari.

La disparità di trattamento nella tutela dei correntisti violerebbe anche l’art. 47 Cost., per l’eccezione creata in danno dei creditori di cui alla lettera b) dell’art. 3, comma 1, del d.l. n. 99 del 2017, come convertito.

Ad avviso del rimettente, infatti, posto che l’attore, nel giudizio a quo, ha promosso una causa per far valere la nullità del contratto quadro e dell’ordine di acquisto delle azioni di Banca Popolare di Vicenza spa, l’accoglimento di tale domanda dovrebbe determinare l’invalidità delle operazioni contestate, con conseguente riaccredito sul suo conto corrente di un importo pari a quello indebitamente prelevato per il corrispettivo delle azioni.

Tuttavia, poiché la lettera b) del censurato art. 3, comma 1, esclude dalla cessione i debiti della banca cedente derivanti dalla nullità delle operazioni di commercializzazione delle azioni e obbligazioni subordinate, si creerebbe una palese discriminazione tra questi rapporti di conto corrente, cui di fatto sarebbe negata ogni tutela, e la tutela di tutti gli altri depositi derivante dalla cessione dei relativi rapporti a Intesa Sanpaolo spa.

Il Tribunale estende le sue doglianze agli effetti che l’esclusione dalla cessione implicata dal «combinato disposto di cui alla lettera b) e alla lettera c)» dell’art. 3, comma 1, comporterebbe per le cosiddette «operazioni baciate», in quanto in tali casi il credito per il rimborso del finanziamento contratto per l’acquisto delle azioni si trasmette in capo alla cessionaria Intesa Sanpaolo spa, mentre il debito nei confronti dell’azionista rimane in capo alla cedente, anche se i due rapporti sono tra loro indissolubilmente connessi.

Il giudice a quo deduce infine la violazione del principio di eguaglianza e del diritto di difesa, ai sensi degli artt. 3 e 24 Cost. e dell’art. 47 CDFUE, giacché la mancata cessione a Intesa Sanpaolo spa dei debiti derivanti dalle operazioni di commercializzazione delle azioni e obbligazioni subordinate comporterebbe che ogni azione giudiziaria degli azionisti e degli obbligazionisti potrebbe essere intrapresa solo nei confronti della società posta in liquidazione coatta amministrativa.

4.– Intesa Sanpaolo spa si è costituita in giudizio e ha chiesto di dichiarare inammissibili, o, in subordine, non fondate, le sollevate questioni di legittimità costituzionale.

4.1.– La difesa di Intesa Sanpaolo spa deduce l’inammissibilità di tutte le censure per plurimi motivi.

Innanzitutto, per l’insufficiente descrizione della fattispecie oggetto del giudizio principale e, dunque, per difetto di motivazione sulla rilevanza, non avendo il Tribunale di Firenze argomentato circa la fondatezza delle allegate violazioni delle norme sulla commercializzazione dei titoli di credito, né specificato la natura e la portata delle pretese attoree.

Ulteriore ragione di inammissibilità discenderebbe dall’ambigua determinazione dell’oggetto delle questioni di legittimità costituzionale, indicato anche in maniera ancipite nel petitum, avendo il rimettente chiesto la declaratoria di illegittimità costituzionale «della legge di conversione del decreto-legge nella sua interezza», ovvero di alcune disposizioni di esso, senza nemmeno porre in rapporto di subordinazione le due domande, né chiarire se la mancata cessione dei rapporti azionari od obbligatori alla cessionaria sia dovuta all’intero decreto o a specifiche sue previsioni. Sarebbe, inoltre, inammissibile la questione di legittimità costituzionale riferita genericamente all’intero testo normativo.

Intesa Sanpaolo spa sottolinea anche gli errori nella illustrazione del contenuto delle disposizioni del d.l. n. 99 del 2017, come convertito, in cui sarebbe incorso il giudice a quo.

Altri profili di inammissibilità discenderebbero dalle oscurità nell’individuazione dei parametri di legittimità costituzionale e dal difetto di motivazione delle censure, meramente postulate senza adeguata indicazione delle ragioni di ritenuto contrasto con i medesimi parametri.

Mancherebbe del tutto l’analisi del quadro di diritto dell’Unione europea inerente alla disciplina degli aiuti di Stato nel settore dei servizi finanziari, cui l’ordinanza di rimessione fa comunque riferimento quale fondamento delle sollevate censure.

4.2.– La difesa di Intesa Sanpaolo spa sostiene, altrimenti, che le censure sarebbero tutte non fondate.

Si sottolinea che, a differenza di quanto prospettato dal Tribunale di Firenze, il beneficiario dell’aiuto di Stato è da individuare negli asset aziendali oggetto di vendita o, per meglio dire, nell’“Insieme Aggregato” di rapporti e beni ceduti e non nel cessionario, come si evince dalla decisione 25 giugno 2017 C (2017) 4501 della Commissione europea, che ha autorizzato e disciplinato l’aiuto di Stato relativo alla vicenda in esame.

Quanto alla posizione degli azionisti e degli obbligazionisti subordinati, era la stessa decisione della Commissione europea, inoltre, a precisare che dovesse trovare applicazione nella vicenda il principio del «burden sharing» degli azionisti e dei creditori subordinati, costantemente applicato dalla Commissione in una serie di decisioni che hanno autorizzato, nel corso degli anni, gli aiuti di Stato concessi da vari Stati membri a imprese bancarie in crisi.

La ragionevolezza di tale principio andrebbe ravvisata nel fatto che i detentori di capitale di rischio o di titoli di credito subordinati non possono vantare un diritto a un intervento attivo da parte dello Stato a salvaguardia di un’attività economica rischiosa e, per contro, non possono pretendere un intervento pubblico a sostegno della propria posizione.

Non sussisterebbe, poi, alcuna violazione del diritto eurounitario in materia di aiuti di Stato, visto che il d.l. n. 99 del 2017, come convertito, dà precisa attuazione allo schema di aiuti oggetto di notificazione e autorizzazione da parte della Commissione europea. Né la prospettata liberazione dei titoli azionari e obbligazionari subordinati costituirebbe in alcun modo la provvista per l’aiuto di Stato concesso, in quanto le passività corrispondenti restano opponibili all’ente in stato di liquidazione coatta amministrativa.

Neppure si sarebbe verificata una espropriazione in danno degli azionisti e dei detentori di titoli obbligazionari subordinati delle Banche venete. Il meccanismo del cosiddetto «burden sharing» non pregiudicherebbe la posizione di fatto e giuridica degli azionisti e creditori interessati, atteso che essi non subiscono perdite superiori a quelle che avrebbero sostenuto se l’ente fosse stato liquidato quando è stata decisa la risoluzione. Con il che resterebbe esclusa anche la ipotizzata violazione degli artt. 45 e 47 Cost.

Il principio di tutela del risparmio non imporrebbe al legislatore un obbligo di tutela attiva di ogni investimento in capitale di rischio, né assicurerebbe al creditore la salvaguardia dai rischi di insolvenza del debitore. D’altro canto, nel caso specifico degli aiuti di Stato alla liquidazione, il rispetto del principio del «burden sharing» richiede necessariamente che le pretese degli azionisti e degli obbligazionisti subordinati siano lasciate in capo alla banca cedente, senza possibilità di un loro trasferimento al cessionario.

Così come dovrebbe escludersi la ravvisata disparità di trattamento tra gli azionisti delle Banche venete e quelli di altri istituti di credito in sofferenza, «in particolare del Monte dei Paschi di Siena», perché quest’ultimo si trovava in stato di ricapitalizzazione precauzionale; intervento, questo, che, quanto alle Banche venete, risultava invece impedito dall’assenza delle condizioni necessarie. Viene infine contestata anche la disparità di trattamento tra i creditori, non essendo azionisti e obbligazionisti subordinati equiparabili ad altre categorie di creditori dell’impresa bancaria.

Intesa Sanpaolo spa sottolinea, da ultimo, che nelle procedure di risoluzione e ristrutturazione degli istituti di credito primeggia l’interesse a «garantire la stabilità del sistema bancario della zona euro nel suo complesso», interesse cui è funzionale la celerità di tali procedure. In questa prospettiva, la possibilità che vi sia incertezza sulla cessione anche solo di una quota parte dei titoli azionari e obbligazionari subordinati metterebbe a rischio l’efficienza del procedimento di ristrutturazione. I crediti cui si riferiscono le questioni di legittimità costituzionale sollevate dal Tribunale di Firenze rappresenterebbero «passività occulte», non iscritte in contabilità e non note al momento della cessione, né prevedibili, e perciò ragionevolmente queste passività non sarebbero comprese dal d.l. n. 99 del 2017, come convertito, nell’Insieme aggregato oggetto di cessione.

5.– Con atto depositato il 13 dicembre 2021, anche Banca Popolare di Vicenza spa in liquidazione coatta amministrativa si è costituita in giudizio, chiedendo di dichiarare inammissibili, o comunque irrilevanti e non fondate, le sollevate questioni di legittimità costituzionale.

6.– Ha depositato atto di intervento nel giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che le questioni sollevate siano dichiarate inammissibili o comunque non fondate.

6.1.– Il Presidente del Consiglio dei ministri deduce l’inammissibilità della questione di legittimità costituzionale riferita al decreto-legge censurato nella sua interezza, posto che questo comprende una serie di disposizioni non collegate con l’oggetto della causa pendente davanti al Tribunale di Firenze e che il giudice a quo non specifica quali siano i vizi di legittimità costituzionale che colpirebbero l’intero testo normativo, né critica la decisione di porre in liquidazione coatta amministrativa le due Banche.

L’ordinanza del Tribunale di Firenze, secondo l’Avvocatura generale, non conterrebbe una motivazione idonea a conseguire una ipotetica pronuncia di illegittimità costituzionale del d.l. n. 99 del 2017, limitandosi a prefigurarne gli effetti.

Emergerebbe poi l’irrilevanza della questione di legittimità costituzionale riferita all’art. 4, comma 1, del d.l. n. 99 del 2017, come convertito, nella parte in cui prevede l’erogazione dell’aiuto di Stato e la liquidazione coatta amministrativa delle due Banche, giacché il giudizio principale ha ad oggetto esclusivamente una richiesta di nullità e di risarcimento per cosiddetto «misselling» di strumenti di investimento, e dunque non riguarda l’azzeramento o meno del valore delle azioni Banca Popolare di Vicenza a titolo di «burden sharing». La questione sarebbe comunque non fondata, in quanto la concessione degli aiuti di Stato a banche in crisi presuppone inderogabilmente il previo azzeramento delle azioni e delle obbligazioni subordinate.

6.2.– L’interesse degli azionisti e obbligazionisti subordinati può trovare tutela soltanto all’interno dei procedimenti codificati di soluzione delle crisi bancarie, a carico della liquidazione del soggetto insolvente, senza che, peraltro, sia loro riservato un trattamento deteriore rispetto a quello che avrebbero ricevuto nel caso di liquidazione della banca senza continuità o trasferimento dell’azienda.

Poiché l’assoggettabilità dei diritti degli azionisti delle banche alle misure di «condivisione degli oneri» configura un limite intrinseco di tali diritti, e non una loro ablazione nell’interesse pubblico, risulterebbe smentito, ad avviso dell’Avvocatura, ogni dubbio di legittimità costituzionale del quadro normativo in esame rispetto sia all’art. 42 Cost., sia alla normativa europea sugli aiuti di Stato, sia alla normativa CEDU a tutela della proprietà, sia, infine, al principio della tutela del risparmio di cui all’art. 47 Cost.

L’Avvocatura rileva, ancora, che l’art. 3, comma 1, lettere a), b), e c), del d.l. n. 99 del 2017, come convertito, non fa che specificare il principio generale enunciato dall’art. 2560 cod. civ. per i debiti relativi all’azienda ceduta, non chiarendo l’ordinanza di rimessione, del resto, se i debiti restitutori e risarcitori oggetto del giudizio a quo risultassero dai libri contabili della cedente al momento della cessione, sicché dovesse risponderne anche la cessionaria.

Non avrebbe inoltre rilevanza la questione posta in relazione alla lettera a) dell’art. 3, comma 1, citato, che rinvia all’art. 52, comma 1, lettera a) punti i), ii), iii) e iv) del d.lgs. n. 180 del 2015, atteso che nella causa principale si discute del rimborso o del risarcimento del prezzo di azioni ordinarie, e non del loro trasferimento o meno, come passività, dal patrimonio di vigilanza della cedente a quello della cessionaria, non avendo la normativa in esame contemplato una successione universale di Intesa Sanpaolo spa a Banca Popolare di Vicenza spa.

Manifestamente infondate sarebbero altresì le questioni di legittimità costituzionale poste con riguardo alle lettere b) e c) dell’art. 3, comma 1, citato, in quanto il d.l. n. 99 del 2017 non ha affatto annullato i crediti restitutori e risarcitori degli azionisti della Banca Popolare di Vicenza spa conseguenti alle operazioni di acquisto di azioni, ma li ha lasciati in capo alla cedente e ha escluso il subentro in essi, nella qualità di debitrice, della cessionaria dell’azienda.

D’altra parte, avverte l’Avvocatura, l’acquisto di azioni costituisce pur sempre una scelta di investimento che implica l’assunzione di un rischio nella sua massima intensità, perché comporta la piena e incondizionata condivisione del rischio di impresa della società emittente le azioni.

Sarebbe, da ultimo, inammissibile il profilo di censura basato dal giudice a quo sulle ipotesi denominate in gergo «operazioni baciate», vale a dire operazioni in cui l’acquisto di azioni della banca viene contemplato come condizione più o meno vincolante per la concessione da parte della banca stessa di un finanziamento al cliente che le acquista. Il Tribunale di Firenze non avrebbe chiarito nell’ordinanza di rimessione se nella causa principale si discutesse di un acquisto di azioni avvenuto nel quadro di una simile operazione o se, al contrario, l’acquisto delle azioni non fosse in nessun modo collegato alla concessione di un finanziamento all’attore.

La questione apparirebbe comunque non fondata, poiché il finanziamento concesso in correlazione all’acquisto di azioni della stessa banca finanziatrice avviene a condizioni più vantaggiose per il cliente rispetto ai finanziamenti non correlati con tali acquisti e sarebbe perciò ragionevole che i crediti per tali finanziamenti si trasferiscano alla banca cessionaria al pari di tutti gli altri, e che invece a questa non si trasferiscano gli eventuali debiti restitutori o risarcitori connessi all’acquisto e al successivo deprezzamento delle azioni.

7.– La Banca d’Italia ha depositato opinione scritta ex art. 4-ter delle Norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale, vigente ratione temporis.

L’opinione, ammessa con decreto presidenziale del 6 luglio 2022, offre elementi utili alla conoscenza e alla valutazione del caso, anche in ragione della sua complessità, e si sofferma sui profili affrontati dall’ordinanza di rimessione.

7.1.– L’opinione della Banca d’Italia osserva:

a) quanto alla ragionevolezza e all’opportunità dell’intervento realizzato con il decreto, che la scelta del Governo italiano di affiancare un aiuto di Stato alla procedura di liquidazione coatta era giustificata dall’esigenza di consentire l’individuazione di un acquirente del «complesso sano» delle due Banche ed evitare così la liquidazione “atomistica” delle stesse, che avrebbe comportato costi molto più elevati anche per azionisti e creditori subordinati;

b) quanto alla violazione della normativa europea sugli aiuti di stato, che il Governo ha erogato a Intesa Sanpaolo spa, selezionata come cessionaria delle due Banche, un sostegno finanziario, con iniezione di liquidità e concessione di garanzie statali, approvato dalla stessa Commissione UE;

c) quanto alla violazione del principio di legalità e delle norme a tutela del diritto di proprietà, per la natura sostanzialmente espropriativa della misura di «burden sharing» a carico degli azionisti e creditori subordinati prevista dal decreto-legge censurato, che ricorrevano interessi generali e della collettività legittimanti un simile intervento;

d) quanto al trattamento deteriore subito dagli azionisti delle due Banche rispetto agli azionisti di Monte dei Paschi di Siena (oggetto di una ricapitalizzazione precauzionale da parte dello Stato italiano), che la situazione patrimoniale in cui versavano le due Banche – le quali, a differenza di MPS, erano state dichiarate in dissesto o a rischio dissesto – ha impedito il ricorso agli strumenti utilizzati per la gestione di MPS e che comunque anche a questa vennero applicate misure di «burden sharing»;

e) quanto al mancato trasferimento a Intesa Sanpaolo spa degli azionisti e creditori subordinati delle due Banche in dissesto, esso si giustificava in forza della regola del «burden sharing»;

f) quanto al mancato trasferimento dei debiti per risarcimento del misselling, che tali pretese risarcitorie sono relative a diritti di azionisti e obbligazionisti subordinati che sono stati azzerati, in ossequio sempre al principio del «burden sharing», come sarebbe avvenuto in una ordinaria LCA, e che sarebbe perciò non pertinente il richiamo all’art. 2741 cod. civ., essendo la diversità di trattamento dei creditori chirografari giustificata nelle procedure di gestione della crisi;

g) quanto al mancato trasferimento a Intesa Sanpaolo spa delle controversie nei confronti delle due Banche venete sorte successivamente al momento della dichiarazione di dissesto, l’effetto sarebbe analogo a ciò che accade in sede di LCA ordinaria;

h) che, in caso di declaratoria di illegittimità costituzionale delle norme concernenti gli aiuti di Stato, pur autorizzati dalla Commissione UE, e delle norme concernenti le esclusioni di alcuni debiti dal perimetro delle passività trasferite, Intesa Sanpaolo spa dovrebbe restituire l’aiuto e potrebbe impugnare il contratto e chiedere i danni, senza peraltro che il giudice a quo possa includervi il rapporto controverso, perché ciò imporrebbe una modifica consensuale delle condizioni di contratto. Si prospettano anche gli effetti a cascata che si avrebbero in caso di estinzione del contratto di cessione.

8.– Intesa Sanpaolo spa ha depositato memoria illustrativa in data 13 settembre 2022, ribadendo le considerazioni svolte nell’atto di costituzione in punto di inammissibilità o di manifesta infondatezza delle questioni sollevate e ponendovi a corredo il richiamo di numerose pronunce giurisprudenziali di merito.

Anche la Banca Popolare di Vicenza spa ha depositato in pari data memoria illustrativa, ribadendo le ragioni di inammissibilità o non fondatezza delle questioni di legittimità costituzionale.

Considerato in diritto

1.– Con ordinanza del 20 luglio 2021, iscritta al n. 179 del registro ordinanze 2021, il Tribunale ordinario di Firenze ha sollevato questioni di legittimità costituzionale dell’intero testo del d.l. n. 99 del 2017, convertito, con modificazioni, nella legge n. 121 del 2017, nonché dei suoi artt. 2, commi 1, lettera c), e 2; 3, commi 1, lettere a), b) e c), 2, 3 e 4; 4, commi 1, lettere b) e d), 3, 4 e 5; e 6, nella parte in cui non prevede la possibilità di ristoro anche per gli azionisti, del medesimo decreto-legge (così il dispositivo dell’ordinanza di rimessione).

Dalla motivazione dell’ordinanza, secondo quanto agevolmente emerge dai capi di essa, si ricava tuttavia che censure specifiche sono rivolte nei confronti:

a) dell’art. 4, commi 1, lettere b) e d), e 3, e dell’art. 6 del d.l. n. 99 del 2017, come convertito, in riferimento agli artt. 2, 3, 23, 41, 42, 45, 47 della Costituzione, nonché all’art. 1 Prot. addiz. CEDU e all’art. 17 CDFUE;

b) del d.l. n. 99 del 2017, come convertito, nella sua interezza;

c) dell’art. 3, comma 1, lettere a), b) e c), del d.l. n. 99 del 2017, come convertito, in riferimento agli artt. 3, 24, 42, 45, 47 e 111, primo comma, Cost. e all’art. 47 CDFUE.

2.– Le questioni di legittimità costituzionale sono state sollevate nel corso di un giudizio civile introdotto nei confronti di Intesa Sanpaolo spa per sentir dichiarare l’invalidità o l’inefficacia delle operazioni di acquisto di azioni emesse da Banca Popolare di Vicenza spa, per violazione degli obblighi informativi e per la mancata verifica di adeguatezza delle operazioni, nonché per sentirla condannare al risarcimento dei danni. In tale giudizio la convenuta ha eccepito il proprio difetto di legittimazione passiva.

3.– Il giudice a quo premette che il d.l. n. 99 del 2017, come convertito, è stato adottato a seguito delle decisioni della Banca centrale europea e del Comitato di risoluzione unico, e della determinazione della Banca d’Italia, la quale aveva ravvisato la necessità di avviare la procedura di liquidazione coatta amministrativa nei confronti di Banca Popolare di Vicenza spa e di Veneto Banca spa. Alla luce di ciò, lo stesso decreto-legge, al fine di consentire l’ordinato svolgimento delle operazioni di fuoriuscita dal mercato delle banche sottoposte a liquidazione coatta amministrativa ed evitare un grave turbamento dell’economia nella loro area di operatività, ha dettato la disciplina dell’avvio e dello svolgimento delle procedure, nonché le modalità e le condizioni delle misure a sostegno delle banche in conformità con la disciplina europea in materia di aiuti di Stato, ai sensi dell’art. 107 TFUE.

3.1.– Tanto premesso, il Tribunale di Firenze evidenzia che le individuate finalità sono state perseguite imponendo ai commissari liquidatori di cedere l’azienda, suoi singoli rami, nonché beni, diritti e rapporti giuridici individuabili in blocco, ovvero attività e passività, anche parziali o per una quota di ciascuna di esse, di uno dei soggetti in liquidazione o di entrambi, a Intesa Sanpaolo spa, individuata, ai sensi del comma 3 dell’art. 3 del d.l. n. 99 del 2017, come convertito, sulla base di trattative svolte prima dell’entrata in vigore del medesimo decreto, che ne aveva poi integralmente recepito il contenuto.

In particolare, il citato art. 3, al comma 1, prevede che restano in ogni caso esclusi dalla cessione, anche in deroga all’art. 2741 cod. civ.:

– le passività indicate all’art. 52, comma 1, lettera a), punti i), ii), iii) e iv), del d.lgs. n. 180 del 2015 (lettera a);

– i debiti delle banche nei confronti dei propri azionisti e obbligazionisti subordinati derivanti dalle operazioni di commercializzazione di azioni o obbligazioni subordinate delle banche o dalle violazioni della normativa sulla prestazione dei servizi di investimento riferite alle medesime azioni o obbligazioni subordinate (lettera b);

– le controversie relative ad atti o fatti occorsi prima della cessione, sorte successivamente ad essa, e le relative passività (lettera c).

3.2.– L’ordinanza di rimessione osserva che in tal modo la cessionaria Intesa Sanpaolo spa avrebbe acquisito ad un prezzo simbolico Banca Popolare di Vicenza spa e Veneto Banca spa, depurate da ogni criticità e compreso il loro avviamento, ricevendo la somma di euro 4,785 miliardi circa a titolo di aiuti provenienti dagli stessi soggetti sottoposti a liquidazione.

3.3.– Le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 4, commi 1, lettere b) e d), e 3, nonché dell’art. 6 del d.l. n. 99 del 2017, come convertito, sono poste dal Tribunale di Firenze denunciando il contrasto con gli artt. 2, 3, 23, 41, 42, 45 e 47 Cost., nonché con l’art. 1 Prot. addiz. CEDU e con l’art. 17 CDFUE.

Il rimettente ravvisa l’irragionevolezza delle norme indicate e l’eccesso di potere legislativo, in quanto l’aiuto di Stato affiancato alla procedura di liquidazione coatta amministrativa avrebbe dovuto gravare sulla generalità dei cittadini e non su una categoria ristretta di soggetti, quali gli azionisti e gli obbligazionisti subordinati, il cui risparmio risulta integralmente annullato.

L’ordinanza lamenta, ancora, la «violazione della normativa europea sugli aiuti di Stato» e l’eccesso di potere legislativo, perché i risparmi degli azionisti e dei creditori subordinati delle due banche sono rimasti nelle liquidazioni non per assorbire le perdite nella massima misura necessaria, ma allo scopo di trasferirli alla cessionaria Intesa Sanpaolo spa sotto la voce fittizia di «aiuti di Stato».

Il sostanziale azzeramento del capitale azionario e delle obbligazioni subordinate si risolverebbe altresì in una espropriazione, senza indennizzo, a favore di un soggetto privato per l’esclusivo interesse dello stesso, non prevedendo l’art. 6 del d.l. n. 99 del 2017, come convertito, alcuna possibilità di ristoro per gli azionisti, con violazione dell’art. 42 Cost., dell’art. 1 Prot. addiz. CEDU e dell’art. 17 CDFUE.

L’aiuto di Stato realizzato mediante l’annullamento del capitale azionario e delle obbligazioni subordinate delle due Banche sarebbe inoltre lesivo degli artt. 45 e 47 Cost., che tutelano la cooperazione e il risparmio, in quanto il costo della crisi aziendale sarebbe stato fatto ricadere in primo luogo sugli azionisti e sui detentori di obbligazioni subordinate delle due Banche, i cui diritti sono stati mantenuti nella liquidazione e potranno essere soddisfatti solo nell’eventualità in cui lo Stato recuperi integralmente quanto versato a supporto dell’intervento e siano stati soddisfatti gli altri creditori.

È poi dedotta la violazione dell’art. 23 Cost., essendo imposta agli azionisti e obbligazionisti subordinati una prestazione patrimoniale nell’interesse privato di una società con fini di lucro, e degli artt. 3, 41 e 45 Cost., lamentandosi la disparità di trattamento tra gli azionisti delle due Banche poste in liquidazione coatta amministrativa, i cui diritti sono regolati dalla legge n. 121 del 2017, di conversione del d.l. n. 99 del 2017, e quelli di altre banche, in particolare del Monte dei Paschi di Siena, che è stato ricapitalizzato «salvando gli azionisti».

3.4.– Il Tribunale di Firenze solleva inoltre questione di legittimità costituzionale del d.l. n. 99 del 2017, come convertito, «nella sua interezza», atteso che esso recepisce la proposta vincolante di acquisto delle due Banche presentata da Intesa Sanpaolo spa, della quale è parte integrante la concessione dell’«aiuto di Stato» per l’importo di euro 4,785 miliardi. Accertata la illegittimità costituzionale del decreto, ne conseguirebbe, ad avviso del rimettente, «la caducazione del decreto-legge nella sua interezza, in modo che il governo possa nuovamente valutare la soluzione più conforme all’interesse pubblico perseguito».

3.5.– Da ultimo sono illustrate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 3, comma 1, lettere a), b) e c), del d.l. n. 99 del 2017, come convertito.

Si ha riguardo alla disciplina delle passività, dei debiti e delle controversie che non rientrano nella cessione. Queste disposizioni sarebbero, ad avviso del Tribunale di Firenze, costituzionalmente illegittime per eccesso di potere legislativo e per violazione degli artt. 3, 24, 42, 45, 47 e 111, primo comma, Cost.

Verrebbe violata la parità di trattamento tra i creditori, restando sacrificati quelli individuati dalle norme censurate, mentre sarebbero assimilati i creditori di cui alle lettere a) e b) del censurato art. 3, comma 1, «pur essendo radicalmente diversa la situazione di chi ha effettuato un investimento con la consapevolezza di assumere determinati rischi e quella invece di chi vanta un credito nascente dalla illegittimità nella specie del comportamento della Banca».

L’ordinanza di rimessione osserva che non vi sarebbe alcuna motivazione del diverso trattamento cui sono assoggettati i debiti delle banche esclusi dalla cessione. La disparità di trattamento nella tutela dei correntisti violerebbe pure l’art. 47 Cost., per l’eccezione creata in danno dei creditori di cui alla lettera b) dell’art. 3, comma 1, del d.l. n. 99 del 2017, come convertito.

Viene infine dedotta la violazione del principio di eguaglianza e del diritto di difesa ai sensi degli artt. 3 e 24 Cost. e dell’art. 47 CDFUE, giacché la mancata cessione a Intesa Sanpaolo spa dei debiti derivanti dalle operazioni di commercializzazione delle azioni e obbligazioni subordinate comporterebbe che ogni azione giudiziaria degli azionisti e degli obbligazionisti possa essere intrapresa solo nei confronti della società posta in liquidazione coatta amministrativa. In tal modo, nelle cosiddette «operazioni baciate», nelle quali cioè l’acquisto delle azioni è finanziato dalla stessa emittente, il credito per il rimborso del finanziamento contratto per l’acquisto delle azioni rimarrebbe in capo alla cessionaria Intesa Sanpaolo, mentre il debito nei confronti dell’azionista resterebbe in capo alla cedente, anche se i due rapporti sono tra loro indissolubilmente connessi.

4.– Intesa Sanpaolo spa, Banca popolare di Vicenza spa in LCA e il Presidente del Consiglio dei ministri, rispettivamente costituite e intervenuto in giudizio, hanno formulato numerose eccezioni di inammissibilità delle ora ricordate questioni.

4.1.– Appare opportuno premettere un chiarimento in ordine alla portata normativa delle disposizioni di legge che maggiormente vengono invocate nell’ordinanza di rimessione, la quale fa riferimento ad una vicenda che ha avuto anche risvolti drammatici per una moltitudine di risparmiatori. Dal preambolo del d.l. n. 99 del 2017, come convertito, si evince, del resto, che l’intervento normativo ha avuto riguardo alle gravi ripercussioni di rilievo sociale ed economico per persone, famiglie e imprese, derivanti dalla sottoposizione a liquidazione coatta amministrativa di Banca Popolare di Vicenza spa e Veneto Banca spa, ravvisate in termini di perdite per i creditori non professionali chirografari e di cessazione dei rapporti di affidamento creditizio.

4.2.– Il d.l. n. 99 del 2017, come convertito, all’art. 1 (Ambito di applicazione), comma 1, specifica che il decreto «disciplina l’avvio e lo svolgimento della liquidazione coatta amministrativa di Banca Popolare di Vicenza spa e di Veneto Banca spa […] nonché le modalità e le condizioni delle misure a sostegno di queste ultime in conformità con la disciplina europea in materia di aiuti di Stato […]». Ai sensi dell’art. 2 (Liquidazione coatta amministrativa), comma 1, lettera c), i commissari liquidatori dovevano procedere alla cessione di cui all’art. 3 in conformità all’offerta vincolante formulata dal cessionario selezionato ai sensi dell’art. 3, comma 3, ovvero «anche sulla base di trattative a livello individuale, nell’ambito di una procedura, anche se svolta prima dell’entrata in vigore del presente decreto, aperta, concorrenziale, non discriminatoria di selezione dell’offerta di acquisto più conveniente, nonché avendo riguardo agli impegni che esso dovrà assumersi ai fini del rispetto della disciplina europea sugli aiuti di Stato». L’art. 3 (Cessioni) del citato decreto-legge, al comma 1, stabilisce che i commissari liquidatori provvedano a cedere al soggetto individuato «l’azienda, suoi singoli rami, nonché beni, diritti e rapporti giuridici individuabili in blocco, ovvero attività e passività, anche parziali o per una quota di ciascuna di esse, di uno dei soggetti in liquidazione o di entrambi». Si aggiunge, tuttavia, che «[a]lla cessione non si applica quanto previsto ai sensi degli articoli 58, commi 1, 2, 4, 5, 6 e 7, salvo per quanto espressamente richiamato nel presente decreto, e 90, comma 2, del Testo unico bancario». L’ultima parte del medesimo comma 1 dell’art. 3 precisa, peraltro, che «[r]estano in ogni caso esclusi dalla cessione anche in deroga all’articolo 2741 cod. civ.: a) le passività indicate all’articolo 52, comma 1, lettera a), punti i), ii), iii) e iv), del decreto legislativo 16 novembre 2015, n. 180; b) i debiti delle Banche nei confronti dei propri azionisti e obbligazionisti subordinati derivanti dalle operazioni di commercializzazione di azioni o obbligazioni subordinate delle Banche o dalle violazioni della normativa sulla prestazione dei servizi di investimento riferite alle medesime azioni o obbligazioni subordinate, ivi compresi i debiti in detti ambiti verso i soggetti destinatari di offerte di transazione presentate dalle banche stesse; c) le controversie relative ad atti o fatti occorsi prima della cessione, sorte successivamente ad essa, e le relative passività». Il comma 2 dell’art. 3 chiarisce, fra l’altro, che «[i]l cessionario risponde solo dei debiti ricompresi nel perimetro della cessione ai sensi del comma 1». Gli artt. 4 e 6 del decreto-legge recano poi, rispettivamente, la disciplina degli «[i]nterventi dello Stato» e delle «[m]isure di ristoro» in favore degli investitori che «detenevano strumenti finanziari di debito subordinato emessi dalle Banche e acquistati nell’ambito di un rapporto negoziale diretto con le medesime Banche emittenti» (art. 6, comma 1).

5.– Il d.l. n. 99 del 2017, come convertito, per quanto emerge dal suo stesso preambolo, era dunque volto ad attuare una manovra di «salvataggio pubblico» di Banca Popolare di Vicenza spa e di Veneto Banca spa, sottoposte a liquidazione coatta amministrativa sul presupposto della sussistenza del «dissesto o rischio di dissesto», come accertato dalla Banca centrale europea, ai sensi dell’art. 32, paragrafo 1, lettera a), della direttiva 2014/59/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 15 maggio 2014, relativa all’istituzione di un quadro di risanamento e risoluzione degli enti creditizi e delle imprese di investimento. Il Comitato di risoluzione unico aveva escluso che vi fossero i requisiti per una risoluzione secondo la medesima direttiva europea, ai sensi del regolamento n. 806/2014/UE, che fissa le norme e la procedura uniformi per la risoluzione degli enti creditizi e di talune imprese di investimento nel quadro del meccanismo di risoluzione unico e del Fondo di risoluzione unico, sicché avrebbe dovuto avviarsi nei confronti di Banca Popolare di Vicenza spa e di Veneto Banca spa la procedura di liquidazione coatta amministrativa in conformità al diritto nazionale. In particolare, il Governo ha ritenuto che, in assenza di misure pubbliche di sostegno, la sottoposizione delle due Banche a liquidazione coatta amministrativa avrebbe comportato la distruzione del valore delle aziende bancarie coinvolte, con conseguenti gravi perdite per i creditori non professionali chirografari, che non sono protetti né preferiti, e avrebbe determinato una improvvisa cessazione dei rapporti di affidamento creditizio per imprese e famiglie, con conseguenti forti ripercussioni negative sul tessuto produttivo e di carattere sociale, nonché occupazionali. Esigenze, queste, che rendevano necessaria l’adozione di disposizioni volte a consentire l’ordinato svolgimento delle operazioni di fuoriuscita dal mercato delle banche ed evitare un grave turbamento dell’economia nell’area di operatività delle Banche in questione (così il richiamato preambolo del d.l. n. 99 del 2017).

L’intervento legislativo statale ha così previsto misure pubbliche a sostegno di una gestione ordinata della crisi delle due Banche, nel contesto di una speciale procedura d’insolvenza, mediante «aiuti alla liquidazione», approvati dalla Commissione europea e subordinati alle condizioni da questa indicate nella comunicazione 2013/C – 216/01, che impegnano, tra l’altro, gli azionisti e i creditori subordinati a condividere l’onere dell’operazione e tutelano le capacità operative del terzo che acquisisca un ramo d’azienda.

In particolare, il punto 6.2.3. (Condivisione degli oneri), paragrafo 77, della comunicazione della Commissione europea 2013/C – 216/01, elabora la regola del «burden sharing», secondo cui «[n]el contesto di una liquidazione ordinata, è necessario far in modo di ridurre al minimo il cosiddetto rischio morale, in particolare evitando la concessione di aiuti aggiuntivi a beneficio degli azionisti e dei creditori subordinati».

Il d.l. n. 99 del 2017, come convertito, ha rimesso alle parti delle convenzioni di cessione di determinare le attività e passività cedute, ponendo un divieto di trasferimento di alcune poste. Nella specie, quale conseguenza del limite inderogabile imposto all’autonomia negoziale delle parti degli accordi di trasferimento, il perimetro della cessione ha lasciato fuori sia i debiti delle banche nei confronti dei propri azionisti e obbligazionisti subordinati derivanti dalle operazioni di commercializzazione di azioni o obbligazioni subordinate delle banche, sia i debiti correlati alle violazioni della normativa sulla prestazione dei servizi di investimento riferite alle medesime azioni o obbligazioni subordinate, nonché, in generale, le controversie relative ad atti o fatti occorsi prima della cessione, sorte successivamente ad essa, e le relative passività.

Il legislatore statale ha ravvisato, quale misura di tutela delle capacità operative della cessionaria, che la stessa dovesse restare esonerata anche dalle pretese di terzi e dalle passività collegate a condotte di misselling nella commercializzazione di azioni o obbligazioni subordinate delle due Banche, seppure si trattasse di «atti o fatti» verificatisi prima della cessione, ma non già oggetto di controversia.

6.– Venendo ora all’esame delle questioni sollevate dal Tribunale di Firenze, deve precisarsi che esse sono circoscritte da quanto esposto nella motivazione dell’ordinanza di rimessione. L’indicazione in dispositivo di norme del d.l. n. 99 del 2017, come convertito, per le quali non vi è alcuno sviluppo argomentativo nel testo dell’ordinanza – l’art. 2, commi 1, lettera c), e 2; l’art. 3, commi 2, 3 e 4; l’art. 4, commi 3, 4 e 5 – non dà luogo a questioni scrutinabili nel merito, tanto più per l’omessa evocazione dei parametri costituzionali.

Le relative questioni vanno dunque dichiarate inammissibili per assoluta mancanza di motivazione quanto alla rilevanza e alla non manifesta infondatezza.

7.– Poste tali premesse può ora passarsi all’esame pregiudiziale delle plurime eccezioni di inammissibilità delle questioni di legittimità costituzionale, come individuate nella motivazione dell’ordinanza di rimessione, formulate dalle difese di Intesa Sanpaolo spa e di Banca Popolare di Vicenza spa, nonché dal Presidente del Consiglio dei ministri.

7.1.– È anzitutto fondata l’eccezione d’inammissibilità formulata sul rilievo che il rimettente avrebbe sottoposto a questa Corte una pluralità di questioni di legittimità costituzionale, senza in alcun modo chiarire l’ordine nel quale le stesse dovrebbero essere esaminate e la relazione tra le stesse esistente.

Come visto, il Tribunale di Firenze ha sollevato questioni di legittimità costituzionale con riferimento sia all’art. 4, commi 1, lettere b) e d), e 3, e all’art. 6 del d.l. n. 99 del 2017; sia all’art. 3, comma 1, lettere a), b) e c), del d.l. n. 99 del 2017; sia al medesimo decreto-legge, come convertito, nella sua interezza.

Il rimettente non ha operato alcun tipo di graduazione nella prospettazione delle doglianze.

L’auspicato accoglimento delle questioni di legittimità costituzionale sollevate dal Tribunale di Firenze è finalizzato ad ampliare il «perimetro della cessione», al fine di comprendervi anche la domanda risarcitoria e restitutoria proposta dall’attore nei confronti di Intesa Sanpaolo spa. Il giudice a quo, senza evidenziare alcun nesso di subordinazione logico-giuridica, ha chiesto a questa Corte di scegliere tra i diversi interventi prospettati, e cioè dichiarare costituzionalmente illegittimi l’intero d.l. n. 99 del 2017, ovvero singole norme di esso, secondo un’alternatività irrisolta che impedisce di identificare il verso delle censure, e perciò fornisce una prospettazione ancipite in ordine alla non manifesta infondatezza delle plurime questioni, con la conseguenza che esse sono inammissibili (sentenze n. 136 e n. 66 del 2022, n. 123 del 2021, n. 168 e n. 152 del 2020; ordinanza n. 104 del 2020).

Ove, peraltro, volesse intendersi che il nesso di subordinazione logico-giuridica degli interventi richiesti a questa Corte sia quello evincibile dalla sequenza adoperata nel dispositivo dell’ordinanza di rimessione, le questioni sarebbero comunque inammissibili per le ragioni di seguito indicate.

7.2.– Sono, invero, fondate le eccezioni di inammissibilità delle questioni di legittimità costituzionale che investono il d.l. n. 99 del 2017, come convertito, nella sua interezza.

Il d.l. n. 99 del 2017, come convertito, contiene norme eterogenee rispetto agli ambiti incisi dalle più specifiche censure formulate dal rimettente, quali quelle sulle procedure concorsuali, sulle cessioni, sugli interventi dello Stato, sulla cessione dei crediti deteriorati, sulle misure di ristoro, nonché disposizioni fiscali, finanziarie e di attuazione. Tuttavia, le questioni di legittimità costituzionale sollevate in via incidentale non riguardano tutte le norme contenute nel provvedimento censurato.

Secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, risultano inammissibili le questioni sollevate avverso interi atti legislativi allorquando le leggi impugnate, come nella vicenda in esame, non siano «caratterizzate da normative omogenee e tutte coinvolte dalle censure» (sentenze n. 128 del 2020 e n. 247 del 2018; nello stesso senso, sentenza n. 143 del 2010); in tal caso, infatti, le censure devono ritenersi generiche e tali da non «consent[ire] la individuazione della questione oggetto dello scrutinio di costituzionalità» (sentenze n. 128 del 2020 e n. 14 del 2017).

7.2.1.– Sotto altro e concorrente profilo, non può non rilevarsi che la questione, sollevata con riguardo all’intero testo del decreto-legge, come convertito, e della legge di conversione, non mira ad evidenziare un vizio di legittimità della disciplina legislativa, quanto piuttosto a criticare la scelta di opportunità, effettuata dal Governo e ratificata dal Parlamento con la legge di conversione, di procedere proprio con le modalità descritte alla liquidazione ordinata delle Banche venete. Nell’ordinanza di rimessione, infatti, si afferma che la caducazione del decreto-legge nella sua interezza mira a far sì che «il governo possa nuovamente valutare la soluzione più conforme all’interesse pubblico perseguito». Risulta, quindi, posto in discussione il merito della scelta politica effettuata dal Governo per fronteggiare la crisi delle Banche venete e non la legittimità costituzionale della disciplina in concreto adottata (in violazione dell’art. 28 della legge 11 marzo 1953, n. 87, recante «Norme sulla costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale»). Significativamente, del resto, la questione di legittimità costituzionale in esame non è accompagnata nell’ordinanza di rimessione dalla indicazione dei parametri costituzionali che risulterebbero violati.

7.3.– Sono altresì fondate le eccezioni di inammissibilità delle questioni di legittimità costituzionale che investono l’art. 4, commi 1, lettere b) e d), e 3, e l’art. 6 del d.l. n. 99 del 2017, come convertito.

L’ordinanza di rimessione non illustra le ragioni che giustifichino l’applicazione di tali disposizioni e che perciò possano dimostrare la pregiudizialità delle relative questioni rispetto alla definizione del processo principale, concernendo queste norme, rispettivamente, l’attuazione di un aiuto di Stato, mediante la fornitura di un supporto finanziario, volto a coprire il fabbisogno di capitale generatosi in capo alla cessionaria in seguito all’acquisizione di parte delle due Banche e a sostenere le misure di ristrutturazione aziendale da attivare; l’acquisizione di crediti in capo alla cessionaria e allo Stato verso la LCA; le «misure di ristoro» stabilite per gli investitori persone fisiche, imprenditori individuali, nonché imprenditori agricoli o coltivatori diretti o loro successori mortis causa.

Le questioni di legittimità costituzionale sollevate dal Tribunale di Firenze relative al regime degli interventi dello Stato e alla disciplina delle misure di ristoro predisposti dal d.l. n. 99 del 2017, come convertito, risultano tuttavia avulse dai caratteri delle pretese avanzate nel giudizio a quo, atteso che il giudizio principale ha ad oggetto una domanda risarcitoria proposta dall’attore nei confronti della sola cessionaria Intesa Sanpaolo spa (ex plurimis, sentenze n. 109 del 2022 e n. 283 del 2016).

7.4.– Devono ora affrontarsi i profili di inammissibilità prospettati con riguardo alle questioni di legittimità costituzionale dell’art. 3, comma 1, lettere a), b) e c), del d.l. n. 99 del 2017, come convertito.

7.4.1.– L’ordinanza di rimessione denota in proposito una insufficiente descrizione della fattispecie oggetto del giudizio a quo e una incompleta ricostruzione del quadro normativo rilevante, il che comporta un difetto di motivazione sulla rilevanza.

Il giudice rimettente illustra i termini della controversia riportando le conclusioni dell’atto di citazione notificato il 13 gennaio 2019, con il quale l’attore aveva convenuto Intesa Sanpaolo spa per sentir dichiarare l’invalidità o l’inefficacia, per violazione degli obblighi informativi di cui all’art. 21 del d.lgs. n. 58 del 1998 e all’art. 26 della deliberazione CONSOB n. 11522 del 1998, anche ai sensi dell’art. 1322 cod. civ., e altresì per la mancata verifica dell’adeguatezza, delle operazioni di acquisto di azioni emesse dalla Banca Popolare di Vicenza spa, domandando la condanna della Banca Intesa Sanpaolo spa al risarcimento dei danni. Nella ordinanza di rimessione si riferisce unicamente che le violazioni degli obblighi informativi da parte di Banca Popolare di Vicenza spa erano relativi ad investimenti effettuati tra il 2010 e il 2014 in azioni emesse dalla banca stessa (a pagina 2) e si sostiene che i «debiti» oggetto del giudizio principale erano riferibili alla lettera b) del comma 1 dell’art. 3 censurato (a pagina 7).

Le trascritte conclusioni della citazione introduttiva chiedevano altresì di accertare il grave inadempimento della Banca convenuta per tutti i comportamenti posti in essere all’atto della sollecitazione di sottoscrizione delle azioni della Banca Popolare di Vicenza spa per cui è causa, nonché di risolvere i contratti de quibus e, per l’effetto, di condannare Banca Intesa Sanpaolo spa alle conseguenti restituzioni e comunque al risarcimento dei danni patrimoniali.

L’ordinanza di rimessione dà poi conto delle conclusioni dedotte da Intesa Sanpaolo spa in sede di costituzione, ovvero: accertare l’estraneità della stessa all’oggetto del processo, dichiarare il difetto di titolarità del rapporto dedotto in giudizio in capo a Intesa Sanpaolo e/o il difetto di legittimazione passiva della stessa; altrimenti disporne l’estromissione; nel merito, respingere tutte le domande.

Infine, vengono trascritte le conclusioni precisate dall’interventrice Banca Popolare di Vicenza spa in liquidazione coatta amministrativa: difetto di legittimazione passiva e conseguente estromissione di Banca Intesa Sanpaolo spa; inammissibilità e/o improcedibilità e/o improseguibilità o improponibilità di tutte le domande dell’attore nei confronti di Banca Popolare di Vicenza spa in LCA; in subordine, non fondatezza delle medesime domande.

7.4.2.– Ciò esposto, il Tribunale di Firenze invoca il sindacato di legittimità costituzionale su tutte le diverse ipotesi di esclusione dalla cessione contenute nell’art. 3, comma 1, lettere a), b) e c), del d.l. n. 99 del 2017, come convertito.

Il giudice a quo motiva la rimessione supponendo che le norme censurate abbiano comportato che, con l’azienda bancaria, siano state trasferite tutte le attività e passività aziendali, tranne quelle risarcitorie e restitutorie analoghe al debito oggetto del giudizio civile pendente. Si è però già evidenziato che il decreto-legge censurato, in una logica esattamente opposta, consentiva ai commissari liquidatori di cedere al soggetto individuato l’azienda, suoi singoli rami, nonché beni, diritti e rapporti giuridici individuabili in blocco, ovvero attività e passività, anche parziali o per una quota di ciascuna di esse, di uno dei soggetti in liquidazione o di entrambi, per l’effetto obbligando il cessionario a rispondere solo dei debiti ricompresi nel perimetro della cessione concretamente attuata dalle parti del contratto.

Deve infatti considerarsi l’espressa deroga che l’art. 3, comma 1, contempla sia rispetto al regime generale della cessione alle banche di aziende e rapporti giuridici stabilito dall’art. 58 del decreto legislativo 1° settembre 1993, n. 385 (Testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia), sia rispetto alla disciplina della cessione di attività e passività ad opera dei commissari liquidatori della banca in LCA delineata dall’art. 90, comma 2, dello stesso t.u. bancario.

Così come, nel delineare il presupposto normativo delle questioni, occorre soffermarsi sul comma 2 dell’art. 3 del d.l. n. 99 del 2017, come convertito, che chiama il cessionario a rispondere solo dei debiti ricompresi nel «perimetro della cessione» ai sensi del comma 1, e ulteriormente restringe la vicenda traslativa e la responsabilità del cessionario con riguardo ad altri rapporti giuridici.

7.4.3.– Per offrire una complessiva ricostruzione del quadro normativo rilevante (il cui difetto compromette irrimediabilmente l’iter logico argomentativo posto a fondamento delle censure, precludendone lo scrutinio, secondo la costante giurisprudenza di questa Corte: sentenze n. 150 del 2019, n. 27 del 2015, n. 165 del 2014 e n. 276 del 2013; ordinanze n. 108 del 2020 e n. 244 del 2017), sarebbe occorsa una esauriente valutazione dei termini della «liquidazione ordinata» dettata nella disciplina del d.l. n. 99 del 2017, come convertito, tenendo conto:

– dell’oggetto della cessione («l’azienda, suoi singoli rami, nonché beni, diritti e rapporti giuridici individuabili in blocco, ovvero attività e passività, anche parziali o per una quota di ciascuna di esse, di uno dei soggetti in liquidazione o di entrambi»);

– della deroga agli artt. 58, commi 1, 2, 4, 5, 6 e 7, e 90, comma 2, t.u. bancario;

– delle passività e dei debiti esclusi, «anche in deroga all’articolo 2741 del codice civile»;

– dell’applicazione della regola del «burden sharing» elaborata nel punto 6.2.3. (Condivisione degli oneri), paragrafo 77, della comunicazione della Commissione europea 2013/C – 216/01;

– dell’esonero da responsabilità del cessionario per i debiti non ricompresi nel «perimetro della cessione»;

– degli ulteriori rapporti comunque sottratti al trasferimento;

– degli oneri di cessione posti a carico della cessionaria;

– delle diverse forme dell’aiuto di Stato predisposto.

7.4.4.– Quanto alla disciplina delle passività, dei debiti e delle controversie che non rientrano nella cessione, il giudice a quo ravvisa un’arbitraria assimilazione tra i creditori di cui alle lettere a) e b) del censurato art. 3, comma 1, evidenziando come i creditori di cui alla lettera b) avessero investito in azioni e obbligazioni subordinate sulla base di informazioni non corrette ricevute dalle rispettive banche o della subordinazione della concessione di mutui al loro acquisto.

Verrebbero in particolare penalizzati coloro che, come l’attore del giudizio principale, vogliono far valere la nullità dell’ordine di acquisto delle azioni della banca in LCA per ottenere il riaccredito in conto dell’importo versato a titolo di corrispettivo, ma la lettera b) dell’art. 3, comma 1, nega tutela a costoro.

Anche questo profilo sconta una insufficiente ricostruzione del sistema normativo, in quanto la scelta di non trasferire i crediti degli azionisti e dei creditori subordinati nel patrimonio del cessionario dell’azienda bancaria in dissesto deve essere verificata alla luce delle regole europee che chiamano gli Stati membri dell’Unione, nella risoluzione delle crisi del settore creditizio, ad assicurare il funzionamento della vigilanza prudenziale e la stabilità finanziaria.

7.4.5.– L’ordinanza di rimessione investe di censure anche l’art. 3, comma 1, lettera a), del d.l. n. 99 del 2017, come convertito, il quale sottrae alla vicenda traslativa «le passività indicate all’art. 52, comma 1, lettera a), punti i), ii), iii) e iv) del decreto legislativo 16 novembre 2015, n. 180», e cioè gli strumenti di capitale per «fondi propri», cui corrispondono crediti degli azionisti e dei creditori subordinati delle due Banche in LCA, dunque «passività» accertate e conosciute al momento della cessione, escluse da essa secondo la regola del «burden sharing», e che peraltro beneficiano delle «misure di ristoro» previste dal successivo art. 6 del d.l. n. 99 del 2017, come convertito, in favore degli investitori persone fisiche che, al momento dell’avvio della liquidazione coatta amministrativa, detenessero strumenti finanziari di debito subordinato emessi dalle banche e acquistati nell’ambito di un rapporto negoziale diretto con le medesime banche emittenti.

7.4.6.– È congiuntamente censurata la lettera b) del comma 1 dell’art. 3, del d.l. n. 99 del 2017, come convertito, senza tuttavia che l’ordinanza di rimessione specifichi a quale delle distinte categorie di «debiti» della banca ceduta possa ricondursi la res litigiosa.

Il Tribunale non spiega, invero, se il debito, rispetto al quale la convenuta Intesa Sanpaolo spa si dichiara estranea, ovvero priva di titolarità del rapporto o carente di legittimazione passiva, rientri fra quelli restitutori nei confronti degli azionisti e obbligazionisti subordinati della ceduta Banca Popolare di Vicenza spa, derivanti da operazioni di commercializzazione di azioni o obbligazioni subordinate, i quali, in quanto passività consolidate anteriori al trasferimento, rimangono esclusi dalla cessione per l’operatività della regola del «burden sharing», secondo la logica che chiama i clienti-azionisti a sopportare il rischio di impresa.

Il giudice a quo neppure illustra se, invece, ritiene che la fattispecie di causa subisca gli effetti della seconda ipotesi contemplata dalla lettera b) del comma 1 dell’art. 3, quella, cioè, che colloca al di fuori del «perimetro della cessione» i debiti, restitutori o risarcitori nei confronti di azionisti e obbligazionisti subordinati delle banche cedute derivanti, piuttosto, dalle violazioni della normativa sulla prestazione dei servizi di investimento riferite alle medesime azioni o obbligazioni subordinate, debiti, cioè, di clienti-investitori rimasti danneggiati in sede di fruizione del servizio di investimento.

Non viene chiarito dal rimettente se la pretesa restitutoria e risarcitoria su cui deve pronunciare, fondata su condotte di misselling nella commercializzazione di azioni della Banca Popolare di Vicenza spa, e in ordine alla quale il Tribunale rimettente lamenta l’esonero da responsabilità per mancato subentro della cessionaria, si ricolleghi a posizione contrattuale non ancora definita al momento della cessione, o se invece si tratti, in senso proprio, di «debito» che risultava preesistente e consolidato a tale momento.

Nemmeno è riferito se l’attore del giudizio a quo, che si dichiara ignaro della rischiosità degli strumenti finanziari acquistati, fosse, o meno, un «investitore professionale». Ciò, pur considerati i limiti del sindacato di legittimità costituzionale sulle relative scelte legislative, sarebbe occorso per differenziare eventualmente le tutele di coloro che ebbero ad acquistare azioni od obbligazioni subordinate per effetto di comportamenti posti in essere in violazione delle regole dettate in materia di intermediazione finanziaria, di informazione e di valutazione dell’adeguatezza dell’operazione proposta da parte di Banca Popolare di Vicenza spa.

7.4.7.– Viene quindi in modo promiscuo sottoposta al vaglio di legittimità costituzionale anche la lettera c) dell’art. 3, comma 1, del d.l. n. 99 del 2017, come convertito, distinta ipotesi di perimetrazione della cessione, che concerne gli «atti o fatti occorsi prima della cessione […] e le relative passività», nonché le «controversie relative […] sorte successivamente ad essa». Al riguardo, l’unico elemento fornito nell’ordinanza di rimessione attiene alla data della notificazione della citazione (13 febbraio 2019, dunque successiva alla cessione, avvenuta il 26 giugno 2017), che segna l’inizio della lite in sede giudiziaria. Non risulta peraltro specificato nell’ordinanza di rimessione se fossero stati instaurati in precedenza procedimenti stragiudiziali per le passività attualmente oggetto di giudizio.

7.4.8.– Il Tribunale di Firenze – anche in conseguenza di una prospettazione complessivamente irrisolta delle diverse censure e finalizzata, in realtà, a sollecitare questa Corte a una valutazione di merito sulle scelte legislative, che le è preclusa (supra, punto 7.2.1) – omette di indicare su quale delle diverse ipotesi che delimitano legislativamente il «perimetro della cessione» trovino fondamento le difese pregiudiziali e preliminari della convenuta Intesa Sanpaolo spa, così impedendo di valutare quale tra le disposizioni censurate sia da applicare nel giudizio principale e, dunque, di apprezzare la rilevanza delle questioni prospettate (ex multis, sentenze n. 109, n. 28 e n. 13 del 2022, n. 259 del 2021 e n. 267 del 2020; ordinanze n. 76 del 2022 e n. 108 del 2020).

7.4.9.– Il giudice a quo estende le sue doglianze agli effetti che l’esclusione dalla cessione implicata dal «combinato disposto di cui alla lettera b) e alla lettera c)» dell’art. 3, comma 1, comporta per le cosiddette «operazioni baciate», in quanto in tali casi il credito per il rimborso del finanziamento contratto per l’acquisto delle azioni si trasmette in capo alla cessionaria Intesa Sanpaolo spa, mentre il debito nei confronti dell’azionista rimane in capo alla cedente, anche se i due rapporti sono tra loro indissolubilmente connessi.

L’ordinanza di rimessione, tuttavia, non riferisce che l’attore avesse acquistato le azioni al fine di ottenere la concessione di un finanziamento «subordinato» e «strumentale», né che avesse già restituito la somma finanziata nel contesto di una «operazione baciata» e che ora chieda in ripetizione quanto versato, stante la nullità dell’acquisto ex art. 2358 cod. civ., sicché la questione in tali termini sollevata risulta estranea al thema decidendum e appare meramente ipotetica e astratta.

7.4.10.– Le questioni sollevate, concernenti l’art. 3 del d.l. n. 99 del 2017, come convertito, sono, peraltro, inammissibili anche con riguardo alla lacunosa e contraddittoria prospettazione del rimettente quanto al tipo di intervento richiesto onde porre rimedio alla dedotta illegittimità costituzionale, non desumendosi in maniera univoca, né dal dispositivo, né dalla motivazione dell’ordinanza di rimessione, se il giudice a quo invochi una generale ablazione di tutti i casi esclusi dalla cessione, o, piuttosto, un intervento manipolativo-additivo che estenda la responsabilità della cessionaria rispetto alle pretese risarcitorie o restitutorie degli acquirenti di azioni emesse dalle due Banche venete.

Quale che sia l’intentio del Tribunale di Firenze, esso non ha comunque considerato, come già si è detto, che l’art. 3 del d.l. n. 99 del 2017, come convertito, non è, di per sé, rivolto a regolare direttamente tali rapporti, perché rimetteva ai commissari liquidatori e al cessionario individuato di determinare l’oggetto della cessione, e cioè se si dovesse trasferire l’azienda, suoi singoli rami, ovvero beni, diritti e rapporti giuridici individuabili in blocco, oppure attività e passività, anche parziali o per quote, ponendo però ai contraenti un limite oggettivo e inderogabile, in forza del quale dovevano restare «in ogni caso esclusi» dal trasferimento le passività e i debiti elencati nelle lettere a), b) e c).

La individuazione della legittimazione passiva in capo alla convenuta Intesa Sanpaolo spa, o, meglio, della riferibilità ad essa della titolarità sostanziale della posizione giuridica cui inerisce la pretesa dedotta in giudizio, non discende, quindi, dalla necessaria e immediata applicazione delle norme di legge su cui cadono i dubbi di legittimità costituzionale, quanto dall’ambito oggettivo del programma obbligatorio regolato dalle parti del contratto di cessione.

Nella specie, il contratto di cessione perfezionato in data 26 giugno 2017 fra le due Banche venete in liquidazione e Intesa Sanpaolo spa, prodotto nel giudizio a quo, richiamava in premessa la manifestazione di interesse di quest’ultima di cui alla lettera del 21 giugno 2017, limitata all’acquisto «di certe attività, passività e rapporti giuridici facenti capo a BP Vicenza e Veneto Banca» e condizionata alla sussistenza e alla permanenza di «alcuni presupposti essenziali», in ragione dell’aspettativa della banca cessionaria di non caricarsi di passività non gradite, secondo la logica di convenienza economica che è propria del contratto.

Le disposizioni dettate dal d.l. n. 99 del 2017, come convertito, possono, pertanto, essere qualificate come «norme-provvedimento»: esse si occupano di un singolo contratto, in quanto incidono sulla sola convenzione di cessione tra i commissari liquidatori delle due Banche venete in LCA e il soggetto individuato ai sensi dell’art. 3, comma 3, disciplinano un numero limitato di fattispecie e rivelano un contenuto concreto, ispirato da particolari esigenze, ponendo per tale singolo evento regole specifiche innovative nel sistema legislativo vigente.

L’ordinanza di rimessione, tuttavia, non solo non dà conto di tale concatenazione di atti, ma, per l’effetto, omette del tutto di motivare sul nesso di condizionamento e sulle implicazioni che, dall’accoglimento delle questioni sollevate, deriverebbero sul rapporto contrattuale, che costituisce l’effettiva fonte regolatoria presupposta del rapporto dedotto nel giudizio principale.

Per il fatto, pertanto, di non confrontarsi con l’intreccio intercorrente fra le norme censurate e il contratto di cessione, nulla argomentando sulla possibile ricaduta, che, in ipotesi, dovrebbe avere la dichiarazione di illegittimità costituzionale della disposizione censurata sull’atto negoziale, il rimettente offre una «prospettazione non adeguata delle conseguenze applicative derivanti da un eventuale accoglimento della questione sollevata» (ordinanza n. 280 del 2020), che si risolve in un difetto di motivazione sulla rilevanza tale da inficiare, anche da questa ulteriore prospettiva, l’ammissibilità delle questioni.

8.– Tutte le questioni devono, dunque, essere dichiarate inammissibili per le ragioni esposte.

Ciò assorbe le ulteriori eccezioni di inammissibilità avanzate nelle difese delle parti costituite in giudizio e nell’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri.

Per Questi Motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara inammissibili le questioni di legittimità costituzionale:

– degli artt. 2, commi 1, lettera c), e 2; 3, commi 2, 3 e 4; 4, commi 3, 4 e 5, del decreto-legge 25 giugno 2017, n. 99 (Disposizioni urgenti per assicurare la parità di trattamento dei creditori nel contesto di una ricapitalizzazione precauzionale nel settore creditizio nonché per la liquidazione coatta amministrativa di Banca Popolare di Vicenza S.p.A. e di Veneto Banca S.p.A.), convertito, con modificazioni, nella legge 31 luglio 2017, n. 121;

– del d.l. n. 99 del 2017 come convertito nella sua interezza;

– dell’art. 4, commi 1, lettere b) e d), e 3, e dell’art. 6 del d.l. n. 99 del 2017 come convertito, in riferimento agli artt. 2, 3, 23, 41, 42, 45, 47 della Costituzione, nonché all’art. 1 del Protocollo addizionale alla Convenzione europea dei diritti dell’uomo e all’art. 17 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea;

– dell’art. 3, comma 1, lettere a), b) e c), del d.l. n. 99 del 2017, come convertito, in riferimento agli artt. 3, 24, 42, 45, 47 e 111, primo comma, Cost. e all’art. 47 CDFUE;

questioni tutte sollevate dal Tribunale ordinario di Firenze con l’ordinanza indicata in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 5 ottobre 2022.

F.to:

Silvana SCIARRA, Presidente

Stefano PETITTI, Redattore

Roberto MILANA, Direttore della Cancelleria

Depositata in Cancelleria il 7 novembre 2022.