REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
Presidente: Giuliano AMATO;
Giudici: Silvana SCIARRA, Daria de PRETIS, Nicolò ZANON, Franco MODUGNO, Augusto Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO, Francesco VIGANÒ, Luca ANTONINI, Stefano PETITTI, Angelo BUSCEMA, Emanuela NAVARRETTA, Maria Rosaria SAN GIORGIO, Filippo PATRONI GRIFFI,
ha pronunciato la seguenteSENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 1, commi 4 e 9, lettera u), della legge della Regione Abruzzo 30 dicembre 2020, n. 45 (Norme a sostegno dell’economia circolare e di gestione sostenibile dei rifiuti), promosso dal Presidente del Consiglio dei ministri con ricorso notificato il 1°-2 marzo 2021, depositato in cancelleria il 4 marzo 2021, iscritto al n. 20 del registro ricorsi 2021 e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 16, prima serie speciale, dell’anno 2021.
Visto l’atto di costituzione della Regione Abruzzo;
udito nell’udienza pubblica del 7 giugno 2022 il Giudice relatore Franco Modugno;
uditi l’avvocato dello Stato Gianna Galluzzo per il Presidente del Consiglio dei ministri e l’avvocato Stefania Valeri per la Regione Abruzzo, quest’ultimo in collegamento da remoto, ai sensi del punto 1) del decreto del Presidente della Corte del 18 maggio 2021;
deliberato nella camera di consiglio dell’8 giugno 2022.
1.– Con ricorso depositato il 4 marzo 2021, iscritto al reg. ric. n. 20 del 2021, il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, ha promosso questioni di legittimità costituzionale dell’art. 1, commi 4 e 9, lettera u), della legge della Regione Abruzzo 30 dicembre 2020, n. 45 (Norme a sostegno dell’economia circolare e di gestione sostenibile dei rifiuti), in riferimento all’art. 117, secondo comma, lettera s), della Costituzione, in relazione all’art. 35 del decreto-legge 12 settembre 2014, n. 133 (Misure urgenti per l’apertura dei cantieri, la realizzazione delle opere pubbliche, la digitalizzazione del Paese, la semplificazione burocratica, l’emergenza del dissesto idrogeologico e per la ripresa delle attività produttive), convertito, con modificazioni, nella legge 11 novembre 2014, n. 164, nonché agli artt. 195, comma 1, lettere f) e p), e comma 2, lettera a), l96, comma 1, lettere n) e o), e l99, commi l, 3, lettera l), e 5, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 (Norme in materia ambientale).
1.1.– L’art. l, comma 4, della legge reg. Abruzzo n. 45 del 2020 stabilisce che la «Regione, con la presente legge, sostiene azioni dirette alla riduzione della produzione e al recupero di materia con priorità rispetto all’uso dei rifiuti come fonte di energia, minimizzando il quantitativo di rifiuto urbano non inviato al riciclaggio, ribadendo la volontà di non prevedere la realizzazione di impianti dedicati di incenerimento per i rifiuti urbani e prevedendo di raggiungere tendenzialmente al 2022, a scala di bacino regionale, conformemente al vigente Piano Regionale di Gestione dei Rifiuti (di seguito PRGR), i seguenti obiettivi minimi: a) un quantitativo di produzione di rifiuto urbano indifferenziato, inferiore ai 130 chilogrammi per abitante anno; b) un quantitativo di rifiuti residui avviati a smaltimento finale in discarica, inferiore ai 100 chilogrammi per abitante anno».
Tale disposizione, ad avviso dell’Avvocatura generale, pur se di carattere programmatico, costituirebbe la base giuridica per dichiarare improcedibili le richieste di autorizzazione per la realizzazione e l’esercizio di impianti di incenerimento: sarebbe stato posto, dunque, un divieto alla realizzazione di tali impianti sul territorio regionale, in contrasto con la disciplina statale. In particolare, sarebbe violato l’art. 35, comma 1, del d.l. n. 133 del 2014, come convertito, ai sensi del quale gli impianti di incenerimento dei rifiuti «costituiscono infrastrutture e insediamenti strategici di preminente interesse nazionale». Il margine di intervento riconosciuto al legislatore regionale da parte del d.lgs. n. 152 del 2006 (cod. ambiente), d’altro canto, non gli consentirebbe di prescrivere limiti generali siffatti: gli artt. 195, comma l, lettera f), e 196, comma l, lettere n) e o), riserverebbero, infatti, allo Stato «l’individuazione degli impianti di recupero e di smaltimento di preminente interesse nazionale, che deve essere effettuata secondo finalità di riequilibrio socio-economico fra le aree del territorio nazionale». Inoltre, l’art. 199 cod. ambiente stabilirebbe che «la valutazione sincronica degli interessi pubblici coinvolti e meritevoli di tutela, a confronto sia con l’interesse del soggetto privato operatore economico, sia con ulteriori interessi di cui sono titolari singoli cittadini e comunità, e che trovano nei princìpi costituzionali la loro previsione e tutela, può e deve avvenire soltanto nella sede procedimentale». La norma impugnata, pertanto, sarebbe costituzionalmente illegittima, poiché esprimerebbe la volontà di non prevedere la realizzazione di impianti per l’incenerimento dei rifiuti urbani, in mancanza di qualsiasi tipo di valutazione istruttoria nella sede procedimentale (si cita la sentenza di questa Corte n. 142 del 2019).
1.2.– L’impugnato art. 1, comma 9, stabilisce che siano promosse, a traverso appositi atti esecutivi, specifiche azioni al fine di raggiungere gli obiettivi fissati nei precedenti commi 3 e 4. Il ricorrente impugna la lettera u), ove si prevede che gli atti esecutivi definiscano, «per garantire la tutela della salute e del territorio, distanze minime e fasce preventive minime dai centri abitati e dalle funzioni sensibili, come ad esempio asili nido, scuole, centri sportivi e di aggregazioni, distretti sanitari, ospedali e case di riposo, al di sotto delle quali la localizzazione di impianti di trattamento e di smaltimento dei rifiuti è esclusa a priori». Tale disposizione, per la difesa statale, individuerebbe le aree non idonee alla localizzazione degli impianti, ponendosi così in contrasto con l’art. 196, comma l, lettere n) e o), e con l’art. 199, commi l, 3, lettera l), e 5, cod. ambiente. Questi ultimi, difatti, stabilirebbero, da un lato, che la Regione può definire, sulla base dei criteri generali dettati dalla normativa statale, «criteri per l’individuazione, da parte delle province, delle aree non idonee alla localizzazione degli impianti di smaltimento e di recupero dei rifiuti», e, dall’altro lato, che tali criteri siano contenuti nel piano di gestione dei rifiuti, e non nella legge. Questa Corte avrebbe ribadito questi principi in varie sentenze, fra cui la sentenza n. 272 del 2020 e le sentenze n. 129 e n. 28 del 2019.
2.– Con atto depositato il 9 aprile 2021, la Regione Abruzzo si è costituita in giudizio, per sostenere la non fondatezza delle censure.
2.1.– Per quanto concerne l’impugnazione dell’art. 1, comma 4, della legge reg. Abruzzo n. 45 del 2020, la Regione afferma che le disposizioni impugnate non causerebbero alcun rischio di «deficit nelle potenzialità di incenerimento», né determinerebbero l’impossibilità di trattare rifiuti provenienti da altre Regioni. Si tratterebbe, invece, di norme aventi un valore programmatico, come tali non lesive delle prerogative statali. Questo si desumerebbe, innanzitutto, dal contesto in cui esse sono inserite: l’art. 1 della legge regionale, infatti, si limiterebbe a indicare quali azioni in futuro la Regione intende sostenere, in accordo con la pianificazione regionale già in vigore e nel solco degli obiettivi europei di riduzione della produzione dei rifiuti e d’incentivo all’economia circolare. Sono citate, a tal proposito, la direttiva (UE) 2018/849 del Parlamento europeo e del Consiglio del 30 maggio 2018, che modifica le direttive 2000/53/CE relativa ai veicoli fuori uso, 2006/66/CE relativa a pile e accumulatori e ai rifiuti di pile e accumulatori e 2012/19/UE sui rifiuti di apparecchiature elettriche ed elettroniche; la direttiva (UE) 2018/850 del Parlamento europeo e del Consiglio del 30 maggio 2018, che modifica la direttiva 1999/31/CE, relativa alle discariche di rifiuti; la direttiva (UE) 2018/851 del Parlamento europeo e del Consiglio del 30 maggio 2018, che modifica la direttiva 2008/98/CE, relativa ai rifiuti; la direttiva (UE) 2018/852 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 30 maggio 2018, che modifica la direttiva 94/62/CE sugli imballaggi e i rifiuti di imballaggio e la decisione (UE) 2014/955 della Commissione del 18 dicembre 2014, che modifica la decisione 2000/532/CE relativa all’elenco dei rifiuti ai sensi della direttiva 2008/98/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, nonché l’art. 191 Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (TFUE), come modificato dall’art. 2 del Trattato di Lisbona del 13 dicembre 2007 e ratificato dalla legge 2 agosto 2008, n. 130 e la sentenza della Corte di giustizia dell'Unione europea, 15 ottobre 2014, in causa C-323/13, riguardanti il principio di precauzione in ambito sovranazionale.
Il codice dell’ambiente, d’altro canto, conferirebbe alle Regioni autonomia pianificatoria in tema di gestione dei rifiuti: cosa che non potrebbe – si afferma – essere ignorata dalla Regione Abruzzo, che ha visto dichiarare l’illegittimità costituzionale di una sua legge, sull’adeguamento del piano sui rifiuti, proprio a causa dell’utilizzo dello strumento legislativo anziché del procedimento amministrativo (sentenza n. 28 del 2019). Così, la programmazione regionale di settore – ammodernata a seguito della pronuncia del giudice costituzionale – escluderebbe la necessità di un impianto di incenerimento per rifiuti urbani, e, con la norma impugnata, la Regione non farebbe altro che ribadire la propensione alle soluzioni alternative agli inceneritori. Risulterebbe, peraltro, dal piano regionale che «– alla luce del complessivo fabbisogno teorico di incenerimento – la realizzazione di un inceneritore non troverebbe attuale giustificazione, né tecnicamente, né economicamente, né ambientalmente». E anzi, un accordo, assunto con la Regione Lazio per il trattamento di 80.000 tonnellate di rifiuti provenienti da Roma Capitale, attesterebbe la capacità della resistente di supportare anche altre Regioni nel trattamento dei rifiuti. La difesa regionale afferma, inoltre, che, secondo l’art. 198-bis cod. ambiente, di recente introdotto, dovrà essere il programma nazionale di gestione dei rifiuti – da assoggettarsi a valutazione ambientale strategica (VAS), da approvarsi in sede di Conferenza Stato-Regioni e da adottarsi con decreto ministeriale – a definire i criteri per la localizzazione degli impianti.
2.2.– Per quanto riguarda le censure rivolte all’art. 1, comma 9, lettera u), la Regione deduce l’erroneità della lettura proposta dal Governo: la disposizione non disciplinerebbe i criteri di localizzazione degli impianti, demandando invece a futuri provvedimenti attuativi la previsione delle distanze minime dalle «funzioni sensibili», a tutela della salute e del territorio. L’identificazione in concreto dei luoghi e la quantificazione delle distanze, infatti, sarebbero concretamente definite in sede di adozione del nuovo piano di gestione dei rifiuti; la disposizione impugnata conterrebbe un’elencazione meramente esemplificativa di tali luoghi. Per queste ragioni, le previsioni regionali in esame non sarebbero idonee a ledere la competenza statale.
3.– L’Avvocatura generale dello Stato ha depositato una memoria in prossimità dell’udienza. Ribadisce come «la scelta operata dalla regione “di non prevedere la realizzazione di impianti dedicati di incenerimento per i rifiuti urbani” (comma 4) e la determinazione da parte della stessa regione dei criteri di individuazione delle aree non idonee all’installazione degli impianti (comma 9)» contrasterebbe con l’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., non essendo conforme alla disciplina statale, la quale, da un lato, affiderebbe allo Stato «l’individuazione di tali impianti» e, dall’altro lato, imporrebbe «l’osservanza delle garanzie procedimentali previste per i piani regionali adottati nella forma dell’atto amministrativo». Inoltre, la difesa statale afferma che l’argomentazione spesa dalla controparte – secondo cui le norme impugnate avrebbero carattere programmatico e, perciò, non potrebbero ledere le competenze statali – non sarebbe idonea a superare i dedotti profili di illegittimità costituzionale. Difatti, le Regioni non potrebbero individuare – nemmeno sotto il profilo programmatico – la linea strategica cui il piano dovrebbe adeguarsi, visto che l’art. 198-bis cod. ambiente prevedrebbe l’adozione di un piano nazionale sulla gestione dei rifiuti, il quale svolgerebbe quella funzione di indirizzo.
4.– Ha depositato memoria anche la Regione resistente, insistendo per la non fondatezza delle questioni. L’art. 1, comma 4, della legge regionale impugnata confermerebbe il rispetto della «gerarchia dei rifiuti», prevedendo il recupero degli stessi senza realizzare impianti di incenerimento, e sfruttando, invece, impianti già autorizzati ed esistenti sul territorio. Il tutto in accordo con le indicazioni provenienti dal diritto europeo. Inoltre, la promozione della trasformazione dei rifiuti in vista di un successivo impiego, favorendo la tutela ambientale, contribuirebbe altresì allo sviluppo delle attività produttive: pertanto, in questa fattispecie, la competenza non sarebbe esclusivamente statale, dovendosi considerare l’importanza delle prerogative proprie della Regione in tema di sviluppo industriale.
In riferimento all’art. 1, comma 9, della legge regionale impugnata, la difesa abruzzese, deducendo l’erroneità della prospettazione del ricorrente, ribadisce come le norme in esame si limiterebbero a richiedere a successivi provvedimenti attuativi di individuare aree non idonee alla collocazione di impianti. Dunque, risulterebbero evidenti le differenze esistenti fra il contenuto delle disposizioni oggi impugnate e quelle dichiarate costituzionalmente illegittime con le sentenze n. 272 del 2020 e n. 69 del 2018: in questi casi, infatti, la legge regionale avrebbe definito precisamente le distanze minime, sostituendosi all’autorità amministrativa, mentre, nell’odierna fattispecie, ciò non sarebbe avvenuto.
1.– Con il ricorso indicato in epigrafe (reg. ric. n. 20 del 2021), il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, ha promosso questioni di legittimità costituzionale dell’art. 1, commi 4 e 9, lettera u), della legge della Regione Abruzzo 30 dicembre 2020, n. 45 (Norme a sostegno dell’economia circolare e di gestione sostenibile dei rifiuti).
In primo luogo, il ricorrente deduce il contrasto tra l’art. 1, comma 4, e gli artt. 35 del decreto-legge 12 settembre 2014, n. 133 (Misure urgenti per l’apertura dei cantieri, la realizzazione delle opere pubbliche, la digitalizzazione del Paese, la semplificazione burocratica, l’emergenza del dissesto idrogeologico e per la ripresa delle attività produttive), convertito, con modificazioni, nella legge 11 novembre 2014, n. 164, 195, comma 1, lettere f) e p), e comma 2, lettera a), 196, comma 1, lettere n) e o), l99, commi l, 3, lettera l), e 5 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 (Norme in materia ambientale): tale contrasto determinerebbe la violazione dell’art. 117, secondo comma, lettera s), della Costituzione. Nella parte in cui la legge regionale impugnata dispone che la Regione, conformemente al vigente Piano regionale di gestione dei rifiuti (PRGR), ribadisce «la volontà di non prevedere la realizzazione di impianti dedicati di incenerimento per i rifiuti urbani», essa stabilirebbe, infatti, un divieto di localizzazione di impianti di incenerimento sul territorio regionale, e ciò non sarebbe consentito, dal momento che la competenza a individuare le zone in cui realizzare tali strutture, secondo la normativa interposta evocata, spetterebbe allo Stato.
In secondo luogo, il Governo sostiene che l’art. 1, comma 9, lettera u), definendo «distanze minime e fasce preventive minime dai centri abitati» e da altri luoghi «sensibili», sotto le quali è preclusa la localizzazione di impianti di trattamento e smaltimento di rifiuti, individuerebbe con legge, anziché con gli strumenti di pianificazione, le aree non idonee alla realizzazione degli impianti, in spregio di quanto stabilito dall’art. 196, comma 1, lettere n) e o) e dall’art. 199, commi 1, 3, lettera l), e 5, del d.lgs. n. 152 del 2006 (cod. ambiente); in contrasto, dunque, con la disciplina statale cui sarebbe riservata la competenza legislativa esclusiva.
2.– La Regione Abruzzo, costituita in giudizio, non ha formulato eccezioni d’inammissibilità del ricorso, sostenendo la non fondatezza delle censure.
3.– Le questioni riguardano la materia della gestione dei rifiuti: in particolare, da un lato, la collocazione di impianti di incenerimento e, dall’altro lato, l’individuazione delle aree non idonee alla localizzazione di strutture per il recupero e lo smaltimento dei rifiuti.
Va anzitutto ricordato che la «disciplina dei rifiuti va ricondotta alla “tutela dell’ambiente e dell’ecosistema” […], materia naturalmente trasversale, idonea perciò a incidere sulle competenze regionali (sentenza n. 289 del 2019 che richiama, ex multis, le sentenze n. 215 e n. 151 del 2018, n. 54 del 2012, n. 380 del 2007 e n. 259 del 2004; più recentemente, in senso conforme, la sentenza n. 227 del 2020)» (sentenze n. 21 del 2022 e n. 86 del 2021). Difatti, «le Regioni possono esercitare competenze legislative proprie per la cura di interessi funzionalmente collegati con quelli propriamente ambientali, purché l’incidenza nella materia di competenza esclusiva statale sia solo in termini di maggiore e più rigorosa tutela dell’ambiente» (così, ex multis, sentenza n. 189 del 2021).
Le norme statali che vincolano il legislatore regionale sono contenute negli artt. 177 e seguenti cod. ambiente; nel caso in esame, vengono in particolare rilievo gli artt. 195, comma 1, lettera f), 196, comma 1, lettera n), e 199, comma 3, lettera l).
4.– Per quanto concerne la prima questione, l’oggetto del giudizio va circoscritto alla norma con cui la Regione Abruzzo ribadisce la volontà di non prevedere la realizzazione di impianti per l’incenerimento dei rifiuti sul proprio territorio; questa è, difatti, l’unica porzione del disposto normativo cui le censure del ricorrente sono rivolte, sebbene l’art. 1, comma 4, sia stato impugnato per intero.
4.1.– La questione è fondata.
Ai sensi dell’art. 195, comma 1, lettera f), cod. ambiente, spetta allo Stato «l’individuazione, nel rispetto delle attribuzioni costituzionali delle regioni, degli impianti di recupero e di smaltimento di preminente interesse nazionale da realizzare per la modernizzazione e lo sviluppo del paese; l’individuazione è operata […] a mezzo di un programma, adottato con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri su proposta del Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare […]. Nell’individuare le infrastrutture e gli insediamenti strategici di cui al presente comma il Governo procede secondo finalità di riequilibrio socio-economico fra le aree del territorio nazionale».
Trattandosi, nella specie, della localizzazione di particolari strutture – gli inceneritori – viene, inoltre, in rilievo l’art. 35, comma 1, del d.l. n. 133 del 2014, come convertito, secondo cui «il Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, sentita la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, con proprio decreto, individua a livello nazionale la capacità complessiva di trattamento di rifiuti urbani e assimilati degli impianti di incenerimento in esercizio o autorizzati a livello nazionale, con l’indicazione espressa della capacità di ciascun impianto, e gli impianti di incenerimento con recupero energetico di rifiuti urbani e assimilati da realizzare per coprire il fabbisogno residuo, determinato con finalità di progressivo riequilibrio socio-economico fra le aree del territorio nazionale e nel rispetto degli obiettivi di raccolta differenziata e di riciclaggio, tenendo conto della pianificazione regionale. Gli impianti così individuati costituiscono infrastrutture e insediamenti strategici di preminente interesse nazionale, attuano un sistema integrato e moderno di gestione di rifiuti urbani e assimilati, garantiscono la sicurezza nazionale nell’autosufficienza, consentono di superare e prevenire ulteriori procedure di infrazione per mancata attuazione delle norme europee di settore e limitano il conferimento di rifiuti in discarica».
Tali disposizioni sono state attuate con il d.P.C.m. 10 agosto 2016 (Individuazione della capacità complessiva di trattamento degli impianti di incenerimento di rifiuti urbani e assimilabili in esercizio o autorizzati a livello nazionale, nonché individuazione del fabbisogno residuo da coprire mediante la realizzazione di impianti di incenerimento con recupero di rifiuti urbani e assimilati).
Con la legge parzialmente impugnata, la Regione Abruzzo ha previsto norme di indirizzo per l’aggiornamento della pianificazione regionale sulla gestione dei rifiuti, che deve avvenire nella sede del procedimento amministrativo, nella concertazione fra le istituzioni e i soggetti interessati.
Il legislatore regionale, dichiarando la volontà che non si costruisca un impianto di incenerimento, pone un limite alla localizzazione di tale impianto, violando la competenza che la disciplina poc’anzi richiamata attribuisce alle autorità statali.
4.2.– Questa Corte ha già in altre occasioni dichiarato l’illegittimità costituzionale di disposizioni regionali invasive delle attribuzioni dello Stato, per la lesione degli stessi parametri evocati nel presente giudizio. Così è accaduto con una legge secondo cui, nel piano regionale di gestione dei rifiuti, si doveva prevedere, tra gli obiettivi prioritari, «la progressiva eliminazione della presenza di inceneritori sul territorio della regione Basilicata». Questa Corte, accogliendo la questione, ha precisato che, nonostante la disposizione impugnata non ponesse un divieto immediato di localizzazione, non era, comunque sia, ad essa consentito introdurre limitazioni all’esercizio degli impianti (sentenza n. 154 del 2016). Ha, in seguito, accertato l'illegittimità costituzionale di previsioni legislative che escludevano «qualsiasi forma di combustione del combustibile solido secondario (CSS), dei rifiuti o dei materiali e sostanze derivanti dal trattamento dei rifiuti medesimi, ad eccezione del metano», nella Regione Marche. Le disposizioni impugnate impedivano, infatti, «all’interno del relativo perimetro territoriale, ogni ipotesi di gestione dei rifiuti mediante combustione, comprese quelle che garantiscono un recupero d’energia valorizzando il calore sprigionato dal relativo trattamento termico»: questa Corte ha ritenuto che violassero le attribuzioni legislative dello Stato, «ostacolando la realizzazione delle finalità di riequilibrio tra le aree del territorio nazionale poste a fondamento, in parte qua, del riparto di competenze previsto, nella materia afferente la gestione dei rifiuti, di cui al d.lgs. n. 152 del 2006» (sentenza n. 142 del 2019; nello stesso senso, sentenza n. 231 del 2019).
Similmente, nel caso ora in esame, nell’indirizzare l’attività di revisione del PRGR, il legislatore regionale si è inserito in un ambito che non gli pertiene: la valutazione della necessità di collocare un impianto di incenerimento nel territorio abruzzese è compito dello Stato. La norma impugnata è, perciò, affetta da vizio d’incompetenza.
4.3.– A ciò s’aggiunga che, sul piano dei contenuti, la decisione politica della Regione Abruzzo (evitare la realizzazione dell’inceneritore nel suo territorio) si pone in contrasto con quanto previsto nel d.P.C.m. 10 agosto 2016. Nell’individuare il fabbisogno residuo da coprire mediante la realizzazione di impianti di incenerimento, quest’ultimo, infatti, verificava che in Abruzzo vi era una certa quantità di rifiuti non efficacemente smaltiti e che risultava «giustificata la realizzazione di un nuovo impianto da 120.000 tonn/anno, tale da soddisfare le esigenze regionali».
4.4.– Il rilievo che il PRGR, vigente al momento dell’entrata in vigore della legge regionale n. 45 del 2020 – seppur aggiornato, successivamente all’adozione del menzionato d.P.C.m., con delibera del Consiglio Regionale 2 luglio 2018, n. 110/8 recante «Piano Regionale di Gestione Integrata dei Rifiuti (PRGR) – Aggiornamento» e relativi allegati –, non prevedesse infrastrutture per l’incenerimento dei rifiuti urbani e assimilati non depone nel senso della non fondatezza della questione: tale circostanza non legittima, infatti, il legislatore regionale a inibirne la realizzazione nel futuro.
Parimente non rilevante, ai fini della presente decisione, è l’affermazione secondo la quale il sistema di gestione dei rifiuti della Regione Abruzzo rispetterebbe la «gerarchia dei rifiuti», definita dalle discipline europea e nazionale, proprio perché non ricorre alla tecnica dell’incenerimento, intende ridurre il volume di rifiuti in discarica e promuove, invece, meccanismi alternativi di recupero materiale ed energetico. La collocazione dei diversi tipi di impianto di trattamento, smaltimento e recupero dei rifiuti sul territorio nazionale, infatti, come si è già rilevato, deve essere decisa a livello statale.
Va, a tale proposito, segnalata l’introduzione – ad opera dell’art. 2, comma 1, del decreto legislativo 3 settembre 2020, n. 116, recante «Attuazione della direttiva (UE) 2018/851 che modifica la direttiva 2008/98/CE relativa ai rifiuti e attuazione della direttiva (UE) 2018/852 che modifica la direttiva 1994/62/CE sugli imballaggi e i rifiuti di imballaggio» – dell’art. 198-bis cod. ambiente, in forza del quale si adotterà il programma nazionale per la gestione dei rifiuti: tale programma «definisce i criteri e le linee strategiche cui le Regioni e le Province autonome si attengono nella elaborazione dei Piani regionali di gestione dei rifiuti di cui all’articolo 199» e, fra l’altro, conterrà «l’indicazione dei criteri generali per l’individuazione di macroaree […] che consentano la razionalizzazione degli impianti dal punto di vista localizzativo, ambientale ed economico, sulla base del principio di prossimità, anche relativamente agli impianti di recupero, in coordinamento con quanto previsto all’articolo 195, comma 1, lettera f)».
Per le ragioni esposte, l’art. 1, comma 4, della legge reg. Abruzzo n. 45 del 2020 deve essere dichiarato costituzionalmente illegittimo, per violazione dell’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., in relazione agli artt. 195, comma 1, lettera f), cod. ambiente e 35, comma 1, del d.l. n. 133 del 2014, come convertito, limitatamente alle parole «ribadendo la volontà di non prevedere la realizzazione di impianti dedicati di incenerimento per i rifiuti urbani e».
5.– Per quanto concerne la seconda questione, oggetto dell’impugnativa è l’art. 1, comma 9, lettera u), della medesima legge abruzzese, il quale dispone: «[a]i fini del raggiungimento degli obiettivi di cui ai commi 4 e 5, sono promosse, con appositi provvedimenti attuativi, le seguenti prioritarie azioni: […] u) [d]efinire, per garantire la tutela della salute e del territorio, distanze minime e fasce preventive minime dai centri abitati e dalle funzioni sensibili, come ad esempio asili nido, scuole, centri sportivi e di aggregazioni, distretti sanitari, ospedali e case di riposo, al di sotto delle quali la localizzazione di impianti di trattamento e di smaltimento dei rifiuti è esclusa a priori».
5.1.– La questione non è fondata.
Gli artt. 196, comma 1, lettera n), e 199, comma 3, lettera l), cod. ambiente, evocati quali parametri interposti di legittimità costituzionale, prevedono, rispettivamente, che compete alle Regioni «la definizione di criteri per l’individuazione […] delle aree non idonee alla localizzazione degli impianti di smaltimento e di recupero dei rifiuti […]», e che i Piani Regionali per la gestione dei rifiuti stabiliscono «i criteri per l’individuazione delle aree non idonee alla localizzazione degli impianti di recupero e smaltimento dei rifiuti».
Questa Corte ha, in effetti, più volte affermato che le aree, non idonee a ospitare le strutture per il trattamento dei rifiuti, vanno individuate in sede di pianificazione, non nella legge regionale; ha, così, chiarito che le previsioni del codice dell’ambiente, le quali riservano alle procedure amministrative l’assunzione di tali decisioni, sono vincolanti e valgono a escludere l’intervento legislativo regionale (sentenze n. 272 del 2020 e n. 28 del 2019; in senso analogo, in materia di produzione dell’energia, le sentenze n. 121, n. 77 e n. 11 del 2022).
L’art. 1, comma 9, lettera u), della legge reg. Abruzzo n. 45 del 2020 – diversamente da quanto ritenuto dal ricorrente – non individua direttamente le aree nelle quali non si possono localizzare impianti di trattamento dei rifiuti. Esso reca una esemplificazione di luoghi da cui tali strutture dovrebbero essere distanti, lasciando che i successivi atti di pianificazione li identifichino puntualmente e definiscano la misura delle distanze, in conformità con le richiamate previsioni del codice dell’ambiente.
Questo è l’univoco significato da attribuire alla lettera delle disposizioni impugnate, specie considerando quanto la legge regionale in esame dispone subito appresso, al comma 10: «[a]l fine di adeguare la pianificazione regionale in materia di rifiuti alle disposizioni di cui al presente articolo, la Giunta regionale avvia […] il procedimento di aggiornamento del vigente PRGR, da concludere entro il 31 dicembre 2021, assumendo quali indirizzi programmatici le azioni previste dal comma 9».
In conclusione, va dichiarata non fondata la questione dell’art. 1, comma 9, lettera u), della legge regionale n. 45 del 2020.
LA CORTE COSTITUZIONALE
1) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 1, comma 4, della legge della Regione Abruzzo 30 dicembre 2020, n. 45 (Norme a sostegno dell’economia circolare e di gestione sostenibile dei rifiuti), limitatamente alle parole «ribadendo la volontà di non prevedere la realizzazione di impianti dedicati di incenerimento per i rifiuti urbani e»;
2) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 9, lettera u), della legge reg. Abruzzo n. 45 del 2020, promossa, in riferimento all’art. 117, secondo comma, lettera s), della Costituzione, in relazione agli artt. 196, comma l, lettere n) e o), e 199, commi l, 3, lettera l), e 5, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 (Norme in materia ambientale), dal Presidente del Consiglio dei ministri, con il ricorso indicato in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, l’8 giugno 2022.
F.to:
Giuliano AMATO, Presidente
Franco MODUGNO, Redattore
Roberto MILANA, Direttore della Cancelleria
Depositata in Cancelleria il 25 luglio 2022.