Sentenza n. 86 del 2021

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SENTENZA N. 86

ANNO 2021

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

 

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori: Presidente: Giancarlo CORAGGIO

Giudici: Giuliano AMATO, Silvana SCIARRA, Daria de PRETIS, Nicolò ZANON, Franco MODUGNO, Augusto Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO, Francesco VIGANÒ, Luca ANTONINI, Stefano PETITTI, Angelo BUSCEMA, Emanuela NAVARRETTA, Maria Rosaria SAN GIORGIO,

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 1, commi 1, 4, 5 e 8, della legge della Regione autonoma Sardegna 21 febbraio 2020, n. 1 (Disposizioni sulla gestione della posidonia spiaggiata), promosso dal Presidente del Consiglio dei ministri con ricorso notificato il 22-27 aprile 2020, depositato in cancelleria il 28 aprile 2020, iscritto al n. 44 del registro ricorsi 2020 e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 21, prima serie speciale, dell’anno 2020.

Visto l’atto di costituzione della Regione autonoma Sardegna;

udito nell’udienza pubblica del 23 marzo 2021 il Giudice relatore Giovanni Amoroso;

uditi l’avvocato dello Stato Maria Letizia Guida per il Presidente del Consiglio dei ministri e l’avvocato Sonia Sau per la Regione autonoma Sardegna, in collegamento da remoto, ai sensi del punto 1) del decreto del Presidente della Corte del 16 marzo 2021;

deliberato nella camera di consiglio del 24 marzo 2021.

Ritenuto in fatto

1.‒ Con ricorso depositato il 28 aprile 2020, il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, ha promosso questioni di legittimità costituzionale, in riferimento all’art. 117, secondo comma, lettera s), della Costituzione e agli artt. 3 e 4 della legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 3 (Statuto speciale per la Sardegna), nei confronti dell’art. 1, commi 1, 4, 5 e 8, della legge della Regione autonoma Sardegna 21 febbraio 2020, n. l (Disposizioni sulla gestione della posidonia spiaggiata).

Il ricorrente osserva che le disposizioni impugnate, le quali hanno ad oggetto la disciplina dei resti della pianta marina denominata "Posidonia oceanica”, eccedono dalla competenza statutaria della Regione autonoma Sardegna e contrastano con la legislazione emanata dallo Stato nell’esercizio della propria competenza esclusiva in materia di tutela dell’ambiente e dell’ecosistema, di cui all’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., cui è riconducibile la disciplina in materia di rifiuti.

Le disposizioni regionali, in particolare, si porrebbero in contrasto con gli artt. 180-bis, comma 1-bis, 182, 183, comma 1, lettere n) e bb), 184, comma, 2, lettera d), 185, comma l, lettera f), e 193 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, recante «Norme in materia ambientale» (d’ora in poi: cod. ambiente), e dell’art. 39, comma 11, del decreto legislativo 3 dicembre 2010, n. 205 (Disposizioni di attuazione della direttiva 2008/98/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 19 novembre 2008 relativa ai rifiuti e che abroga alcune direttive).

Ad avviso del ricorrente gli accumuli di posidonia spiaggiata sono, infatti, da qualificarsi rifiuti ai sensi dell’art. 184, comma 2, lettera d), cod. ambiente, il quale dispone che costituiscono «rifiuti urbani» i rifiuti «di qualunque natura o provenienza, giacenti [...] sulle spiagge marittime e lacuali e sulle rive dei corsi d’acqua» e sono, quindi, soggetti alla disciplina generale sui rifiuti contenuta nella Parte quarta cod. ambiente.

L’art. 39, comma 11, del d.lgs. n. 205 del 2010 dispone, inoltre, che nel caso sussistano elementi univoci che facciano ritenere la presenza di posidonia e di meduse spiaggiate direttamente dipendenti da mareggiate o altre cause comunque naturali, è consentito l’interramento in sito dei materiali sopracitati, purché ciò avvenga senza trasporto né trattamento.

Nel ricorso si pone in rilievo, poi, come al fine di dare corretta attuazione alle disposizioni legislative in materia, il Ministero dell’ambiente e della tutela e del territorio e del mare ha emanato le circolari, prot. n. 8123 del 17 marzo 2006 e n. 8838 del 20 maggio 2019, entrambe aventi ad oggetto la «[g]estione degli accumuli di Posidonia oceanica spiaggiati», allo scopo di fornire a tutte le Regioni le corrette modalità di gestione di tali materiali.

Ciò posto, e passando alle specifiche disposizioni, la difesa statale osserva che con riferimento all’art. 1, comma 1, della legge reg. Sardegna n. 1 del 2020, il legislatore regionale ha previsto che nel caso in cui il mantenimento in loco della posidonia impedisca la regolare fruizione della spiaggia a fini turistici, i Comuni o i gestori concessionari, previa comunicazione alla Regione, possono spostare temporaneamente gli accumuli di posidonia in zone idonee dello stesso arenile o, qualora non disponibili, in aree idonee appositamente individuate all’interno del territorio del Comune.

Tale disposizione sarebbe censurabile nella parte in cui prevede lo spostamento temporaneo degli accumuli di posidonia in «aree idonee appositamente individuate all’interno del territorio del comune», e quindi, in zone diverse da quelle individuate dalla disciplina statale e dalle disposizioni di prassi adottate in materia, implicando altresì attività di trasporto che deve essere esercitata nel rispetto del regime previsto dall’art. 193 cod. ambiente.

L’art. 183, comma 1, lettera n), cod. ambiente, infatti, esclude dall’ambito di gestione dei rifiuti, e consente di esercitare liberamente, soltanto le operazioni di prelievo, raggruppamento, cernita e deposito preliminari alla raccolta di materiali o sostanze naturali derivanti da eventi atmosferici o meteorici, ivi incluse mareggiate e piene, anche ove frammisti ad altri materiali di origine antropica, che siano effettuate nel tempo tecnico strettamente necessario, presso il medesimo sito nel quale detti eventi li hanno depositati.

Il ricorrente, nel richiamare la circolare ministeriale prot. n. 8838 del 2019, afferma che tutt’altro genere rivestono invece le operazioni di spostamento verso non ben specificate «aree idonee individuate all’interno del territorio comunale», consentite dalla norma regionale impugnata.

In tal caso si determinerebbe un’attività di vera e propria gestione di rifiuti, che deve essere pienamente assoggettata alla legislazione statale di riferimento.

Il citato art. 183, comma l, lettera n), cod. ambiente dispone infatti che qualunque operazione di raccolta, trasporto, recupero e smaltimento dei rifiuti deve essere considerata attività di gestione dei rifiuti, al di fuori delle ipotesi sopra indicate.

Inoltre, il ricorrente osserva che, se con la generica espressione «aree idonee appositamente individuate all’interno del territorio del comune», il legislatore regionale avesse voluto riferirsi al deposito temporaneo, la norma si porrebbe, comunque, in contrasto con la disposizione di cui all’art. 183, comma l, lettera bb), cod. ambiente, che prevede che sia effettuato nel luogo stesso in cui i rifiuti sono stati prodotti e nella tassativa ricorrenza di tutte le condizioni previste dall’art. 185-bis cod. ambiente.

In particolare, in considerazione degli impatti che le sostanze così accumulate possono produrre sull’ecosistema, è necessario che l’invio sia effettuato presso aree ricomprese negli specifici centri di raccolta previsti dall’art. 180-bis, comma l-bis, cod. ambiente, che richiama il successivo art. 183, comma 1, lettera mm) ‒ e non presso gli spazi generici cui fa riferimento la disposizione impugnata ‒ che possano costituire valido presidio di garanzia per la salute e per l’ambiente.

Quanto al comma 4 dell’art. 1 della legge reg. Sardegna n. 1 del 2020, che prevede un divieto assoluto di procedere allo smaltimento in discarica, il ricorrente rileva il contrasto con la disciplina statale di cui all’art. 182 cod. ambiente, secondo cui si ricorre allo smaltimento in discarica ogni qualvolta non sia possibile dal punto di vista tecnico ed economico eseguire le operazioni di recupero o accedervi a condizioni ragionevoli, anche considerando il rapporto costi/benefici.

In riferimento, poi, al comma 5 dello stesso art. l della legge regionale in esame, che consente di effettuare la vagliatura del materiale organico spiaggiato, anche presso il sito ove si intende conferire la posidonia, ai sensi del comma 1, il ricorrente osserva che la disposizione si pone in contrasto con quanto espressamente stabilito dall’art. 183, comma 1, lettera n), cod. ambiente, che considera estranea all’attività di gestione dei rifiuti esclusivamente l’esecuzione delle operazioni di cernita che sia compiuta presso il medesimo sito ove gli eventi li hanno depositati.

Infine, il comma 8 dell’art. 1 della medesima legge regionale esclude dal campo di applicazione della normativa sui rifiuti, i materiali costituiti di materia vegetale di provenienza agricola o forestale, che si siano depositati naturalmente sulle sponde di laghi e fiumi e sulla battigia del mare, derivanti da eventi atmosferici o meteorici, ivi incluse le mareggiate e le piene, anche ove frammisti ad altri materiali di origine antropica.

Anche questa disposizione, ad avviso del ricorrente, prevedendo l’esclusione dalla normativa ambientale dei materiali non espressamente previsti dall’art. 185, comma l, lettera f), cod ambiente, si pone in contrasto con la normativa statale, e potrebbe altresì comportare l’apertura di una procedura di infrazione comunitaria.

Le norme regionali impugnate sarebbero pertanto costituzionalmente illegittime, non potendo le Regioni invadere le competenze attribuite in via esclusiva allo Stato, come quelle in materia di tutela dell’ambiente e dell’ecosistema; né gli artt. 3 e 4 dello statuto reg. Sardegna attribuiscono alla Regione competenze legislative in materia ambientale.

Infine, osserva il ricorrente, richiamando la giurisprudenza costituzionale, che i profili di tutela ambientale sono assorbenti e prevalenti rispetto ad ogni altra questione che possa incidere su altre materie interferenti, che siano ricomprese nell’ambito delle proprie competenze statutarie.

2.– Con atto depositato in data 27 maggio 2020, si è costituita in giudizio la Regione autonoma Sardegna ed ha chiesto di dichiarare le questioni non fondate.

La resistente, in via generale, osserva come ai sensi degli artt. 183, comma 1, lettera a), e 184, commi 2, lettera d), e 5, cod. ambiente, la posidonia spiaggiata sia qualificabile come rifiuto e, quindi, soggetta alla relativa disciplina, soltanto in presenza della volontà di disfarsene.

Le Regioni, pertanto, sarebbero legittimate a disciplinare le modalità di utilizzo della posidonia spiaggiata quale risorsa per contrastare l’erosione dei litorali e salvaguardare gli ecosistemi costieri, in assenza di una disciplina statale in merito, al di fuori di quanto stabilito nelle circolari, le quali non sarebbero vincolanti.

Ciò precisato, secondo la difesa della Regione, il legislatore regionale ha inteso disciplinare l’utilizzo della posidonia unicamente quale risorsa, in conformità alla sua naturale attitudine di barriera contro l’erosione dei litorali e di salvaguardia degli ecosistemi costieri.

Passando alle specifiche censure, con riferimento all’art. 1, comma l, della legge reg. Sardegna n. 1 del 2020, la difesa regionale osserva che l’art. 183, comma l, lettera n), trova applicazione esclusivamente nelle ipotesi in cui il materiale da gestire sia un rifiuto, ovvero un materiale di cui si intenda disfarsi.

Ed anche l’art. 39, comma 11, del d.lgs. n. 205 del 2010, trova applicazione esclusivamente nell’ipotesi in cui si sia deciso di disfarsi della posidonia spiaggiata, dal momento che introduce una modalità alternativa di smaltimento.

La circolare ministeriale prot. n. 8838 del 2019 – secondo la difesa regionale – disciplina i casi in cui si sia deciso di mantenere la posidonia nella sua naturale funzione di barriera anti erosione e di presidio a tutela dell’ecosistema costiero. Sarebbe quindi evidente che al legislatore regionale è contestato di essersi discostato dal contenuto di una circolare ministeriale, facendo discendere da tale scostamento la qualifica della posidonia come rifiuto, con conseguente pretesa applicabilità della normativa in materia.

Quanto all’obbligo di gestione in loco, la resistente osserva che esso è previsto esclusivamente nella citata circolare del 2019, la cui eventuale violazione non può comportare l’automatica trasformazione della posidonia spiaggiata, che si è deciso di mantenere alla sua funzione, da risorsa a rifiuto.

Neanche il richiamo dell’art. 183, comma l, lettera n), cod. ambiente sarebbe pertinente, dal momento che lo stesso disciplina l’attività di gestione di rifiuti, quale certamente non è la posidonia spiaggiata spostata per il periodo estivo in luogo idoneo diverso da quelli di cui ad una circolare ministeriale e in attesa di essere riposizionata in una spiaggia al fine di impedirne l’erosione.

L’affermazione del ricorrente, secondo cui «in tutti i casi in cui il materiale organico viene prelevato dalla spiaggia per essere trasportato altrove, si rende necessaria l’integrale applicazione della normativa sui rifiuti» e, quindi dell’art. 183, comma l, lettera bb), cod. ambiente (che disciplina il deposito temporaneo di rifiuti) non poggerebbe su alcun supporto normativo e sarebbe contraddetta, oltre che dalle circolari ministeriali citate, anche dalle direttive comunitarie e dagli accordi internazionali in esse richiamate.

Nella circolare prot. n. 8123 del 2006, osserva la resistente, è previsto lo spostamento stagionale degli accumuli, rimettendo agli enti competenti l’individuazione delle località di destinazione e delle modalità dello spostamento, senza limitazione alcuna.

Viene anche chiarito che non vi sono evidenze scientifiche per possibili meccanismi di criticità delle biomasse spiaggiate nei confronti della salute dell’uomo.

Inoltre, nella circolare prot. n. 1005 del 1° aprile 2015 è ribadito che le località di spostamento e le modalità dello stesso sono rimesse agli enti parco o alla Regione competente, sentiti i Comuni interessati. Soltanto nella circolare prot. n. 8838 del 2019 sono imposte le zone di spostamento e le modalità dello stesso, senza peraltro alcun riferimento alle motivazioni per cui si sia introdotta tale modifica rispetto alle precedenti circolari, in particolare alle ragioni di tutela ambientale.

Il comma 1 dell’art. 1 impugnato, che disciplina le modalità per il mantenimento della pianta marina nella sua funzione naturale – discostandosi dalle indicazioni ministeriali che, per la prima volta nel 2019, hanno previsto che lo spostamento stagionale potesse essere effettuato solo nelle spiagge situate all’interno della stessa unità fisiografica – non ha quindi ad oggetto la gestione di rifiuti.

Secondo la difesa regionale, poi, la locuzione «aree idonee individuate all’interno del comune» sarebbe certamente riferibile a quelle situate all’interno della stessa unità fisiografica, ciò in quanto il concetto di idoneità non può non includere la distanza, anche perché il miglior rapporto costi/benefici impone la prossimità.

Per quanto concerne il comma 4 dell’art. 1 della legge reg. Sardegna n. 1 del 2020, la Regione osserva come la ratio non sia quella di vietare lo smaltimento della posidonia, posto che tale scelta sarebbe illogica ove della stessa non potesse essere fatto alcun utilizzo. L’intento sarebbe, invece, quello di vietare il previo spostamento degli accumuli destinati allo smaltimento.

La disposizione è, infatti, collocata dopo i commi che prevedono, quale opzione preferibile, il mantenimento della posidonia alla sua funzione naturale (commi 1 e 2) e, ove ciò non sia possibile, la rimozione permanente con conferimento prioritario presso impianti di recupero e/o riciclaggio e/o lavaggio, in particolare di compostaggio.

La Regione non ha quindi vietato il conferimento in discarica tout court, ma individuate le priorità, ha però chiarito che il materiale da smaltire non deve essere soggetto a spostamenti intermedi.

Per ciò che riguarda il comma 5 dell’art. 1 della legge reg. Sardegna n. l del 2020 la difesa osserva che l’invocato art. 183, comma 1, lettera n), cod. ambiente non troverebbe applicazione in quanto, come più volte ribadito, la cernita della posidonia non ha ad oggetto un rifiuto.

Nessuna norma, pertanto, impone che la vagliatura avvenga esclusivamente nel sito di provenienza, non comprendendosi la finalità di tale limitazione, posto che in ogni caso l’operazione è destinata a garantire il recupero della sabbia da destinare al ripascimento dell’arenile di provenienza.

Peraltro, la disposizione impugnata impone che le operazioni di raccolta, spostamento e riposizionamento siano precedute dalla separazione della sabbia e dalla rimozione dei rifiuti. La vagliatura nel sito di spostamento temporaneo si configura pertanto come operazione ulteriore, ove necessaria.

Quanto al comma 8 dell’art. 1 impugnato, la difesa regionale osserva che esso non ha ad oggetto la posidonia e che la disposizione intendeva recepire il contenuto dell’art. 5, comma 3, del disegno di legge recante «Disposizioni per il recupero dei rifiuti in mare e nelle acque interne e per la promozione dell’economia circolare», così detta "legge SalvaMare”, già approvata dalla Camera e in esame al Senato (A.S. n. 1571), nella convinzione che sarebbe stata celermente approvata.

3.– Con memoria depositata in data 9 febbraio 2020, il Presidente del Consiglio dei ministri ha replicato alle argomentazioni difensive della Regione autonoma Sardegna, insistendo nella richiesta di declaratoria di illegittimità costituzionale.

Osserva in proposito che l’elemento volitivo, cui fa riferimento l’art. 183, comma l, lettera a), cod. ambiente, riguarda il soggetto che intenda trasformare una "sostanza” o un "oggetto” da lui detenuti in un rifiuto, mediante l’abbandono e la conseguente interruzione del rapporto con la cosa.

Il soggetto che venga in possesso di una "sostanza” o di un "oggetto” abbandonato, invece, non manifesta nessuna volontà ed acquista la posizione di "detentore del rifiuto”, ed è per ciò stesso obbligato ad osservare integralmente l’inderogabile disciplina relativa al trattamento di tale categoria di materiali.

La sua volontà si potrà riferire dunque solo ed esclusivamente alle modalità di trattamento del rifiuto da lui detenuto, optando tra le varie possibilità offerte dalla legge.

In tale contesto, egli potrà anche considerare il rifiuto come sostanza da recuperare per altre finalità; ma tale recupero comporterà solo la perdita della sua qualificazione come rifiuto, ai sensi dell’art. 184-ter cod. ambiente, e non escluderà affatto che esso dovesse essere considerato tale ab origine e dovesse essere assoggettato alla relativa disciplina nel tempo precedente. In particolare, la difesa statale precisa che la nozione di "utilizzo” (o di "riutilizzo”) si distingue da quella di "recupero” perché si riferisce a materiali che non hanno acquisito la qualificazione di "rifiuto” e che possano essere «reimpiegati per la stessa finalità per la quale erano stati concepiti» (art. 183, comma l, lettera r, cod. ambiente).

Il ricorrente dunque ribadisce che la lettera a) del comma 1 dell’art. 183 cod. ambiente si riferisce alla volontà di disfarsi di una sostanza detenuta per trasformarla in rifiuto, mentre la fattispecie descritta «riguarda la volontà di "recuperare” (e non di "utilizzare”) un rifiuto in proprio possesso, considerandolo come una risorsa e facendo così cessare tale qualificazione».

Infatti, nell’ipotesi della posidonia ricorre un caso di recupero del rifiuto che si ha quando esso può «svolgere un ruolo utile, sostituendo altri materiali che sarebbero stati altrimenti utilizzati per assolvere una particolare funzione».

Per il resto, la difesa statale ribadisce le argomentazioni già svolte nel ricorso.

Considerato in diritto

1.‒ Con ricorso depositato il 28 aprile 2020, il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, ha promosso questioni di legittimità costituzionale, in riferimento all’art. 117, secondo comma, lettera s), della Costituzione e agli artt. 3 e 4 della legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 3 (Statuto speciale per la Sardegna), nei confronti dell’art. 1, commi 1, 4, 5 e 8, della legge della Regione autonoma Sardegna 21 febbraio 2020, n. l (Disposizioni sulla gestione della posidonia spiaggiata).

Il ricorrente afferma che i resti della pianta marina denominata "Posidonia oceanica” sono assoggettabili alla disciplina sui rifiuti, ai sensi dell’art. 184, comma 2, lettera d), del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, recante «Norme in materia ambientale» (d’ora in poi: cod. ambiente), secondo cui costituiscono «rifiuti urbani» quelli «di qualunque natura o provenienza giacenti [...] sulle spiagge marittime e lacuali e sulle rive dei corsi d’acqua».

La qualificazione degli accumuli della posidonia spiaggiata come sostanze assoggettate alla disciplina sui rifiuti determinerebbe, secondo il ricorrente, che le disposizioni regionali impugnate eccederebbero dalla competenza statutaria della Regione autonoma Sardegna e contrasterebbero con plurime norme del codice dell’ambiente, espressione dell’esercizio della competenza esclusiva statale in materia di tutela dell’ambiente e dell’ecosistema, di cui all’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., cui è riconducibile la disciplina in materia di rifiuti.

Più specificamente, quanto alle singole norme, il ricorrente afferma che l’art. 1, comma 1, della legge reg. Sardegna n. 1 del 2020, nella parte in cui prevede lo «spostamento temporaneo» degli accumuli di posidonia in «aree idonee appositamente individuate all’interno del territorio del comune», contrasta con i menzionati parametri costituzionali, in quanto individua zone di deposito temporaneo, diverse da quelle stabilite dalla disciplina statale e «dalle disposizioni di prassi» adottate in materia.

La norma impugnata, inoltre, nel prevedere lo spostamento dei resti della pianta marina presso non meglio specificate aree implicherebbe, altresì, un’operazione di trasporto in contrasto con la specifica disciplina di cui all’art. 193 cod. ambiente.

La difesa statale impugna, poi, l’art. 1, comma 4, della legge reg. Sardegna n. 1 del 2020, nella parte in cui stabilisce che «[q]ualora si proceda allo spostamento della posidonia, è fatto assoluto divieto procedere al suo smaltimento in discarica».

Tale norma recherebbe una disciplina in contrasto con quella di cui all’art. 182 cod. ambiente che, invece, prevede la possibilità di ricorrere allo smaltimento in discarica ogni qualvolta non sia possibile, dal punto di vista tecnico ed economico, eseguire le operazioni di recupero o accedervi a condizioni ragionevoli, anche considerando il rapporto costi/benefici.

È inoltre, impugnato l’art. 1, comma 5, della legge reg. Sardegna n. 1 del 2020, nella parte in cui consente di effettuare la «vagliatura» del materiale organico spiaggiato, consistente nella separazione della sabbia dal materiale organico, anche presso il «sito in cui è conferita la posidonia».

Tale norma si porrebbe in contrasto con la disciplina recata dall’art. 183, comma 1, lettera n), cod. ambiente, secondo cui l’esecuzione delle operazioni di «cernita», solo se compiute presso il medesimo sito ove gli eventi naturali hanno depositato la posidonia, è estranea all’attività di «gestione dei rifiuti», rilevante ai fini dell’applicazione della Parte quarta cod. ambiente.

Infine, il ricorrente impugna l’art. 1, comma 8, della legge reg. Sardegna n. 1 del 2020, nella parte in cui prevede l’applicazione dell’art. 185, comma 1, lettera f), cod. ambiente ai «prodotti costituiti di materia vegetale di provenienza agricola o forestale, depositata naturalmente sulle sponde di laghi e fiumi e sulla battigia del mare, derivanti da eventi atmosferici o meteorici, ivi incluse mareggiate e piene, anche ove frammisti ad altri materiali di origine antropica», in tal modo sottraendo tali sostanze dal campo di applicazione della normativa sui rifiuti.

Ad avviso della difesa statale, la disposizione regionale, ampliando il catalogo dei materiali sottratti alla disciplina dei rifiuti, recherebbe una disciplina incompatibile con l’art. 185, comma l, lettera f), cod. ambiente.

2.– Nell’atto difensivo la Regione resistente confuta le argomentazioni del ricorrente assumendo che la posidonia spiaggiata, oggetto dell’art. 1, commi 1, 4 e 5, della legge reg. Sardegna n. 1 del 2020, sia assoggettabile alla disciplina statale sui rifiuti, soltanto in presenza della volontà di disfarsene, secondo il disposto di cui agli artt. 183, comma 1, lettera a), e 184, commi 2, lettera d), e 5, cod. ambiente. Le disposizioni regionali, infatti, perseguirebbero l’unico fine di disciplinare l’utilizzo della pianta marina quale risorsa ambientale, in conformità alla sua naturale attitudine di barriera contro l’erosione dei litorali e di salvaguardia degli ecosistemi costieri, non essendo espressive della volontà del legislatore regionale di disfarsene.

Quanto al comma 8 dell’art. 1 impugnato, avente ad oggetto materiali diversi dalla posidonia, la difesa regionale osserva che la disposizione intendeva recepire il contenuto dell’art. 5, comma 3, del disegno di legge recante «Disposizioni per il recupero dei rifiuti in mare e nelle acque interne e per la promozione dell’economia circolare», così detta "legge SalvaMare”, già approvata dalla Camera e in esame al Senato (A.S. n. 1571), nella convinzione che sarebbe stata celermente approvata.

3.– In via preliminare deve osservarsi che, successivamente al ricorso, plurime disposizioni della Parte quarta cod. ambiente sono state modificate dall’art. 1 del decreto legislativo 3 settembre 2020, n. 116, recante «Attuazione della direttiva (UE) 2018/851 che modifica la direttiva 2008/98/CE relativa ai rifiuti e attuazione della direttiva (UE) 2018/852 che modifica la direttiva 1994/62/CE sugli imballaggi e i rifiuti di imballaggio».

Ai soli fini che qui interessano, deve rilevarsi che per effetto dell’art. 1, comma 9, lettera a), del d.lgs. n. 116 del 2020, il riferimento normativo indicato dal ricorrente per la qualificazione dei resti di posidonia quale rifiuto urbano si rinviene, attualmente, nell’art. 183, comma 1, lettera b-ter), numero 4), cod. ambiente.

Inoltre, l’art. 1, comma 9, lettera e), del d.lgs. n. 116 del 2020, ha sostituito la lettera n), dell’art. 183, comma 1, cod. ambiente, inserendo tra le attività di «gestione dei rifiuti», soggette alla disciplina di cui alla Parte quarta cod. ambiente, la «cernita» quale attività espletabile in funzione del recupero dei rifiuti, e introducendo tra le attività che, invece, non costituiscono «attività di gestione», la «selezione» dei materiali, confermando per il resto il contenuto della norma.

Si tratta di modifiche, dunque, che non assumono rilievo in ordine alle censure del ricorrente.

4.– Prima di passare all’esame delle censure contenute nel ricorso, occorre soffermarsi sul quadro normativo nel cui ambito si colloca la disciplina della pianta marina della posidonia e, in particolare, dei suoi residui, i quali soltanto sono oggetto della disciplina regionale impugnata.

Le praterie di posidonia, ai sensi dell’art. 1 della Direttiva n. 92/43/CEE, recepita in Italia con il d.P.R. 8 settembre 1997, n. 357 (Regolamento recante attuazione della direttiva 92/43/CEE relativa alla conservazione degli habitat naturali e seminaturali, nonché della flora e della fauna selvatiche), sono classificate tipi di habitat naturali prioritari, ossia tipi di habitat che rischiano di scomparire e per la cui conservazione la «Comunità ha una responsabilità particolare».

Tali piante marine sono, inoltre, tutelate dal Protocollo relativo alle aree specialmente protette e alla biodiversità nel Mediterraneo (ASPIM), sottoscritto nell’ambito della Convenzione per la protezione del Mare Mediterraneo dall’inquinamento (Convenzione di Barcellona), ratificato con legge 27 maggio 1999, n. 175 (Ratifica ed esecuzione dell’Atto finale della Conferenza dei plenipotenziari sulla Convenzione per la protezione del Mar Mediterraneo dall’inquinamento, con relativi protocolli, tenutasi a Barcellona il 9 e 10 giugno 1995).

Si tratta di atti normativi che perseguono, tra gli altri, l’obiettivo di salvaguardare gli ecosistemi marini, quali habitat che sono in pericolo di estinzione o che sono necessari per la sopravvivenza di specie animali e vegetali, nel cui ambito sono state inserite anche le praterie di "Posidonia oceanica”.

Mentre per la pianta marina in esame è dunque apprestata una significativa normativa di tutela, nazionale e sovranazionale, non altrettanto può affermarsi per i suoi residui spiaggiati, i quali però svolgono una fondamentale funzione di conservazione delle coste e dei loro ecosistemi.

È univocamente affermato, infatti, che le strutture lamellari (così dette banquettes) presenti lungo i litorali costieri – composte dagli accumuli delle foglie morte, dei rizomi e dei resti fibrosi della posidonia frammisti alla sabbia – svolgono un ruolo importante nella protezione dei litorali dall’erosione, in quanto ostacolano l’azione e l’energia del moto ondoso, contribuendo alla stabilità delle spiagge e della costa.

In assenza di una specifica disciplina statale sulla gestione delle biomasse vegetali spiaggiate, derivanti da piante marine o alghe – allo stato è all’esame del Senato della Repubblica il disegno di legge recante «Disposizioni per il recupero dei rifiuti in mare e nelle acque interne e per la promozione dell’economia circolare», così detta "legge SalvaMare”, approvata dalla Camera dei deputati il 24 ottobre 2019 (A.S. n. 1571) – l’importante ruolo di protezione ambientale è oggetto di considerazione delle circolari del Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare (MATTM), contenenti puntuali indicazioni volte a contemperare la rilevante funzione ecologica dei residui della posidonia con la necessità di rendere fruibili le spiagge; così da tutelare le esigenze turistico-ricreative dei concessionari demaniali, degli enti interessati e, comunque, della collettività in generale.

Infatti, già la circolare prot. n. 8123 del 17 marzo 2006 aveva rilevato come la preferibile soluzione del mantenimento in loco della posidonia spiaggiata potesse spesso confliggere con l’esigenza di rendere usufruibili le spiagge ed aveva perciò indicato ulteriori soluzioni legate alla specificità dei luoghi. Accanto al mantenimento in situ degli accumuli quale opzione auspicabile nelle aree marine protette, aveva indicato lo spostamento di accumuli in zone meno frequentate della stessa spiaggia o in spiagge diverse, stabilendo che le modalità dello spostamento dovessero essere stabilite con provvedimento da adottarsi da parte degli enti parco o della Regione, sentiti i Comuni interessati. In presenza, poi, di una oggettiva incompatibilità tra gli accumuli dei residui di posidonia e la possibilità di utilizzo delle spiagge, nella menzionata circolare si era prevista anche la rimozione permanente ed il trasferimento in discarica.

In merito alle possibili misure gestionali dei resti spiaggiati, poi, la recente circolare prot. n. 8838 del 20 maggio 2019, in aggiunta al mantenimento in loco o allo spostamento in zone della stessa spiaggia o in spiagge limitrofe, ha indicato ulteriori possibili rimedi.

In particolare, si è previsto l’interramento in sito, ai sensi dell’art. 39, comma 11, del decreto legislativo 3 dicembre 2010, n. 205 (Disposizioni di attuazione della direttiva 2008/98/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 19 novembre 2008 relativa ai rifiuti e che abroga alcune direttive); il trasferimento degli accumuli presso gli impianti di riciclaggio; la reimmissione in ambiente marino previa vagliatura volta a rimuovere eventuali rifiuti e la sabbia.

Infine, e soltanto per impossibilità di ricorrere alle soluzioni descritte, la circolare ha indicato la soluzione del trasferimento in discarica.

In sintesi, la disciplina sia della posidonia, come pianta marina, sia dei residui della stessa che il moto ondoso deposita sugli arenili ricade nella materia «tutela dell’ambiente» e «dell’ecosistema», di competenza esclusiva del legislatore statale (art. 117, secondo comma, lettera s, Cost.); la gestione di tali accumuli – come si dirà in seguito – è assoggettata, in particolare, alla disciplina dei "rifiuti”, quale prevista dal cod. ambiente.

Questa Corte ha ripetutamente affermato che «la disciplina dei rifiuti va ricondotta alla "tutela dell’ambiente e dell’ecosistema” […], materia naturalmente trasversale, idonea perciò a incidere sulle competenze regionali» (sentenza n. 289 del 2019 che richiama, ex multis, le sentenze n. 215 e n. 151 del 2018, n. 54 del 2012, n. 380 del 2007 e n. 259 del 2004; più recentemente, in senso conforme, la sentenza n. 227 del 2020).

5.– In questo contesto normativo è intervenuta la legge regionale n. 1 del 2020 con cui il legislatore sardo sul presupposto della importanza del ruolo della posidonia spiaggiata – proclamata già nell’incipit della disposizione di cui al comma 1 dell’art. 1, secondo cui la «Regione riconosce la posidonia spiaggiata come strumento di difesa naturale contro l’erosione costiera e come risorsa riutilizzabile» – ha inteso approntare una specifica disciplina di protezione che però, al contempo, favorisca il turismo, facendo sì che le coste e gli arenili possano presentarsi sgombri da tali accumuli nella stagione estiva. Ed infatti l’art. 2, comma 1 – disposizione non impugnata dal Governo – enuncia in generale che «[l]a Regione promuove e incoraggia il recupero e il riuso dei residui di posidonia, rimossi durante il periodo primaverile-estivo che non è possibile ridistribuire nelle spiagge di provenienza o in altre idonee, in particolare presso impianti di trattamento».

È, dunque, ben chiaro il meritevole fine del legislatore regionale di predisporre una disciplina che miri a contemperare l’esigenza di rendere maggiormente fruibili le spiagge nel periodo estivo – nel contesto della disciplina del «turismo», espressione della potestà legislativa di cui all’art. 3, lettera p), dello statuto speciale, pur con il limite delle norme fondamentali delle riforme economico-sociali della Repubblica – con la necessità della salvaguardia ambientale e del possibile recupero e riuso della posidonia.

6.– Il ricorso del Governo si è mosso proprio tenendo conto delle esigenze di tutela e sostegno del turismo, sottese alla legge reg. Sardegna n. 1 del 2020, dal momento che l’impugnativa non ha riguardato tutta la legge, ma selettivamente solo quelle disposizioni che sono state ritenute in frizione con la disciplina statale in materia di rifiuti, senza che, ad opera delle stesse, vi sia un’elevazione dello standard di tutela ambientale.

E infatti non sono state impugnate varie altre norme contenute nella stessa legge regionale: quelle sul riposizionamento della posidonia spiaggiata (art. 1, comma 2), sulla sua rimozione permanente (art. 1, comma 3), sull’utilizzo dei mezzi meccanici per il suo spostamento e riposizionamento (art. 1, comma 6), sul recupero degli accumuli antropici (art. 1, comma 7), sui contributi ai Comuni per lo svolgimento di tali attività (art. 1, comma 9), nonché più in generale sul «Piano di gestione della posidonia» (art. 1, comma 11).

Accanto alla fondamentale funzione ecologica degli accumuli spiaggiati, il legislatore regionale ha inteso valorizzare anche gli ulteriori impieghi di tali materiali, potendosi per questi far riferimento all’utilizzo per la produzione di fertilizzanti, ai sensi dell’art. 1 del decreto legislativo 29 aprile 2010, n. 75 (Riordino e revisione della disciplina in materia di fertilizzanti, a norma dell’articolo 13 della legge 7 luglio 2009, n. 88).

In particolare la legge regionale impugnata prevede anche la concessione agli operatori di «appositi contribuiti in conto capitale […] da destinarsi alla realizzazione e all’adeguamento degli impianti di trattamento, recupero e compostaggio» (art. 2, comma 2).

7.– Alla luce di tali premesse, che valgono anche a fissare la perimetrazione delle censure mosse dal Governo, è ora possibile affrontare, nel merito, le questioni di legittimità costituzionale che pone il ricorso.

8.– Deve rilevarsi, in primo luogo, come la sopra ricordata naturale vocazione della posidonia – sia quale pianta marina, sia come accumulo dei suoi residui depositati sulle coste e sugli arenili – alla tutela dell’ambiente comporti che la sua regolamentazione ricada in ogni caso nella competenza esclusiva del legislatore statale in materia di «tutela dell’ambiente» e «dell’ecosistema» ai sensi dell’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost.

In proposito questa Corte ha affermato che le Regioni possono esercitare competenze legislative proprie per la cura di interessi funzionalmente collegati con quelli propriamente ambientali purché l’incidenza nella materia di competenza esclusiva statale sia solo in termini di maggiore e più rigorosa tutela dell’ambiente (ex multis, sentenze n. 227, n. 214, n. 88 del 2020 e n. 289 del 2019). In particolare, con riferimento ad altra Regione a statuto speciale, questa Corte (sentenza n. 215 del 2018) ha precisato che la competenza esclusiva statale in materia di «tutela dell’ambiente» e «dell’ecosistema» può incontrare altri interessi e competenze, con la conseguenza che – ferma rimanendo la riserva allo Stato del potere di fissare livelli di tutela uniforme sull’intero territorio nazionale – possono dispiegarsi le competenze proprie delle Regioni per la cura di interessi funzionalmente collegati con quelli propriamente ambientali.

Tali sono, nella fattispecie, quelli legati al turismo, importante fonte di risorse per l’economia della Regione autonoma Sardegna, ed essi possono intercettare profili che attengono all’ambiente, ma sempre che comportino un’elevazione dello standard di tutela.

La questione, quindi, se i residui della posidonia depositati sulle coste e sugli arenili costituiscano, o no, "rifiuti” – sulla quale ha incentrato le proprie argomentazioni la difesa della Regione – in realtà non revoca in dubbio la radicale considerazione che la loro regolamentazione riguardi comunque l’ambiente, sicché in ogni caso la competenza legislativa in materia è quella esclusiva statale di cui all’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., mentre quella regionale in materia di «turismo» può essere esercitata, quanto alla sua incidenza sulla regolamentazione della posidonia come risorsa ambientale, soltanto in quanto non risulti in frizione con la disciplina statale.

9.– Peraltro, nella fattispecie plurimi indicatori normativi concorrono univocamente a qualificare come "rifiuti” tali residui – accumuli di foglie morte e altri detriti vegetali – nel senso che si tratta di materiali, certamente rilevanti per l’ecosistema in ragione del loro impatto ambientale, ma che il legislatore statale, nell’esercizio della sua competenza esclusiva, assoggetta in particolare alla disciplina dettata dalla Parte quarta cod. ambiente, recante, tra l’altro, norme in materia di gestione dei «rifiuti».

Va però precisato che la riconducibilità dei residui della posidonia alla nozione di «rifiuto» non ha quella connotazione negativa associata a tale termine nel linguaggio corrente, ma esprime solo la qualificazione giuridica da cui discende l’assoggettamento alla specifica regolamentazione dettata dal cod. ambiente per i "rifiuti”.

Segnatamente rileva innanzi tutto l’art 183, comma 1, lettera b-ter), numero 4), cod. ambiente, secondo cui i rifiuti «di qualunque natura o provenienza, giacenti [...] sulle spiagge marittime e lacuali e sulle rive dei corsi d’acqua», costituiscono «rifiuti urbani», sì da ricomprendere a pieno titolo in tale definizione anche la posidonia spiaggiata.

Inoltre, l’art. 39, comma 11, del d.lgs. n. 205 del 2010 – nel contesto quindi della disciplina europea dei rifiuti – prevede, espressamente per la posidonia spiaggiata, non diversamente che per le meduse che il moto ondoso deposita sugli arenili, una specifica norma, stabilendo che essa possa essere oggetto di interramento in loco «laddove sussistano univoci elementi che facciano ritenere la loro presenza sulla battigia direttamente dipendente da mareggiate o altre cause comunque naturali, […] purché ciò avvenga senza trasporto né trattamento».

Sicché, come affermato dalla giurisprudenza di legittimità, se non sussistono tutte le condizioni previste da tale norma, non è possibile derogare alla disciplina sui rifiuti: il trasporto ed il deposito temporaneo della posidonia devono sottostare alla disciplina di cui alla Parte quarta cod. ambiente, dovendosi in mancanza ravvisare la sussistenza del reato di discarica non autorizzata (Corte di cassazione, sezione terza penale, sentenza 17 dicembre 2014-28 gennaio 2015, n. 3943).

Già in passato la giurisprudenza aveva ritenuto, con riferimento alle alghe marine depositate sugli arenili, che il loro stoccaggio in assenza di autorizzazione configurasse il reato di cui all’art. 51, comma 1, lettera a), del decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22 (Attuazione della direttiva 91/156/CEE sui rifiuti, della direttiva 91/689/CEE sui rifiuti pericolosi e della direttiva 94/62/CE sugli imballaggi e sui rifiuti di imballaggio), qualificando le alghe stesse come rifiuti urbani non pericolosi ex art. 7, comma 2, lettera d), del citato d.lgs. n. 22 del 1997 (Corte di cassazione, sezione terza penale, sentenza 21 marzo-12 aprile 2006, n. 12944).

Rileva altresì l’art. 14, comma 8, lettera b-bis), del decreto-legge 24 giugno 2014, n. 91 (Disposizioni urgenti per il settore agricolo, la tutela ambientale e l’efficientamento energetico dell’edilizia scolastica e universitaria, il rilancio e lo sviluppo delle imprese, il contenimento dei costi gravanti sulle tariffe elettriche, nonché per la definizione immediata di adempimenti derivanti dalla normativa europea), convertito, con modificazioni, nella legge 11 agosto 2014, n. 116, che ha modificato l’art. 183, comma 1, lettera n), cod. ambiente, in riferimento alla definizione della attività non costituenti «gestione dei rifiuti» ai fini della applicazione della Parte quarta del medesimo codice. La disposizione statale ha aggiunto nella lettera n) dell’art. 183, comma 1, cod. ambiente, un ulteriore periodo secondo cui «[n]on costituiscono attività di gestione dei rifiuti le operazioni di prelievo, raggruppamento, cernita e deposito preliminari alla raccolta di materiali o sostanze naturali derivanti da eventi atmosferici o meteorici, ivi incluse mareggiate e piene, anche ove frammisti ad altri materiali di origine antropica effettuate, nel tempo tecnico strettamente necessario, presso il medesimo sito nel quale detti eventi li hanno depositati».

Pertanto, con riferimento agli accumuli di posidonia, soltanto quando le indicate attività siano espletate in situ, non trova applicazione l’articolata disciplina sui rifiuti di cui alla Parte quarta cod. ambiente.

Si è così ammessa una più spedita rimozione dei materiali portati dalle piene, dalle mareggiate o da altri eventi atmosferici rendendo più snelle le indicate operazioni, ma a condizione che siano effettuate presso il medesimo sito nel quale gli eventi hanno depositato i materiali, consentendo – come risulta dagli atti parlamentari – «l’utilizzo anche di soggetti non iscritti nell’ambito dei gestori ambientali», requisito necessario per lo svolgimento, tra le altre, delle attività di raccolta e trasporto di rifiuti ai sensi dell’art. 212 cod. ambiente.

In definitiva, dal descritto contesto normativo e giurisprudenziale discende, dunque, che i residui della posidonia depositati sulle coste e sugli arenili hanno una peculiare natura per essere, al contempo, risorsa di salvaguardia ambientale da un lato, e sostanza da assoggettare alla disciplina sui rifiuti, dall’altro.

Da tale speciale connotazione deriva che tali accumuli, al pari di altri materiali spiaggiati, sono assoggettati alla disciplina statale in tema di rifiuti, che espressamente ne prevede l’esonero nei soli casi in cui gli stessi siano "trattati” in situ; disciplina che non può essere inficiata da una scelta normativa regionale.

10.– Sulla base di queste premesse, le questioni di legittimità costituzionale sono tutte fondate.

Dall’analisi complessiva della legge reg. Sardegna n. 1 del 2020 risulta l’obiettivo del legislatore regionale di assicurare, ove possibile, l’impiego della posidonia spiaggiata in funzione di risorsa ambientale di contrasto all’erosione delle coste, contemperandolo con l’esigenza di mantenere le spiagge "pulite” anche alla vista, maggiormente fruibili in chiave turistica.

Nel perseguire tale intento, però, il legislatore sardo, limitatamente alle norme impugnate, ha esorbitato dalle proprie competenze statutarie, sovrapponendosi in modo contrastante con la disciplina recata dal cod. ambiente in tema di rifiuti e senza elevare, in questa parte, il livello di tutela dell’ambiente.

11.– In particolare la prima delle disposizioni impugnate (art. 1, comma 1, della legge reg. Sardegna n. 1 del 2020) prevede, per l’ipotesi in cui non sia possibile il mantenimento in loco della posidonia spiaggiata, e i depositi impediscano la regolare fruizione delle spiagge durante la stagione estiva, che i Comuni interessati possano procedere, anche tramite i titolari delle concessioni demaniali, previa comunicazione ai competenti uffici regionali e statali, allo «spostamento temporaneo» dei relativi accumuli, in zone idonee dello stesso arenile o qualora non disponibili «in aree idonee appositamente individuate all’interno del territorio del comune».

Le operazioni previste dalla disposizione regionale, in quanto non svolte in situ, costituiscono una effettiva attività di gestione dei rifiuti che, come tale, è assoggettata alla normativa statale di riferimento al fine di tutela dell’ambiente. Infatti, lo «spostamento» dei residui presso aree individuate all’interno del territorio comunale integra una attività di trasporto che trova una specifica e articolata disciplina nell’art. 193 cod. ambiente.

Inoltre, la temporaneità dello spostamento implica la realizzazione di una attività di «deposito temporaneo», definita dall’art. 183 comma 1, lettera bb), cod. ambiente a seguito delle modifiche introdotte dal d.lgs. n. 116 del 2020, ed è disciplinata dall’art. 185-bis cod. ambiente.

Ed, ancora, la previsione di «aree idonee appositamente individuate all’interno del territorio del comune», presso cui spostare i depositi di posidonia, realizza una attività di raccolta, le cui condizioni sono indicate nell’art. 183, comma 1, lettera mm), cod. ambiente.

Si tratta di operazioni che, per non essere effettuate presso il medesimo sito nel quale gli eventi naturali hanno comportato il deposito di materiale organico, non possono sottrarsi alla disciplina della Parte quarta cod. ambiente, stante il già richiamato disposto dell’art. 183 comma 1, lettera n), dello stesso codice.

Si ha quindi che la disposizione regionale impugnata, nel consentire che i residui di posidonia possono essere prelevati dalle spiagge per essere trasportati temporaneamente in altri luoghi, senza il rispetto delle prescrizioni di cui alla normativa statale di riferimento, si pone in contrasto con l’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., senza elevare il livello di tutela ambientale, bensì riducendolo in un’ottica di deregolamentazione di tale attività, seppur al fine di semplificare e accelerare le operazioni di pulizia delle spiagge; ciò che senz’altro è possibile fare, per favorire il turismo estivo, ma nel rispetto della normativa statale sui rifiuti.

Deve pertanto essere dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 1, comma 1, della legge reg. Sardegna n. 1 del 2020, limitatamente alla parte in cui prevede lo spostamento temporaneo degli accumuli di posidonia in aree idonee appositamente individuate all’interno del territorio del Comune; spostamento che sarà possibile solo con il rispetto della normativa statale.

12.– Viene poi in rilievo l’art. 1, comma 4, della legge reg. Sardegna n. 1 del 2020 secondo cui, «[q]ualora si proceda allo spostamento della posidonia spiaggiata, è fatto assoluto divieto procedere al suo smaltimento in discarica».

La norma regionale, con l’intento di valorizzare il recupero degli accumuli di posidonia, stabilendo il divieto assoluto dello smaltimento degli stessi in discarica, si è indebitamente sovrapposta alla norma statale di cui all’art. 182 cod. ambiente, secondo cui occorre procedere allo smaltimento ogni qualvolta sussista l’impossibilità tecnica ed economica di espletare le procedure di recupero di cui all’art. 181 cod. ambiente, anche alla luce della valutazione dei costi e dei vantaggi delle stesse.

Del resto lo stesso comma 3 del medesimo art. 1 della legge reg. Sardegna n. 1 del 2020 prevede l’ipotesi che, a causa di particolari condizioni, sia «necessario optare per la rimozione permanente dei depositi di posidonia non altrimenti gestibili».

La disposizione impugnata, intervenendo sulla disciplina delle attività di smaltimento dei rifiuti, viola la competenza legislativa esclusiva dello Stato nella materia «tutela dell’ambiente».

Deve, pertanto, essere dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 1, comma 4, della legge reg. Sardegna n. 1 del 2020.

Rimane comunque applicabile la già richiamata norma prevista dal successivo art. 2, comma 1, non impugnato dal Governo, secondo cui va privilegiato in ogni caso il recupero e il riuso dei residui di posidonia, rimossi durante il periodo primaverile-estivo, che non è possibile ridistribuire nelle spiagge di provenienza o in altre idonee.

13.– È impugnato, poi, l’art. 1, comma 5, della legge reg. Sardegna n. 1 del 2020 secondo cui «[t]utte le operazioni di raccolta, spostamento e riposizionamento sono effettuate previa separazione della sabbia dal materiale organico, con rimozione dei rifiuti frammisti di origine antropica al fine del recupero della sabbia da destinare al ripascimento dell’arenile di provenienza. Tale vagliatura può avvenire nella spiaggia di prelievo o nel sito in cui è conferita la posidonia».

La disposizione – al pari del comma 1 già esaminato – è impugnata limitatamente alla parte in cui consente di effettuare la «vagliatura» del materiale organico spiaggiato anche «nel sito in cui è conferita la posidonia» e quindi non soltanto in situ.

Deve rilevarsi – come già considerato in riferimento al comma 1 del medesimo art. 1 – che la norma regionale, nel consentire la «vagliatura» anche in un sito diverso da quello in cui i residui della posidonia sono depositati per effetto del moto ondoso del mare, implica il loro previo spostamento e dunque il trasferimento presso il sito di destinazione, sì da essere assoggettata alla disciplina statale quanto alla gestione dei rifiuti. Sotto tale profilo, la norma regionale, disciplinando direttamente questo aspetto della gestione dei residui della posidonia spiaggiata, si sovrappone alla disciplina statale, contrastando con essa.

Le operazioni di «vagliatura», consistenti nella separazione della sabbia (da recuperare per il ripascimento dell’arenile) dal materiale organico, con rimozione dei rifiuti frammisti di origine antropica, integrano un’attività soggetta alla disciplina della Parte quarta cod. ambiente, ad eccezione del caso in cui essa avvenga in situ, ossia nel luogo in cui gli accumuli di posidonia sono stati depositati a causa degli eventi atmosferici; ciò che è consentito dalla stessa norma regionale (art. 1, comma 5) nella parte non oggetto di impugnazione.

Invece la norma regionale, laddove stabilisce che le operazioni di vagliatura possono essere espletate anche «nel sito in cui è conferita la posidonia», reca una disciplina incompatibile con la Parte quarta cod. ambiente e si pone in contrasto con l’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost.

Va, dunque, dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 1, comma 5, della legge reg. Sardegna n. 1 del 2020, limitatamente alla parte in cui prevede che la vagliatura possa avvenire nel sito in cui è conferita la posidonia; ciò che è possibile sì, ma nel rispetto della normativa statale sui rifiuti.

14.– Infine, è impugnato l’art. 1, comma 8, della legge reg. Sardegna n. 1 del 2020, che dispone che «[f]atto salvo quanto previsto dal presente articolo, ai prodotti costituiti di materia vegetale di provenienza agricola o forestale, depositata naturalmente sulle sponde di laghi e fiumi e sulla battigia del mare, derivanti da eventi atmosferici o meteorici, ivi incluse mareggiate e piene, anche ove frammisti ad altri materiali di origine antropica si applica l’articolo 185, comma 1, lettera f), del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 (Norme in materia ambientale)».

Il rinvio all’art 185, comma 1, lettera f), cod. ambiente, rubricato «Esclusioni dall’ambito di applicazione», determina la non assoggettabilità dei prodotti ivi indicati, diversi dalla posidonia spiaggiata, alla disciplina della Parte quarta cod. ambiente.

Così facendo, però, la norma regionale amplia il catalogo dei materiali esclusi dall’applicazione della normativa statale, intervenendo nella materia «tutela dell’ambiente» riservata alla competenza esclusiva del legislatore statale.

Deve essere, dunque, dichiarata l’illegittimità costituzionale anche dell’art. 1, comma 8, della legge reg. Sardegna n. 1 del 2020.

Per Questi Motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

1) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 1, comma 1, della legge della Regione autonoma Sardegna 21 febbraio 2020, n. 1 (Disposizioni sulla gestione della posidonia spiaggiata), limitatamente alla parte in cui prevede lo spostamento temporaneo degli accumuli di posidonia in aree idonee appositamente individuate all’interno del territorio del Comune;

2) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 1, comma 4, della legge reg. Sardegna n. 1 del 2020;

3) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 1, comma 5, della legge reg. Sardegna n. 1 del 2020, limitatamente alla parte in cui prevede che la «vagliatura» può avvenire nel sito in cui è conferita la posidonia;

4) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 1, comma 8, della legge reg. Sardegna n. 1 del 2020.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 24 marzo 2021.

F.to:

Giancarlo CORAGGIO, Presidente

Giovanni AMOROSO, Redattore

Roberto MILANA, Direttore della Cancelleria

Depositata in Cancelleria il 5 maggio 2021.