Sentenza n. 214 del 2020

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SENTENZA N. 214

 

ANNO 2020

 

 

REPUBBLICA ITALIANA

 

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

 

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori:

 

Presidente: Mario Rosario MORELLI;

 

Giudici: Giancarlo CORAGGIO, Giuliano AMATO, Silvana SCIARRA, Daria de PRETIS, Nicolò ZANON, Franco MODUGNO, Augusto Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO, Francesco VIGANÒ, Luca ANTONINI, Stefano PETITTI, Angelo BUSCEMA, Emanuela NAVARRETTA,

 

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 21, comma 15, della legge della Regione Lazio 28 dicembre 2018, n. 13 (Legge di Stabilità regionale 2019), promosso dal Presidente del Consiglio dei ministri, con ricorso notificato il 27 febbraio-1° marzo 2019, depositato in cancelleria l’8 marzo 2019, iscritto al n. 40 del registro ricorsi 2019 e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 21, prima serie speciale, dell’anno 2019.

 

Visto l’atto di costituzione della Regione Lazio;

 

udito nell’udienza pubblica del 22 settembre 2020 il Giudice relatore Mario Rosario Morelli;

 

uditi l’avvocato dello Stato Sergio Fiorentino per il Presidente del Consiglio dei ministri e l’avvocato Rodolfo Murra per la Regione Lazio;

 

deliberato nella camera di consiglio del 22 settembre 2020.

 

Ritenuto in fatto

 

1.– Con il ricorso in epigrafe, il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, ha impugnato, sospettandone l’illegittimità costituzionale, vari articoli della legge della Regione Lazio 28 dicembre 2018, n. 13 (Legge di Stabilità regionale 2019).

 

L’impugnazione si rivolge, tra l’altro e per quel che qui rileva, alla disposizione di cui al comma 15 dell’art. 21 della predetta legge.

 

La suddetta disposizione – con la quale «[d]opo l’art. 6 della legge regionale 9 luglio 1998, n. 27 (Disciplina regionale della gestione dei rifiuti) e successive modifiche, è inserito [l’] art. 6-bis (Stabilizzazione della filiera dei veicoli fuori uso e trattamento dei rifiuti metallici)», prevedente, al fine di evitare l’interruzione di tale trattamento, che «trov[i] applicazione l’articolo 15, comma 3, del decreto legislativo 24 giugno 2003, n. 209 (Attuazione della direttiva 2000/53/CE relativa ai veicoli fuori uso) per gli impianti che abbiano operato in virtù di autorizzazioni rilasciate dai soggetti attuatori […]» – contrasterebbe, secondo l’Avvocatura dello Stato, con gli artt. 97 e 117, secondo comma, lettera s), della Costituzione.

 

Ciò in quanto la denunciata norma regionale decontestualizzerebbe la disposizione di cui al richiamato comma 3 dell’art. 15 del d.lgs. n. 209 del 2003 (prevedente i soli requisiti relativi alla localizzazione dell’impianto) dal quadro normativo statale di riferimento, nel contesto del quale il meccanismo di deroga autorizzatoria, di che trattasi, richiede altresì (ciò che si presuppone che la Regione ora non più richieda) che la domanda di autorizzazione sia corredata da un progetto di adeguamento dell’impianto e da un piano di ripristino ambientale dell’area utilizzata dopo la chiusura dell’impianto, e prescrive inoltre particolari termini e modalità del procedimento per la sua valutazione (commi 1 e 2 del medesimo art. 15); dal che, appunto, il lamentato vulnus, arrecato dalla disposizione regionale in esame, alla competenza esclusiva statale in materia di tutela dell’ambiente, al cui esercizio si riconduce il citato d.lgs. n. 209 del 2003.

 

Con il prevedere che il sistema autorizzatorio ivi disciplinato possa essere esteso, oltre che ai soggetti esercenti l’impianto, ai «loro aventi causa e subentranti», l’introdotto art. 6-bis della legge reg. Lazio n. 27 del 1998 avrebbe poi ulteriormente violato la norma statale interposta e dunque l’art. 97 Cost.

 

2.– La Regione Lazio, costituitasi, sostiene che l’espresso richiamo, nella disposizione impugnata, del (solo) comma 3 dell’art. 15 del d.lgs. n. 209 del 2003, non esclude l’applicazione integrale della suddetta normativa statale sui presupposti e sull’iter autorizzativo per l’adeguamento degli impianti di autodemolizione. Ed aggiunge che la locuzione «e per i loro aventi causa e subentranti» sarebbe «volta a ricomprendere l’eventualità di modifiche intercorse nel tempo in merito alla titolarità dei soggetti esercenti l’impianto e che i requisiti soggettivi dei titolari sono comunque oggetto di un procedimento dell’Autorità competente al rilascio dell’autorizzazione stessa».

 

Considerato in diritto

 

1.– Il Presidente del Consiglio dei ministri, con il ricorso di cui si è in narrativa detto, impugna la legge della Regione Lazio 28 dicembre 2018, n. 13 (Legge di Stabilità regionale 2019), per sospetta illegittimità costituzionale di varie sue disposizioni, tra le quali viene, in particolare, qui in esame la disposizione di cui al comma 15 dell’art. 21.

 

La decisione delle altre questioni, proposte con lo stesso ricorso, è riservata a separate pronunzie.

 

2.– La disposizione censurata, nel modificare la precedente legge regionale 9 luglio 1998, n. 27 (Disciplina regionale della gestione dei rifiuti), vi inserisce l’articolo 6-bis, rubricato «Stabilizzazione della filiera dei veicoli fuori uso e trattamento dei rifiuti metallici».

 

2.1.– Secondo il ricorrente, detta disposizione violerebbe, in primo luogo, l’art. 117, secondo comma, lettera s), della Costituzione, ponendosi, sotto più profili in contrasto con la disciplina transitoria di cui all’art. 15 del decreto legislativo 24 giugno 2003, n. 209 (Attuazione della direttiva 2000/53/CE relativa ai veicoli fuori uso), evocato come parametro interposto ed «espressione della competenza esclusiva dello Stato, in materia di tutela dell’ambiente e dell’ecosistema».

 

2.1.1.– Il d.lgs. n. 209 del 2003 – ricorda, infatti, in premessa, l’Avvocatura generale dello Stato – subordina lo svolgimento dell’attività di autodemolizione ad un complesso di prescrizioni (specificamente indicate nell’Allegato I, richiamato dall’art. 6) che attengono, sia alla localizzazione degli impianti, sia alle modalità di svolgimento di detta attività.

 

In questo contesto normativo – sottolinea ancora l’Avvocatura dello Stato – il richiamato art. 15:

 

– al suo comma 1, detta una disciplina “transitoria” per l’adeguamento dei centri di raccolta o degli impianti «in esercizio» alla data di entrata in vigore del decreto stesso, obbligando i rispettivi titolari a «presenta[re] alla regione competente per territorio domanda di autorizzazione corredata da un progetto di adeguamento dell’impianto alle prescrizioni del [medesimo] decreto», oltre che da «un piano per il ripristino ambientale dell’area utilizzata da attuare alla chiusura dello stesso impianto»;

 

– al comma 2, stabilisce, poi, precisi termini e modalità per la conclusione del procedimento, «in merito al progetto di adeguamento», da parte della Regione;

 

– al comma 3, disciplina, invece, l’ipotesi del mancato rispetto dei «requisiti relativi alla localizzazione» da parte di titolari di impianti autorizzati in via ordinatoria e prevede che la Regione (o il Comune a ciò delegato: nella specie, ai sensi dell’art. 6 della legge regionale n. 27 del 1998) autorizzi la prosecuzione delle attività «con le prescrizioni necessarie ad assicurare la tutela della salute e dell’ambiente ovvero dispon[ga] la rilocalizzazione dello stesso impianto in tempi definiti».

 

2.1.2.– L’art. 6-bis della legge reg. Lazio n. 27 del 1998, introdotto dal denunciato art. 21, comma 15, si riferisce, a sua volta, agli impianti autorizzati dai soggetti attuatori (di cessate gestioni commissariali) e, al fine di garantire la stabilizzazione della correlativa filiera e di evitare l’interruzione del trattamento dei rifiuti metallici ferrosi e non, dispone appunto che «trova applicazione l’articolo 15, comma 3, del decreto legislativo 24 giugno 2003, n. 209 […]».

 

Ma è proprio tale circoscritto riferimento al solo comma 3 del predetto art. 15 che, secondo il ricorrente, comporterebbe, come detto, il contrasto della impugnata disposizione regionale con i livelli uniformi di tutela ambientale stabiliti dal legislatore statale.

 

L’omesso richiamo dei precedenti commi della suddetta norma statale implicherebbe, infatti, la pretermissione della fase iniziale del procedimento autorizzatorio legata ad una iniziativa dei soggetti gestori qualificata dalla allegazione di appositi piani e progetti di adeguamento degli impianti e di ripristino ambientale.

 

2.1.3.– Con il disporre inoltre che la prevista procedura di autorizzazione sia attivabile anche da «aventi causa e subentranti» dei titolari degli impianti in questione, la disposizione regionale impugnata – denuncia la difesa statale – verrebbe a porsi anche sotto tale profilo in contrasto con il parametro statale evocato a norma interposta, che non contempla siffatta estensione soggettiva, circoscrivendo al “titolare” gli effetti applicativi della norma, e violerebbe anche il principio di buon andamento dell’amministrazione sancito dall’art. 97, Cost. «in quanto elide[rebbe] un procedimento amministrativo finalizzato a verificare la sussistenza dei requisiti soggettivi e oggettivi per la voltura dell’autorizzazione».

 

2.2.– Nel resistere al ricorso, la Regione Lazio sostiene che la norma denunciata non intenderebbe limitare l’applicazione della disciplina statale di cui all’art. 15 del d.lgs. n. 209 del 2003, ma – contestualizzando la disposizione del comma 3 nel territorio della Capitale, in ragione del fenomeno ivi significativo della presenza degli autodemolitori – ne confermerebbe la piena applicabilità «agli impianti che all’epoca dell’entrata in vigore della norma (statale) hanno potuto continuare ad operare in virtù di provvedimenti dei vari commissari attuatori susseguitisi nella gestione dell’emergenza regionale», essendo la previsione regionale riferita appunto soltanto ai suddetti impianti, per i quali, per ragioni diverse, «non è stata completata la valutazione sulla delocalizzazione».

 

In riferimento poi all’espressione «e per i loro aventi causa e subentranti», la resistente replica che si tratterebbe di «locuzione volta a ricomprendere l’eventualità di modifiche intercorse nel tempo in merito alla titolarità dei soggetti esercenti l’impianto e che i requisiti soggettivi dei titolari sono comunque oggetto di un procedimento dell’Autorità competente al rilascio dell’autorizzazione stessa, volto ad accertarne la sussistenza»

 

2.3.– L’interpretazione proposta dalla Regione in ordine alle finalità e al contenuto della norma censurata, in termini di coerenza e complementarietà con la disciplina statale, è condivisibile.

 

Il limitato richiamo al comma 3 dell’art. 15 del d.lgs. n. 203 del 2009, ad opera della impugnata norma regionale, può, infatti, pianamente leggersi come volto non già ad escludere la residua disciplina statale recata dal menzionato art. 15, sebbene unicamente a dettare la disciplina di competenza regionale (come detto, delegata ai Comuni) in materia di rilascio delle autorizzazioni all’esercizio di impianti di smaltimento e recupero di rifiuti. Il che consente di attribuire alla norma in esame una funzione di coordinamento tra il livello di disciplina statale e quello regionale (senza pregiudizio per il primo), avendo quest’ultimo di mira un contesto specifico quale quello che si innesta nella situazione emergenziale riferita al settore dei rifiuti urbani del territorio della Città di Roma e provincia, in relazione al quale il legislatore regionale si propone – come espressamente enunciato nell’incipit dell’introdotto art. 6-bis della legge reg. Lazio n. 27 del 1998 – la «stabilizzazione» dei soli impianti che abbiano già operato, in virtù di autorizzazioni rilasciate dalle pregresse gestioni commissariali, e senza che per questi risultino ancora completate le procedure di delocalizzazione.

 

In tale corretta prospettiva esegetica, resta, quindi, fermo che il rilascio delle autorizzazioni, di cui al citato art. 6-bis, è, comunque, subordinato alla presenza di tutti i requisiti previsti dalla disposizione transitoria di cui all’art. 15 del d.lgs. n. 209 del 2003.

 

Ed è ciò che evidentemente va accertato anche nei confronti dei soggetti che siano nel frattempo subentrati ai precedenti titolari nella gestione degli impianti in questione; restando così escluso che tale subentro possa – come paventa il ricorrente – sottrarre il nuovo gestore al procedimento di verifica di sussistenza dei requisiti soggettivi ed oggettivi per la voltura dell’autorizzazione in suo favore.

 

3.– Così interpretata, la norma regionale denunciata si sottrae alle censure di illegittimità costituzionale formulate dal ricorrente: dal che la non fondatezza delle correlative questioni.

 

Per Questi Motivi

 

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

riservata a separate pronunce la decisione delle altre questioni proposte con il medesimo ricorso,

 

dichiara non fondate, nei sensi di cui in motivazione, le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 21, comma 15, della legge della Regione Lazio 28 dicembre 2018, n. 13 (Legge di Stabilità regionale 2019), promosse, in riferimento agli artt. 97 e 117, secondo comma, lettera s), della Costituzione, dal Presidente del Consiglio dei ministri, con il ricorso in epigrafe.

 

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 22 settembre 2020.

 

F.to:

 

Mario Rosario MORELLI, Presidente e Redattore

 

Roberto MILANA, Cancelliere

 

Depositata in Cancelleria il 14 ottobre 2020.