SENTENZA N. 59
ANNO 2022
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
Presidente: Giuliano AMATO;
Giudici: Silvana SCIARRA, Daria de PRETIS, Nicolò ZANON, Franco MODUGNO, Augusto Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO, Francesco VIGANÒ, Luca ANTONINI, Stefano PETITTI, Angelo BUSCEMA, Emanuela NAVARRETTA, Maria Rosaria SAN GIORGIO, Filippo PATRONI GRIFFI,
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di ammissibilità, ai sensi dell’art. 2, primo comma, della legge costituzionale 11 marzo 1953, n. 1 (Norme integrative della Costituzione concernenti la Corte costituzionale), della richiesta di referendum popolare per l’abrogazione del decreto legislativo 27 gennaio 2006, n. 25, recante «Istituzione del Consiglio direttivo della Corte di cassazione e nuova disciplina dei consigli giudiziari, a norma dell’articolo 1, comma 1, lettera c), della L. 25 luglio 2005, n. 150» e successive modificazioni, limitatamente alle seguenti parti:
- art. 8, comma 1, limitatamente alle parole «esclusivamente» e «relative all’esercizio delle competenze di cui all’articolo 7, comma 1, lettera a)»;
- art. 16, comma 1, limitatamente alle parole: «esclusivamente» e «relative all’esercizio delle competenze di cui all’articolo 15, comma 1, lettere a), d) ed e)», giudizio iscritto al n. 176 del registro referendum.
Vista l’ordinanza del 29 novembre 2021 con la quale l’Ufficio centrale per il referendum presso la Corte di cassazione ha dichiarato conforme a legge la richiesta;
udito nella camera di consiglio del 15 febbraio 2022 il Giudice relatore Silvana Sciarra;
uditi gli avvocati Sonia Sau per la Regione autonoma Sardegna e Mario Bertolissi per i Consigli regionali delle Regioni Lombardia, Basilicata, Friuli-Venezia Giulia, Liguria, Sicilia, Umbria, Veneto e Piemonte;
deliberato nella camera di consiglio del 16 febbraio 2022.
Ritenuto in fatto
1.– Con ordinanza del 1° dicembre 2021, l’Ufficio centrale per il referendum, costituito presso la Corte di cassazione, a norma dell’art. 12 della legge 25 maggio 1970, n. 352 (Norme sui referendum previsti dalla Costituzione e sulla iniziativa legislativa del popolo), ha dichiarato conforme alle disposizioni di legge la richiesta di referendum popolare abrogativo, promossa dai Consigli regionali delle Regioni Lombardia, Basilicata, Friuli-Venezia Giulia, Liguria, Sicilia, Umbria, Veneto e Piemonte, sul seguente quesito:
«Volete voi che sia abrogato il Decreto Legislativo 27 gennaio 2006, n. 25 (Istituzione del Consiglio direttivo della Corte di cassazione e nuova disciplina dei Consigli giudiziari, a norma dell’articolo 1, comma 1, lettera c) della legge 25 luglio 2005 n. 150), risultante dalle modificazioni e integrazioni successivamente apportate, limitatamente alle seguenti parti: art. 8, comma 1, limitatamente alle parole “esclusivamente” e “relative all’esercizio delle competenze di cui all’articolo 7, comma 1, lettera a)”; art. 16, comma 1, limitatamente alle parole: “esclusivamente” e “relative all’esercizio delle competenze di cui all’articolo 15, comma 1, lettere a), d) ed e)?”».
2.– L’Ufficio centrale, con la stessa ordinanza, ha ritenuto opportuno, per maggior chiarezza e tenuto conto delle osservazioni espresse dagli stessi Consigli promotori, integrare la denominazione del quesito, originariamente individuata in «Abrogazione di norme in materia di composizione del Consiglio direttivo della Corte di cassazione e dei Consigli giudiziari e delle competenze dei membri laici che ne fanno parte», anteponendovi la locuzione «Partecipazione dei membri laici a tutte le deliberazioni del Consiglio direttivo della Corte di cassazione e dei consigli giudiziari».
L’Ufficio centrale per il referendum ha, quindi, disposto di attribuire alla richiesta referendaria la seguente denominazione: «Partecipazione dei membri laici a tutte le deliberazioni del Consiglio direttivo della Corte di cassazione e dei consigli giudiziari. Abrogazione di norme in materia di composizione del Consiglio direttivo della Corte di cassazione e dei Consigli giudiziari e delle competenze dei membri laici che ne fanno parte».
3.– Il Presidente di questa Corte, ricevuta comunicazione dell’ordinanza, ha fissato, per la conseguente deliberazione, la camera di consiglio del 15 febbraio 2022, dandone comunicazione ai sensi dell’art. 33 della legge n. 352 del 1970.
4.– Nell’imminenza della camera di consiglio, i Consigli regionali promotori della richiesta referendaria hanno depositato una memoria a sostegno della sua ammissibilità.
I Consigli promotori premettono che le disposizioni di cui si chiede l’abrogazione sono contenute nel d.lgs. n. 25 del 2006, che, in attuazione della delega di cui all’art. 1, comma 1, lettera c), della legge 25 luglio 2005, n. 150 (Delega al Governo per la riforma dell’ordinamento giudiziario di cui al R.D. 30 gennaio 1941, n. 12, per il decentramento del Ministero della giustizia, per la modifica della disciplina concernente il Consiglio di presidenza, della Corte dei conti e il Consiglio di presidenza della giustizia amministrativa, nonché per l’emanazione di un testo unico), ha istituito il Consiglio direttivo della Corte di cassazione, determinandone le competenze, e ha ridefinito composizione e attribuzioni dei Consigli giudiziari. Elemento di rilievo, evidenziato dalla difesa dei promotori, è la presenza, nell’uno e negli altri organi, di una componente non togata, costituita anche da professori universitari e avvocati, in possesso di specifici requisiti.
Quanto alle competenze del Consiglio direttivo della Corte di cassazione, stabilite dall’art. 7 del citato d.lgs. n. 25 del 2006, si sottolinea che toccano ambiti rilevanti, in quanto «riguardano l’emissione di “pareri sull’attività dei magistrati” (lettera b), la “vigilanza sul comportamento dei magistrati” (lettera c), l’adozione di provvedimenti relativi allo stato giuridico ed economico dei magistrati (lettera e), la formulazione di pareri “inerenti a collocamenti a riposo, dimissioni, decadenze dall’impiego, concessioni di titoli onorifici e riammissioni in magistratura dei magistrati” (lettera f)».
Quanto alle competenze dei Consigli giudiziari, individuate dall’art. 15, comma 1, del medesimo decreto legislativo, si segnala che rispecchiano, in larga misura, quelle di cui all’art. 7, proprie del Consiglio direttivo della Corte di cassazione. In particolare, viene espressamente precisato che i pareri sull’attività dei magistrati riguardano il profilo della preparazione, della capacità tecnico-professionale, della laboriosità, della diligenza, dell’equilibrio nell’esercizio delle funzioni, nei casi previsti da disposizioni di legge o di regolamento o da disposizioni generali del Consiglio superiore della magistratura o a richiesta dello stesso Consiglio. I Consigli giudiziari, inoltre, eserciterebbero la vigilanza sul comportamento dei magistrati in servizio presso gli uffici giudiziari del distretto e, nel caso di notizia di fatti suscettibili di valutazione in sede disciplinare, dovrebbero fare rapporto al Ministero della giustizia e al Procuratore generale presso la Corte di cassazione.
La difesa dei promotori osserva che il legislatore – che ha inteso attribuire al Consiglio direttivo e ai Consigli giudiziari competenze ausiliarie rispetto a quelle del CSM, di particolare rilievo quanto alle valutazioni dell’attività dei magistrati – ha invece limitato al massimo grado l’apporto dei membri non togati. Una tale osservazione si basa su quanto stabilito dagli artt. 8 e 16 del citato d.lgs. n. 25 del 2006, secondo cui i componenti “laici” (avvocati e professori universitari) partecipano esclusivamente alle discussioni e deliberazioni relative all’esercizio di competenze concernenti profili organizzativi nella trattazione degli affari e nell’andamento degli uffici.
Fine intrinseco della richiesta referendaria sarebbe, pertanto, quello di eliminare la norma limitativa della competenza dei componenti non togati, consentendo loro di esercitare la totalità delle attribuzioni riconosciute agli organi di cui fanno parte, al pari dei membri togati.
Il quesito riguarderebbe disposizioni estranee, anche sulla base di un’interpretazione logico-sistematica, alle materie di cui all’art. 75 della Costituzione e dotate di una matrice razionalmente unitaria. Sarebbe, inoltre, formulato in maniera tale da determinare un effetto di mera abrogazione, senza creare alcun vuoto normativo.
Esso sarebbe, quindi, ammissibile.
5.– Nell’imminenza della camera di consiglio, la Regione autonoma Sardegna ha depositato un atto di intervento a sostegno delle ragioni dell’ammissibilità della richiesta referendaria.
Quest’ultima – volta all’abrogazione delle parti delle disposizioni che limitano la competenza attribuita alla componente laica nelle discussioni e votazioni dei Consigli giudiziari e del Consiglio direttivo della Corte di cassazione concernenti la valutazione dei magistrati – sarebbe in linea con l’art. 104 Cost., che, con riguardo ai membri del CSM, non fa distinzioni di competenze fra componenti togati e laici. Questo dato si evincerebbe anche dalla legge 24 marzo 1958, n. 195 (Norme sulla costituzione e sul funzionamento del Consiglio Superiore della magistratura).
La Regione autonoma Sardegna sostiene che il quesito è formulato in modo tale che dall’eventuale esito positivo della consultazione residui una disciplina adeguata alle prescrizioni costituzionali. Esso sarebbe, inoltre, chiaro e omogeneo, se solo si considera l’evidente finalità di riconoscere anche ai membri laici di partecipare, senza le limitazioni previste, alle discussioni e deliberazioni del Consiglio direttivo della Corte di cassazione e dei Consigli giudiziari. Il quesito sarebbe anche univoco, poiché non contiene una pluralità di domande eterogenee.
Considerato in diritto
1.– La richiesta di referendum abrogativo su cui questa Corte deve pronunciarsi in base all’art. 75, secondo comma, della Costituzione, dichiarata legittima con ordinanza del 1° dicembre 2021 dell’Ufficio centrale per il referendum, riguarda parti delle disposizioni degli artt. 8 e 16 del decreto legislativo 27 gennaio 2006, n. 25, recante «Istituzione del Consiglio direttivo della Corte di cassazione e nuova disciplina dei Consigli giudiziari, a norma dell’articolo 1, comma 1, lettera c), della legge 25 luglio 2005 n. 150».
2.– In via preliminare, occorre rilevare che, nella camera di consiglio del 15 febbraio 2022, questa Corte ha consentito – come più volte avvenuto in passato (da ultimo, sentenza n. 10 del 2020) – l’illustrazione orale delle memorie depositate dai soggetti presentatori del referendum ai sensi dell’art. 33, terzo comma, della legge 25 maggio 1970, n. 352 (Norme sui referendum previsti dalla Costituzione e sulla iniziativa legislativa del popolo) e ha ammesso gli scritti presentati da soggetti diversi da quelli contemplati dalla disposizione citata – nella specie della Regione autonoma Sardegna – in quanto interessati alla decisione sull’ammissibilità delle richieste referendarie (ex plurimis: sentenze n. 10 del 2020, n. 5 del 2015, n. 13 del 2012, n. 28, n. 27, n. 26, n. 25 e n. 24 del 2011, n. 17, n. 16 e n. 15 del 2008).
Tale ammissione, orientata ad acquisire ulteriori argomentazioni svolte da soggetti diversi dai presentatori, non si traduce in un diritto degli stessi a partecipare al procedimento, che, comunque, «deve tenersi, e concludersi, secondo una scansione temporale definita» (sentenza n. 31 del 2000). Né si sostanzia nel diritto di illustrare le relative tesi in camera di consiglio. Con l’ammissione di tali soggetti questa Corte consente brevi integrazioni orali degli scritti, come è avvenuto nella camera di consiglio del 15 febbraio 2022, in cui essi, sulla base del già citato art. 33, hanno chiarito le rispettive posizioni.
3.– Occorre, inoltre, precisare che l’oggetto della richiesta referendaria è costituito da alcuni frammenti delle disposizioni di cui agli artt. 8 e 16 del d.lgs. n. 25 del 2006, che limitano la partecipazione dei membri “laici” (avvocati e professori universitari) del Consiglio direttivo della Corte di cassazione e dei Consigli giudiziari alle sole discussioni e deliberazioni inerenti all’organizzazione degli uffici, espressamente individuate, rispettivamente, all’art. 7, comma 1, lettera a), e all’art. 15, comma 1, lettere a), d) ed e), del medesimo decreto legislativo.
3.1.– Tali disposizioni si inseriscono nel tessuto normativo della riforma che, in attuazione della delega conferita al Governo dall’art. 1, comma 1, lettera c), della legge 25 luglio 2005, n. 150 (Delega al Governo per la riforma dell’ordinamento giudiziario di cui al R.D. 30 gennaio 1941, n. 12, per il decentramento del Ministero della giustizia, per la modifica della disciplina concernente il Consiglio di presidenza, della Corte dei conti e il Consiglio di presidenza della giustizia amministrativa, nonché per l’emanazione di un testo unico), quest’ultimo ha adottato, ridefinendo composizione, competenze e durata in carica dei Consigli giudiziari e istituendo, sulla falsariga di questi ultimi, il Consiglio direttivo della Corte di cassazione.
Fra le più rilevanti novità introdotte dalla riforma, vi è, da un lato, l’ampliamento delle competenze dei Consigli giudiziari e l’attribuzione al neoistituito Consiglio direttivo della Corte di cassazione di un novero di funzioni – mutatis mutandis – sostanzialmente corrispondenti; dall’altro, la previsione, sia per gli uni che per l’altro, di una composizione allargata a componenti non togati.
Più precisamente, quanto ai Consigli giudiziari, istituiti presso i distretti delle Corti d’appello e chiamati a svolgere, sin da epoca risalente, funzioni ausiliarie dell’organo di governo della magistratura mediante attività prettamente consultive, la moltiplicazione delle competenze, sebbene ridimensionata a seguito delle modifiche apportate al citato d.lgs. n. 25 del 2006 dalla legge 30 luglio 2007, n. 111 (Modifiche alle norme sull’ordinamento giudiziario), ha riguardato sia questioni tabellari e, più in generale, relative all’organizzazione degli uffici giudiziari presenti nei distretti, sia provvedimenti inerenti alla carriera e allo status dei magistrati dei distretti. Alla moltiplicazione delle competenze si è affiancato l’aumento del numero complessivo dei componenti dei Consigli, variabile in relazione alla dimensione degli organici degli uffici di ciascun distretto. Si è poi determinata una nuova composizione degli stessi, allargata a componenti esterne alla magistratura.
L’art. 9 del citato d.lgs. n. 25 del 2006 – anche a seguito delle modifiche apportate dalla legge n. 111 del 2007 – stabilisce che facciano parte dei Consigli in questione professori universitari in materie giuridiche, «nominati dal Consiglio universitario nazionale su indicazione dei presidi delle facoltà di giurisprudenza delle università della regione o delle regioni sulle quali hanno, in tutto o in parte, competenza gli uffici del distretto, in numero variabile da 1 a 2, in relazione all’organico degli uffici presenti nei distretti», nonché avvocati «con almeno dieci anni di effettivo esercizio della professione con iscrizione all’interno del medesimo distretto, nominati dal Consiglio nazionale forense su indicazione dei consigli dell’ordine degli avvocati del distretto, in un numero variabile da 2 a 4, in relazione all’organico degli uffici presenti nei distretti».
Al fine di scongiurare qualunque condizionamento dell’esercizio della funzione giudiziaria, il legislatore ha, sin dall’inizio, modulato il funzionamento dei Consigli, limitando la partecipazione dei membri laici alle delibere in materia tabellare (art. 15, comma 1, lettera a), all’esercizio del potere di vigilanza sull’andamento degli uffici (art. 15, comma 1, lettera d), nonché alla formulazione di pareri e proposte sull’organizzazione e sul funzionamento degli uffici del giudice di pace del distretto (art. 15, comma 1, lettera e), con conseguente esclusione dalle delibere relative a carriera e status dei magistrati (in specie relative ai pareri sulle valutazioni di professionalità, su collocamenti a riposo, dimissioni, decadenze dall’impiego, concessioni di titoli onorifici e riammissioni in magistratura dei magistrati in servizio presso gli uffici giudiziari del distretto o già in servizio presso tali uffici al momento della cessazione dal servizio medesimo, nonché ai pareri, su richiesta del Consiglio superiore della magistratura, su materie attinenti alle competenze a essi attribuite e alle eventuali proposte al comitato direttivo della Scuola superiore della magistratura in materia di programmazione dell’attività didattica della Scuola: art. 15, comma 1, lettere b, g, h e i).
Con riferimento alla composizione e alle competenze del Consiglio direttivo della Corte di cassazione – organo di nuova istituzione, omologo ai Consigli giudiziari – si è disposto che fra gli undici membri elettivi vi siano due professori universitari di ruolo di materie giuridiche nominati dal Consiglio universitario nazionale, nonché un avvocato con almeno venti anni di effettivo esercizio della professione, nominato dal Consiglio nazionale forense, e, fra i tre membri di diritto, vi sia il Presidente del medesimo Consiglio (art. 1). Quanto alla partecipazione, essa è stata limitata alle sole discussioni e deliberazioni inerenti a questioni tabellari e di organizzazione degli uffici (art. 7, comma 1, lettera a), con esclusione di quelle relative ai pareri sulle valutazioni di professionalità dei magistrati, e ai pareri resi, a seguito di richiesta del Consiglio superiore della magistratura, su materie attinenti alle competenze a esso attribuite, nonché alle eventuali proposte al comitato direttivo della Scuola superiore della magistratura in materia di programmazione dell’attività didattica della Scuola (art. 7, comma 1, lettere b, g e h).
4.– Il contesto normativo di riferimento così delineato è quello in cui questa Corte è chiamata a collocare il giudizio sull’ammissibilità del quesito referendario, giudizio che, per costante giurisprudenza costituzionale, si propone di «verificare che non sussistano eventuali ragioni di inammissibilità sia indicate, o rilevabili in via sistematica, dall’art. 75, secondo comma, della Costituzione, attinenti alle disposizioni oggetto del quesito referendario; sia relative ai requisiti concernenti la formulazione del quesito referendario, come desumibili dall’interpretazione logico-sistematica della Costituzione (sentenze n. 174 del 2011, n. 137 del 1993, n. 48 del 1981 e n. 70 del 1978): omogeneità, chiarezza e semplicità, completezza, coerenza, idoneità a conseguire il fine perseguito, rispetto della natura ablativa dell’operazione referendaria» (sentenza n. 17 del 2016).
4.1.– La richiesta referendaria in esame è ammissibile.
Non sussiste alcuna delle cause di inammissibilità indicate nell’art. 75 Cost. Le disposizioni oggetto del quesito – inerenti alla composizione e alle competenze dei Consigli giudiziari e del Consiglio direttivo della Corte di cassazione – non sono riconducibili a nessuna delle leggi ivi elencate, neppure in via di interpretazione logico-sistematica.
Sono inoltre rispettati i requisiti di chiarezza, omogeneità e univocità del quesito, costantemente ritenuti da questa Corte necessario presupposto affinché il corpo elettorale possa esercitare una scelta libera e consapevole. Essi sono desumibili dalla «finalità incorporata nel quesito, cioè dalla finalità obiettivamente ricavabile in base alla sua formulazione e all’incidenza del referendum sul quadro normativo di riferimento» (sentenza n. 24 del 2011; nello stesso senso sentenze n. 28 del 2017 e n. 17 del 2016).
I frammenti delle disposizioni degli artt. 8 e 16 del d.lgs. n. 25 del 2006, di cui si chiede l’abrogazione, sono contraddistinti da un’eadem ratio, quella che preclude la partecipazione dei membri laici del Consiglio direttivo della Corte di cassazione e dei Consigli giudiziari – organi accomunati da analoghe funzioni – alle deliberazioni inerenti a carriere e status dei magistrati. Risulta dunque evidente la matrice razionalmente unitaria del quesito.
Il fine perseguito mediante la richiesta di abrogazione dei richiamati frammenti normativi è far sì che i membri laici sia del Consiglio direttivo della Corte di cassazione, sia dei Consigli giudiziari siano inclusi nelle discussioni e deliberazioni che la riforma introdotta dal d.lgs. n. 25 del 2006 e poi in parte modificata dalla legge n. 111 del 2007, ha espressamente riservato ai rispettivi organi in composizione ristretta, circoscritta ai soli membri togati.
Infine, la proposta referendaria, pur utilizzando la tecnica del ritaglio di frammenti normativi e di singole parole, non contraddice la natura abrogativa dell’istituto.
Questa Corte ha riconosciuto che una simile tecnica, se si risolve in una abrogazione parziale della legge, non è di per sé causa di inammissibilità del quesito (ex plurimis, sentenza n. 28 del 2011). A volte, essa è «necessaria per consentire la riespansione di una compiuta disciplina già contenuta in nuce nel tessuto normativo, ma compressa per effetto dell’applicabilità delle disposizioni oggetto del referendum (sentenze n. 16 e n. 15 del 2008, n. 34 e n. 33 del 2000, n. 13 del 1999)» (sentenza n. 26 del 2017). Allorquando, invece, attraverso il ritaglio dei frammenti normativi, si persegue l’effetto di sostituire la disciplina investita dalla domanda referendaria «con un’altra disciplina assolutamente diversa ed estranea al contesto normativo, che il quesito ed il corpo elettorale non possono creare ex novo né direttamente costruire» (sentenza n. 13 del 1999), risulta tradita la funzione meramente abrogativa assegnata all’istituto di democrazia diretta previsto dall’art. 75 Cost. e la richiesta referendaria si rivela inammissibile, perché surrettiziamente propositiva.
Nella specie, non ricorre quest’ultima ipotesi. Infatti, attraverso l’abrogazione delle parole che delimitano la partecipazione dei membri laici del Consiglio direttivo della Corte di cassazione e dei Consigli giudiziari, si produrrebbe l’effetto di estendere la portata applicativa delle previsioni relative al coinvolgimento dei membri laici nelle questioni inerenti all’amministrazione della giurisdizione, previsioni già presenti nel tessuto normativo del d.lgs. n. 25 del 2006. La richiesta referendaria appare dunque diretta a sottrarre dall’ordinamento un certo contenuto normativo – la limitazione della sfera di competenza dei componenti laici dei Consigli in questione – affinché esso venga sostituito con quanto sopravvive all’abrogazione, per effetto della «fisiologica espansione delle norme residue» (sentenza n. 36 del 1997).
5.– Non ostandovi alcuna ragione di ordine costituzionale, la richiesta di referendum deve dunque essere dichiarata ammissibile.
Per Questi Motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara ammissibile la richiesta di referendum popolare per l’abrogazione del decreto legislativo 27 gennaio 2006, n. 25, recante «Istituzione del Consiglio direttivo della Corte di cassazione e nuova disciplina dei Consigli giudiziari, a norma dell’articolo 1, comma 1, lettera c) della legge 25 luglio 2005 n. 150», limitatamente alle seguenti parti: art. 8, comma 1, limitatamente alle parole «esclusivamente» e «relative all’esercizio delle competenze di cui all’articolo 7, comma 1, lettera a)»; art. 16, comma 1, limitatamente alle parole: «esclusivamente» e «relative all’esercizio delle competenze di cui all’articolo 15, comma 1, lettere a), d) ed e)», richiesta dichiarata legittima, con ordinanza pronunciata il 1° dicembre 2021 dall’Ufficio centrale per il referendum, costituito presso la Corte di cassazione.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 16 febbraio 2022.
F.to:
Giuliano AMATO, Presidente
Silvana SCIARRA, Redattore
Roberto MILANA, Direttore della Cancelleria
Depositata in Cancelleria l'8 marzo 2022.