SENTENZA N. 17
ANNO 2016
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Alessandro CRISCUOLO Presidente
- Paolo GROSSI Giudice
- Giorgio LATTANZI ”
- Aldo CAROSI ”
- Marta CARTABIA ”
- Mario Rosario MORELLI ”
- Giancarlo CORAGGIO ”
- Giuliano AMATO ”
- Silvana SCIARRA ”
- Daria de PRETIS ”
- Nicolò ZANON ”
- Franco MODUGNO ”
- Augusto Antonio BARBERA ”
- Giulio PROSPERETTI ”
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di ammissibilità, ai sensi dell’art. 2, primo comma, della legge costituzionale 11 marzo 1953, n. 1 (Norme integrative della Costituzione concernenti la Corte costituzionale) della richiesta di referendum popolare per l’abrogazione del comma 17, terzo periodo, dell’art. 6 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 (Norme in materia ambientale), come sostituito dal comma 239 dell’art. 1 della legge 28 dicembre 2015, n. 208 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato − legge di stabilità 2016), limitatamente alle seguenti parole: «per la durata di vita utile del giacimento, nel rispetto degli standard di sicurezza e di salvaguardia ambientale», giudizio iscritto al n. 168 del registro referendum.
Viste le ordinanze del 26 novembre 2015, con la quale l’Ufficio centrale per il referendum, costituito presso la Corte di cassazione, ha dichiarato conforme a legge la richiesta originaria e del 7 gennaio 2016 con la quale lo stesso Ufficio centrale ha riformulato il quesito e la denominazione;
udito nella camera di consiglio del 19 gennaio 2016 il Giudice relatore Giancarlo Coraggio;
uditi gli avvocati Stelio Mangiameli per i delegati dei Consigli regionali delle Regioni Basilicata, Marche, Puglia, Sardegna, Veneto, Calabria, Liguria, Campania e Molise, Stefania Valeri per il delegato del Consiglio regionale della Regione Abruzzo e per la Regione Abruzzo e gli avvocati dello Stato Andrea Fedeli e Vincenzo Nunziata per il Presidente del Consiglio dei ministri.
Ritenuto in fatto
1.‒ Con ordinanza del 26 novembre 2015, l’Ufficio centrale per il referendum, costituito presso la Corte di cassazione ai sensi dell’art. 12 della legge 25 maggio 1970, n. 352 (Norme sui referendum previsti dalla Costituzione e sulla iniziativa legislativa del popolo), ha dichiarato legittima la richiesta di referendum popolare abrogativo presentata dai Consigli regionali delle Regioni Basilicata, Marche, Puglia, Sardegna, Abruzzo, Veneto, Calabria, Liguria, Campania e Molise sul seguente quesito: «Volete voi che sia abrogato l’art. 6, comma 17, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, “Norme in materia ambientale”, come sostituito dall’art. 35, comma 1, del decreto-legge 22 giugno 2012, n. 83, “Misure urgenti per la crescita del Paese”, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 134, limitatamente alle seguenti parole: “procedimenti concessori di cui agli articoli 4, 6 e 9 della legge n. 9 del 1991 in corso alla data di entrata in vigore del decreto legislativo 29 giugno 2010, n. 128 ed i procedimenti autorizzatori e concessori conseguenti e connessi, nonché l’efficacia dei”; “alla medesima data, anche ai fini della esecuzione delle attività di ricerca, sviluppo e coltivazione da autorizzare nell’ambito dei titoli stessi, delle eventuali relative proroghe e dei procedimenti autorizzatori e concessori conseguenti e connessi. Le predette attività sono autorizzate previa sottoposizione alla procedura di valutazione di impatto ambientale di cui agli articoli 21 e seguenti del presente decreto, sentito il parere degli enti locali posti in un raggio di dodici miglia dalle aree marine e costiere interessate dalle attività di cui al primo periodo, fatte salve le attività di cui all’articolo 1, comma 82-sexies, della legge 23 agosto 2004, n. 239, autorizzate, nel rispetto dei vincoli ambientali da esso stabiliti, dagli uffici territoriali di vigilanza dell’Ufficio nazionale minerario per gli idrocarburi e le georisorse, che trasmettono copia delle relative autorizzazioni al Ministero dello sviluppo economico e al Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare”?».
2.‒ L’Ufficio centrale per il referendum ha attribuito al quesito la seguente denominazione: «Sesta richiesta referendaria. Divieto di attività di prospezione, ricerca e coltivazione di idrocarburi in zone di mare entro dodici miglia marine. Abrogazione della norma di esenzione da tale divieto per i procedimenti concessori in corso al 26 agosto 2010 e per i procedimenti autorizzatori e concessori conseguenti e connessi a titoli abilitativi».
3.‒ Il Presidente della Corte costituzionale, ricevuta comunicazione dell’ordinanza dell’Ufficio centrale per il referendum, fissava, per la conseguente deliberazione, la camera di consiglio del 13 gennaio 2016. Di tale fissazione veniva data comunicazione ai delegati dei Consigli regionali delle Regioni Basilicata, Marche, Puglia, Sardegna, Abruzzo, Veneto, Calabria, Liguria, Campania e Molise ed al Presidente del Consiglio dei ministri, ai sensi dell’art. 33, secondo comma, della legge n. 352 del 1970.
La richiesta di referendum veniva iscritta nel relativo registro al n. 168.
4.‒ Con ordinanza del 7 gennaio 2016, comunicata alla Corte costituzionale nella medesima data, l’Ufficio centrale per il referendum ha premesso che, successivamente alla propria ordinanza del 26 novembre 2015, è intervenuto lo ius superveniens di cui (per quanto attiene alla suddetta sesta richiesta referendaria) all’art. 1, comma 239, della legge 28 dicembre 2015, n. 208 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato − legge di stabilità 2016), che prevede: «All’articolo 6, comma 17, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, il secondo e il terzo periodo sono sostituiti dai seguenti: «Il divieto è altresì stabilito nelle zone di mare poste entro dodici miglia dalle linee di costa lungo l’intero perimetro costiero nazionale e dal perimetro esterno delle suddette aree marine e costiere protette. I titoli abilitativi già rilasciati sono fatti salvi per la durata di vita utile del giacimento, nel rispetto degli standard di sicurezza e di salvaguardia ambientale. Sono sempre assicurate le attività di manutenzione finalizzate all’adeguamento tecnologico necessario alla sicurezza degli impianti e alla tutela dell’ambiente, nonché le operazioni finali di ripristino ambientale».
Ha affermato, quindi, che, in ragione della sopravvenienza normativa, era necessario accertare se tali modifiche imponessero ad esso Ufficio di dichiarare che le operazioni referendarie non avevano più corso (ai sensi dell’art. 39 della legge n. 352 del 1970), ovvero se il quesito referendario si trasferiva sulla nuova disposizione legislativa, ove quest’ultima non avesse modificato il contenuto normativo essenziale del precetto.
Pertanto, l’Ufficio centrale per il referendum operava un raffronto tra:
− gli originari secondo e terzo periodo del comma 17 dell’art. 6, del d.lgs. n. 152 del 2006, come sostituito dall’art. 35, comma 1, del d.l. n. 83 del 2012, convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge n. 134 del 2012;
− le medesime disposizioni, quali risultanti dall’eventuale accoglimento della richiesta referendaria in esame;
− le suddette disposizioni, come modificate dal comma 239 dell’art. 1, della legge n. 208 del 2015.
All’esito di tale raffronto, l’Ufficio centrale per il referendum ha ritenuto che lo ius superveniens, nel sostituire la disposizione oggetto della richiesta referendaria, oltre ad avere abrogato parte degli originari secondo e terzo periodo del comma 17 dell’art. 6 del d.lgs. n. 152 del 2006, ha introdotto una modificazione della durata dei titoli abilitativi già rilasciati, commisurandola al periodo «di vita utile del giacimento», prevedendo, quindi, una sostanziale proroga dei titoli abilitativi già rilasciati, ove «la vita utile del giacimento» superi la durata stabilita nel titolo.
Afferma, quindi, l’Ufficio centrale per il referendum che detta nuova disciplina non modificava su detto punto, il contenuto normativo essenziale del precetto oggetto di richiesta referendaria e che, pertanto, ricorreva l’ipotesi di cui all’art. 39 della legge n. 352 del 1970, come risultante dalla sentenza della Corte costituzionale n. 68 del 1978.
Ha proceduto, quindi alla riformulazione del quesito nei seguenti sensi: «Volete voi che sia abrogato l’art. 6, comma 17, terzo periodo, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, “Norme in materia ambientale”, come sostituito dal comma 239 dell’art. 1 della legge 28 dicembre 2015, n. 208 “Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilità 2016)” limitatamente alle seguenti parole: “per la durata di vita utile del giacimento, nel rispetto degli standard di sicurezza e di salvaguardia ambientale”?», e ha riformulato anche la denominazione della richiesta referendaria: «Divieto di attività prospezione, ricerca e coltivazione di idrocarburi in zone di mare entro dodici miglia marine. Esenzione da tale divieto per i titoli abilitativi già rilasciati. Abrogazione della previsione che tali titoli hanno la durata della vita utile del giacimento».
5.‒ Il 7 gennaio 2016, i Consigli regionali delle Regioni Basilicata, Marche, Puglia, Sardegna, Abruzzo, Veneto, Calabria, Liguria, Campania, Molise hanno depositato, nella cancelleria di questa Corte, memoria con la quale, non essendo a conoscenza delle determinazioni assunte dall’Ufficio centrale per il referendum in ragione della sopravvenienza normativa, chiedevano il rinvio della camera di consiglio già fissata per il 13 gennaio 2016.
6.‒ In data 8 gennaio 2016, il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, ha depositato, nella cancelleria di questa Corte, un’articolata memoria con la quale ha dedotto l’inammissibilità del quesito referendario, come trasferito dall’Ufficio centrale per il referendum con l’ordinanza del 7 gennaio 2016.
In particolare, la difesa dello Stato espone quanto di seguito, in sintesi, riportato.
L’intervento legislativo, che ha inteso contemperare l’interesse pubblico all’approvvigionamento delle risorse energetiche, con la tutela dell’ambiente e dell’ecosistema, non è elusivo del quesito referendario ed è coerente con l’obiettivo dello stesso.
Premessa la dubbia ammissibilità del quesito originario, il nuovo quesito darebbe luogo all’abrogazione di una norma costituzionalmente necessaria e difetterebbe dei requisiti di omogeneità e chiarezza.
La possibilità che il giacimento possa essere sfruttato oltre la durata dei titoli abilitativi è solo un mera ipotesi, mentre il nuovo quesito farebbe venire meno la parte della disposizione che salvaguarda la tutela ambientale, in conformità agli artt. 41, secondo comma, e 32 della Costituzione, in contrasto con la volontà dei proponenti.
Né il vuoto normativo, che si creerebbe, potrebbe essere colmato con la reviviscenza della legislazione previgente.
Il quesito, come trasferito, avrebbe scarsa chiarezza e non sarebbe univoco. Se la ratio del quesito è garantire la tutela ambientale, tale ratio sarebbe contraddetta dall’abrogazione della disposizione che preserva gli standard di sicurezza e di salvaguardia ambientale, con disorientamento dell’elettore.
L’esito referendario non avrebbe solo un effetto abrogativo, ma un effetto manipolativo e propositivo rispetto alla legislazione vigente, volendosi ottenere la reviviscenza della disciplina giuridica alla quale erano sottoposti, in precedenza, i titoli abilitativi già rilasciati.
7.‒ In data 11 gennaio 2016 il Presidente della Corte costituzionale disponeva il rinvio della camera di consiglio al 19 gennaio 2016.
8.‒ In data 12 gennaio 2016, la Regione Abruzzo, in persona del Presidente della Giunta regionale, previa delibera della stessa, ha depositato memoria con la quale ha chiesto, in ragione dello ius superveniens, dichiararsi la cessazione dell’oggetto del contendere.
9.‒ In data 15 gennaio 2016, è stata depositata nella cancelleria di questa Corte, memoria dei Consigli regionali delle Regioni Basilicata, Marche, Puglia, Sardegna, Abruzzo, Veneto, Calabria, Liguria, Campania, Molise, per l’ammissibilità del quesito proposto come trasferito con ordinanza del 7 gennaio 2016 dell’Ufficio centrale per il referendum. Alla memoria veniva allegata la revoca, da parte del delegato effettivo del Consiglio regionale della Regione Abruzzo, della procura alle liti a suo tempo rilasciata, atteso che le modifiche normative sopravvenute avevano sostanzialmente mutato le disposizioni alla base della richiesta di referendum.
Nella memoria, in particolare, si assume che il quesito attuale corrisponde alle intenzioni dei promotori di limitare per il futuro la durata temporale dei titoli minerari.
Né si sarebbe in presenza dell’abrogazione di una legge costituzionalmente necessaria in quanto, a parte il corretto inquadramento giuridico, non si produrrebbe alcun vuoto normativo.
Il quesito non sarebbe affetto da scarsa chiarezza o non univocità, come prospettato dalla difesa dello Stato con riguardo alla abrogazione, oltre che della previsione «per la durata di vita utile del giacimento», dell’inciso «nel rispetto degli standard di sicurezza e di salvaguardia ambientale».
Tale abrogazione, infatti, non implica che le attività in questione non siano più sottoposte agli standard di sicurezza e di salvaguardia ambientale, perché il rispetto della normativa ambientale di settore, europea e nazionale (sono citate, in particolare, la legge 9 gennaio 1991, n. 9, recante «Norme per l’attuazione del nuovo Piano energetico nazionale: aspetti istituzionali, centrali idroelettriche ed elettrodotti, idrocarburi e geotermia, autoproduzione e disposizioni fiscali», il d.lgs. n. 152 del 2006, e la direttiva 12 giugno 2013 del Parlamento europeo e del Consiglio n. 2013/30/UE (Direttiva sulla sicurezza delle operazioni in mare nel settore degli idrocarburi e che modifica la direttiva 2004/35/CE), a prescindere da qualunque espresso richiamo, deve intendersi sempre presupposta e da applicare rispetto alle predette attività. D’altro canto, caducato l’an, non avrebbe più senso l’inciso che disciplina il quomodo. La stessa ratio era ravvisabile anche nel quesito originario.
Non sarebbe, altresì, prospettabile un disorientamento dell’elettore atteso che il quesito trasferito non lascia sopravvivere disposizioni prive di contenuto normativo autonomo e, pertanto, ridondanti, e pone in evidenza l’obiettivo di incidere sull’elemento temporale e non su quello ambientale.
Non sussisterebbe un effetto manipolativo, né una presunta legificazione del termine di durata, atteso che i provvedimenti amministrativi vengono adottati nel rispetto della disciplina vigente.
Né, sarebbe condivisibile la deduzione dell’Avvocatura generale dello Stato su un effetto di reviviscenza, atteso che l’abrogazione referendaria esclude la proroga ex lege dei titoli abilitativi già rilasciati.
Infine, si osserva che garantire a tempo indeterminato per uno stesso concessionario l’estrazione di idrocarburi sarebbe in contrasto con la direttiva 30 maggio 1994 del Parlamento europeo e del Consiglio n. 94/22/CE (Direttiva relativa alle condizioni di rilascio e di esercizio delle autorizzazioni alla prospezione, ricerca e coltivazione di idrocarburi), attuata con il decreto legislativo 25 novembre 1996, n. 625 (Attuazione della direttiva 94/22/CEE relativa alle condizioni di rilascio e di esercizio delle autorizzazioni alla prospezione, ricerca e coltivazione di idrocarburi).
10.‒ L’Avvocatura generale dello Stato, in data 15 gennaio 2016, ha depositato, nella cancelleria di questa Corte, ulteriore memoria, ripercorrendo le argomentazioni già svolte per l’inammissibilità del quesito referendario.
La difesa dello Stato ribadisce che, in conformità con l’intento perseguito dai promotori del referendum, le modifiche normative introdotte mirano a garantire la massima tutela delle aree marine e costiere protette, nonché della fascia di mare compresa nelle dodici miglia del perimetro esterno di tali aree e dalla linea di costa lungo l’intero perimetro nazionale.
Dissente, quindi, dal pur autorevole avviso espresso dall’Ufficio centrale per il referendum, che ha ritenuto di disporre la trasposizione del quesito referendario sulla nuova disciplina.
Con riguardo al limite che l’istituto referendario incontra rispetto alle leggi costituzionalmente necessitate, deduce che l’abrogazione in via referendaria dell’art. 6, comma 17, del d.lgs. n. 152 del 2006, nella parte in cui fa salvi i titoli abilitativi già rilasciati per la durata di vita utile del giacimento, si porrebbe, altresì, in contrasto con il principio del legittimo affidamento del titolare del provvedimento concessorio, che secondo la giurisprudenza costituzionale trova riconoscimento negli artt. 3, 41, primo comma, 42, terzo comma, Cost., presentando, inoltre, rilevanza comunitaria, e dovendo pertanto essere assunto quale parametro costituzionale interposto ex art. 117, primo comma, Cost.
Dopo aver richiamato la disciplina di settore (in particolare, con riguardo all’istituto della proroga: art. 29 della legge 21 luglio 1967, n. 613 , recante «Ricerca e coltivazione degli idrocarburi liquidi e gassosi nel mare territoriale e nella piattaforma continentale e modificazioni alla legge 11 gennaio 1957, n. 6, sulla ricerca e coltivazione degli idrocarburi liquidi e gassosi»; art. 13, comma 1, del d.lgs. n. 625 del 1996; art. 9, comma 8, della legge n. 9 del 1991), rileva il carattere propositivo e non abrogativo del quesito referendario, non conforme, pertanto, alla giurisprudenza costituzionale, in quanto lo stesso restituirebbe efficacia alla disciplina previgente, mentre il recente intervento normativo ha superato il regime della prorogabilità, facendo salvi i titoli già rilasciati per l’intera durata di vita utile del giacimento.
11.‒ In data 15 gennaio 2016 ha depositato memoria la Regione Abruzzo in persona del delegato effettivo del Consiglio regionale, con allegata revoca del mandato alle liti conferito al precedente difensore e procura alle liti a nuovo difensore.
Dopo aver ripercorso lo ius superveniens, ha chiesto che venga dichiarata la cessazione dell’oggetto del contendere, atteso che la nuova disciplina, diversamente da quanto ritenuto dall’Ufficio centrale per il referendum, ha mutato il contenuto normativo essenziale del precetto oggetto della richiesta referendaria, con la conseguenza che non poteva operarsi il trasferimento della richiesta medesima nella nuova previsione legislativa. Per effetto della novella normativa si è prodotto, in via ordinaria, il medesimo effetto abrogativo che si sarebbe prodotto in via referendaria, con soddisfazione delle prerogative della Regione.
Considerato in diritto
1.‒ In via preliminare, si deve rilevare che, nella camera di consiglio del 19 gennaio 2016, questa Corte ha disposto di dare corso all’illustrazione orale delle memorie depositate dai Consigli regionali delle Regioni Basilicata, Marche, Puglia, Sardegna, Veneto, Calabria, Liguria, Campania e Molise, e dalla Regione Abruzzo, limitatamente alla rappresentanza del Consiglio regionale, atteso che la Giunta regionale non ha potere rappresentativo in ordine alla proposizione del referendum abrogativo, in ragione di quanto stabilito dall’art. 29 della legge 25 maggio 1970, n. 352 (Norme sui referendum previsti dalla Costituzione e sulla iniziativa legislativa del popolo), nonché dal Presidente del Consiglio dei ministri.
2.‒ Il presente giudizio ha ad oggetto l’ammissibilità della richiesta di referendum popolare dichiarata legittima con ordinanza del 26 novembre 2015 dell’Ufficio centrale per il referendum, costituito presso la Corte di cassazione, e come trasferita con la successiva ordinanza del 7 gennaio 2016.
Con quest’ultima ordinanza, l’Ufficio centrale per il referendum ha disposto che la «richiesta referendaria, concernente il comma 17 dell’art. 6 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 (Norme in materia ambientale), come sostituito dal comma 1 dell’art. 35 del decreto-legge 22 giugno 2012, n. 83 (Misure urgenti per la crescita del Paese), convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 134, sia trasferita sul medesimo comma 17, terzo periodo, dell’art. 6 del d.lgs. n. 152 del 2006, come sostituito, da ultimo, dal comma 239 dell’art. 1 della legge 28 dicembre 2015, n. 208 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato − legge di stabilità 2016), con la seguente denominazione ed il seguente quesito: a) «Divieto di attività prospezione, ricerca e coltivazione di idrocarburi in zone di mare entro dodici miglia marine. Esenzione da tale divieto per i titoli abilitativi già rilasciati. Abrogazione della previsione che tali titoli hanno la durata della vita utile del giacimento»; b) «Volete voi che sia abrogato l’art. 6, comma 17, terzo periodo, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, “Norme in materia ambientale”, come sostituito dal comma 239 dell’art. 1 della legge 28 dicembre 2015, n. 208 “Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilità 2016)”, limitatamente alle seguenti parole: “per la durata di vita utile del giacimento, nel rispetto degli standard di sicurezza e di salvaguardia ambientale”?».
3.‒ L’Ufficio centrale per il referendum ha ritenuto che lo ius superveniens, nel sostituire la disposizione oggetto della richiesta referendaria, oltre ad avere abrogato parte degli originari secondo e terzo periodo del comma 17 dell’art. 6 del d.lgs. n. 152 del 2006, abbia introdotto una modificazione della durata dei titoli abilitativi già rilasciati, commisurandola al periodo «di vita utile del giacimento», prevedendo, quindi, una «sostanziale» proroga degli stessi ove «la vita utile del giacimento» superi la durata stabilita nel titolo.
Ha affermato, quindi, che la nuova disciplina non modifica il contenuto normativo essenziale del precetto oggetto di richiesta referendaria e che, pertanto, ricorre l’ipotesi di cui all’art. 39 della legge n. 352 del 1970, quale risulta dalla sentenza della Corte costituzionale n. 68 del 1978.
4.– La pronuncia è in effetti coerente con la giurisprudenza di questa Corte, secondo cui, qualora nel corso del procedimento referendario la disciplina oggetto del quesito sia modificata, spetta all’Ufficio centrale per il referendum accertare se l’intenzione del legislatore sia diversa rispetto alla precedente regolamentazione della materia. Difatti, se tale intenzione rimane «fondamentalmente identica, malgrado le innovazioni formali o di dettaglio che siano state apportate dalle Camere, la corrispondente richiesta non può essere bloccata, perché diversamente la sovranità del popolo (attivata da quella iniziativa) verrebbe ridotta ad una mera apparenza» (citata sentenza n. 68 del 1978).
4.1.– Non possono trovare, quindi, ingresso le prospettazioni della difesa dello Stato e della Regione Abruzzo in persona del delegato effettivo del Consiglio regionale relative al trasferimento del quesito referendario, che esulano dal giudizio di ammissibilità.
5.– A questa Corte compete verificare che non sussistano eventuali ragioni di inammissibilità sia indicate, o rilevabili in via sistematica, dall’art. 75, secondo comma, della Costituzione, attinenti alle disposizioni oggetto del quesito referendario; sia relative ai requisiti concernenti la formulazione del quesito referendario, come desumibili dall’interpretazione logico-sistematica della Costituzione (sentenze n. 174 del 2011, n. 137 del 1993, n. 48 del 1981 e n. 70 del 1978): omogeneità, chiarezza e semplicità, completezza, coerenza, idoneità a conseguire il fine perseguito, rispetto della natura ablativa dell’operazione referendaria. Si può ricordare, in proposito, che «la richiesta referendaria è atto privo di motivazione e, pertanto, l’obiettivo […] del referendum va desunto […] esclusivamente dalla finalità “incorporata nel quesito”, cioè dalla finalità obiettivamente ricavabile in base alla sua formulazione ed all’incidenza del referendum sul quadro normativo di riferimento» (sentenza n. 24 del 2011).
Va, inoltre, richiamata l’importanza che assume anche l’univocità del quesito e cioè l’evidenza del fine intrinseco dell’atto abrogativo (sentenza n. 47 del 1991), dovendosi dalle stesse norme di cui si propone l’abrogazione trarre con chiarezza «una matrice razionalmente unitaria» (sentenze n. 25 del 1981 e n. 16 del 1978), un criterio ispiratore fondamentalmente comune o un principio, la cui eliminazione o permanenza viene fatta dipendere dalla risposta del corpo elettorale (citata sentenza n. 47 del 1991, sentenze n. 65, n. 64 e n. 63 del 1990; n. 28, n. 26 e n. 22 del 1981).
6.– Non si ritiene che vi sono tali ragioni di inammissibilità, né, in particolare, che sono fondate le contrarie prospettazioni dell’Avvocatura generale dello Stato.
6.1.– Il quesito referendario, anzitutto, non comporta l’introduzione di una nuova e diversa disciplina. Esso infatti produce un effetto di mera abrogazione della disposizione oggetto del quesito riformulato, in vista del chiaro ed univoco risultato di non consentire che il divieto stabilito nelle zone di mare in questione incontri deroghe ulteriori quanto alla durata dei titoli abilitativi già rilasciati.
6.2.– Egualmente infondato l’ulteriore rilievo dell’Avvocatura generale dello Stato secondo cui il quesito sarebbe privo di coerenza in quanto, nella formulazione accolta dall’Ufficio centrale per il referendum, comporta anche l’abrogazione dell’inciso relativo alla salvaguardia ambientale, in contrasto con la finalità stessa del referendum.
Difatti, a prescindere dal problema interpretativo sollevato ex adverso, e secondo cui tale norma di salvaguardia sarebbe collegata alla proroga e quindi rimarrebbe comunque priva di oggetto, una volta che questa fosse abrogata, quel che conta è che la salvaguardia ambientale è oggetto di una apposita disciplina normativa, anche di origine comunitaria.
7.– Va considerato a parte, infine, il rilievo contenuto nella seconda memoria dell’Avvocatura generale dello Stato e formulato nei termini di violazione del principio di divieto di abrogazione in via referendaria di norme «costituzionalmente necessitate», in quanto il quesito, se accolto, comporterebbe la lesione del “diritto” alla proroga delle concessioni petrolifere maturato dai titolari e quindi del loro legittimo affidamento.
In realtà, al di là della formula impropriamente usata, quello che viene prospettato è un vizio di legittimità costituzionale e in quanto tale il suo esame è inammissibile in questa sede.
7.1.– Come già affermato nella sentenza n. 251 del 1975, questo giudizio, per la sua struttura articolata in più fasi consecutive ma consequenziali e funzionalmente unitarie e, per la peculiarità di tale funzione, consistente nel controllo di regolarità del procedimento di abrogazione referendaria, ha un oggetto specifico e limitato.
Esso, pertanto, non può estendersi alla valutazione della legittimità costituzionale della normativa conformata dall’eventuale accoglimento del quesito, verifica che non può che competere ai giudizi a ciò appositamente deputati.
8.– Così delimitato l’ambito del presente giudizio, il quesito referendario, nella formulazione risultante dal trasferimento operato dall’Ufficio centrale, rispetta i limiti espressamente indicati dall’art. 75 Cost. o comunque desumibili sulla base dell’interpretazione logico-sistematica dell’ordinamento costituzionale. In particolare non riguarda alcuna delle materie di cui tale articolo prevede l’esclusione; non ha contenuto propositivo, si presenta come unitario ed univoco e possiede i necessari requisiti di chiarezza ed omogeneità.
Il quesito referendario, come trasferito dall’Ufficio centrale per il referendum, deve ritenersi pertanto ammissibile.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara ammissibile la richiesta di referendum popolare dichiarata legittima con ordinanza del 26 novembre 2015 dell’Ufficio centrale per il referendum, costituito presso la Corte di cassazione, e come trasferita con ordinanza del 7 gennaio 2016 dello stesso Ufficio centrale per il referendum, per l’abrogazione del comma 17, terzo periodo, dell’art. 6 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 (Norme in materia ambientale), come sostituito dal comma 239 dell’art. 1 della legge 28 dicembre 2015, n. 208 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato − legge di stabilità 2016) limitatamente alle seguenti parole: «per la durata di vita utile del giacimento, nel rispetto degli standard di sicurezza e di salvaguardia ambientale».
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 19 gennaio 2016.
F.to:
Alessandro CRISCUOLO, Presidente
Giancarlo CORAGGIO, Redattore
Gabriella Paola MELATTI, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 2 febbraio 2016.