SENTENZA N.28
ANNO 1981
REPUBBLICA ITALIANA
In nome del Popolo Italiano
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori giudici
Avv. Leonetto AMADEI, Presidente
Dott. Giulio GIONFRIDA
Prof. Edoardo VOLTERRA
Dott. Michele ROSSANO
Prof. Antonino DE STEFANO
Prof. Leopoldo ELIA
Prof. Guglielmo ROEHRSSEN
Avv. Oronzo REALE
Avv. Alberto MALAGUGINI
Prof. Livio PALADIN
Dott. Arnaldo MACCARONE
Prof. Antonio LA PERGOLA
Prof. Virgilio ANDRIOLI
Prof. Giuseppe FERRARI
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio sull'ammissibilità, ai sensi dell'art. 2, comma primo, legge cost. 11 marzo 1953, n. 1, della richiesta di referendum popolare per l'abrogazione degli articoli 256; 266; 269; 270; 271; 272; 273; 274; 279; 290; 291; 292; 292 bis, comma primo limitatamente alle parole: < 290, comma secondo (vilipendio delle forze armate) e 292 (vilipendio della bandiera o di altro emblema dello Stato) >; 293; 299; 302; 303; 304; 305; 327; 342; 402; 403; 404; 414, comma terzo (Alla pena stabilita nel numero 1) soggiace anche chi pubblicamente fa l'apologia di Uno o più delitti); 415; 656; 657; 661; 667 e 668 del codice penale, approvato con regio decreto 19 ottobre 1930, n. 1398 e successive modificazioni (n. 14 reg. ref.).
Vista l'ordinanza 2 dicembre 1980 con la quale l'Ufficio centrale per il referendum presso la Corte di cassazione ha dichiarato legittima la suddetta richiesta;
udito, nella camera di consiglio del 14 gennaio 1981, il Giudice relatore Antonino De Stefano;
uditi l'avv. Mauro Mellini per il Comitato promotore del referendum e l'avvocato dello Stato Giorgio Azzariti per il Presidente del Consiglio dei ministri.
Considerato in diritto
La richiesta di referendum abrogativo, sulla cui ammissibilità la Corte è chiamata a pronunciarsi, a seguito della ordinanza del 2 dicembre 1980 dell'Ufficio centrale costituito presso la Corte di cassazione, che ne ha dichiarato la legittimità, investe, in tutto o in parte, trentuno articoli del codice penale, approvato con r.d. 19 ottobre 1930, n. 1398, e successive modificazioni. Di essi ventisei sono compresi nel Libro II (Dei delitti in particolare), e precisamente gli art. 256, 266, 269, 270, 271, 272, 273, 274 nel Titolo I (Dei delitti contro La personalità dello Stato), Capo I (Dei delitti contro la personalità internazionale dello Stato); gli artt. 279, 290, 291, 292, 292- bis, comma primo, limitatamente alle parole < 290, comma secondo (vilipendio delle forze armate) e 292 (vilipendio della bandiera o di altro emblema dello Stato) >, 293, nello stesso Titolo I, ma Capo II (Dei delitti contro la personalità interna dello Stato); l'art. 299 nello stesso Titolo I, ma Capo IV (Dei delitti contro gli Stati esteri, i loro Capi e i loro rappresentanti); gli artt. 302, 303, 304, 305 nello stesso Titolo I, ma Capo V (Disposizioni generali e comuni ai capi precedenti); l'art. 327 nel Titolo II (Dei delitti contro la pubblica Amministrazione), Capo I (Dei delitti dei pubblici ufficiali contro la pubblica Amministrazione); l'art. 342 nello stesso Titolo II, ma Capo II (Dei delitti dei privati contro la pubblica Amministrazione); gli artt. 402, 403, 404 nel Titolo IV (Dei delitti contro il sentimento religioso e contro la pietà dei defunti), Capo I (Dei delitti contro la religione dello Stato e i culti ammessi); gli artt. 414, comma terzo (Alla pena stabilita nel numero 1° soggiace anche chi pubblicamente fa l'apologia di uno o più delitti), 415 nel Titolo V (Dei delitti contro l'ordine pubblico). I rimanenti cinque sono compresi nel Libro III (Delle contravvenzioni in particolare), Titolo I (Delle contravvenzioni di polizia), Capo I (Delle contravvenzioni concernenti la polizia di sicurezza), Sezione I (Delle contravvenzioni concernenti l'ordine pubblico e la tranquillità pubblica), e precisamente: gli artt. 656, 657, 661, nel ff 1 (Delle contravvenzioni concernenti l'inosservanza dei provvedimenti di polizia e le manifestazioni sediziose e pericolose); gli artt. 667, 668 nel ff 3 (Delle contravvenzioni concernenti la vigilanza su talune industrie e sugli spettacoli pubblici).
Va preliminarmente ricordato che con sentenza n. 16 del 1978 questa Corte ebbe già a dichiarare inammissibile, fra le altre allora sottoposte alla sua pronuncia, la richiesta di referendum, presentata il 30 giugno 1977, per l'abrogazione, totale o parziale, di novantasette articoli del codice penale. In quella occasione la Corte, premessa la esistenza di < valori di ordine costituzionale, riferibili alle strutture od ai temi delle richieste referendarie, da tutelare escludendo i relativi referendum, al di la della lettera dell'art. 75, secondo comma, della Costituzione >, enunciò < quattro distinti complessi di ragioni d'inammissibilità >; ed in primo luogo considerò < inammissibili le richieste così formulate, che ciascun quesito da sottoporre al corpo elettorale contenga una tale pluralità di domande eterogenee, carenti di una matrice razionalmente unitaria, da non poter venire ricondotto alla logica dell'art.75 della Costituzione; discostandosi in modo manifesto ed arbitrario degli scopi in vista dei quali l'istituto del referendum abrogativo e stato introdotto nella Costituzione, come strumento di genuina manifestazione della sovranità popolare >. Di tale criterio la Corte fece allora puntuale applicazione, dichiarando inammissibile il menzionato referendum vertente su novantasette articoli del codice penale; ed al riguardo osservò che < per quanti sforzi interpretativi si facciano, da tali disposizioni non si riesce ad estrarre un quesito comune e razionalmente unitario; e ciò fornisce allora la riprova che la richiesta non può venire ammessa, perchè incompatibile con le proclamazioni degli artt. 1, 48 e 75 della Costituzione >.
Il Comitato promotore del referendum ora in esame, contesta, nella presentata memoria, la fondatezza dei motivi posti dalla richiamata sentenza n. 16 del 1978 a base del criterio della < omogeneità > come requisito essenziale del quesito referendario.
Ma la Corte non ravvisa argomenti che possano indurla a discostarsi dai principi allora formulati, che anzi ritiene di dover pienamente confermare, rinviando in proposito alla trattazione condotta nella sentenza n. 27 di data pari alla presente, con la quale è stata dichiarata inammissibile la coeva richiesta di referendum per l'abrogazione parziale della legge 27 dicembre 1977, n. 968, sulla disciplina della caccia.
Nella sua memoria il Comitato afferma inoltre che questa volta il quesito referendario è stato comunque formulato tenendo conto delle censure mosse dalla Corte al precedente quesito, e perciò eliminando dal suo oggetto tutte quelle norme del codice penale < che allora furono ritenute eterogenee rispetto a quelle di cui oggi viene proposta l'abrogazione >. Infatti, tutte le norme rimaste comprese nel quesito viene precisato concernono solo reati che, anche se classificati in vario modo, si concretano pur sempre < in una comunicazione verbale o scritta, in sé considerata, e quindi sullo stabilirsi di una trasmissione di dati del pensiero da uno ad altri soggetti, oppure all'inverso nell'acquisizione di informazioni >. In tale categoria < sono altresì inclusi reati di associazione che, mentre si consumano con espressioni reciproche di volontà tra gli associati, hanno finalità specifiche riconducibili, in vario modo, in tutto o in parte, ad espressioni del pensiero e dell'attività politica e sono in larga misura strumentali anche rispetto ai reati di cui sopra >. Le norme anzidette < caratterizzano in modo tipicamente autoritario, improntato alla < ragion di Stato >, diffidente e dura verso le manifestazioni del pensiero, il codice penale vigente >.
Considerazioni, queste, che < valgono anche a qualificare l'omogeneità dell'intento specifico di quanti saranno chiamati a votare per o contro l'abrogazione, essendo riconducibile l'atteggiamento positivo o negativo rispetto a tutte ed a ciascuna delle norme in questione, ad un'unica matrice politico-culturale >.
Dal suo canto l'Avvocatura dello Stato, nella memoria, pur riconoscendo che l'attuale richiesta referendaria, rispetto a quella presentata nel 1977 per l'abrogazione di novantasette articoli dello stesso codice penale, appare semplificata, essendo stata limitata, come precisato dai promotori, alle norme che disciplinano i reati d'opinione, riunione ed associazione, ritiene che anche questa volta debba essere dichiarata inammissibile.
Invero, non soltanto alcune delle norme di cui si propone l'abrogazione puniscono reati che non possono definirsi di opinione, come, a titolo di esempio, gli articoli 256 (procacciamento di notizie concernenti la sicurezza dello Stato), 270 (associazioni sovversive), 279 (lesa prerogativa della irresponsabilità del Presidente della Repubblica), 305 (cospirazione politica mediante associazione). Ma gli stessi articoli che pacificamente configurano reati di opinione, tutelano, a loro volta, beni giuridicamente diversi. Il quesito si rivela, dunque, carente della necessaria ed imprescindibile < omogeneità >.
La Corte ritiene fondate le conclusioni cui perviene l'Avvocatura dello Stato. In proposito occorre anzitutto considerare che la < omogeneità > del quesito referendario non può essere vagliata come già puntualizzato nella sentenza n. 16 del 1978 alla stregua degl'intendimenti soggettivi dei presentatori e dei sottoscrittori della richiesta: né tanto meno in relazione ai mutevoli intenti che potrebbero indurre gli elettori a votare per o contro l'abrogazione. Nella ipotesi in cui formi oggetto del quesito una pluralità di norme, come nella specie, devesi, invece, ricercare se dalle norme medesime, obiettivamente considerate nella loro struttura e nella loro finalità, sia dato porre in evidenza un comune principio, la cui eliminazione dall'ordinamento attraverso l'abrogazione delle norme in cui si concreta, o la cui permanenza in alternativa, verrà a dipendere dalla risposta che il corpo elettorale fornirà al dilemma. In ciò si realizza appunto quella caratteristica di chiarezza, di inconfondibilità della domanda, che, in una con le concomitanti caratteristiche di semplicità e di univocità, sole possono soddisfare l'esigenza di < nettezza > del quesito, a sua volta postulata dalla < nettezza > della scelta, secondo quanto affermato dalla già citata sentenza n. 27 di pari data.
Ora i trentuno articoli oggetto della richiesta in esame sono forzosamente e soggettivamente conglobati dai promotori in un unico contesto, mentre molteplici sono i parametri che obiettivamente li differenziano. I reati perseguiti sono in maggioranza delitti, ma alcuni di essi sono semplici contravvenzioni; alcuni sono reati di pericolo, altri di danno; dei delitti perseguiti alcuni possono venir qualificati come delitti politici, altri come delitti comuni.
La stessa tripartizione adoperata dai promotori, di reati di opinione, riunione ed associazione, postula significativamente una pluralità di condotte, che certo non possono tutte ricondursi univocamente alla manifestazione del pensiero. Ma soprattutto determinante, ai fini della eterogeneità che indubbiamente ne consegue, è la profonda diversità-che più rileva nella coscienza sociale e maggiormente quindi incide sulla libertà di scelta dell'elettore-dei beni tutelati, che vanno dagl'interessi concernenti la vita dello Stato nella sua essenza unitaria, al regolare funzionamento della pubblica Amministrazione, all'ordine pubblico, per giungere fino al sentimento religioso.
Anche questa volta, pertanto, dalle disposizioni del codice penale delle quali si propone l'abrogazione, non è dato estrarre un quesito comune, razionalmente unitario; e la richiesta in esame va, pertanto, dichiarata inammissibile.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara inammissibile la richiesta di referendum popolare per l'abrogazione di 31 articoli del codice penale, approvato con r.d. 19 ottobre 1930, n. 1398, e successive modificazioni, nei termini indicati in epigrafe, dichiarata legittima con ordinanza del 2 dicembre 1980 dell'Ufficio centrale per il referendum, costituito presso la Corte di cassazione.
Così deciso in Roma, in camera di consiglio, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 10/02/81.
Leonetto AMADEI – Giulio GIONFRIDA - Edoardo VOLTERRA - Michele ROSSANO - Antonino DE STEFANO - Leopoldo ELIA - Guglielmo ROEHRSSEN - Oronzo REALE - Alberto MALAGUGINI - Livio PALADIN - Arnaldo MACCARONE - Antonio LA PERGOLA - Virgilio ANDRIOLI - Giuseppe FERRARI.
Giovanni VITALE – Cancelliere
Depositata in cancelleria il 13/02/81.