SENTENZA N. 255
ANNO 2019
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL
POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
Presidente: Giorgio
LATTANZI;
Giudici:
Aldo CAROSI, Marta CARTABIA, Mario Rosario MORELLI, Giuliano AMATO, Silvana
SCIARRA, Daria de PRETIS, Nicolò ZANON, Franco MODUGNO, Augusto Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI, Giovanni
AMOROSO, Francesco VIGANÒ, Luca ANTONINI,
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio per conflitto di attribuzione tra enti sorto a
seguito della delibera del Consiglio dei ministri del 7 dicembre 2018, promosso
dalla Regione Molise con ricorso
notificato il 5-8 febbraio 2019, depositato in cancelleria il 6 febbraio 2019,
iscritto al n. 2 del registro conflitti tra enti 2019 e pubblicato nella
Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 9, prima serie speciale, dell’anno 2019.
Visto l’atto di
costituzione del Presidente del Consiglio dei
ministri;
udito nell’udienza pubblica del 22 ottobre 2019 il Giudice
relatore Franco Modugno;
udito l’avvocato Massimo Luciani per la Regione Molise e gli
avvocati dello Stato Leonello Mariani e Diana Ranucci per il Presidente del
Consiglio dei ministri.
Ritenuto
in fatto
1.– La Regione Molise
ha promosso conflitto di attribuzione nei confronti dello Stato, lamentando che
non sarebbe spettata a quest’ultimo e, per esso, al Consiglio
dei ministri, l’adozione della delibera del 7 dicembre 2018, recante la
nomina del dott. Angelo Giustini a commissario ad
acta e della dott.ssa Ida Grossi a sub-commissario per l’attuazione del piano
di rientro dai disavanzi del servizio sanitario della Regione Molise, e
chiedendo, di conseguenza, il suo annullamento.
La ricorrente ritiene,
infatti, che la delibera censurata sarebbe stata adottata in violazione degli
artt. 3, 81, 97, 117,
terzo comma, 118 e 120 della
Costituzione e dei principi di leale collaborazione e legittimo affidamento e,
pertanto, sarebbe lesiva, per una pluralità di motivi, delle proprie
attribuzioni costituzionali.
In subordine, chiede a
questa Corte di dichiarare, «previa eventuale rimessione della questione di
legittimità costituzionale innanzi a se stessa, […] l’illegittimità
costituzionale degli artt. 1, comma 395, della l. n.
232 del 2016 e 2, comma 84-bis, della l. n. 191 del 2009, nella formulazione
vigente ratione temporis».
1.1.– La ricorrente sottolinea come per le Regioni commissariate ai sensi
dell’art. 4, comma 2, del decreto-legge 1° ottobre 2007, n. 159 (Interventi
urgenti in materia economico-finanziaria, per lo sviluppo e l’equità sociale),
convertito, con modificazioni, nella legge 29 novembre 2007, n. 222, quali, da
oltre un decennio, la Regione Molise, vigeva un regime per il quale: per un
verso, il Consiglio dei ministri dovesse nominare commissario ad acta il
Presidente della Regione; per l’altro, solo in caso di dimissioni o di
impedimento del Presidente della Giunta, il Consiglio dei ministri avrebbe
potuto nominare un altro Commissario ad acta fino all’insediamento del nuovo
Presidente della Regione o alla cessazione della causa di impedimento. Inoltre,
parte ricorrente sottolinea come la normativa sul
commissariamento abbia una struttura tendenzialmente duale, nella quale il
sub-commissario «rappresenta la componente squisitamente tecnica, mentre il
commissario – da individuarsi nella persona del Presidente della Regione
interessata – costituisce l’elemento di raccordo politico-decisionale con
l’istituzione regionale».
La Regione ricorda le
modifiche normative che si sono succedute in materia e rileva come la regola
della nomina automatica del Presidente della Regione a commissario ad acta,
sancita dall’art. 2, commi 79, 83, 84 e 84-bis, della
legge 23 dicembre 2009, n. 191, recante «Disposizioni per la formazione del
bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2010)», sia stata
in un primo tempo superata dall’art. 1, comma 569, della legge 23 dicembre
2014, n. 190, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e
pluriennale dello Stato (legge di stabilità 2015)». Con l’intervento del 2014,
il legislatore ha introdotto infatti la regola
dell’incompatibilità tra la nomina a commissario ad acta e l’affidamento o la
prosecuzione di qualsiasi incarico istituzionale presso la Regione
commissariata e, di conseguenza, ha modificato i commi 79, 83, 84 e 84-bis, in
sostanza eliminando il riferimento al Presidente della Regione in essi
contenuto.
Successivamente, tuttavia, il legislatore è intervenuto novamente con l’art. 1, comma 395, della legge 11 dicembre
2016, n. 232 (Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2017 e
bilancio pluriennale per il triennio 2017-2019), superando la regola
dell’incompatibilità introdotta pochi anni prima, e ha statuito che alle
Regioni commissariate ai sensi dell’art. 4, comma 2, del d.l. n. 159 del 2007
non si applicassero le disposizioni cui all’art. 1, comma 569, della legge n. 190
del 2014.
1.2.– Alla luce di tali
premesse, la Regione Molise ritiene che la delibera censurata sarebbe lesiva
delle proprie attribuzioni costituzionali, in quanto
il Consiglio dei ministri avrebbe esercitato un potere radicalmente diverso da
quello attribuito dalla legge «così integrando un’ipotesi di palese "carenza di
potere in concreto”». Secondo la Regione, poi, il tono costituzionale del
conflitto non verrebbe meno in ragione del fatto che l’atto sia viziato anche
per violazione di legge, fatta valere dinnanzi al
competente giudice amministrativo. Tale conclusione, a parere della ricorrente,
troverebbe conforto nella stessa giurisprudenza costituzionale (si richiama la
sentenza n. 10
del 2017), la quale distingue i casi in cui la lesione derivi
da un atto meramente illegittimo da quelli in cui l’atto sia viziato anche per
contrasto con le norme attributive di competenza costituzionale, non avendo
rilievo alcuno, in tale caso, che l’atto sia impugnato anche in sede
giurisdizionale.
1.3.– Nel primo motivo
di ricorso, la Regione Molise preliminarmente chiarisce che ad
essere censurata non è tanto la violazione di legge, quanto la omessa
valutazione in concreto di una «pluralità di elementi coessenziali al corretto
esercizio dei poteri sostitutivi demandati dal Governo nei confronti delle
Regioni in piano di rientro».
La ricorrente, nello
specifico, lamenta che la delibera oggetto del conflitto, in assenza di
un’attenta valutazione sullo stato di avanzamento del piano di rientro, avrebbe
determinato, senza valide ragioni costituzionali e in violazione del principio
di ragionevolezza e del buon andamento dell’amministrazione, nonché
degli artt. 117, terzo comma, e 118 Cost., una compressione delle competenze
sia legislative sia amministrative della Regione nelle materie «tutela della
salute» e «coordinamento della finanza pubblica»; la stessa delibera avrebbe
altresì soppresso, peraltro senza perseguire alcun interesse meritevole di
tutela, il collegamento istituzionale tra la struttura commissariale e l’amministrazione
regionale.
La delibera avrebbe
omesso, infatti, una concreta valutazione di una serie di profili ritenuti
rilevanti (l’opportunità di conferire l’incarico ad un
soggetto che permettesse un confronto con l’amministrazione regionale grazie
alla coincidenza di incarichi in capo alla stessa persona, fatto questo
supportato anche dal parere della Conferenza delle Regioni e delle Province
autonome, contenuto nella nota 2018/104/SRFS/C7; lo stato di avanzamento del
piano di rientro dal deficit sanitario, evidenziando come per il 2017 il
punteggio della griglia dei livelli essenziali di assistenza – pari a 167 – si
colloca di sopra dalla soglia di adempienza, dato che il livello di sufficienza
è «pari al valore di >160»; gli effetti che il grave ritardo accumulato dal
Governo nella nomina del commissario ad acta avrebbe sul sistema sanitario
regionale), al punto da risultare irragionevolmente punitiva nei confronti
della Regione, poiché avrebbe compromesso ulteriormente l’autonomia regionale
senza prendere in considerazione l’opzione migliore per la Regione Molise.
Alla luce di dette
ragioni, la delibera oggetto del conflitto risulterebbe
in tal modo palesemente irragionevole, poiché rallenterebbe il percorso di
risanamento, e si porrebbe in contrasto con il principio di buon andamento
della pubblica amministrazione. Ciò avrebbe dirette
ripercussioni sulle competenze legislative e amministrative costituzionalmente
riconosciute alla Regione dagli artt. 117, terzo comma, e 118 Cost., poiché il
commissariamento impedirebbe di esercitarle.
1.4.– Nel secondo
motivo di ricorso, la Regione lamenta la menomazione delle proprie attribuzioni
costituzionali, determinata dalla violazione della disciplina costituzionale dell’esercizio dei poteri sostitutivi e del
principio di leale collaborazione in cui la delibera sarebbe incorsa.
Richiamando alcuni
precedenti di questa Corte (sentenze n. 171 del 2015
e n. 56 del 2018),
in forza dei quali il potere sostitutivo deve attivarsi
solo in caso di accertata inerzia delle Regioni e nel rispetto dei principi di
leale collaborazione e di sussidiarietà, viene denunciata la compressione dello
spazio di autonomia regionale nel procedimento di rientro dal deficit
sanitario. Compressione che, peraltro, sarebbe avvenuta senza verificare né se
la misura fosse proporzionata e necessaria, né se vi fosse un’inerzia nel dare
attuazione al piano di rientro. Si mette in evidenza,
poi, come la delibera sia stata adottata senza «neppure richiedere o acquisire
il parere» della Regione, che sarebbe invece imposto dall’art. 2, comma 84,
della legge n. 191 del 2009.
La ricorrente afferma,
inoltre, che il mancato rispetto della disciplina costituzionale in materia di
poteri sostitutivi si rifletterebbe sulle attribuzioni conferite alla Regione
dagli artt. 117, terzo comma, in riferimento alla
tutela della salute, e 118 Cost., al punto che la Regione non avrebbe alcun
ruolo nella struttura commissariale, mentre il principio di leale
collaborazione e l’art. 120 Cost. imporrebbero che le Regioni siano
specificamente ed individualmente coinvolte in modo da poter far valere le
proprie ragioni.
1.5.– Con il terzo
motivo di ricorso, la Regione si duole, invece, della lesione del principio del
legittimo affidamento, affermando che la «legittima aspettativa
di continuità» dell’incarico di commissario ad acta al Presidente della Regione
sarebbe stata «frustrata senza alcuna ragione giustificativa».
La ricorrente, da un
lato, afferma che la propria aspettativa fosse «certamente
consolidata», poiché non vi era stata alcuna modifica normativa astrattamente
idonea ad incidere sulla propria posizione, e, dall’altro, lamenta la mancanza
di una «(reale) valutazione degli interessi pubblici», operata dal Consiglio
dei ministri e tale da poter, quanto meno, motivare «la frustrazione del
legittimo affidamento riposto dalla Regione nella situazione esistente».
1.6.– Con il quarto
motivo di ricorso, la ricorrente denuncia la violazione degli artt. 81 e 97 Cost., in riferimento alle attribuzioni
costituzionali riconosciute alla Regione nelle materie «tutela della salute» e
«coordinamento della finanza pubblica» ex artt. 117, terzo comma, e 118 Cost.,
nonché in riferimento al principio di leale collaborazione. La scelta di
nominare un soggetto diverso dal Presidente della Giunta avrebbe gravato,
infatti, la Regione di ulteriori oneri, i quali
sarebbero oltretutto ingiustificati e non conformi al criterio di economicità
desumibile dalle disposizioni costituzionali invocate, in considerazione del
fatto che il Presidente della Giunta avrebbe potuto adempiere all’incarico «in
tempi più stretti, in ragione dell’approfondita conoscenza della realtà sulla
quale intervenire, e senza costi».
1.7.– La Regione,
infine, in via subordinata chiede che questa Corte dichiari (previa autorimessione) l’illegittimità costituzionale dell’art. 1, comma 395, della legge n. 232 del 2016, e dell’art. 2,
comma 84-bis, della legge n. 191 del 2009, nella formulazione vigente ratione temporis, per violazione
del principio di ragionevolezza di cui all’art. 3 Cost. e del principio di buon
andamento di cui all’art. 97 Cost., nonché del principio di leale
collaborazione e degli artt. 81, 97, 117, terzo comma, 118 e 120 Cost.
Secondo la ricorrente,
ove si dovesse ritenere che dalle disposizioni legislative richiamate derivi
l’impossibilità di nominare il Presidente della Giunta commissario ad acta,
esse dovrebbero essere dichiarate incostituzionali (previa autorimessione
della questione di legittimità costituzionale), con conseguente illegittimità
derivata della delibera impugnata. Secondo questa prospettiva, tutti i motivi
di ricorso addotti dalla Regione si tramuterebbero in altrettanti motivi di incostituzionalità, poiché: si escluderebbe il
rappresentante della Regione dalla struttura commissariale senza una previa
valutazione, da parte dello Stato, sull’avanzamento del piano di rientro dal
deficit sanitario; verrebbe impedita la nomina quale commissario ad acta del
Presidente della Giunta mediante un automatismo irragionevole e contraddittorio
con le finalità del piano di rientro; si impedirebbe alla Regione di mantenere
spazi di autonomia e di partecipazione procedimentale nell’esercizio dei poteri
sostitutivi dello Stato; si determinerebbero, infine, ulteriori spese,
irragionevoli e non necessarie, a carico del sistema sanitario regionale.
2.– Il Presidente del
Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello
Stato, si è costituito in giudizio con atto depositato il 20 marzo 2019.
2.1.– In via
preliminare, la difesa dello Stato chiede di dichiarare inammissibile il
conflitto. Eccependo in primo luogo, il difetto di interesse
attuale e concreto all’impugnativa, in forza delle modifiche recate dall’art.
25-septies, commi 1, 2 e 3, del decreto-legge 23 ottobre 2018, n. 119
(Disposizioni urgenti in materia fiscale e finanziaria), convertito, con
modificazioni, in legge 17 dicembre 2018, n. 136. Tali norme prevedono,
infatti, da un lato, che gli incarichi istituzionali presso la Regione commissariata
sono incompatibili con la nomina di commissario ad acta; dall’altro, che nel
regime di incompatibilità rientrano anche gli
incarichi commissariali in atto, a qualunque titolo affidati a soggetti interni
all’amministrazione regionale, alla data di entrata in vigore della modifica
normativa.
Si sostiene, infatti,
che in ragione dell’incompatibilità introdotta da tali norme (la quale si
estende agli incarichi commissariali in atto alla data di entrata in vigore
della modifica normativa), la Regione Molise non trarrebbe utilità alcuna
dall’eventuale pronuncia favorevole di questa Corte, in
quanto il Consiglio dei ministri non potrebbe, comunque sia, procedere
alla nomina auspicata.
In secondo luogo, il
ricorso sarebbe inammissibile perché difetterebbe del "tono” costituzionale.
Per un verso, la
Regione sarebbe carente della legittimazione a
ricorrere avverso la delibera in contestazione, perché espressione
dell’esercizio del potere sostitutivo, di competenza esclusiva statale; il che
escluderebbe che la ricorrente possa essere titolare di una posizione
soggettiva giuridica attiva, in base alla quale poter pretendere la nomina del
proprio Presidente pro tempore quale commissario ad acta. Per l’altro, la
delibera – espressione del potere sostitutivo dello Stato – non sarebbe
invasiva della sfera di competenza costituzionalmente
riservata alle Regioni. Non sussistendo, pertanto, violazione delle norme
costituzionali a presidio del riparto di competenza,
le violazioni di norme ordinarie denunciate dalla ricorrente sarebbero
irrilevanti e il conflitto, di conseguenza, inammissibile.
2.2.– Il Presidente del
Consiglio dei ministri ritiene, comunque sia, infondato il conflitto, poiché
non sarebbe sussistito alcun obbligo in capo al Consiglio dei
ministri di nominare commissario ad acta il Presidente della Giunta
regionale.
Secondo l’Avvocatura
generale dello Stato, infatti, già nell’art. 2, commi
79, 83 e 84, della legge n. 191 del 2009, nel testo vigente prima dell’entrata
in vigore della legge n. 190 del 2014, non si sarebbe configurato un obbligo
per lo Stato di nominare il Presidente della Giunta commissario ad acta. Si
sostiene, infatti, che, pur volendo ammettere che il comma 79
di tale articolo prevedesse espressamente tale eventualità, i successivi commi
83 e 84 statuivano, rispettivamente, che in caso di perdurante inadempienza
degli obblighi derivanti dal piano di rientro o in caso di inadempimento del
Presidente della Giunta, il Consiglio dei ministri avrebbe potuto, in
attuazione dell’art. 120 Cost., nominare commissario un soggetto diverso.
L’incompatibilità – continua l’Avvocatura – in un primo tempo introdotta dalla
legge n. 190 del 2014, tanto per i commissariamenti disposti ai sensi dell’art.
4, comma 2, del d.l. n. 159 del 2007, quanto per
quelli ex art. 2, commi 79, 83 e 84, della legge n. 191 del 2009, sarebbe stata
superata, con le modifiche introdotte dall’art. 1, comma 395, della legge n.
232 del 2016, solo per i primi e non per i secondi; si aggiunge, infine, che il
venir meno della incompatibilità non avrebbe potuto, in ogni caso, equivalere
all’obbligo di nominare commissario ad acta il Presidente della Giunta
regionale.
2.3.– Ripercorsa
l’evoluzione legislativa in materia, l’Avvocatura generale dello Stato afferma
che, seppur originariamente il commissariamento della Regione Molise fosse
stato predisposto ai sensi dell’art. 4, comma 2, del
d.l. n. 159 del 2007, già a partire dal gennaio del 2012 sarebbe «"transitato”
nella sfera di applicazione dell’art. 2 della l. n. 191/2009».
Ciò troverebbe conferma
nell’ulteriore circostanza che solo pochi mesi dopo,
nel giugno del
Su tali basi la difesa
dello Stato ritiene che l’incompatibilità in un primo tempo introdotta dalla
legge n. 190 del 2014, tanto per i commissariamenti disposti ai sensi dell’art.
4, comma 2, del d.l. n. 159 del 2007, quanto per
quelli ex art. 2, commi 79, 83 e 84, della legge n. 191 del 2009, sarebbe stata
superata, mediante le modifiche introdotte con la legge n. 232 del 2016, solo
per i primi e non per i secondi.
L’art. 1, comma 395, della legge n. 232 del
2.4.– In via
subordinata, l’Avvocatura generale dello Stato deduce l’infondatezza del
ricorso, anche per il caso in cui si ritenesse che la Regione Molise sia
commissariata ai sensi dell’art. 4, comma 2, del d.l.
n. 159 del 2007 e, quindi, anche a voler reputare che, nel caso di specie, non
potesse trovare applicazione l’incompatibilità ex lege fra l’incarico di
Presidente della Giunta regionale e quello di commissario ad acta.
Si sostiene, infatti,
che, prima dell’incompatibilità sancita dalla legge n. 190 del 2014, né il
comma 83 né il comma 84-bis, dell’art. 2 della legge
n. 191 del 2009, «imponevano necessariamente» la nomina del Presidente della
Giunta regionale quale commissario ad acta. Quanto al comma 83,
questo avrebbe previsto, «su un piano di assoluta alternatività», la nomina a
commissario ad acta anche di un soggetto diverso dal Presidente della Giunta o,
comunque sia, «esterno alla compagine regionale». Rispetto al comma 84-bis, il
quale si ritiene, comunque sia, non applicabile al caso di specie, questo si
limita ad apprestare una soluzione normativa di emergenza: individuerebbe,
infatti, nell’insediamento del nuovo Presidente della Giunta regionale il solo
termine finale di durata del commissariamento temporaneo. In altri termini, non
condizionerebbe, «una volta cessato l’impedimento o ricostituito l’organo
regionale, il potere di scelta del Governo il quale, ai fini
dell’individuazione della persona del nuovo commissario ad acta», godrebbe della stessa libertà esercitabile al momento
dell’affidamento iniziale dell’incarico.
2.5.– Riguardo agli
altri motivi di ricorso la difesa dello Stato afferma che essi, «ancor prima
che infondati», sarebbero «del tutto privi di "tono costituzionale”», risolvendosi
in semplici vizi di legittimità, in quanto tali di
competenza del giudice amministrativo.
2.5.1.– In primo luogo,
la delibera non potrebbe ritenersi non adeguatamente motivata, poiché
quest’ultima, rientrando fra gli atti di alta amministrazione, è espressione di
«un’amplissima discrezionalità che si traduce in un obbligo motivazionale estremamente contenuto». In buona sostanza – così continua
la difesa statale – l’obbligo di esternazione delle ragioni, in linea con
quanto concretamente avvenuto, si ridurrebbe alle sole indicazioni in positivo
delle norme di legge da applicare e dei requisiti per il conferimento
dell’incarico. Un particolare sforzo motivazionale sarebbe, al contrario,
risultato necessario nell’ipotesi in cui la scelta fosse ricaduta su un «soggetto intraneo alla struttura
istituzionale», sia per il generale disfavore espresso dall’ordinamento verso
il cumulo degli incarichi, sia in ragione della particolare situazione in cui
verserebbe la sanità molisana. In secondo luogo e proprio alla luce di tale
gravità – la quale troverebbe conferma nel programma operativo straordinario
che, a seguito della sottoscrizione di uno specifico accordo con la Regione
Molise, ha trovato riconoscimento nell’art. 34-bis del decreto-legge 24 aprile
2017, n. 50 (Disposizioni urgenti in materia finanziaria, iniziative a favore
degli enti territoriali, ulteriori interventi per le
zone colpite da eventi sismici e misure per lo sviluppo), convertito, con
modificazioni, in legge 21 giugno 2017, n. 96 – la scelta di un soggetto
estraneo all’apparato amministrativo regionale dovrebbe bensì considerarsi
opportuna.
2.5.2.– La situazione
in cui verserebbe la sanità molisana renderebbe non sussistente neppure la
violazione del legittimo affidamento lamentata dalla ricorrente. Doglianza che
sarebbe priva di fondamento anche dal punto di vista giuridico: pur volendo
ammettere, infatti, che non sussistesse la (più volte richiamata)
incompatibilità nella nomina del Presidente della Giunta regionale, non vi
sarebbe stato alcun obbligo giuridico sul quale fondare il legittimo
affidamento dell’incarico al neoeletto Presidente della Regione.
2.5.3.– Non sarebbe
configurabile neppure la denunciata irrazionalità e antieconomicità della
scelta statale, la quale, nell’affidare la funzione di commissario ad acta ad un soggetto estraneo all’amministrazione regionale,
avrebbe aggravato la situazione economico-finanziaria della Regione, chiamata a
sopportarne i relativi oneri. Sostiene l’Avvocatura generale dello Stato che,
da un lato, «non dipenderà certo dal compenso» la cui erogazione grava sulla
Regione «il successo o meno dell’attività di riequilibrio
economico-finanziario»; dall’altro, l’onere, ritenuto «giustificato e
pienamente compatibile» dal legislatore, proprio in forza dell’esplicita
previsione normativa, non può essere invocato «a motivo di
illegittimità della decisione in proposito assunta».
2.5.4.– Senza
fondamento sarebbero anche le doglianze sulla violazione del principio di leale
collaborazione. Principio, quest’ultimo, che atterrebbe alla fase precedente il
commissariamento: ciò che costituisce oggetto di condivisione e codecisione sarebbero cioè il piano di rientro dal
disavanzo sanitario e le misure per farvi fronte. Il commissariamento, invece, in quanto espressione del potere sostitutivo, competerebbe
in via esclusiva allo Stato, il quale lo esercita con le garanzie previste
dalla Costituzione e dalla normativa di riferimento. A tal fine, l’art. 2, comma 84, della legge n. 191 del 2009 contempla
l’audizione della Regione interessata, obbligo che – sostiene la difesa dello
Stato – sarebbe stato puntualmente espletato, come risulterebbe dal «corpo
della contestata deliberazione».
2.5.5.– Infine, la
difesa del Presidente del Consiglio dei ministri ritiene che deve
dichiararsi inammissibile, per difetto di rilevanza, la questione di
legittimità costituzionale proposta, in via subordinata, dalla ricorrente.
Secondo l’Avvocatura
generale dello Stato, infatti, entrambe le disposizioni sarebbero estranee alla
materia dell’incompatibilità. Per un verso, l’art. 1,
comma 395, della legge n. 232 del 2016, «non escludeva certo che il presidente
della regione fosse nominato commissario ad acta». Tale previsione normativa,
infatti, stabilendo che «le disposizioni di cui al comma 569 dell’articolo 1 della legge 23 dicembre 2014, n. 190, […] non si applicano
alle regioni commissariate ai sensi dell’articolo 4, comma 2 del decreto-legge
1° ottobre 2007, n. 159», avrebbe consentito la nomina a commissario ad acta
dei Presidenti delle Regioni commissariate ai sensi di quest’ultima
disposizione (essendo, invece, ancora presente l’incompatibilità per le Regioni
commissariate ai sensi dell’art. 2, commi 79, 83 e 84, della legge n. 191 del
2009). Per l’altro, la previsione di cui all’art. 2,
comma 84-bis, limitandosi «a stabilire che, in caso di impedimento del
presidente della regione nominato commissario ad acta, il Consiglio dei
Ministri avrebbe nominato un commissario ad acta fino alla cessazione della
causa di impedimento», sarebbe «totalmente anodina quanto all’individuazione
del soggetto destinato ad essere nominato commissario ad acta una volta cessata
la causa di impedimento».
3.– Con la memoria
depositata in prossimità dell’udienza, la difesa della Regione Molise risponde puntualmente
alle eccezioni sollevate dal Presidente del Consiglio dei ministri nel suo atto
di costituzione.
3.1.– Secondo la
ricorrente non potrebbe trovare accoglimento l’eccezione di difetto di interesse attuale e concreto al ricorso, causato
dall’introduzione dell’art. 25-septies del d.l. n. 119 del 2018.
Richiamando la sentenza di questa
Corte n. 198 del 2017, si ricorda che l’esaurimento degli effetti dell’atto
impugnato non farebbe venir meno l’interesse all’accertamento del riparto di
competenze.
Quand’anche – così conclude la Regione Molise – la norma di legge dovesse
uscire indenne dal controllo di costituzionalità e la doverosità della nomina
del Presidente della Giunta regionale dovesse valere solo per uno spatium temporis limitato,
l’interesse della Regione non verrebbe meno, ma sarebbe soltanto inciso nella
misura; si ritiene, tuttavia, che «un interesse ridotto nella misura» sarebbe
«pur sempre un interesse costituzionalmente e processualmente protetto».
3.2.– Per quanto
riguarda l’eccezione di inammissibilità per carenza di
legittimazione attiva, la difesa regionale sostiene che sarebbe proprio la
titolarità di sfere di competenza costituzionalmente garantite a dare titolo
alla Regione di lamentare «l’invasione, l’interferenza o la menomazione delle
proprie attribuzioni costituzionali». Ciò perché motivo della doglianza non
sarebbe la mancata nomina del proprio Presidente, bensì la lesione delle
attribuzioni costituzionali della Regione, causata dall’esercizio di un potere
radicalmente diverso da quello attribuito dalla legge.
In merito all’eccezione
di inammissibilità per l’assenza di tono
costituzionale, la ricorrente precisa che non avrebbe messo in dubbio la
spettanza del potere sostitutivo al Governo, bensì avrebbe denunciato
l’esercizio di un potere radicalmente diverso da quello attribuitogli dalla
legge, andando ad integrare un’ipotesi di carenza di potere in concreto, la
quale sarebbe idonea a conferire tono costituzionale al conflitto. Tale
pregiudizio sarebbe direttamente riconducibile «all’autonoma attitudine lesiva
della Delibera impugnata e non (soltanto) al modo erroneo in cui da essa è
stata applicata la legge». Da ciò deriverebbe che il tono costituzionale non
verrebbe meno dall’aver impugnato la delibera in contestazione anche davanti
alla giurisdizione ammnistrativa.
3.3.– Chiarite le
ragioni per le quali il conflitto sarebbe «certamente ammissibile», la Regione
Molise risponde puntualmente alle deduzioni della difesa statale.
3.3.1.– Innanzitutto la
ricorrente, nel contestare la ricostruzione normativa proposta dalla difesa
dello Stato, ritiene che non vi sarebbe stata alcuna «"inalveazione” del
procedimento nell’ambito della disciplina di cui alla l. n. 191 del 2009»,
poiché quest’ultima si sarebbe aggiunta, senza abrogarla, a quella dettata
dall’art. 4 del d.l. n. 159 del
Ciò sarebbe confermato
dalla circostanza che le delibere di nomina del Commissario ad acta, successive
alla presunta inalveazione nella disciplina introdotta dalla legge n. 191 del
2009, continuerebbero, da un lato, a far riferimento espresso all’art. 4, comma 2, del d.l. n. 159 del 2007 e, dall’altro, esse non
menzionerebbero neppure l’art. 2, comma 83, della legge n. 191 del 2009, il
quale attribuisce al Consiglio dei ministri il potere di nominare il Presidente
della Regione o di un altro soggetto.
3.3.2.– La ricorrente,
inoltre, ritiene che non coglierebbe nel segno la difesa dello Stato quando afferma
che l’art. 2, comma 84-bis, della legge n. 191 del
2009, non avrebbe portata decisiva nella vicenda, poiché, al contrario, darebbe
conferma che, nel quadro normativo riferibile ratione
temporis alla delibera in contestazione, si dava
«assolutamente per scontato che il Presidente della Regione [fosse], sempre,
anche Commissario ad acta».
Infine la difesa
regionale ribadisce che, in forza dell’art. 1, comma
395, della legge n. 232 del 2016, con il quale si sarebbe derogato alla regola
dell’incompatibilità sancita dall’art. 1, comma 569, della legge n. 190 del
3.3.3.– Priva di
fondamento sarebbe anche l’eccezione di infondatezza
relativa alla violazione dei principi di sussidiarietà e di leale
collaborazione, basata sulla distinzione tra la disciplina dei piani di rientro
dal deficit sanitario, riconducibile alla potestà legislativa concorrente, in
materia di «tutela della salute» e di «coordinamento della finanzia pubblica»,
e il commissariamento, espressione del potere sostitutivo straordinario del
Governo, disciplinato dall’art. 120 Cost. e oggetto di competenza esclusiva
statale.
La Regione ritiene, al
contrario, che proprio nella materia in esame il rispetto di tali principi caratterizzi «non tanto l’an – procedimentalizzato in funzione del mancato raggiungimento
degli obiettivi del Piano di rientro – quanto il quomodo
del commissariamento».
La delibera impugnata,
impendendo l’avvicendamento tra il precedente e l’attuale Presidente della
Regione, avrebbe compresso, invece, lo spazio di autonomia della Regione, la
quale non avrebbe «alcun ruolo all’interno della struttura commissariale,
benché il principio di leale collaborazione e l’art. 120 Cost. impongano» che
le Regioni interessate dall’esercizio del potere sostitutivo siano coinvolte in
modo da poter far valere le proprie ragioni.
3.3.4.– Per gli ulteriori motivi, la difesa regionale, nella sostanza,
ribadisce quanto sostenuto nel ricorso introduttivo.
3.4.– A seguito del rinvio della udienza pubblica, la Regione
Molise ha depositato ulteriore memoria, nella quale ha ribadito la fondatezza
del ricorso, sottolineando come la sentenza n. 200 del
2019, con la quale questa Corte ha deciso il conflitto fra enti promosso
dalla Regione Calabria (la quale ha rigettato il ricorso per conflitto di
attribuzione in riferimento alla delibera di nomina del commissario e del
sub-commissario per l’attuazione del piano di rientro dai disavanzi del
servizio sanitario) darebbe conferma della fondatezza del ricorso della stessa
Regione Molise.
3.4.1.– Da un lato,
infatti, le censure proposte dalla Regione Calabria si fondavano su circostanze
diverse e peculiari; dall’altro, le situazioni di criticità riscontrate nella
gestione commissariale di quella Regione non sarebbero riscontrabili nel caso
della Regione Molise. Da ciò – si conclude – proprio
seguendo il ragionamento di questa Corte e riportando i principi da essa
espressi alla vicenda in esame, «la Delibera oggetto del ricorso per conflitto
d’attribuzione proposto dalla Regione Molise si rivela – se possibile – viziata
in modo ancor più grave».
4.– Anche il Presidente
del Consiglio dei ministri ha depositato ulteriore
memoria, nella quale, rispondendo, a sua volta, puntualmente ai rilievi mossi
dalla difesa della Regione Molise, ha nella sostanza ribadito le deduzioni
svolte nell’atto di costituzione.
5.– In udienza, infine,
la ricorrente ha depositato la «Griglia LEA 2018», estratta dallo «Schema di
certificazione della situazione regionale relativo agli
adempimenti LEA 2018», dal quale risulterebbe, ad ulteriore prova del positivo
stato di avanzamento del piano di rientro dal deficit sanitario, che essa
avrebbe raggiunto un "punteggio” pari a 180, collocandosi oltre la soglia di
adempienza nell’erogazione delle prestazioni sanitarie.
Considerato
in diritto
1.– La Regione Molise
ha promosso conflitto di attribuzione nei confronti dello Stato, lamentando che
non sarebbe spettato a quest’ultimo e, per esso, al Consiglio
dei ministri, l’adozione della delibera del 7 dicembre 2018, recante la
nomina del dott. Angelo Giustini a commissario ad
acta e della dott.ssa Ida Grossi a sub-commissario per l’attuazione del piano
di rientro dai disavanzi del servizio sanitario della Regione Molise, e
chiedendo, di conseguenza, il suo annullamento.
La ricorrente ritiene
che la delibera impugnata non sarebbe incorsa solo in una violazione di legge, in quanto con essa, contrariamente a quanto imposto dalla
disciplina legislativa vigente in materia, si sarebbe nominato commissario ad
acta persona diversa dal Presidente pro tempore della Giunta regionale, ma essa
sarebbe, altresì, espressione di un potere radicalmente diverso da quello
attribuito dalla legge «così integrando un’ipotesi di palese "carenza di potere
in concreto”».
Alla luce di tali
premesse, la Regione Molise ritiene che la delibera censurata sarebbe stata
adottata in violazione degli artt. 3, 81, 97, 117,
terzo coma, 118 e 120 della Costituzione e dei principi di leale collaborazione
e legittimo affidamento, così ledendo le proprie attribuzioni costituzionali.
2.– Il Presidente del
Consiglio dei ministri, ritualmente costituitosi in giudizio, ha sollevato due
eccezioni di inammissibilità del conflitto.
2.1.– In primo luogo,
la difesa statale ritiene il conflitto inammissibile per difetto di interesse attuale e concreto, in forza delle modifiche
intervenute con l’art. 25-septies, commi 1, 2 e 3, del decreto-legge 23 ottobre
2018, n. 119 (Disposizioni urgenti in materia fiscale e finanziaria),
convertito, con modificazioni, in legge 17 dicembre 2018, n. 136.
Si sostiene, infatti,
che in ragione dell’incompatibilità introdotta da tali norme (la quale si
estende agli incarichi commissariali in atto alla data di entrata in vigore
della modifica normativa), la Regione Molise non trarrebbe utilità alcuna
dall’eventuale pronuncia favorevole di questa Corte, in
quanto il Consiglio dei ministri non potrebbe, comunque sia, procedere
alla nomina auspicata.
L’eccezione non è fondata,
in quanto è pacifico nella giurisprudenza di questa
Corte che a rilevare nel conflitto tra enti sia l’interesse all’accertamento
del riparto costituzionale delle attribuzioni, «il quale trae origine
dall’esigenza di porre fine – secondo quanto disposto dall’art. 38 della legge
11 marzo 1953, n. 87 (Norme sulla costituzione e sul funzionamento della Corte
costituzionale) – ad una situazione di incertezza» in ordine a quest’ultimo (sentenza n. 198 del
2017; nello stesso senso, sentenze n. 260 del 2016
e n. 9 del 2013).
2.2.– Con la seconda
eccezione di inammissibilità, l’Avvocatura generale
dello Stato deduce che il conflitto non sarebbe sorretto dal necessario tono
costituzionale. Per un verso, la Regione sarebbe carente
della legittimazione a ricorrere avverso la delibera in contestazione,
perché espressione dell’esercizio del potere sostitutivo, di competenza
esclusiva statale; il che escluderebbe che la ricorrente possa essere titolare
di una posizione soggettiva giuridica attiva, in base alla quale poter
pretendere la nomina del proprio Presidente pro tempore quale commissario ad
acta; per l’altro, l’interesse regionale al risanamento e al riequilibrio
economico-finanziario in ambito sanitario (fondantesi sulla competenza
legislativa e amministrativa in materia di tutela della salute e in quella del
coordinamento della finanza pubblica), non assumerebbe una consistenza tale da
consentire alla Regione di sindacare la legittimità e l’opportunità della
scelta governativa nell’esercizio del potere sostitutivo, qual è quello della
nomina del commissario, che «è e rimane di competenza esclusiva dello Stato».
In modo del tutto
conseguente, la delibera non sarebbe invasiva della sfera di
competenza costituzionalmente riservata alle Regioni; pertanto, la ricorrente
starebbe denunciando, semmai, vizi di mera violazione di legge.
Anche tale eccezione non è fondata.
Occorre rilevare,
innanzitutto, che la Regione Molise non rivendica la spettanza di una posizione
soggettiva giuridica attiva, in forza della quale pretendere la nomina quale
commissario ad acta del Presidente pro tempore della Giunta regionale, bensì si
duole della menomazione delle proprie attribuzioni costituzionali, derivante, a
suo modo di vedere, dal cattivo esercizio del potere sostitutivo, del quale,
peraltro, non viene contestata la titolarità esclusiva
in capo allo Stato.
Così stando le cose, la
Regione ha titolo e interesse a dolersi della menomazione delle proprie
attribuzioni, tanto più che, come ha avuto già modo di rilevare questa Corte, «la
disciplina, generale e astratta, del potere sostitutivo e delle sue modalità di esercizio può essere di per sé idonea a invadere
le competenze costituzionali della Regione o a comprimere il principio di leale
collaborazione, laddove non preveda adeguati meccanismi di raccordo con gli
enti territoriali interessati» (sentenza n. 36 del
2018).
Posta l’idoneità del
potere sostitutivo ad incidere sulle competenze
regionali, il conflitto ha allora tono costituzionale, in quanto la ricorrente
non si è limitata a denunciare la mera violazione di legge, bensì l’«esercizio
di un potere radicalmente diverso da quello attribuito dalla legge», integrante
«"un’ipotesi di lamentata carenza di potere in concreto incidente sulle
prerogative costituzionali della ricorrente”» (così, sentenza n. 10 del
2017; nello stesso senso, sentenze n. 260 del 2016
e 104 del 2016),
e, pertanto, ha lamentato «non una qualsiasi lesione» (sentenza n. 28 del
2018), ma una lesione di proprie competenze costituzionali (in questo
senso, fra le tante, sentenze n. 28 del 2018,
n. 52 del 2013
e n. 90 del 2011).
3.– Prima di analizzare
i singoli motivi di ricorso è necessario fornire una breve ricostruzione
del contesto normativo in cui si colloca
l’impugnata delibera, al fine di chiarire, da un lato, se al momento della sua
adozione sussistesse, come sostiene la ricorrente, l’obbligo di nominare il
Presidente della Regione commissario ad acta; dall’altro, se – come dedotto
dall’Avvocatura generale dello Stato – il commissariamento della Regione Molise,
originariamente disposto in base all’allora vigente art. 4, comma 2, del
decreto-legge 1 ottobre 2007, n. 159 (Interventi urgenti in materia
economico-finanziaria, per lo sviluppo e l’equità sociale), convertito, con
modificazioni, nella legge 29 novembre 2007, n. 222, sarebbe successivamente
"transitato” nell’ambito di applicazione dell’art. 2 della legge 23 dicembre
2009, n. 191, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e
pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2010)», così impedendo, a causa
della perdurante regola dell’incompatibilità, la nomina del Presidente della
Regione quale commissario ad acta.
3.1.– La ricostruzione
può prendere le mosse dall’art. 4 del d.l. n. 159 del
2007, con il quale – e per ciò che qui rileva – il legislatore statale ha
previsto che, qualora la Regione risulti inadempiente rispetto agli impegni
assunti in sede di sottoscrizione del piano di rientro, il Consiglio dei
ministri nomina un commissario ad acta, con il compito di realizzare le
finalità riportate nel piano concordato tra Stato e Regione.
La disposizione, anche
nella formulazione tutt’oggi vigente, non dà indicazione alcuna né sulla figura
che possa ricoprire tale incarico né sui particolari requisiti di
professionalità ed esperienza che il commissario debba possedere.
La previsione della
nomina automatica del Presidente della Giunta regionale quale commissario ad
acta compare nella versione originaria della legge n. 191 del 2009, all’art. 2, commi 79, 83 e 84.
L’art. 2, comma 79, della legge n. 191 del 2009, prevedeva,
infatti, che, in caso di mancata presentazione da parte della Regione del piano
di rientro ovvero in caso di mancata approvazione dello stesso, il Consiglio
dei ministri, in attuazione dell’art. 120 Cost., nominasse il Presidente della
Regione quale commissario ad acta per la predisposizione del piano di rientro e
per la sua attuazione.
L’art. 2, comma 83, della stessa legge (nella formulazione ancora
oggi in vigore) prende in considerazione l’ipotesi in cui, pur essendo stato
presentato ed approvato il piano di rientro, ad una verifica dello stesso
venisse constatata la inadempienza della Regione in merito alla realizzazione
degli obiettivi tracciati nel piano. In tal caso, il Consiglio
dei ministri diffida la Regione interessata ad attuare il piano,
adottando altresì tutti gli atti normativi, amministrativi, organizzativi e
gestionali idonei a garantire il conseguimento degli obiettivi previsti. A seguito della persistente inerzia della Regione, il
Consiglio dei ministri, in attuazione dell’art. 120 Cost., nominava (così era
previsto dal testo dell’originaria disposizione) il Presidente della Regione
commissario ad acta per la intera durata del piano di rientro.
Da ultimo, il comma 84 dell’art. 2 della ricordata legge n. 191 del 2009
stabiliva che «[q]ualora il presidente della regione,
nominato commissario ad acta per la redazione e l’attuazione del piano ai sensi
dei commi 79 o 83, non adempia in tutto o in parte all’obbligo di redazione del
piano o agli obblighi, anche temporali, derivanti dal piano stesso,
indipendentemente dalle ragioni dell’inadempimento, il Consiglio dei ministri,
in attuazione dell’articolo 120 della Costituzione, adotta tutti gli atti
necessari ai fini della predisposizione del piano di rientro e della sua attuazione.
Nei casi di riscontrata difficoltà in sede di verifica e monitoraggio
nell’attuazione del piano, nei tempi o nella dimensione finanziaria ivi
indicata, il Consiglio dei ministri, in attuazione
dell’articolo 120 della Costituzione, sentita la regione interessata, nomina
uno o più commissari ad acta di qualificate e comprovate professionalità ed
esperienza in materia di gestione sanitaria per l’adozione e l’attuazione degli
atti indicati nel piano e non realizzati».
La disposizione, anche
nella sua versione originaria, faceva evidentemente riferimento ad una ipotesi in cui il Presidente della Regione fosse
risultato inadempiente agli obblighi derivanti dal piano di rientro e stabiliva
un autonomo potere sostitutivo statale attraverso un nuovo commissariamento.
Occorre ricordare,
infine, che, ai sensi dell’art. 2, comma 88, della
medesima legge, tali disposizioni trovano applicazione anche ai
commissariamenti sorti in forza dell’art. 4, comma 2, del d.l. n. 159 del 2007.
Soltanto dal periodo
che va dal 2009 al
Con l’art. 2, comma 6, lettera a), del decreto-legge 10 ottobre 2012,
n. 174, recante «Disposizioni urgenti in materia di finanza e funzionamento
degli enti territoriali, nonché ulteriori disposizioni in favore delle zone
terremotate nel maggio 2012», convertito, con modificazioni, nella legge 7
dicembre 2012, n. 213, è stato modificato, infatti, l’art. 2, comma 83, della
legge n. 191 del 2009, prevedendosi che il Consiglio dei ministri potesse
nominare «il presidente della regione o un altro soggetto commissario ad acta»,
nel caso in cui dalle verifiche periodiche fossero emerse inadempienze della
Regione nell’attuazione del piano di rientro.
Occorre ricordare,
inoltre, che, nell’occasione (e specificamente dall’art 2,
comma 6, lettera b del d.l. n. 174 del 2012), è stato inserito nell’art. 2
della legge n. 191 del 2009 anche il comma 84-bis con il quale si è stabilito
che «[i]n caso di dimissioni o di impedimento del presidente della regione il
Consiglio dei ministri nomina un commissario ad acta […] fino all’insediamento
del nuovo presidente della regione o alla cessazione della causa di
impedimento».
Il quadro normativo
muta notevolmente con la legge 23 dicembre 2014, n. 190, recante «Disposizioni
per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di
stabilità 2015)», non soltanto perché, da un lato, si prevede (art. 1, comma
569) l’incompatibilità tra incarichi istituzionali regionali e la nomina a
commissario ad acta per la predisposizione, l’adozione e l’attuazione del piano
di rientro, effettuata ai sensi dell’art. 2, commi 79,
83 e 84, della citata legge n. 191 del 2009, e si estende (art. 1, comma 570)
tale incompatibilità anche ai commissariamenti disposti ai sensi dell’art. 4,
comma 2, del d.l. n. 159 del 2007; ma, anche perché, dall’altro, il che è
fondamentale per la vicenda in esame, viene abrogato il riferimento al
Presidente della Regione presente nei commi 79, 83 e 84 e viene, invece,
interamente modificato il comma 84-bis, prevedendosi che «[i]n caso di
impedimento del presidente della regione nominato commissario ad acta, il
Consiglio dei ministri nomina un commissario ad acta, al quale spettano i
poteri indicati nel terzo e nel quarto periodo del comma 83, fino alla
cessazione della causa di impedimento».
Tale ultima modifica risultava necessaria in quanto il generale regime di
incompatibilità introdotto dalla legge n. 190 del 2014 si applicava ai soli
nuovi commissariamenti. Dovevano, pertanto, trovare disciplina le (sole)
ipotesi di impedimento che si fossero verificate in
relazione agli incarichi commissariali ricoperti dai Presidenti della Regione.
Lettura, questa, che
trova conferma nell’ultimo intervento normativo in materia, vale a dire l’art.
25-septies del decreto-legge n. 119 del 2018 (dichiarato incostituzionale da
questa Corte con la sentenza n. 247 del
2019), il quale, avendo esteso l’incompatibilità, dallo stesso introdotta,
agli incarichi commissariali in atto alla data della sua entrata in vigore, ha
abrogato l’art. 2, comma 84-bis, della legge n. 191
del 2009.
Dopo la legge n. 190
del 2014, pertanto, da un lato, con la previsione espressa
dell’incompatibilità, si è stabilito che il Presidente della Regione non
potesse essere commissario ad acta; dall’altro, attraverso la modifica delle
disposizioni che contenevano l’espresso riferimento al Presidente della
Regione, è venuta meno la regola della nomina automatica di quest’ultimo.
La situazione muta novamente e parzialmente con la legge 11 dicembre 2016, n.
232 (Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2017 e bilancio
pluriennale per il triennio 2017-2019), la quale, con l’art. 1,
comma
4.– Alla stregua di
tale composita evoluzione del quadro normativo risulta
infondato l’assunto della difesa dello Stato, dal momento che l’originario
"titolo” di commissariamento della Regione Molise, rappresentato dal più volte
richiamato art. 4, comma 2, del d.l. n. 159 del 2007, non si è affatto
"inalveato” – come pretenderebbe la resistente – all’interno della più "matura”
e completa disciplina dei commissariamenti dettata dalla legge n. 191 del 2009,
pur tenendo conto delle articolate sovrastrutturazioni
normative che l’hanno attinta, attraverso le varie fonti novellatrici.
Occorre rilevare,
innanzitutto, che i commissariamenti più antichi – come quello della Regione
Molise, il quale ormai ha abbondantemente superato il decennio – non hanno
subito una sorta di "novazione” sul versante della legislazione applicabile, in quanto la base normativa dalla quale ha tratto origine
l’intervento sostitutivo dello Stato è rimasta intatta nella sua perdurante
produzione di effetti, al punto che ha formato oggetto di espresso richiamo
proprio – e da ultimo – nella delibera censurata con il presente conflitto.
Deve
infatti escludersi che per le Regioni all’epoca già commissariate, la
legge n. 191 del 2009 abbia rappresentato una fonte "novatrice” di portata tale
da aver nella sostanza "sterilizzato” la precedente disciplina. Anzi, che tale
disciplina continui ad avere perdurante efficacia è confermato
da ultimo dall’art. 1, comma 395, della legge n. 232 del 2016, che ha escluso
la incompatibilità proprio per i commissariamenti sorti in forza dell’art. 4,
comma 2, del d.l. n. 159 del 2007.
Da ciò deve concludersi che, al momento dell’adozione della delibera
contestata, alla Regione Molise – commissariata, giova ribadirlo, ai sensi
dell’art. 4, comma 2, del d.l. n. 159 del 2007 – non si applicava
l’incompatibilità introdotta con la legge n. 190 del 2014.
5.– Tale conclusione
non vale, però, a fondare l’assunto della ricorrente, ovverosia che per le
Regioni commissariate ai sensi dell’art. 4, comma 2,
del d.l. n. 159 del 2007, fra cui la Regione Molise, con le modifiche apportate
dalla legge n. 232 del 2016 non solo si sarebbe superata la regola
dell’incompatibilità introdotta dalla legge n. 190 del 2014, ma si sarebbe,
altresì, ripristinata la regola della nomina automatica del Presidente della
Regione.
Evidentemente la tesi
espressa dalla difesa regionale presuppone che l’inciso contenuto nel comma 395
della legge n. 232 del 2016 (il quale prevede che le disposizioni di cui al
comma 569 dell’art. 1 della legge n. 190 del 2014 non
si applicano alle Regioni commissariate ai sensi dell’art. 4, comma 2, del d.l.
n. 159 del 2007) comporti non soltanto la deroga alla regole
dell’incompatibilità e dei particolari requisiti di esperienza e
professionalità sancite, rispettivamente, al primo e al secondo periodo del
comma 569, ma il ripristino del contenuto normativo originariamente espresso
dai commi 79, 83, 84 e 84-bis, i quali – prima dell’intervento operato con la
legge n. 190 del 2014 – prevedevano (si presupponeva, nel caso del comma
84-bis) la nomina automatica a commissario ad acta del Presidente della Giunta
regionale.
Come ha avuto già modo
di chiarire questa Corte, «[i]l fenomeno della
reviviscenza di norme abrogate […] non opera in via generale e automatica e può
essere ammesso soltanto in ipotesi tipiche e molto limitate», fra le quali
rientra l’abrogazione di «disposizioni meramente abrogatrici,
perché l’unica finalità di tali norme consisterebbe nel rimuovere il precedente
effetto abrogativo» e così facendo, in sostanza, il legislatore assume «per relationem il contenuto normativo della legge
precedentemente abrogata» (sentenza n. 13 del
2012).
Ipotesi, questa, che è
differente da quella in esame.
Con la legge n. 190 del
2014 il legislatore non ha effettuato, infatti, un
intervento meramente abrogativo, bensì ha modificato la portata precettiva
delle disposizioni, poiché facendo venir meno il riferimento al Presidente
della Regione ha "superato” il sistema che imponeva, almeno in prima battuta
(come meglio si specificherà fra breve), la nomina automatica di quest’ultimo.
Non sfugge a questa
Corte che le abrogazioni, poste in essere dall’art. 1,
comma 569, della legge n. 190 del 2014, fossero funzionali all’operare della
regola generale dell’incompatibilità, introdotta dalla stessa norma.
Tuttavia, la scelta di
derogare al regime dell’incompatibilità, compiuta con la legge n. 232 del 2016,
non può avere come conseguenza implicita ed automatica
la reviviscenza delle norme in precedenza abrogate (con le quali si prevedeva
la nomina a commissario ad acta del Presidente della Giunta regionale), posto
che, come si è già ricordato, il ripristino di norme abrogate è un fatto
eccezionale, ammesso solo se disposto dal legislatore in modo espresso, o
comunque sia tramite l’abrogazione di norma a sua volta abrogatrice.
Su tali basi deve concludersi, pertanto, che l’art. 1, comma 395, della legge
n. 232 del 2016, stabilendo che le disposizioni di cui al comma 569 dell’art. 1
della legge n. 190 del 2014 non si applicano alle Regioni commissariate ai
sensi dell’art. 4, comma 2, del d.l. n. 159 del 2007, nel superare la regola
dell’incompatibilità, introdotta dalla legge n. 190 del 2014, non ha
determinato (e non avrebbe potuto determinare) il ripristino delle norme
abrogate da quest’ultima.
Per completezza e
decisivamente deve aggiungersi che, pur prescindendo dall’impossibilità nel
caso di specie di reputare ripristinate disposizioni in precedenza abrogate,
già prima delle modifiche introdotte dalla legge n. 190 del 2014, il sistema non era affatto graniticamente improntato alla nomina
automatica del Presidente della Regione, in quanto – come è stato già posto in
evidenza nella ricostruzione dell’evoluzione normativa in materia – con le
modifiche, apportate dal d.l. n. 174 del 2012 all’art. 2, comma 83, della legge
n. 191 del 2009, il Consiglio dei ministri aveva il potere di nominare
commissario ad acta un soggetto diverso dal Presidente della Regione.
In conclusione, al
momento dell’adozione della delibera, il Consiglio dei ministri
poteva discrezionalmente nominare quale commissario ad acta tanto il Presidente
della Regione quanto un altro soggetto.
6.– Alla luce del
quadro legislativo di riferimento e chiarite le implicazioni dell’evoluzione
normativa sulla vicenda in esame, le censure non sono fondate.
6.1.– Con il primo
motivo di ricorso, la Regione Molise lamenta che la delibera oggetto del
conflitto, in assenza di un’attenta valutazione sullo stato di avanzamento del
piano di rientro, avrebbe determinato, senza valide ragioni costituzionali e in
violazione del principio di ragionevolezza e del buon andamento
dell’amministrazione, nonché degli artt. 117, terzo
comma, e 118 Cost., una compressione delle competenze sia legislative sia
amministrative della Regione nelle materie «tutela della salute» e
«coordinamento della finanza pubblica»; e ciò, in particolare, perché avrebbe
soppresso, peraltro senza perseguire alcun interesse meritevole di tutela, il
collegamento istituzionale tra la struttura commissariale e l’amministrazione regionale.
Rileva la difesa
regionale, infatti, che il Consiglio dei ministri ha
omesso di valutare, da un lato, l’andamento positivo del processo di rientro
dal deficit sanitario, che troverebbe conferma nel dato, superiore al livello
di sufficienza, relativo ai livelli essenziali di assistenza (d’ora in avanti:
LEA); dall’altro, che il conferimento dell’incarico ad un soggetto interno
all’amministrazione regionale (e nella specie al Presidente della Regione)
avrebbe assicurato un confronto costante con l’amministrazione regionale.
Per tali ragioni, e
anche a voler prescindere dall’obbligo di nomina del Presidente della Regione –
che secondo la ricorrente sarebbe imposto dalla legge – il Consiglio
dei ministri avrebbe dovuto nominare quest’ultimo commissario ad acta.
La tesi della
ricorrente non può essere accolta.
È noto che la
disciplina dei piani di rientro poggia sul collegamento stretto fra la verifica
economico-finanziaria e la capacità della Regione di assicurare i LEA, collegamento che deve essere reso esplicito
attraverso un’analitica quantificazione – anche per le Regioni che non si
trovino in deficit – ai sensi dell’art. 20 del decreto legislativo 23 giugno
2011, n. 118 (Disposizioni in materia di armonizzazione dei sistemi contabili e
degli schemi di bilancio delle Regioni, degli enti locali e dei loro organismi,
a norma degli articoli 1 e 2 della legge 5 maggio 2009, n. 42) (sentenze n. 197 del 2019
e n. 51 del 2013).
L’inadempimento regionale, anche rispetto ad uno solo
di questi due obiettivi, giustifica, pertanto, sia (e in origine) l’intervento
sostitutivo dello Stato sia (di conseguenza e dopo l’attivazione del potere
sostitutivo) il mantenimento in vita del commissariamento.
Sulla
base di tali presupposti, deve
rilevarsi che, nel commissariamento della Regione Molise, l’esercizio del
potere sostitutivo trova giustificazione nella circostanza che all’allegato
dato positivo inerente ai LEA non corrisponde un risultato positivo relativo al
rientro dal disavanzo economico-finanziario, confermandosi così la complessa
inefficienza del sistema sanitario regionale.
È da aggiungere che i
dati depositati nel corso dell’udienza dalla Regione Molise, secondo cui essa
avrebbe raggiunto un "punteggio” pari a 180,
collocandosi oltre la soglia di adempienza nell’erogazione delle prestazioni
sanitarie, appaiono equivoci.
Confrontando le due
valutazioni compiute in sede di monitoraggio dello stato di attuazione, si
palesa, infatti, una evidente contraddizione
consistente nella separazione del punteggio inerente all’erogazione delle
prestazioni sanitarie dalla negativa valutazione riguardante i concreti
adempimenti previsti dal piano di rientro. Quest’ultimo non può essere inteso
se non in modo unitario senza possibilità di separazione tra profili essenziali
e profili quali-quantitativi di resa delle prestazioni sanitarie indefettibili
quali i LEA.
Non essendovi obbligo
ex lege di nominare il Presidente della Regione commissario ad acta, da un
lato, e sussistendo i presupposti per instaurare e mantenere il commissariamento
della Regione, dall’altro, deve concludersi che la
scelta di far cadere la nomina su persona diversa dal Presidente della Regione
non risulta lesiva delle attribuzioni regionali.
Tanto più che il
costante confronto fra amministrazione centrale e amministrazione periferica,
svolto nel Tavolo tecnico per la verifica degli adempimenti regionali e nel
Comitato permanente per la verifica dei livelli essenziali di assistenza (nonché la stessa composizione di detti organismi, improntata
a una compenetrazione tra la componente statale e quella regionale) permette
che, nelle fasi di svolgimento del piano di rientro, le attribuzioni regionali
ricevano adeguata rappresentazione e pertanto tutela (così sentenza n. 200 del
2019), sicché la scelta di nominare commissario ad acta persona diversa dal
Presidente della Regione non determina, a dispetto di quanto sostenuto dalla
ricorrente, alcuna interruzione del confronto fra struttura commissariale e
amministrazione centrale.
Per le ragioni esposte,
la delibera impugnata (e la correlativa scelta governativa) non è neppure
irragionevole e contraria al principio di buon andamento dell’amministrazione.
Deve concludersi
pertanto per l’infondatezza del motivo di ricorso.
6.2.– Con il secondo
motivo di ricorso, la Regione si duole dell’illegittimità della delibera perché
sarebbe stata adottata in violazione della disciplina costituzionale
dell’esercizio dei poteri sostitutivi e del principio
di leale collaborazione, menomando le attribuzioni costituzionali della
ricorrente, conferite dagli artt. 117, terzo comma (in materia di tutela della
salute), e 118 Cost. Con la nomina a commissario ad acta di un soggetto diverso
dal Presidente della Regione sarebbe stato compresso lo spazio di autonomia già
riconosciuto alle Regioni, senza verificare né se la misura fosse proporzionata
e necessaria né se vi fosse un’inerzia nel dare attuazione al piano di rientro.
A seguito dell’adozione della delibera, peraltro
avvenuta senza «neppure richiedere o acquisire il parere» della Regione, così
come imposto dall’art. 2, comma 84, della legge n. 191 del 2009, la Regione non
avrebbe alcun ruolo nella struttura commissariale, pur se il principio di leale
collaborazione e l’art. 120 Cost. imporrebbero che le Regioni siano
specificamente ed individualmente coinvolte in modo da poter far valere le
proprie ragioni.
Come detto, neppure
tali censure possono ritenersi fondate.
L’adozione,
l’attuazione e l’esecuzione del piano di rientro, da un lato, e l’eventuale
commissariamento, dall’altro, sono espressioni di un’unica vicenda,
caratterizzata da un costante confronto fra Governo e Regione (tanto nella fase
di adozione del piano quanto attraverso le verifiche periodiche e il termine di
diffida a provvedere all’adozione o all’attuazione del piano), In essa il
commissariamento rappresenta l’extrema
ratio, attivabile solo nel caso in cui gli obiettivi stabiliti dal piano
non riescano a trovare completa soddisfazione.
Nel caso di specie, vi
è stato un costante confronto fra amministrazione centrale e amministrazione
regionale. Basti considerare che risale solo a pochi
giorni prima dell’adozione della delibera (e precisamente al 20 novembre 2018)
la riunione di verifica dell’attuazione del piano di rientro.
L’obbligo
dell’acquisizione del previo parere, poi, non è previsto né dall’art. 2, comma 84, della legge n. 191 del 2009, né dalla più
generale disciplina sul potere sostitutivo (l’art. 8, comma 1, della legge 5
giugno 2003, n. 131, recante «Disposizioni per l’adeguamento dell’ordinamento
della Repubblica alla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3»), la quale
prevede soltanto che la Regione venga sentita.
Obbligo, quest’ultimo,
che è stato assolto, poiché dalla delibera impugnata risulta che il Consiglio dei ministri ha chiamato a partecipare alla
riunione per la nomina del Commissario ad acta il Presidente della Regione.
Per quanto riguarda,
infine, il coinvolgimento della Regione nella struttura commissariale e, in
specie, nel procedimento di nomina del commissario ad acta, questa Corte ha già
avuto modo di affermare che «le facoltà di audizione e partecipazione della
Regione non si estendono […] all’individuazione nominativa
del commissario e del subcommissario, la cui scelta
spetta in via esclusiva al Governo. Dal che, anche per tale profilo,
l’insussistenza delle asserite lesioni di competenze regionali» (sentenza n. 200 del
2019).
Da ciò discende che,
nel caso all’esame di questa Corte, essendosi il Governo conformato alla
disciplina costituzionale e non prevedendo la disciplina legislativa
l’automatica nomina del Presidente della Regione a commissario ad acta,
non vi è stata violazione della disciplina costituzionale del potere
sostitutivo e del principio di leale collaborazione né, infine, lesione delle
attribuzioni costituzionali della Regione.
Sono queste le ragioni
esposte che inducono a concludere per l’infondatezza
del motivo di ricorso.
6.3.– Non sussiste
neppure la violazione del principio del legittimo affidamento, lamentata dalla
Regione con il terzo motivo di ricorso, con il quale si afferma che la
«legittima aspettativa di continuità» dell’incarico di
commissario ad acta al Presidente della Regione sarebbe stata «frustrata senza
alcuna ragione giustificativa».
Tenuto conto del non
felice esito del previgente assetto commissariale, come dimostra la circostanza
che il commissariamento perdura da ben oltre un decennio, e della grave
situazione del deficit regionale molisano, al momento dell’adozione della
delibera contestata, ben difficilmente si poteva ritenere sussistente quel
coeso e consolidato quadro nel quale poter iscrivere un qualsivoglia
"affidamento” circa la relativa "stabilizzazione” della posizione giuridica
della Regione.
Sono proprio le
ricordate difficoltà nell’attuazione del piano di rientro che, anzi, danno
fondamento e rendono non irragionevole e sproporzionata la scelta governativa
di affidare l’incarico a un soggetto terzo rispetto all’amministrazione
regionale.
6.4.– La difesa
regionale denuncia, infine, la violazione degli artt. 81
e 97 Cost., in riferimento alle attribuzioni costituzionali riconosciute alla
Regione: quest’ultima sarebbe stata gravata di ulteriori oneri, i quali
sarebbero oltretutto ingiustificati e non conformi al criterio di economicità
desumibile dalle disposizioni costituzionali invocate, in considerazione del
fatto che il Presidente della Giunta regionale avrebbe potuto adempiere
all’incarico senza costi e in tempi più stretti, in ragione dell’approfondita
conoscenza della realtà sulla quale intervenire.
La prospettiva della
ricorrente non può essere accolta.
I maggiori oneri
derivanti dalla nomina di un soggetto esterno all’amministrazione regionale
sono, infatti, una mera conseguenza di fatto dell’attivazione del potere
sostitutivo, la cui disciplina stabilisce e (pre)determina gli oneri del relativo esercizio. Da ciò
l’infondatezza del motivo di ricorso.
7.– Neppure può essere
accolta, infine, la richiesta della Regione di prendere in esame la questione
di legittimità costituzionale del combinato disposto dell’art. 1, comma 395, della legge n. 232 del 2016 e dell’art. 2,
comma 84-bis, della legge n. 191 del 2009. Secondo la ricorrente, se da tali
disposizioni dovesse ricavarsi l’incompatibilità tra il ruolo di commissario ad
acta e la carica di Presidente della Regione, risulterebbero
violati il principio di ragionevolezza di cui all’art. 3 Cost., il principio
del buon andamento dell’amministrazione di cui all’art. 97 Cost., nonché il
principio di leale collaborazione e gli artt. 81, 97, 117, terzo comma, 118 e
120 Cost.
Contrariamente a quanto
deduce – seppur in subordine – la ricorrente, e come si è già avuto modo di esplicitare nella ricostruzione del quadro normativo, è
assorbente rilevare che dalle citate disposizioni non può ricavarsi, infatti,
la sussistenza della regola dell’incompatibilità relativa alla nomina del
commissario ad acta.
Per Questi Motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara che spettava allo Stato e, per esso, al Consiglio dei
ministri nominare il commissario ad acta per l’attuazione del vigente piano di
rientro dai disavanzi del servizio sanitario della Regione Molise, con la
delibera del 7 dicembre del 2018.
Così
deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta,
il 4 novembre 2019.
F.to:
Giorgio LATTANZI, Presidente
Franco MODUGNO,
Redattore
Roberto MILANA,
Cancelliere
Depositata in
Cancelleria il 5 dicembre 2019.