SENTENZA N. 44
ANNO 2019
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
composta dai
signori:
Presidente:
Giorgio LATTANZI;
Giudici: Aldo CAROSI, Marta CARTABIA, Mario Rosario
MORELLI, Giancarlo CORAGGIO, Giuliano AMATO, Silvana SCIARRA, Daria de PRETIS,
Nicolò ZANON, Franco MODUGNO, Augusto
Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO, Francesco VIGANÒ, Luca
ANTONINI,
ha pronunciato la
seguente
SENTENZA
nel giudizio di
legittimità costituzionale degli artt.
15, commi 1, 2, 3, 24, comma 2, e 35, comma 3, della legge della Regione
Liguria 28 dicembre 2017, n. 29 (Disposizioni collegate alla legge di stabilità
per l’anno 2018), promosso dal Presidente del Consiglio dei ministri, con ricorso
notificato il 26 febbraio - 2 marzo 2018, depositato in cancelleria il 2 marzo
2018, iscritto al n. 17 del registro ricorsi 2018 e pubblicato nella Gazzetta
Ufficiale della Repubblica n. 14, prima serie speciale, dell’anno 2018.
Visto
l’atto di costituzione della Regione Liguria;
udito nella udienza
pubblica del 5 febbraio 2019 il Giudice relatore Augusto Antonio Barbera;
uditi l’avvocato
dello Stato Gabriella Palmieri per il Presidente del Consiglio dei ministri e
l’avvocato Gabriele Pafundi per
Ritenuto in fatto
1.–
Il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso
dall’Avvocatura generale dello Stato, con ricorso notificato il 26 febbraio - 2
marzo 2018, depositato in quest’ultima data (reg. ric. n. 17 del 2018), ha
impugnato l’art. 15 (recte: 15,
commi 1, 2 e 3), l’art. 24 (recte: 24, comma 2) e
l’art. 35, comma 3, della legge della Regione Liguria 28 dicembre 2017, n. 29
(Disposizioni collegate alla legge di stabilità per l’anno 2018), in
riferimento all’art.
117, secondo comma, lettera s), della Costituzione.
Ad
avviso del ricorrente,
2.–
Il ricorrente evidenzia in primo luogo che l’art. 15
della legge reg. Liguria n. 29 del 2017 prevede: a) al comma 1, che «[s]ono soggetti a comunicazione alla Regione, entro trenta
giorni prima della data di inizio attività, gli interventi di pulizia
dell’alveo e delle sponde eseguiti a mano o con mezzi meccanici dai proprietari
frontisti o aventi titolo, gli interventi di manutenzione ordinaria di
manufatti in concessione, gli interventi di manutenzione ordinaria degli alvei
e delle sponde eseguiti dagli enti pubblici ivi compresa la movimentazione di
materiale litoide nei casi di ripristino della sezione di deflusso dell’alveo,
lo svuotamento di vasche di sedimentazione, vasche antincendio e briglie di
trattenuta purché non comportino asportazione dello stesso»; b) al comma 2, che
«[l]a Regione, entro il termine dei trenta giorni di cui al comma 1, può
disporre il diniego dell’intervento»; c) al comma 3, che «[n]on sono soggetti a
nulla osta idraulico e a comunicazione di inizio attività gli interventi in
somma urgenza eseguiti in caso di eventi calamitosi per i quali sia dichiarato
lo stato di emergenza, di eventi potenzialmente in grado di contaminare un sito
di cui all’articolo 242 del d.lgs. n. 152/2006 e successive modificazioni e
integrazioni, e interventi imprevisti e non programmati su utenze di interesse
pubblico oggetto di concessione».
2.1.–
A giudizio del ricorrente, tali previsioni violano l’art. 117, secondo comma,
lettera s), Cost. perchè entrano in conflitto con la
normativa, di competenza esclusiva dello Stato, dettata a tutela dell’assetto
idrogeologico dal Capo VII (Polizia delle acque pubbliche) del regio decreto 25
luglio 1904, n. 523 (Testo unico delle disposizioni di legge intorno alle opere
idrauliche delle diverse categorie).
In
particolare, le disposizioni censurate entrerebbero in conflitto sia con l’art.
93, primo comma, di tale decreto, in forza del quale
«[n]essuno può fare opere nell’alveo dei fiumi,
torrenti, rivi, scolatoi pubblici e canali di proprietà demaniale, cioè nello
spazio compreso fra le sponde fisse dei medesimi, senza il permesso
dell’autorità amministrativa»; sia con l’art. 94 dello stesso decreto, il quale
dispone che « [n]el caso di alvei a sponde variabili
od incerte, la linea, o le linee, fino alle quali dovrà intendersi estesa la
proibizione di che nell’articolo precedente, saranno determinate anche in caso
di contestazione dal prefetto, sentiti gli interessati».
2.2.–
La richiamata normativa interposta fissa, ad avviso del ricorrente, una regola
di tutela ambientale contraddetta dalla disciplina regionale censurata.
Di
qui la violazione addotta, considerando che le disposizioni legislative statali
dettate in materia ambientale, inerendo a un interesse pubblico di valore
costituzionale primario e assoluto, fungono da limite
trasversale alle discipline introdotte dalle Regioni nelle materie di loro,
anche residuale, competenza, salvo che le disposizioni regionali siano in grado
di garantire livelli di tutela più elevati rispetto a quelli previsti dalla
normativa nazionale.
3.–
Secondo il ricorrente, il medesimo parametro costituzionale è violato anche
dagli artt. 24 e 35 della legge reg. Liguria n. 29 del
2017.
Segnatamente,
le disposizioni contenute nel comma 2 dell’art. 24 e
nel comma 3 dell’art. 35 della legge regionale sarebbero rispettivamente in
conflitto con l’art. 19, comma 2, e con l’art. 21 della legge 11 febbraio 1992,
n. 157 (Norme per la protezione della fauna selvatica omeoterma e per il
prelievo venatorio).
3.1.–
Il ricorrente evidenzia che l’art. 24, comma 2, della
legge regionale impugnata modifica l’art. 2 della legge della Regione Liguria
11 marzo 2014, n. 4 (Norme per il rilancio dell’agricoltura e della selvicoltura,
per la salvaguardia del territorio rurale ed istituzione della banca regionale
della terra), aggiungendo ad esso il comma 3-bis, in forza del quale
3.1.1.–
Ad avviso del ricorrente, la disposizione regionale impugnata consente che il
controllo faunistico venga esercitato con modalità e
tramite personale differenti da quelli previsti dalla norma statale di
riferimento, nel caso individuata nell’art. 19, comma 2, della legge n. 157 del
1992.
Tale
ultima disposizione impone, infatti, che i piani di abbattimento autorizzati
dalle Regioni, finalizzati al controllo delle specie di fauna selvatica,
debbano essere «[...] attuati dalle guardie venatorie dipendenti dalle
amministrazioni provinciali», le quali ultime « […]
potranno altresì avvalersi dei proprietari o conduttori dei fondi sui quali si
attuano i piani medesimi, purché muniti di licenza per l’esercizio venatorio,
nonché delle guardie forestali e delle guardie comunali munite di licenza per
l’esercizio venatorio».
3.1.2.–
Sempre ad avviso del ricorrente, la legge n. 157 del 1992 fissa le regole
minime comuni in materia di preservazione della fauna e, dunque, di tutela
dell’ambiente e dell’ecosistema; la normativa regionale che entra in conflitto
con le relative previsioni invaderebbe, di conseguenza, la sfera
di competenza legislativa esclusiva dello Stato.
In
particolare, come confermato dalla giurisprudenza costituzionale sul tema,
l’elenco dettato dalla norma statale «interposta» in tema di individuazione
dei soggetti abilitati al controllo faunistico deve ritenersi tassativo; le
Regioni, dunque, non possono integrarne il contenuto senza ridurre il livello
minimo e uniforme di tutela dettata dalla disciplina nazionale.
Di
qui la violazione addotta dal ricorrente, giacché la disposizione regionale
impugnata per un verso modifica il contenuto precettivo dell’art. 19, comma 2, della legge n. 157 del 1992, abilitando
all’attuazione dei piani di abbattimento anche coadiutori appositamente
formati, non considerati dalla norma statale; per altro verso assegna
all’amministrazione regionale, e non a quella provinciale, la responsabilità
per l’attuazione del controllo faunistico.
3.2.–
Il ricorrente censura anche l’art. 35, comma 3, della
legge reg. Liguria n. 29 del 2017, con il quale è stato modificato l’art. 47
della legge reg. Liguria n. 29 del 1994, aggiungendo ad esso il comma 7-ter, in
forza del quale è vietato il commercio di «fauna selvatica morta, fatta
eccezione per quella proveniente da allevamenti o da abbattimenti venatori o di
controllo autorizzati nel rispetto delle modalità previste dalla normativa
sanitaria vigente, per sagre e manifestazioni a carattere gastronomico».
La
previsione impugnata sarebbe in conflitto con l’art. 21
della legge n. 157 del 1992, il quale, secondo quanto prospettato in ricorso,
impone «il divieto di esercizio venatorio della fauna selvatica in questione»,
così da definire «uno standard di tutela della fauna selvatica» non derogabile
dalle Regioni.
Di qui l’addotto contrasto con l’art. 117, secondo comma,
lettera s), Cost.
4.–
4.1.–
Quanto alla impugnazione dell’art. 15 della legge reg.
Liguria n. 29 del 2017, la resistente ha evidenziato che la competenza inerente
alla gestione del demanio idrico è stata trasferita dallo Stato alle Regioni e
dalla Regione Liguria alle Province, precisando, altresì, che tra le competenze
ascritte alle Province rientra anche quella relativa all’autorizzazione
idraulica prevista dal r.d. n. 523 del 1904.
Ancora,
la difesa della Regione ha rimarcato che, in questa cornice di riferimento, le
Province avrebbero sviluppato una prassi amministrativa in forza della quale
ogni intervento destinato in qualche modo ad «avere a
che fare con l’alveo del corso d’acqua» doveva ritenersi sottoposto, senza
distinzione di sorta, al «regime autorizzatorio
idraulico».
Ciò
premesso, la resistente ha sottolineato che la norma
censurata, finalizzata ad una semplificazione della relativa attività
amministrativa, riguarda interventi che, per le modalità esecutive o per gli
effetti sul regime del corso d’acqua, sarebbero privi di rilievo significativo,
perché aventi un mero carattere manutentivo, lasciando inalterate le
caratteristiche dei corsi d’acqua. Gli interventi correlati ad
eventi calamitosi, inoltre, sarebbero giustificati dalla necessità di
intervenire senza attendere i tempi del procedimento autorizzatorio,
come del resto confermato dall’esplicito riferimento normativo all’art. 242 del
decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 (Norme in materia ambientale).
La
norma regionale censurata, dunque, realizzerebbe una semplificazione della
relativa azione amministrativa, senza far venire meno il controllo inerente
alla possibile interferenza dell’attività o dell’intervento da realizzare con il buon regine delle acque, potendo comunque
4.2.–
In relazione all’impugnazione dell’art. 24, comma 1, della
legge reg. Liguria n. 29 del 2017, la resistente ha evidenziato che la
disposizione censurata replica le modalità di controllo faunistico già previste
dalla legislazione statale concernente le «aree naturali protette regionali».
In
particolare, la resistente ha rimarcato che l’art. 22,
comma 6, della legge n. 394 del 1991 prevede che, per le attività di controllo
faunistico da realizzare entro le suddette aree, è possibile avvalersi
dell’attività dei cacciatori, purché adeguatamente formati. Se, dunque, tale
possibilità è prevista all’interno di aree per le quali sono previsti standard
di tutela più elevati, coerentemente ciò dovrà ritenersi possibile nel restante
territorio agro-silvo-pastorale.
4.3.–
Infine, con riguardo alle censure prospettate avverso l’art. 35,
comma 3, della legge reg. Liguria n. 29 del 2017, la resistente ha obiettato
che la disposizione impugnata amplia la possibilità di commercializzare fauna
selvatica morta per sagre o manifestazioni a carattere enogastronomico, in
linea con la competenza regionale residuale in materia di gestione della fauna
e prelievo venatorio ex art. 117, quarto comma, Cost., come confermato da
analoghe discipline introdotte da altre Regioni.
5.–
Con memoria depositata il 15 gennaio 2019 la difesa
dello Stato ha replicato alle osservazioni difensive della Regione Liguria,
definendo compiutamente le ragioni argomentative esposte a sostegno delle
censure prospettate con il ricorso.
6.–
Anche
6.1.–
Con riguardo all’impugnazione dell’art. 15 della legge
reg. Liguria n. 29 del 2017, la resistente ha ribadito le difese rese nel
costituirsi quanto agli interventi previsti dal comma 3 dell’articolo impugnato.
In relazione al comma 1 del medesimo articolo, la
resistente, in aggiunta a quanto già addotto, ha rimarcato la non
riconducibilità degli interventi di pulizia e manutenzione degli alvei e delle
sponde previsti dalla disposizione censurata alle «opere» considerate dall’art.
93, primo comma, del r.d. n. 523 del 1904: gli interventi contemplati dalla
norma regionale non darebbero luogo ad alcun nuovo volume, in alveo o sulle
sponde; piuttosto, secondo la resistente, sarebbero connotati da irrilevanza idraulica,
tanto da risultare compatibili con la mera comunicazione di inizio attività
imposta dalla Regione Liguria.
Ad
avviso della resistente, l’attività di pulizia dell’alveo da parte dei
proprietari frontisti, oltre a non dar luogo alla realizzazione di opere,
dovrebbe altresì ritenersi doverosa in considerazione di quanto previsto sia
dall’art. 12 dello stesso r.d. n. 523 del 1904, sia
dall’art. 98, comma 5, della legge della Regione Liguria 21 giugno 1999, n. 18
(Adeguamento delle discipline e conferimento delle funzioni agli enti locali in
materia di ambiente, difesa del suolo ed energia), nonché dagli artt. 868 e 917
del codice civile; la manutenzione ordinaria di manufatti in concessione non
sarebbe in grado di interferire con il regolare deflusso delle acque, restando
comunque assoggettata al controllo e al potere della Regione di disporre il
diniego dell’intervento; infine, la manutenzione ordinaria eseguita dagli enti
pubblici risulterebbe disciplinata dalla norma censurata in termini non diversi
da quanto previsto dall’art. 17-bis della legge 7 agosto 1990, n. 241 (Nuove
norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai
documenti amministrativi).
6.2.–
In relazione all’art. 24, comma 2, della legge reg.
Liguria n. 29 del 2017, la resistente, con riguardo al tema della tassatività
dell’elenco contenuto nell’art. 19, comma 2, della legge n. 157 del
Quanto
all’individuazione dell’ente cui ascrivere la responsabilità del controllo
faunistico, la resistente si è richiamata al riordino di funzioni previsto
dalla legge 7 aprile 2014, n. 56 (Disposizioni sulle città metropolitane, sulle
province, sulle unioni e fusioni di comuni), attuata dalla Regione Liguria con
la legge 10 aprile 2015, n. 15, recante «Disposizioni di riordino delle
funzioni conferite alle province in attuazione della legge 7 aprile 2014, n. 56
(Disposizioni sulle città metropolitane, sulle province, sulle unioni e fusioni
di comuni)».
6.3.–
Infine, in relazione alla questione prospettata nei
confronti dell’art. 35, comma 3, della legge reg. Liguria n. 29 del 2017, la
difesa della resistente ha ribadito le argomentazioni rese nel costituirsi.
Considerato in diritto
1.–
Il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso
dall’Avvocatura generale dello Stato, ha promosso questioni di legittimità
costituzionale degli artt. 15 (recte: 15, commi 1, 2 e 3), 24 (recte:
24, comma 2) e 35, comma 3, della legge della Regione Liguria 28 dicembre 2017,
n. 29 (Disposizioni collegate alla legge di stabilità per l’anno 2018), in
riferimento all’art. 117, secondo comma, lettera s), della Costituzione.
2.–
Ad avviso del ricorrente,
Più
precisamente, con le disposizioni contenute nell’art. 15,
A
loro volta, gli artt. 24, comma 2, e 35, comma 3,
della stessa legge regionale sarebbero rispettivamente in conflitto con gli
artt. 19, comma 2, e 21 della legge 11 febbraio 1992, n. 157 (Norme per la
protezione della fauna selvatica omeoterma e per il prelievo venatorio), poiché
introdurrebbero, nel territorio della Regione resistente, disposizioni in
contrasto con la disciplina statale in materia di tutela della fauna.
3.–
3.1.–
Sotto quest’ultimo versante, non può negarsi che il ricorso appare connotato da
un contenuto alquanto laconico, con riguardo, in particolare, alle censure
prospettate in riferimento agli artt. 15, commi 1, 2 e
3, e 35, comma 3, della legge regionale impugnata.
Ciò,
tuttavia, non impedisce l’individuazione dei termini delle relative questioni,
sia per l’immediata riconducibilità delle disposizioni censurate all’ambito
materiale afferente alla tutela dell’ambiente, posto a
fondamento delle ragioni di vulnus prospettate dal ricorrente; sia per il
contenuto del percorso argomentativo seguito nella memoria depositata prima
dell’udienza dall’Avvocatura generale dello Stato, sostanzialmente esplicitativo del tenore delle censure, così da consentirne
l’esame nel merito.
4.–
La prima delle questioni prospettate ha ad oggetto
l’art. 15, commi 1, 2 e 3, della legge reg. Liguria n. 29 del 2017.
Tale
articolo prevede: a) al comma 1, che «[s]ono soggetti a comunicazione alla Regione, entro trenta
giorni prima della data di inizio attività, gli interventi di pulizia
dell’alveo e delle sponde eseguiti a mano o con mezzi meccanici dai proprietari
frontisti o aventi titolo, gli interventi di manutenzione ordinaria di
manufatti in concessione, gli interventi di manutenzione ordinaria degli alvei
e delle sponde eseguiti dagli enti pubblici ivi compresa la movimentazione di
materiale litoide nei casi di ripristino della sezione di deflusso dell’alveo, lo
svuotamento di vasche di sedimentazione, vasche antincendio e briglie di
trattenuta purché non comportino asportazione dello stesso»; b) al comma 2, che
« [l]a Regione, entro il termine dei trenta giorni di cui al comma 1, può
disporre il diniego dell’intervento»; c) al comma 3, che « [n]on sono soggetti
a nulla osta idraulico e a comunicazione di inizio attività gli interventi in
somma urgenza eseguiti in caso di eventi calamitosi per i quali sia dichiarato
lo stato di emergenza, di eventi potenzialmente in grado di contaminare un sito
di cui all’articolo 242 del d.lgs. n. 152/2006 e successive modificazioni e
integrazioni, e interventi imprevisti e non programmati su utenze di interesse
pubblico oggetto di concessione».
5.–
Le censure prospettate dal ricorrente sono riferite esclusivamente ai tre commi
dell’art. 15 sopra riportati.
Va
tuttavia evidenziato che l’articolo scrutinato si compone di altri quattro
commi, tre dei quali (i commi 4, 6 e 7) riguardano
condotte e sanzioni correlate alla comunicazione di cui al citato comma 3.
Residua, inoltre, il comma 5, il quale demanda alla
Giunta regionale il compito di definire «criteri e indirizzi attuativi per
l’applicazione delle procedure di semplificazione di cui al presente articolo».
5.1.–
A giudizio del ricorrente, i commi 1, 2 e 3 del citato
art. 15 violano l’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost. perché entrano in
conflitto con la normativa, di competenza esclusiva dello Stato, dettata a
tutela dell’assetto idrogeologico in materia di «[p]olizia
delle acque pubbliche».
In
particolare, le disposizioni censurate sarebbero in conflitto sia con quanto
previsto dall’art. 93, comma 1, del r.d. n. 523 del
5.2.–
La normativa statale richiamata fissa, ad avviso del ricorrente, una regola di
tutela ambientale derogata dalla disciplina regionale censurata. Quest’ultima,
del resto, non garantirebbe nemmeno livelli di tutela più elevati rispetto a
quelli previsti dalla legge nazionale.
In
particolare, così come puntualmente precisato dalla difesa erariale con la
memoria depositata prima dell’udienza,
6.–
La questione deve ritenersi fondata nei termini precisati di seguito.
6.1.–
Gli interventi presi in considerazione dalla disciplina regionale risultano,
ancora oggi, sottoposti al regime normativo previsto dal r.d. n. 523 del
In questa ottica, il citato testo unico detta una indicazione
generale (art. 2) in virtù della quale «[s]petta
esclusivamente all’autorità amministrativa […] provvedere […] sulle opere di
qualunque natura e in generale sugli usi, atti o fatti, anche consuetudinari,
che possono aver relazione col buon regime delle acque pubbliche, con la difesa
e conservazione delle sponde, con l’esercizio della navigazione, con quello
delle derivazioni legalmente stabilite, e con l’animazione dei molini ed
opifici sovra le dette acque esistenti; e così pure sulle condizioni di
regolarità dei ripari ed argini od altra opera qualunque fatta entro gli alvei
e contro le sponde».
Per
altro verso, al fine di realizzare tale obiettivo di massima, il regio decreto
in esame dedica un capo apposito (il Capo VII) alla
attività di «[p]olizia delle acque pubbliche»,
imponendo specifici divieti o doveri di comportamento finalizzati alla prevenzione
o eliminazione di situazioni di danno o anche di solo pericolo inerenti al
deflusso delle acque.
Compiti,
questi, di «polizia idraulica» che in esito al decentramento amministrativo risultano tra quelli riconducibili alle funzioni conferite
alle Regioni (in uno al trasferimento della gestione inerente al demanio
idrico), in ragione di quanto dettato dagli artt. 86 e 89 del decreto
legislativo 31 marzo 1998, n. 112 (Conferimento di funzioni e compiti
amministrativi dello Stato alle regioni ed agli enti locali, in attuazione del
capo I della legge 15 marzo 1997, n. 59), sia pure nel rispetto della
legislazione vigente.
6.2.–
Le norme interposte evocate dal ricorrente si collocano all’interno di detto
quadro normativo di riferimento.
In
particolare, secondo quanto previsto dall’art. 93 del
r.d. n. 523 del 1904, l’esecuzione di opere inerenti all’alveo dei corsi
d’acqua, senza distinzioni di sorta quanto alle caratteristiche dell’intervento
da eseguire e del soggetto, privato o pubblico, che deve realizzarle,
presuppone la preventiva verifica della compatibilità idraulica della relativa
iniziativa e dunque il rilascio del cosiddetto "nulla osta idraulico” da parte
della competente autorità (in origine, il Prefetto territorialmente competente,
tenuto a rendere il relativo «permesso»).
Fuori
da tale previsione di massima, la specifica incidenza idraulica dell’iniziativa
da realizzare viene in rilievo, nel citato testo
unico, in primo luogo nel tipizzare (art. 96) una serie di «lavori ed atti»
che, se realizzati sulle «acque pubbliche, loro alvei, sponde e difese», sono
vietati in ogni caso perchè aprioristicamente
ritenuti pericolosi rispetto all’obiettivo di tutela perseguito; in secondo
luogo, nell’elencare altre «opere ed atti» (artt. 97 e 98) che possono essere
realizzate solo se previamente autorizzate alla luce delle indicazioni
prescrittive rese dalla competente autorità idraulica e rispetto alle quali,
dunque, l’autorizzazione assume anche contenuto conformativo (lo «speciale
permesso» e la «speciale autorizzazione», cui letteralmente fanno riferimento
le due norme citate da ultimo, in origine di competenza prefettizia o del
Ministero dei lavori pubblici, a seconda delle connotazioni dell’intervento).
6.3.–
Ciò precisato, non sembra dubbio che le disposizioni desumibili dal testo unico
evocato a supporto del ricorso debbano ritenersi riconducibili, attraverso una
lettura diacronica del relativo dato normativo, all’attività di difesa del
suolo così come definita, oggi, dall’art. 54, lettera
u), del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 (Norme in materia
ambientale).
Testo
normativo, quest’ultimo, che non a caso annovera (art. 56, comma 1, lettera i) lo svolgimento dei servizi di «polizia
idraulica» tra le attività strumentali ad «assicurare la tutela ed il
risanamento del suolo e del sottosuolo, il risanamento idrogeologico del
territorio tramite la prevenzione dei fenomeni di dissesto, la messa in sicurezza
delle situazioni a rischio e la lotta alla desertificazione» (art. 53, comma
1), in linea di continuità con quanto previsto dagli abrogati artt. 1 e 10
della legge 18 maggio 1989, n. 183 (Norme per il riassetto organizzativo e
funzionale della difesa del suolo); e che, per altro verso, integra (art. 115,
commi 1 e 2 ) la disciplina dettata dal r.d. n. 523 del 1904, imponendo le
autorizzazioni dallo stesso previste anche per gli interventi di gestione e
trasformazione del «suolo e del soprassuolo» resi nelle aree di pertinenza dei
corsi d’acqua (la fascia di almeno dieci metri dalla sponda dei fiumi, laghi,
stagni e lagune), al fine di assicurare «il mantenimento o il ripristino della
vegetazione spontanea nella fascia immediatamente adiacente i corpi idrici
[…]».
La
relativa disciplina, secondo la costante giurisprudenza di questa Corte,
rientra, quindi, nella materia della tutela dell’ambiente, di esclusiva
competenza statale, ai sensi dell’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost.
(sentenze n. 77 del
2017, n. 83
del 2016, n.
109 del 2011, n.
341 del 2010 e n. 232 del 2009);
con l’ulteriore conseguenza che «le disposizioni
legislative statali adottate in tale ambito fungono da limite alla disciplina
che le Regioni, anche a statuto speciale, dettano nei settori di loro
competenza, essendo ad esse consentito soltanto eventualmente di incrementare i
livelli della tutela ambientale, senza però compromettere il punto di
equilibrio tra esigenze contrapposte espressamente individuato dalla norma
dello Stato» (sentenza
n. 300 del 2013).
6.4.–
Individuato l’ambito materiale cui ricondurre le disposizioni regionali in
questione, va altresì sottolineato che le stesse sono
caratterizzate dall’intento – reso esplicito dalla rubrica del censurato art.
15 della legge reg. Liguria n. 29 del 2017 – di procedere ad una
semplificazione dell’azione amministrativa legata alla verifica di
compatibilità idraulica degli interventi da realizzare all’interno degli alvei
o sulle sponde dei corsi d’acqua ricompresi nei relativi ambiti territoriali;
ciò, del resto, in linea di continuità con soluzioni, dal tenore analogo, che
la stessa Regione ha in precedenza adottato in via regolamentare (in questi
termini il regolamento della Regione Liguria 14 luglio 2011, n. 3, intitolato «Regolamento
recante disposizioni in materia di tutela delle aree di pertinenza dei corsi
d’acqua») e di indirizzo amministrativo (con la deliberazione della Giunta
regionale della Regione Liguria 12 ottobre 2012, n. 1209, resa in esecuzione
del citato regolamento).
6.4.1.–
In questa cornice di riferimento, l’art. 15 della
legge regionale censurata modula il procedimento di verifica della
compatibilità idraulica degli interventi che riguardano alvei e sponde dei
corsi d’acqua in termini diversi da quanto previsto dalla disciplina statale di
riferimento.
Per
l’esecuzione degli interventi tipizzati dal comma 1,
viene prevista una mera comunicazione di inizio attività, a fronte della quale
(comma 2),
Per
altre ipotesi di intervento (indicate al comma 3),
tutte connotate dal comune denominatore offerto dall’urgenza di intervenire, la
disciplina regionale censurata consente di prescindere sia dall’autorizzazione
imposta dall’art. 93 del r.d. n. 523 del 1904, sia dalla comunicazione di
inizio attività prevista dal comma 1, dovendo l’esecutore (comma 4) comunicare
alla Regione solo l’accesso in alveo, entro le successive 24 ore, segnalando
l’urgenza che lo ha motivato, nonché relazionare in ordine all’intervento
realizzato negli alvei dei corpi idrici o loro sponde entro i successivi trenta
giorni.
6.5.–
Lo scrutinio di legittimità costituzionale porta ad
una soluzione non identica per tutte le disposizioni censurate ricomprese nel
citato art. 15 della legge regionale impugnata.
Occorre,
in particolare, distinguere le previsioni dei commi 1
e 2 dell’articolo in esame da quelle contenute nel successivo comma 3.
6.5.1.–
Con riguardo alle ipotesi disciplinate dai primi due commi dell’art. 15 della legge reg. Liguria n. 29 del 2017, è di tutta
evidenza che, secondo quanto previsto dalla disciplina regionale censurata, la
verifica inerente alla compatibilità idraulica assumerà le forme del
provvedimento espresso, diretto a manifestare all’esterno il ponderato
bilanciamento dei delicati interessi in gioco, solo in caso di diniego
dell’intervento; e ciò in evidente conflitto con l’art. 93, primo comma, del
r.d. n. 523 del 1904, che impone sempre e comunque la preventiva ed espressa
valutazione delle ragioni che portano ad assentire o negare la realizzazione
dell’intervento.
Si
riduce, in coerenza, il livello di protezione fissato dalla normativa statale
in un ambito che non lascia spazi di intervento alle
Regioni se non quelli diretti a garantire standard di tutela ambientale ancora
più elevati, nel caso neppure addotti dalla Regione resistente (sentenza n. 124 del
2015).
6.5.2.–
Non assume valenza dirimente verificare se la disciplina regionale censurata
dia corpo ad un modulo procedimentale assimilabile al
silenzio assenso di cui all’art. 20 della legge 7 agosto 1990, n. 241 (Nuove
norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai
documenti amministrativi), come sembra desumersi dalla necessità di attendere
il decorso dei trenta giorni dalla comunicazione prima di iniziare i lavori; o,
piuttosto, se la stessa costituisca una ipotesi di liberalizzazione, in linea
con quanto previsto dall’art. 19 della citata legge n. 241 del 1990, come porta
a ritenere la natura dei poteri ascritti all’autorità idraulica, di mero
controllo e inibizione rispetto all’iniziativa fatta oggetto di comunicazione.
Ogni ulteriore considerazione sul tema, infatti,
risulta assorbita e superata dal principio in forza del quale non spetta
comunque alle Regioni introdurre deroghe in peius
agli istituti di protezione ambientale che dettano una disciplina uniforme,
valevole su tutto il territorio nazionale (sentenze n. 66 del 2018
e n. 189 del
2016).
6.5.3.–
Né, inoltre, può ritenersi convincente l’interpretazione dell’art. 93 del r.d. n. 523 del 1904 offerta dalla difesa della
resistente, secondo la quale il nulla osta previsto da siffatta disposizione, letteralmente
riferito alla esecuzione di «opere», per ciò solo risulti anche esclusivamente
correlato alla realizzazione di nuovi volumi in alveo o sulle sponde; non
sarebbe, dunque, riferibile agli interventi, di pulizia e manutenzione, presi
in considerazione dal comma 1 dell’art. 15 impugnato.
L’art.
93 del r.d. n. 523 del 1904 non può, infatti, essere
letto disgiuntamente dalle indicazioni generali e di massima offerte dall’art.
2 dello stesso testo normativo, in forza del quale il controllo ascritto all’amministrazione
competente a tutela delle acque pubbliche va esteso alle «opere di qualunque
natura, e in generale sugli usi, atti o fatti, anche consuetudinari, che
possono avere relazione con il buon regime delle acque pubbliche […]». Non a
caso, del resto, la disciplina statale, nel tipizzare gli atti che devono
ritenersi radicalmente vietati, si riferisce genericamente a lavori, opere ma
anche a fatti e semplici condotte che possono influire sul buon regime dei
corsi d’acqua: il che, sul piano sistematico, entra in aperta contraddizione
con l’interpretazione restrittiva dell’art. 93
suggerita dalla difesa della resistente.
6.5.4.–
È appena il caso di precisare che ciò non equivale ad affermare che la
previsione statale evocata dal ricorrente imponga, sempre e comunque, il
rilascio del nulla osta idraulico: ben può ritenersi, infatti, che restino
estranei alla relativa verifica preventiva interventi caratterizzati da una
strutturale semplicità esecutiva, in quanto tali
certamente inconsistenti nella loro effettiva incidenza idraulica.
Fuori
da tali ipotesi, del tutto marginali, non può tuttavia che ribadirsi
il principio, rivendicato dalla difesa dello Stato, in forza del quale ogni
ulteriore iniziativa, comunque in grado di poter influire sul buon regime dei
corsi d’acqua, deve ritenersi compresa nell’area coperta dal parametro statale
evocato.
6.5.5.–
Né vale sottolineare, come ha fatto la difesa della
resistente con la memoria depositata, che la disposizione impugnata sarebbe
estranea al vulnus prospettato, perché destinata a replicare il modulo
procedimentale previsto dall’art. 17-bis della legge n. 241 del 1990 con
riguardo agli interventi di manutenzione ordinaria eseguiti da enti pubblici.
Anche
a voler ritenere che la disposizione impugnata, limitatamente a siffatto
segmento normativo, possa essere assimilata allo schema procedimentale previsto
dalla citata norma statale, resta da ribadire che la
previsione regionale riduce sensibilmente i tempi della possibile verifica
demandata all’autorità idraulica nel confronto con l’indicazione di massima
contenuta al comma 3 dell’art. 17-bis della legge statale, dando comunque corpo
alla lesione prospettata dal Governo (sentenza n. 209 del
2014).
Da
qui l’illegittimità costituzionale dei commi 1 e 2
dell’art. 15 della legge reg. Liguria n. 29 del 2017.
7.– Ad una soluzione solo in parte diversa si deve pervenire in
riferimento all’art. 15, comma 3.
7.1.–
Le considerazioni svolte a sostegno dell’illegittimità costituzionale dei commi
1 e 2 dell’art. 15 possono certamente essere estese al
successivo comma 3, nella parte in cui dispone che gli «interventi imprevisti e
non programmati su utenze di interesse pubblico oggetto di concessione» sono
sottratti al nulla osta imposto dall’art. 93 del r.d. n. 523 del 1904; non
rileva più, invece, il riferimento alla «comunicazione di inizio attività» che
tale norma pure contiene, essendo stato travolto dalla riscontrata
illegittimità costituzionale dei commi 1 e 2 dell’art.
L’assoluta
indeterminatezza del precetto ed in conseguenza
l’inaccettabile ambiguità semantica della disposizione censurata, infatti,
rendono concreto il rischio di un’elusione del principio imposto dalla norma
nazionale, mettendo in discussione lo standard di protezione ambientale
garantito dalla legislazione statale.
7.2.–
La censura in esame è invece infondata avuto riguardo alle altre ipotesi di intervento definite di «somma urgenza» dal medesimo comma
3 dell’art. 15.
7.2.1.–
In particolare, il riferimento letterale agli «eventi calamitosi per i quali
sia stato dichiarato lo stato di emergenza» consente
di ritenere che il legislatore regionale ha inteso riferirsi agli eventi da
fronteggiare con mezzi e poteri straordinari previsti dall’art. 2, lettera c),
della legge 24 febbraio 1992, n. 225 (Istituzione del Servizio nazionale di
protezione civile), rispetto ai quali sia stato dichiarato lo stato di
emergenza con delibera del Consiglio dei ministri, resa ai sensi del successivo
art. 5 della stessa legge. Disposizioni, queste, vigenti all’epoca di
emanazione della legge reg. Liguria n. 29 del 2017, oggi abrogate dall’art. 48, comma 1, lettera a), del decreto legislativo 2 gennaio
2018, n. 1 (Codice della Protezione Civile) e sostituite, con contenuti
pressoché identici, per quel che qui interessa, dagli artt. 7, lettera c), e 24
del decreto da ultimo citato.
Così
intesa, la disposizione censurata non integra la violazione prospettata.
In
siffatti casi, gli interventi da realizzare possono essere effettuati
anche in deroga alle disposizioni vigenti, secondo le prescrizioni di volta in
volta stabilite dalle ordinanze di protezione civile, nei limiti e con le
modalità indicate dallo stato di emergenza deliberato dal Consiglio dei
ministri e nel rispetto dei principi generali dell’ordinamento giuridico e
delle norme dell’Unione europea, in ragione di quanto previsto dall’abrogato
art. 5 della legge n. 225 del 1992 e attualmente dall’art. 25 del d.lgs. n. 1
del 2018.
La
deroga alla disciplina statale evocata dal ricorrente trova la sua fonte, in
effetti, in altre disposizioni statali semplicemente richiamate dalle norme
impugnate, con conseguente infondatezza della questione in parte qua.
7.2.2.–
Del pari, il comma 3 dell’impugnato art. 15 della legge
regionale in esame non dà luogo al vulnus addotto dal ricorrente nella parte in
cui non sottopone al nulla osta idraulico previsto dall’art. 93 del r.d. n. 523
del 1904 gli interventi urgenti legati a «eventi potenzialmente in grado di
contaminare un sito di cui all’articolo 242 del d.lgs. n. 152 del 2006 e
successive modificazioni e integrazioni».
Anche
in tal caso, infatti, la potenziale deroga alla verifica preventiva imposta dal
parametro interposto risulta esclusivamente incanalata
all’interno di un percorso amministrativo dettagliatamente descritto dalla
norma statale, pedissequamente richiamata da quella regionale impugnata.
Rimane,
dunque, inalterato il sistema dei controlli legati alla incidenza
idraulica degli interventi da rendere all’interno degli alvei e sulle sponde
delle acque pubbliche, suscettibile di deroghe solo nei limiti di quanto
previsto in modo uniforme sull’intero territorio nazionale dalla legislazione
statale espressamente richiamata dalla norma censurata.
8.–
La dichiarazione di illegittimità costituzionale dei
commi 1 e 2 dell’art. 15 della legge reg. Liguria n. 29 del 2019 nonché del
comma 3 dello stesso articolo nella parte in cui si riferisce agli «interventi
imprevisti e non programmati su utenze di interesse pubblico oggetto di
concessione», va altresì estesa, in via conseguenziale, anche ai restanti commi
del medesimo articolo, privi di significato normativo se resi autonomi dalle
disposizioni che li precedono.
Una
tale conclusione non è ostacolata dalla parziale infondatezza delle censure
prospettate in direzione del comma 3 dell’articolo
impugnato.
Gli
oneri di condotta e le sanzioni previste dai commi 4,
6 e 7 dell’articolo in esame e, parimenti, lo stesso compito demandato dal
comma 5 alla Giunta regionale (per la definizione dei criteri e degli indirizzi
attuativi strumentali alla procedura di semplificazione dettata dall’insieme
delle disposizioni regionali censurate), devono ritenersi implicitamente
riferiti alle sole previsioni, contenute nei commi precedenti, ritenute
illegittime alla luce delle considerazioni svolte in precedenza.
Si
tratta, infatti, di disposizioni all’evidenza incompatibili con gli ambiti
procedimentali inerenti alle deroghe previste dal comma 3
dell’articolo censurato ritenute conformi a Costituzione e rimaste estranee al
vizio di illegittimità costituzionale dedotto con il ricorso.
9.–
Sono fondate le questioni riferite agli artt. 24,
comma 2, e 35, comma 3, della medesima legge reg. Liguria n. 29 del 2017,
relativi alla disciplina di alcuni aspetti dell’attività venatoria. Anche
queste censure sono prospettate lamentando la violazione dell’art. 117, secondo
comma, lettera s), Cost.: in entrambi i casi, infatti
vengono introdotte disposizioni in deroga alle previsioni contenute nella legge
n. 157 del 1992, riducendo il livello minimo di tutela dell’ambiente e
dell’ecosistema garantito dalla legislazione statale.
10.–
L’art. 24, comma 2, della legge regionale impugnata ha
modificato l’art. 2 della legge della Regione Liguria 11 marzo 2014, n. 4
(Norme per il rilancio dell’agricoltura e della selvicoltura, per la
salvaguardia del territorio rurale ed istituzione della banca regionale della
terra). In particolare, è stato aggiunto il comma 3-bis, in forza del quale
10.1.–
Ad avviso del ricorrente, tale disposizione consente che il controllo
faunistico venga esercitato con modalità e tramite
personale differenti da quelli tassativamente previsti dalla norma statale di
riferimento, nel caso individuata nell’art. 19, comma 2, della legge n. 157 del
1992. Disposizione, questa, secondo la quale i piani di abbattimento
autorizzati dalle Regioni, finalizzati al controllo delle specie di fauna
selvatica, vanno «attuati dalle guardie venatorie
dipendenti dalle amministrazioni provinciali», le quali ultime potranno
«altresì avvalersi dei proprietari o conduttori dei fondi sui quali si attuano
i piani medesimi, purché muniti di licenza per l’esercizio venatorio, nonché
delle guardie forestali e delle guardie comunali munite di licenza per
l’esercizio venatorio […]».
L’evocato
parametro interposto, secondo il Presidente del Consiglio dei ministri, fissa
una regola minima, non derogabile dalle Regioni, in materia di preservazione
della fauna e, dunque, in tema di tutela dell’ambiente e dell’ecosistema.
Di
qui la violazione addotta, giacché la disposizione regionale impugnata avrebbe
per un verso modificato il contenuto precettivo della norma interposta,
abilitando all’attuazione dei piani di abbattimento anche coadiutori appositamente formati; per altro verso assegnato
all’amministrazione regionale e non a quella provinciale la responsabilità per
l’attuazione del controllo faunistico.
10.2.–
Giova premettere che sia il ricorso (nell’intestazione del paragrafo destinato
alla censura in esame, oltre che nelle conclusioni), sia la stessa
deliberazione del Consiglio dei ministri in forza
della quale è stata autorizzata l’impugnazione, fanno riferimento all’intero
disposto dell’art. 24 della legge reg. Liguria n. 29 del 2017.
Il
contenuto delle motivazioni di entrambi gli atti rende
tuttavia evidente che l’oggetto specifico della questione attiene unicamente al
comma 2 del citato articolo.
Il
tenore della censura, inoltre, porta a ritenere che la stessa è diretta a contrastare la norma in questione con
riferimento alla sola categoria dei «coadiutori appositamente formati, in
coerenza con i criteri di cui all’articolo 22, comma 6, della legge 6 dicembre
1991, n. 394 […]», senza contestare il riferimento ai soggetti «individuati
all’articolo 36, comma 2, lettera b), della legge regionale 1° luglio 1994, n.
29 […]».
10.3.–
Al tema del controllo faunistico è dedicato l’art. 36
della legge reg. Liguria n. 29 del 1994, al quale, anche sotto il versante dei
soggetti abilitati alla partecipazione ai piani, sono state apportate modifiche
dall’art. 93, comma 1, della legge della Regione Liguria 30 dicembre 2015, n.
29, recante «Prime disposizioni per la semplificazione e la crescita relative allo
sviluppo economico, alla formazione e lavoro, al trasporto pubblico locale,
alla materia ordinamentale, alla cultura, spettacolo, turismo, sanità,
programmi regionali di intervento strategico (P.R.I.S.), edilizia, protezione
della fauna omeoterma e prelievo venatorio (Collegato alla legge di stabilità
2016)».
Questa
Corte ha dichiarato l’illegittimità costituzionale delle modifiche in questione
nella parte in cui, sostituendo il comma 2 del citato
art. 36, veniva consentita, per quel che qui interessa, l’attuazione dei piani
di abbattimento da parte di «cacciatori riuniti in squadre validamente
costituite e di cacciatori in possesso della qualifica di coadiutore al
controllo faunistico o di selecontrollore»; e ciò in
ragione della tassatività dell’elenco contenuto nell’art. 19, comma 2, della
legge n. 157 del 1992, tale da non consentire «ai cacciatori di prendere parte
all’abbattimento a meno che non siano proprietari o conduttori del fondo sul
quale si attua il piano» (sentenza n. 139 del
2017).
10.4.–
Con le disposizioni impugnate
In questa ottica, la norma impugnata ha previsto che
10.5.–
Siffatta ricostruzione sistematica porta dunque ad affermare che, nel
territorio della Regione Liguria, il tema afferente
all’individuazione dei soggetti legittimati a prendere parte ai piani di
abbattimento funzionali al controllo della fauna selvatica risulta disciplinato
non solo dalla norma a ciò espressamente deputata (il comma 2 dell’art. 36
della legge n. 29 del 1994), ma anche dalla disposizione oggetto del ricorso in
esame.
Ne
consegue che, combinando i due dati normativi in
ragione della comune identità di oggetto, la relativa disciplina regionale di
riferimento consente che ai piani di abbattimento venatori prendano parte i
cacciatori proprietari o conduttori del fondo sul quale si attua il piano, ai
sensi del comma 2, lettera c), dell’art. 36 della legge reg. Liguria n. 29 del
1994; le guardie volontarie cui si riferisce l’art. 36 comma 2, lettera b),
della stessa legge regionale da ultimo citata (richiamato anche dalla
disposizione censurata, ma estraneo all’impugnazione per quanto già detto);
infine, i coadiutori appositamente formati in coerenza con i criteri di cui
all’art. 22, comma 6, della legge n. 394 del 1991, figure previste dal comma
3-bis dell’art. 2 della legge reg. Liguria n. 4 del 2014, introdotto dal
censurato art. 24, comma 2, della legge reg. n. 29 del 2017.
10.6.–
Ciò premesso, va ribadito che, secondo il costante
orientamento della Corte, è da considerare tassativo l’elenco contenuto
nell’art. 19, comma 2, della legge n. 157 del 1992 con riguardo alle persone
abilitate all’attività di realizzazione dei piani di abbattimento della fauna
selvatica: una sua integrazione da parte della legge regionale riduce il
livello minimo e uniforme di tutela dell’ambiente imposto dalla citata norma
statale (oltre alla già citata sentenza n. 139 del
2017, si vedano anche, da ultimo, le sentenze n. 217 del 2018
e n. 174 del
2017).
Quest’ultima,
infatti, non attiene alla caccia, materia ascritta alla competenza residuale
delle regioni. Disciplina, piuttosto, un’attività, l’abbattimento di fauna
nociva, che è svolta non per fini venatori, ma per tutelare l’ecosistema, com’è
confermato dal fatto che è presa in considerazione dalla norma statale solo
come extrema ratio, dopo che i metodi ecologici non
sono risultati efficaci.
Alla
luce di quanto sopra, il riferimento «ai coadiutori appositamente formati, in
coerenza con i criteri di cui all’articolo 22, comma
6, della legge 6 dicembre 1991 n. 394», contenuto nella disposizione censurata,
amplia illegittimamente il novero dei soggetti legittimati a prendere parte ai
piani di abbattimento, concretando l’addotta violazione dell’art. 117, secondo
comma, lettera s), Cost.
10.7.–
Né vale a superare tale conclusione l’espresso riferimento che la norma
impugnata rende al dato normativo statale (per l’appunto, l’art. 22, comma 6, della legge n. 394 del 1991), in forza del
quale risulta permesso ai cacciatori residenti di partecipare ai piani nelle
aree naturali protette; dato questo, che, ad avviso della difesa della
resistente, ancor di più dovrebbe legittimarne la partecipazione in ambiti
territoriali non protetti.
Tale
riferimento, come
Né
rileva, infine, che altre discipline regionali, non puntualmente impugnate
innanzi alla Corte, abbiano un tenore analogo a quello proprio della
disposizione della legge della Regione Liguria oggetto
di scrutinio. L’inerzia, anche reiterata, del Governo non offre infatti alcun valido sussidio alla legittimità
costituzionale delle norme impugnate con il ricorso in esame.
10.8.–
La fondatezza della censura porta, dunque, alla dichiarazione di illegittimità costituzionale del comma 3-bis dell’art. 2
della legge reg. Liguria n. 4 del 2014, introdotto dall’art. 24, comma 2, della
legge reg. Liguria n. 29 del 2017, nella parte in cui prevede che
Resta
assorbita l’ulteriore censura prospettata con il
ricorso in riferimento alla disposizione in esame.
11.–
A una soluzione identica si perviene con riguardo alla questione avente a
oggetto l’art. 35, comma 3, della legge reg. Liguria
n. 29 del 2017.
11.1.–
La disposizione impugnata ha novellato l’art. 47 della
legge reg. Liguria n. 29 del 1994, introducendo nell’impianto del citato
articolo il comma 7-ter, in forza del quale è vietato il commercio di «fauna
selvatica morta, fatta eccezione per quella proveniente da allevamenti o da
abbattimenti venatori o di controllo autorizzati nel rispetto delle modalità
previste dalla normativa sanitaria vigente, per sagre e manifestazioni a
carattere gastronomico».
Ad
avviso del ricorrente, la previsione impugnata si pone in conflitto con i
divieti previsti dall’art. 21 della legge n. 157 del
1992, non derogabili dalle Regioni.
Anche
con riferimento a tale disposizione si prospetta, dunque, la violazione
dell’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost. per
l’indebita invasione della competenza legislativa esclusiva dello Stato in
materia di tutela ambientale.
11.2.–
Il ricorrente, per il vero, si limita ad evocare
genericamente l’art. 21 della legge n. 157 del 1992, senza precisare a quale
delle disposizioni contenute in siffatto articolo intende ancorare la censura.
Il
precetto statale incompatibile con la norma regionale impugnata emerge,
tuttavia, con evidenza dal contenuto oggettivo di tale ultima disposizione, la
quale replica quello della prima, aggiungendo, però, ad
essa le deroghe che danno luogo alla violazione lamentata dal Governo. E ciò
consente l’immediata individuazione del divieto, tra quelli elencati nel comma 1 dell’art. 21 della citata legge n. 157 del 1992,
espressamente derogato dalla disposizione impugnata: segnatamente, quello
previsto dalla lettera t) del citato comma 1.
11.3.–
Si è già evidenziato che la materia della caccia, secondo la costante
giurisprudenza di questa Corte, rientra nella potestà legislativa residuale
delle Regioni, tenute nondimeno a rispettare i criteri fissati dalla legge n.
157 del
11.4.–
L’art. 21, comma 1, lettera t), della legge n. 157 del
1992 consente la commercializzazione di fauna selvatica morta per sagre e
manifestazioni solo se la stessa provenga da allevamenti. Per il resto, in
linea con altre disposizioni contenute nel medesimo comma 1
dell’art. 21, caratterizzate dalla stessa ratio (in tal senso le ipotesi di cui
alle lettere bb, cc, ee),
prevede il divieto assoluto della relativa attività: viene così anteposto
l’interesse alla tutela del patrimonio faunistico, altrimenti compromesso dalle
prospettive di lucro offerte dalla commercializzazione della fauna selvatica.
Un
siffatto divieto costituisce un limite invalicabile per le iniziative legislative
delle Regioni, pur in materie, come quella della caccia, ascritte alla loro
competenza legislativa residuale. E tale confine non superabile emerge ancora
con più nettezza laddove si consideri che il legislatore statale ha dotato di peculiare pregnanza il precetto in questione,
finendo per sanzionarne penalmente la relativa violazione (con l’arresto da due
a sei mesi o l’ammenda da lire da euro
11.5.–
La disposizione impugnata, consentendo la commercializzazione della fauna
selvatica morta per sagre e manifestazioni anche nelle ipotesi in cui la stessa
provenga da abbattimenti venatori o di controllo, amplia le deroghe al divieto
imposto dalla disciplina statale e riduce pertanto i livelli di tutela da questa fissati, determinando il vulnus lamentato dal governo
ricorrente.
Di
qui l’illegittimità costituzionale dell’art. 47, comma
7-ter, della legge reg. Liguria n. 29 del 1994, introdotto dall’art. 35, comma
3, della legge reg. Liguria n. 29 del 2017, limitatamente alle parole «o da
abbattimenti venatori o di controllo autorizzati nel rispetto delle modalità
previste dalla normativa sanitaria vigente».
per questi motivi
1) dichiara l’illegittimità costituzionale
dell’art. 15, commi 1 e 2, della legge della Regione
Liguria 28 dicembre 2017, n. 29 (Disposizioni collegate alla legge di stabilità
per l’anno 2018);
2) dichiara l’illegittimità costituzionale
dell’art. 15, comma 3, della legge reg. Liguria n. 29
del 2017, limitatamente alle parole «, e interventi imprevisti e non
programmati su utenze di interesse pubblico oggetto di concessione»;
3) dichiara in via consequenziale, ai sensi
dell’art. 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87 (Norme
sulla costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale),
l’illegittimità costituzionale dell’art. 15, commi 4, 5, 6 e 7, della legge
reg. Liguria n. 29 del 2017;
4) dichiara l’illegittimità costituzionale
dell’art. 2, comma 3-bis, della legge della Regione
Liguria 11 marzo 2014, n. 4 (Norme per il rilancio dell’agricoltura e della
selvicoltura, per la salvaguardia del territorio rurale ed istituzione della banca
regionale della terra), introdotto dall’art. 24, comma 2, della legge reg.
Liguria n. 29 del 2017, nella parte in cui prevede che
5) dichiara l’illegittimità costituzionale
dell’art. 47, comma 7-ter, della legge della Regione
Liguria 1° luglio 1994, n. 29 (Norme regionali per la protezione della fauna
omeoterma e per il prelievo venatorio), introdotto dall’art. 35, comma 3, della
legge reg. Liguria n. 29 del 2017, limitatamente alle parole «o da abbattimenti
venatori o di controllo autorizzati nel rispetto delle modalità previste dalla
normativa sanitaria vigente»;
6) dichiara non fondata la questione di
legittimità costituzionale dell’art. 15, comma 3,
della legge reg. Liguria n. 29 del 2017, nella parte in cui prevede che non
sono soggetti a nulla osta idraulico «gli interventi in somma urgenza eseguiti
in caso di eventi calamitosi per i quali sia stato dichiarato lo stato di
emergenza, di eventi potenzialmente in grado di contaminare un sito di cui
all’art. 242 del d.lgs. n. 152/2006 e successive modificazioni e integrazioni»,
promossa dal Presidente del Consiglio dei ministri, in riferimento all’art.
117, secondo comma, lettera s), della Costituzione, con il ricorso indicato in
epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 6 febbraio 2019.
F.to:
Giorgio
LATTANZI, Presidente
Augusto
Antonio BARBERA, Redattore
Roberto
MILANA, Cancelliere
Depositata
in Cancelleria il 13 marzo 2019.