Sentenza n. 44 del 2019

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SENTENZA N. 44

ANNO 2019

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

Presidente: Giorgio LATTANZI;

Giudici: Aldo CAROSI, Marta CARTABIA, Mario Rosario MORELLI, Giancarlo CORAGGIO, Giuliano AMATO, Silvana SCIARRA, Daria de PRETIS, Nicolò ZANON, Franco MODUGNO, Augusto Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO, Francesco VIGANÒ, Luca ANTONINI,

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 15, commi 1, 2, 3, 24, comma 2, e 35, comma 3, della legge della Regione Liguria 28 dicembre 2017, n. 29 (Disposizioni collegate alla legge di stabilità per l’anno 2018), promosso dal Presidente del Consiglio dei ministri, con ricorso notificato il 26 febbraio - 2 marzo 2018, depositato in cancelleria il 2 marzo 2018, iscritto al n. 17 del registro ricorsi 2018 e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 14, prima serie speciale, dell’anno 2018.

Visto l’atto di costituzione della Regione Liguria;

udito nella udienza pubblica del 5 febbraio 2019 il Giudice relatore Augusto Antonio Barbera;

uditi l’avvocato dello Stato Gabriella Palmieri per il Presidente del Consiglio dei ministri e l’avvocato Gabriele Pafundi per la Regione Liguria.

Ritenuto in fatto

1.– Il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, con ricorso notificato il 26 febbraio - 2 marzo 2018, depositato in quest’ultima data (reg. ric. n. 17 del 2018), ha impugnato l’art. 15 (recte: 15, commi 1, 2 e 3), l’art. 24 (recte: 24, comma 2) e l’art. 35, comma 3, della legge della Regione Liguria 28 dicembre 2017, n. 29 (Disposizioni collegate alla legge di stabilità per l’anno 2018), in riferimento all’art. 117, secondo comma, lettera s), della Costituzione.

Ad avviso del ricorrente, la Regione Liguria, tramite le disposizioni impugnate, avrebbe invaso la sfera di competenza legislativa esclusiva dello Stato in materia di tutela ambientale.

2.– Il ricorrente evidenzia in primo luogo che l’art. 15 della legge reg. Liguria n. 29 del 2017 prevede: a) al comma 1, che «[s]ono soggetti a comunicazione alla Regione, entro trenta giorni prima della data di inizio attività, gli interventi di pulizia dell’alveo e delle sponde eseguiti a mano o con mezzi meccanici dai proprietari frontisti o aventi titolo, gli interventi di manutenzione ordinaria di manufatti in concessione, gli interventi di manutenzione ordinaria degli alvei e delle sponde eseguiti dagli enti pubblici ivi compresa la movimentazione di materiale litoide nei casi di ripristino della sezione di deflusso dell’alveo, lo svuotamento di vasche di sedimentazione, vasche antincendio e briglie di trattenuta purché non comportino asportazione dello stesso»; b) al comma 2, che «[l]a Regione, entro il termine dei trenta giorni di cui al comma 1, può disporre il diniego dell’intervento»; c) al comma 3, che «[n]on sono soggetti a nulla osta idraulico e a comunicazione di inizio attività gli interventi in somma urgenza eseguiti in caso di eventi calamitosi per i quali sia dichiarato lo stato di emergenza, di eventi potenzialmente in grado di contaminare un sito di cui all’articolo 242 del d.lgs. n. 152/2006 e successive modificazioni e integrazioni, e interventi imprevisti e non programmati su utenze di interesse pubblico oggetto di concessione».

2.1.– A giudizio del ricorrente, tali previsioni violano l’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost. perchè entrano in conflitto con la normativa, di competenza esclusiva dello Stato, dettata a tutela dell’assetto idrogeologico dal Capo VII (Polizia delle acque pubbliche) del regio decreto 25 luglio 1904, n. 523 (Testo unico delle disposizioni di legge intorno alle opere idrauliche delle diverse categorie).

In particolare, le disposizioni censurate entrerebbero in conflitto sia con l’art. 93, primo comma, di tale decreto, in forza del quale «[n]essuno può fare opere nell’alveo dei fiumi, torrenti, rivi, scolatoi pubblici e canali di proprietà demaniale, cioè nello spazio compreso fra le sponde fisse dei medesimi, senza il permesso dell’autorità amministrativa»; sia con l’art. 94 dello stesso decreto, il quale dispone che « [n]el caso di alvei a sponde variabili od incerte, la linea, o le linee, fino alle quali dovrà intendersi estesa la proibizione di che nell’articolo precedente, saranno determinate anche in caso di contestazione dal prefetto, sentiti gli interessati».

2.2.– La richiamata normativa interposta fissa, ad avviso del ricorrente, una regola di tutela ambientale contraddetta dalla disciplina regionale censurata.

Di qui la violazione addotta, considerando che le disposizioni legislative statali dettate in materia ambientale, inerendo a un interesse pubblico di valore costituzionale primario e assoluto, fungono da limite trasversale alle discipline introdotte dalle Regioni nelle materie di loro, anche residuale, competenza, salvo che le disposizioni regionali siano in grado di garantire livelli di tutela più elevati rispetto a quelli previsti dalla normativa nazionale.

3.– Secondo il ricorrente, il medesimo parametro costituzionale è violato anche dagli artt. 24 e 35 della legge reg. Liguria n. 29 del 2017.

Segnatamente, le disposizioni contenute nel comma 2 dell’art. 24 e nel comma 3 dell’art. 35 della legge regionale sarebbero rispettivamente in conflitto con l’art. 19, comma 2, e con l’art. 21 della legge 11 febbraio 1992, n. 157 (Norme per la protezione della fauna selvatica omeoterma e per il prelievo venatorio).

3.1.– Il ricorrente evidenzia che l’art. 24, comma 2, della legge regionale impugnata modifica l’art. 2 della legge della Regione Liguria 11 marzo 2014, n. 4 (Norme per il rilancio dell’agricoltura e della selvicoltura, per la salvaguardia del territorio rurale ed istituzione della banca regionale della terra), aggiungendo ad esso il comma 3-bis, in forza del quale la Regione, per l’attività di controllo faunistico, può avvalersi, «oltreché dei soggetti individuati all’articolo 36, comma 2, lettera b) della legge regionale 1° luglio 1994, n. 29 (Norme regionali per la protezione della fauna omeoterma e per il prelievo venatorio) e successive modificazioni e integrazioni, anche del concorso di coadiutori appositamente formati, in coerenza con i criteri di cui all’articolo 22, comma 6, della legge 6 dicembre 1991, n. 394 (Legge quadro sulle aree protette) e successive modificazioni e integrazioni».

3.1.1.– Ad avviso del ricorrente, la disposizione regionale impugnata consente che il controllo faunistico venga esercitato con modalità e tramite personale differenti da quelli previsti dalla norma statale di riferimento, nel caso individuata nell’art. 19, comma 2, della legge n. 157 del 1992.

Tale ultima disposizione impone, infatti, che i piani di abbattimento autorizzati dalle Regioni, finalizzati al controllo delle specie di fauna selvatica, debbano essere «[...] attuati dalle guardie venatorie dipendenti dalle amministrazioni provinciali», le quali ultime « […] potranno altresì avvalersi dei proprietari o conduttori dei fondi sui quali si attuano i piani medesimi, purché muniti di licenza per l’esercizio venatorio, nonché delle guardie forestali e delle guardie comunali munite di licenza per l’esercizio venatorio».

3.1.2.– Sempre ad avviso del ricorrente, la legge n. 157 del 1992 fissa le regole minime comuni in materia di preservazione della fauna e, dunque, di tutela dell’ambiente e dell’ecosistema; la normativa regionale che entra in conflitto con le relative previsioni invaderebbe, di conseguenza, la sfera di competenza legislativa esclusiva dello Stato.

In particolare, come confermato dalla giurisprudenza costituzionale sul tema, l’elenco dettato dalla norma statale «interposta» in tema di individuazione dei soggetti abilitati al controllo faunistico deve ritenersi tassativo; le Regioni, dunque, non possono integrarne il contenuto senza ridurre il livello minimo e uniforme di tutela dettata dalla disciplina nazionale.

Di qui la violazione addotta dal ricorrente, giacché la disposizione regionale impugnata per un verso modifica il contenuto precettivo dell’art. 19, comma 2, della legge n. 157 del 1992, abilitando all’attuazione dei piani di abbattimento anche coadiutori appositamente formati, non considerati dalla norma statale; per altro verso assegna all’amministrazione regionale, e non a quella provinciale, la responsabilità per l’attuazione del controllo faunistico.

3.2.– Il ricorrente censura anche l’art. 35, comma 3, della legge reg. Liguria n. 29 del 2017, con il quale è stato modificato l’art. 47 della legge reg. Liguria n. 29 del 1994, aggiungendo ad esso il comma 7-ter, in forza del quale è vietato il commercio di «fauna selvatica morta, fatta eccezione per quella proveniente da allevamenti o da abbattimenti venatori o di controllo autorizzati nel rispetto delle modalità previste dalla normativa sanitaria vigente, per sagre e manifestazioni a carattere gastronomico».

La previsione impugnata sarebbe in conflitto con l’art. 21 della legge n. 157 del 1992, il quale, secondo quanto prospettato in ricorso, impone «il divieto di esercizio venatorio della fauna selvatica in questione», così da definire «uno standard di tutela della fauna selvatica» non derogabile dalle Regioni.

Di qui l’addotto contrasto con l’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost.

4.– La Regione Liguria si è costituita in giudizio con atto depositato il 6 aprile 2018, concludendo per la reiezione del ricorso.

4.1.– Quanto alla impugnazione dell’art. 15 della legge reg. Liguria n. 29 del 2017, la resistente ha evidenziato che la competenza inerente alla gestione del demanio idrico è stata trasferita dallo Stato alle Regioni e dalla Regione Liguria alle Province, precisando, altresì, che tra le competenze ascritte alle Province rientra anche quella relativa all’autorizzazione idraulica prevista dal r.d. n. 523 del 1904.

Ancora, la difesa della Regione ha rimarcato che, in questa cornice di riferimento, le Province avrebbero sviluppato una prassi amministrativa in forza della quale ogni intervento destinato in qualche modo ad «avere a che fare con l’alveo del corso d’acqua» doveva ritenersi sottoposto, senza distinzione di sorta, al «regime autorizzatorio idraulico».

Ciò premesso, la resistente ha sottolineato che la norma censurata, finalizzata ad una semplificazione della relativa attività amministrativa, riguarda interventi che, per le modalità esecutive o per gli effetti sul regime del corso d’acqua, sarebbero privi di rilievo significativo, perché aventi un mero carattere manutentivo, lasciando inalterate le caratteristiche dei corsi d’acqua. Gli interventi correlati ad eventi calamitosi, inoltre, sarebbero giustificati dalla necessità di intervenire senza attendere i tempi del procedimento autorizzatorio, come del resto confermato dall’esplicito riferimento normativo all’art. 242 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 (Norme in materia ambientale).

La norma regionale censurata, dunque, realizzerebbe una semplificazione della relativa azione amministrativa, senza far venire meno il controllo inerente alla possibile interferenza dell’attività o dell’intervento da realizzare con il buon regine delle acque, potendo comunque la Regione disporre il diniego della relativa iniziativa.

4.2.– In relazione all’impugnazione dell’art. 24, comma 1, della legge reg. Liguria n. 29 del 2017, la resistente ha evidenziato che la disposizione censurata replica le modalità di controllo faunistico già previste dalla legislazione statale concernente le «aree naturali protette regionali».

In particolare, la resistente ha rimarcato che l’art. 22, comma 6, della legge n. 394 del 1991 prevede che, per le attività di controllo faunistico da realizzare entro le suddette aree, è possibile avvalersi dell’attività dei cacciatori, purché adeguatamente formati. Se, dunque, tale possibilità è prevista all’interno di aree per le quali sono previsti standard di tutela più elevati, coerentemente ciò dovrà ritenersi possibile nel restante territorio agro-silvo-pastorale.

4.3.– Infine, con riguardo alle censure prospettate avverso l’art. 35, comma 3, della legge reg. Liguria n. 29 del 2017, la resistente ha obiettato che la disposizione impugnata amplia la possibilità di commercializzare fauna selvatica morta per sagre o manifestazioni a carattere enogastronomico, in linea con la competenza regionale residuale in materia di gestione della fauna e prelievo venatorio ex art. 117, quarto comma, Cost., come confermato da analoghe discipline introdotte da altre Regioni.

5.– Con memoria depositata il 15 gennaio 2019 la difesa dello Stato ha replicato alle osservazioni difensive della Regione Liguria, definendo compiutamente le ragioni argomentative esposte a sostegno delle censure prospettate con il ricorso.

6.– Anche la Regione Liguria ha depositato in data 15 gennaio 2019 una memoria difensiva.

6.1.– Con riguardo all’impugnazione dell’art. 15 della legge reg. Liguria n. 29 del 2017, la resistente ha ribadito le difese rese nel costituirsi quanto agli interventi previsti dal comma 3 dell’articolo impugnato. In relazione al comma 1 del medesimo articolo, la resistente, in aggiunta a quanto già addotto, ha rimarcato la non riconducibilità degli interventi di pulizia e manutenzione degli alvei e delle sponde previsti dalla disposizione censurata alle «opere» considerate dall’art. 93, primo comma, del r.d. n. 523 del 1904: gli interventi contemplati dalla norma regionale non darebbero luogo ad alcun nuovo volume, in alveo o sulle sponde; piuttosto, secondo la resistente, sarebbero connotati da irrilevanza idraulica, tanto da risultare compatibili con la mera comunicazione di inizio attività imposta dalla Regione Liguria.

Ad avviso della resistente, l’attività di pulizia dell’alveo da parte dei proprietari frontisti, oltre a non dar luogo alla realizzazione di opere, dovrebbe altresì ritenersi doverosa in considerazione di quanto previsto sia dall’art. 12 dello stesso r.d. n. 523 del 1904, sia dall’art. 98, comma 5, della legge della Regione Liguria 21 giugno 1999, n. 18 (Adeguamento delle discipline e conferimento delle funzioni agli enti locali in materia di ambiente, difesa del suolo ed energia), nonché dagli artt. 868 e 917 del codice civile; la manutenzione ordinaria di manufatti in concessione non sarebbe in grado di interferire con il regolare deflusso delle acque, restando comunque assoggettata al controllo e al potere della Regione di disporre il diniego dell’intervento; infine, la manutenzione ordinaria eseguita dagli enti pubblici risulterebbe disciplinata dalla norma censurata in termini non diversi da quanto previsto dall’art. 17-bis della legge 7 agosto 1990, n. 241 (Nuove norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi).

6.2.– In relazione all’art. 24, comma 2, della legge reg. Liguria n. 29 del 2017, la resistente, con riguardo al tema della tassatività dell’elenco contenuto nell’art. 19, comma 2, della legge n. 157 del 1992, ha ribadito le difese già spiegate nell’atto di costituzione, richiamando, inoltre, disposizioni di legge di altre Regioni, aventi contenuto sostanzialmente identico a quello della norma censurata, mai impugnate dal Governo.

Quanto all’individuazione dell’ente cui ascrivere la responsabilità del controllo faunistico, la resistente si è richiamata al riordino di funzioni previsto dalla legge 7 aprile 2014, n. 56 (Disposizioni sulle città metropolitane, sulle province, sulle unioni e fusioni di comuni), attuata dalla Regione Liguria con la legge 10 aprile 2015, n. 15, recante «Disposizioni di riordino delle funzioni conferite alle province in attuazione della legge 7 aprile 2014, n. 56 (Disposizioni sulle città metropolitane, sulle province, sulle unioni e fusioni di comuni)».

6.3.– Infine, in relazione alla questione prospettata nei confronti dell’art. 35, comma 3, della legge reg. Liguria n. 29 del 2017, la difesa della resistente ha ribadito le argomentazioni rese nel costituirsi.

Considerato in diritto

1.– Il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, ha promosso questioni di legittimità costituzionale degli artt. 15 (recte: 15, commi 1, 2 e 3), 24 (recte: 24, comma 2) e 35, comma 3, della legge della Regione Liguria 28 dicembre 2017, n. 29 (Disposizioni collegate alla legge di stabilità per l’anno 2018), in riferimento all’art. 117, secondo comma, lettera s), della Costituzione.

2.– Ad avviso del ricorrente, la Regione Liguria, tramite le disposizioni impugnate, avrebbe invaso la sfera di competenza legislativa esclusiva dello Stato in materia di tutela ambientale.

Più precisamente, con le disposizioni contenute nell’art. 15, la Regione Liguria avrebbe introdotto una disciplina – inerente alle autorizzazioni relative alla realizzazione di interventi all’interno degli alvei o sulle sponde dei corsi d’acqua – in contrasto con le previsioni contenute negli artt. 93, primo comma, e 94 del regio decreto 25 luglio 1904, n. 523 (Testo unico delle disposizioni di legge intorno alle opere idrauliche).

A loro volta, gli artt. 24, comma 2, e 35, comma 3, della stessa legge regionale sarebbero rispettivamente in conflitto con gli artt. 19, comma 2, e 21 della legge 11 febbraio 1992, n. 157 (Norme per la protezione della fauna selvatica omeoterma e per il prelievo venatorio), poiché introdurrebbero, nel territorio della Regione resistente, disposizioni in contrasto con la disciplina statale in materia di tutela della fauna.

3.– La Regione Liguria si è costituita contestando la fondatezza delle censure addotte dal ricorrente. La resistente non ha evidenziato ragioni di inammissibilità delle questioni; né, del resto, ne emergono di rilevabili d’ufficio.

3.1.– Sotto quest’ultimo versante, non può negarsi che il ricorso appare connotato da un contenuto alquanto laconico, con riguardo, in particolare, alle censure prospettate in riferimento agli artt. 15, commi 1, 2 e 3, e 35, comma 3, della legge regionale impugnata.

Ciò, tuttavia, non impedisce l’individuazione dei termini delle relative questioni, sia per l’immediata riconducibilità delle disposizioni censurate all’ambito materiale afferente alla tutela dell’ambiente, posto a fondamento delle ragioni di vulnus prospettate dal ricorrente; sia per il contenuto del percorso argomentativo seguito nella memoria depositata prima dell’udienza dall’Avvocatura generale dello Stato, sostanzialmente esplicitativo del tenore delle censure, così da consentirne l’esame nel merito.

4.– La prima delle questioni prospettate ha ad oggetto l’art. 15, commi 1, 2 e 3, della legge reg. Liguria n. 29 del 2017.

Tale articolo prevede: a) al comma 1, che «[s]ono soggetti a comunicazione alla Regione, entro trenta giorni prima della data di inizio attività, gli interventi di pulizia dell’alveo e delle sponde eseguiti a mano o con mezzi meccanici dai proprietari frontisti o aventi titolo, gli interventi di manutenzione ordinaria di manufatti in concessione, gli interventi di manutenzione ordinaria degli alvei e delle sponde eseguiti dagli enti pubblici ivi compresa la movimentazione di materiale litoide nei casi di ripristino della sezione di deflusso dell’alveo, lo svuotamento di vasche di sedimentazione, vasche antincendio e briglie di trattenuta purché non comportino asportazione dello stesso»; b) al comma 2, che « [l]a Regione, entro il termine dei trenta giorni di cui al comma 1, può disporre il diniego dell’intervento»; c) al comma 3, che « [n]on sono soggetti a nulla osta idraulico e a comunicazione di inizio attività gli interventi in somma urgenza eseguiti in caso di eventi calamitosi per i quali sia dichiarato lo stato di emergenza, di eventi potenzialmente in grado di contaminare un sito di cui all’articolo 242 del d.lgs. n. 152/2006 e successive modificazioni e integrazioni, e interventi imprevisti e non programmati su utenze di interesse pubblico oggetto di concessione».

5.– Le censure prospettate dal ricorrente sono riferite esclusivamente ai tre commi dell’art. 15 sopra riportati.

Va tuttavia evidenziato che l’articolo scrutinato si compone di altri quattro commi, tre dei quali (i commi 4, 6 e 7) riguardano condotte e sanzioni correlate alla comunicazione di cui al citato comma 3. Residua, inoltre, il comma 5, il quale demanda alla Giunta regionale il compito di definire «criteri e indirizzi attuativi per l’applicazione delle procedure di semplificazione di cui al presente articolo».

5.1.– A giudizio del ricorrente, i commi 1, 2 e 3 del citato art. 15 violano l’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost. perché entrano in conflitto con la normativa, di competenza esclusiva dello Stato, dettata a tutela dell’assetto idrogeologico in materia di «[p]olizia delle acque pubbliche».

In particolare, le disposizioni censurate sarebbero in conflitto sia con quanto previsto dall’art. 93, comma 1, del r.d. n. 523 del 1904, in forza del quale «[n]essuno può fare opere nell’alveo dei fiumi, torrenti, rivi, scolatoi pubblici e canali di proprieta` demaniale, cioè nello spazio compreso fra le sponde fisse dei medesimi, senza il permesso dell’autorità amministrativa»; sia con l’art. 94 dello stesso decreto, il quale dispone che «[n]el caso di alvei a sponde variabili od incerte, la linea, o le linee, fino alle quali dovrà intendersi estesa la proibizione di che nell’articolo precedente, saranno determinate anche in caso di contestazione dal prefetto, sentiti gli interessati».

5.2.– La normativa statale richiamata fissa, ad avviso del ricorrente, una regola di tutela ambientale derogata dalla disciplina regionale censurata. Quest’ultima, del resto, non garantirebbe nemmeno livelli di tutela più elevati rispetto a quelli previsti dalla legge nazionale.

In particolare, così come puntualmente precisato dalla difesa erariale con la memoria depositata prima dell’udienza, la Regione Liguria avrebbe semplificato l’azione amministrativa legata alle verifiche di compatibilità idraulica imposte dal r.d. n. 523 del 1904, sottraendo gli interventi considerati dai commi 1 e 3 del citato art. 15 all’obbligo di autorizzazione imposto dal parametro interposto evocato.

6.– La questione deve ritenersi fondata nei termini precisati di seguito.

6.1.– Gli interventi presi in considerazione dalla disciplina regionale risultano, ancora oggi, sottoposti al regime normativo previsto dal r.d. n. 523 del 1904, in forza del quale, per la tutela e la preservazione dei corsi d’acqua e delle relative pertinenze, vengono imposti una serie di vincoli alle iniziative destinate ad interferire sul buon regime delle acque pubbliche.

In questa ottica, il citato testo unico detta una indicazione generale (art. 2) in virtù della quale «[s]petta esclusivamente all’autorità amministrativa […] provvedere […] sulle opere di qualunque natura e in generale sugli usi, atti o fatti, anche consuetudinari, che possono aver relazione col buon regime delle acque pubbliche, con la difesa e conservazione delle sponde, con l’esercizio della navigazione, con quello delle derivazioni legalmente stabilite, e con l’animazione dei molini ed opifici sovra le dette acque esistenti; e così pure sulle condizioni di regolarità dei ripari ed argini od altra opera qualunque fatta entro gli alvei e contro le sponde».

Per altro verso, al fine di realizzare tale obiettivo di massima, il regio decreto in esame dedica un capo apposito (il Capo VII) alla attività di «[p]olizia delle acque pubbliche», imponendo specifici divieti o doveri di comportamento finalizzati alla prevenzione o eliminazione di situazioni di danno o anche di solo pericolo inerenti al deflusso delle acque.

Compiti, questi, di «polizia idraulica» che in esito al decentramento amministrativo risultano tra quelli riconducibili alle funzioni conferite alle Regioni (in uno al trasferimento della gestione inerente al demanio idrico), in ragione di quanto dettato dagli artt. 86 e 89 del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112 (Conferimento di funzioni e compiti amministrativi dello Stato alle regioni ed agli enti locali, in attuazione del capo I della legge 15 marzo 1997, n. 59), sia pure nel rispetto della legislazione vigente. La Regione Liguria ha a suo tempo delegato dette funzioni di polizia idraulica alle Province e le ha poi recuperate in occasione del riordino delle funzioni imposto dalla legge 7 aprile 2014, n. 56 (Disposizioni sulle città metropolitane, sulle province, sulle unioni e fusioni di comuni), così come previsto dall’art. 5, comma 1, lettera a), della legge della Regione Liguria 10 aprile 2015, n. 15, recante «Disposizioni di riordino delle funzioni conferite alle province in attuazione della legge 7 aprile 2014, n. 56 (Disposizioni sulle città metropolitane, sulle province, sulle unioni e fusioni di comuni)».

6.2.– Le norme interposte evocate dal ricorrente si collocano all’interno di detto quadro normativo di riferimento.

In particolare, secondo quanto previsto dall’art. 93 del r.d. n. 523 del 1904, l’esecuzione di opere inerenti all’alveo dei corsi d’acqua, senza distinzioni di sorta quanto alle caratteristiche dell’intervento da eseguire e del soggetto, privato o pubblico, che deve realizzarle, presuppone la preventiva verifica della compatibilità idraulica della relativa iniziativa e dunque il rilascio del cosiddetto "nulla osta idraulico” da parte della competente autorità (in origine, il Prefetto territorialmente competente, tenuto a rendere il relativo «permesso»).

Fuori da tale previsione di massima, la specifica incidenza idraulica dell’iniziativa da realizzare viene in rilievo, nel citato testo unico, in primo luogo nel tipizzare (art. 96) una serie di «lavori ed atti» che, se realizzati sulle «acque pubbliche, loro alvei, sponde e difese», sono vietati in ogni caso perchè aprioristicamente ritenuti pericolosi rispetto all’obiettivo di tutela perseguito; in secondo luogo, nell’elencare altre «opere ed atti» (artt. 97 e 98) che possono essere realizzate solo se previamente autorizzate alla luce delle indicazioni prescrittive rese dalla competente autorità idraulica e rispetto alle quali, dunque, l’autorizzazione assume anche contenuto conformativo (lo «speciale permesso» e la «speciale autorizzazione», cui letteralmente fanno riferimento le due norme citate da ultimo, in origine di competenza prefettizia o del Ministero dei lavori pubblici, a seconda delle connotazioni dell’intervento).

6.3.– Ciò precisato, non sembra dubbio che le disposizioni desumibili dal testo unico evocato a supporto del ricorso debbano ritenersi riconducibili, attraverso una lettura diacronica del relativo dato normativo, all’attività di difesa del suolo così come definita, oggi, dall’art. 54, lettera u), del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 (Norme in materia ambientale).

Testo normativo, quest’ultimo, che non a caso annovera (art. 56, comma 1, lettera i) lo svolgimento dei servizi di «polizia idraulica» tra le attività strumentali ad «assicurare la tutela ed il risanamento del suolo e del sottosuolo, il risanamento idrogeologico del territorio tramite la prevenzione dei fenomeni di dissesto, la messa in sicurezza delle situazioni a rischio e la lotta alla desertificazione» (art. 53, comma 1), in linea di continuità con quanto previsto dagli abrogati artt. 1 e 10 della legge 18 maggio 1989, n. 183 (Norme per il riassetto organizzativo e funzionale della difesa del suolo); e che, per altro verso, integra (art. 115, commi 1 e 2 ) la disciplina dettata dal r.d. n. 523 del 1904, imponendo le autorizzazioni dallo stesso previste anche per gli interventi di gestione e trasformazione del «suolo e del soprassuolo» resi nelle aree di pertinenza dei corsi d’acqua (la fascia di almeno dieci metri dalla sponda dei fiumi, laghi, stagni e lagune), al fine di assicurare «il mantenimento o il ripristino della vegetazione spontanea nella fascia immediatamente adiacente i corpi idrici […]».

La relativa disciplina, secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, rientra, quindi, nella materia della tutela dell’ambiente, di esclusiva competenza statale, ai sensi dell’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost. (sentenze n. 77 del 2017, n. 83 del 2016, n. 109 del 2011, n. 341 del 2010 e n. 232 del 2009); con l’ulteriore conseguenza che «le disposizioni legislative statali adottate in tale ambito fungono da limite alla disciplina che le Regioni, anche a statuto speciale, dettano nei settori di loro competenza, essendo ad esse consentito soltanto eventualmente di incrementare i livelli della tutela ambientale, senza però compromettere il punto di equilibrio tra esigenze contrapposte espressamente individuato dalla norma dello Stato» (sentenza n. 300 del 2013).

6.4.– Individuato l’ambito materiale cui ricondurre le disposizioni regionali in questione, va altresì sottolineato che le stesse sono caratterizzate dall’intento – reso esplicito dalla rubrica del censurato art. 15 della legge reg. Liguria n. 29 del 2017 – di procedere ad una semplificazione dell’azione amministrativa legata alla verifica di compatibilità idraulica degli interventi da realizzare all’interno degli alvei o sulle sponde dei corsi d’acqua ricompresi nei relativi ambiti territoriali; ciò, del resto, in linea di continuità con soluzioni, dal tenore analogo, che la stessa Regione ha in precedenza adottato in via regolamentare (in questi termini il regolamento della Regione Liguria 14 luglio 2011, n. 3, intitolato «Regolamento recante disposizioni in materia di tutela delle aree di pertinenza dei corsi d’acqua») e di indirizzo amministrativo (con la deliberazione della Giunta regionale della Regione Liguria 12 ottobre 2012, n. 1209, resa in esecuzione del citato regolamento).

6.4.1.– In questa cornice di riferimento, l’art. 15 della legge regionale censurata modula il procedimento di verifica della compatibilità idraulica degli interventi che riguardano alvei e sponde dei corsi d’acqua in termini diversi da quanto previsto dalla disciplina statale di riferimento.

Per l’esecuzione degli interventi tipizzati dal comma 1, viene prevista una mera comunicazione di inizio attività, a fronte della quale (comma 2), la Regione può disporre, entro trenta giorni, il diniego dell’intervento, ove ritenuto incompatibile con il regolare deflusso delle acque, risultando lo stesso altrimenti assentito.

Per altre ipotesi di intervento (indicate al comma 3), tutte connotate dal comune denominatore offerto dall’urgenza di intervenire, la disciplina regionale censurata consente di prescindere sia dall’autorizzazione imposta dall’art. 93 del r.d. n. 523 del 1904, sia dalla comunicazione di inizio attività prevista dal comma 1, dovendo l’esecutore (comma 4) comunicare alla Regione solo l’accesso in alveo, entro le successive 24 ore, segnalando l’urgenza che lo ha motivato, nonché relazionare in ordine all’intervento realizzato negli alvei dei corpi idrici o loro sponde entro i successivi trenta giorni.

6.5.– Lo scrutinio di legittimità costituzionale porta ad una soluzione non identica per tutte le disposizioni censurate ricomprese nel citato art. 15 della legge regionale impugnata.

Occorre, in particolare, distinguere le previsioni dei commi 1 e 2 dell’articolo in esame da quelle contenute nel successivo comma 3.

6.5.1.– Con riguardo alle ipotesi disciplinate dai primi due commi dell’art. 15 della legge reg. Liguria n. 29 del 2017, è di tutta evidenza che, secondo quanto previsto dalla disciplina regionale censurata, la verifica inerente alla compatibilità idraulica assumerà le forme del provvedimento espresso, diretto a manifestare all’esterno il ponderato bilanciamento dei delicati interessi in gioco, solo in caso di diniego dell’intervento; e ciò in evidente conflitto con l’art. 93, primo comma, del r.d. n. 523 del 1904, che impone sempre e comunque la preventiva ed espressa valutazione delle ragioni che portano ad assentire o negare la realizzazione dell’intervento.

Si riduce, in coerenza, il livello di protezione fissato dalla normativa statale in un ambito che non lascia spazi di intervento alle Regioni se non quelli diretti a garantire standard di tutela ambientale ancora più elevati, nel caso neppure addotti dalla Regione resistente (sentenza n. 124 del 2015).

6.5.2.– Non assume valenza dirimente verificare se la disciplina regionale censurata dia corpo ad un modulo procedimentale assimilabile al silenzio assenso di cui all’art. 20 della legge 7 agosto 1990, n. 241 (Nuove norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi), come sembra desumersi dalla necessità di attendere il decorso dei trenta giorni dalla comunicazione prima di iniziare i lavori; o, piuttosto, se la stessa costituisca una ipotesi di liberalizzazione, in linea con quanto previsto dall’art. 19 della citata legge n. 241 del 1990, come porta a ritenere la natura dei poteri ascritti all’autorità idraulica, di mero controllo e inibizione rispetto all’iniziativa fatta oggetto di comunicazione. Ogni ulteriore considerazione sul tema, infatti, risulta assorbita e superata dal principio in forza del quale non spetta comunque alle Regioni introdurre deroghe in peius agli istituti di protezione ambientale che dettano una disciplina uniforme, valevole su tutto il territorio nazionale (sentenze n. 66 del 2018 e n. 189 del 2016).

6.5.3.– Né, inoltre, può ritenersi convincente l’interpretazione dell’art. 93 del r.d. n. 523 del 1904 offerta dalla difesa della resistente, secondo la quale il nulla osta previsto da siffatta disposizione, letteralmente riferito alla esecuzione di «opere», per ciò solo risulti anche esclusivamente correlato alla realizzazione di nuovi volumi in alveo o sulle sponde; non sarebbe, dunque, riferibile agli interventi, di pulizia e manutenzione, presi in considerazione dal comma 1 dell’art. 15 impugnato.

L’art. 93 del r.d. n. 523 del 1904 non può, infatti, essere letto disgiuntamente dalle indicazioni generali e di massima offerte dall’art. 2 dello stesso testo normativo, in forza del quale il controllo ascritto all’amministrazione competente a tutela delle acque pubbliche va esteso alle «opere di qualunque natura, e in generale sugli usi, atti o fatti, anche consuetudinari, che possono avere relazione con il buon regime delle acque pubbliche […]». Non a caso, del resto, la disciplina statale, nel tipizzare gli atti che devono ritenersi radicalmente vietati, si riferisce genericamente a lavori, opere ma anche a fatti e semplici condotte che possono influire sul buon regime dei corsi d’acqua: il che, sul piano sistematico, entra in aperta contraddizione con l’interpretazione restrittiva dell’art. 93 suggerita dalla difesa della resistente.

6.5.4.– È appena il caso di precisare che ciò non equivale ad affermare che la previsione statale evocata dal ricorrente imponga, sempre e comunque, il rilascio del nulla osta idraulico: ben può ritenersi, infatti, che restino estranei alla relativa verifica preventiva interventi caratterizzati da una strutturale semplicità esecutiva, in quanto tali certamente inconsistenti nella loro effettiva incidenza idraulica.

Fuori da tali ipotesi, del tutto marginali, non può tuttavia che ribadirsi il principio, rivendicato dalla difesa dello Stato, in forza del quale ogni ulteriore iniziativa, comunque in grado di poter influire sul buon regime dei corsi d’acqua, deve ritenersi compresa nell’area coperta dal parametro statale evocato.

6.5.5.– Né vale sottolineare, come ha fatto la difesa della resistente con la memoria depositata, che la disposizione impugnata sarebbe estranea al vulnus prospettato, perché destinata a replicare il modulo procedimentale previsto dall’art. 17-bis della legge n. 241 del 1990 con riguardo agli interventi di manutenzione ordinaria eseguiti da enti pubblici.

Anche a voler ritenere che la disposizione impugnata, limitatamente a siffatto segmento normativo, possa essere assimilata allo schema procedimentale previsto dalla citata norma statale, resta da ribadire che la previsione regionale riduce sensibilmente i tempi della possibile verifica demandata all’autorità idraulica nel confronto con l’indicazione di massima contenuta al comma 3 dell’art. 17-bis della legge statale, dando comunque corpo alla lesione prospettata dal Governo (sentenza n. 209 del 2014).

Da qui l’illegittimità costituzionale dei commi 1 e 2 dell’art. 15 della legge reg. Liguria n. 29 del 2017.

7.– Ad una soluzione solo in parte diversa si deve pervenire in riferimento all’art. 15, comma 3.

7.1.– Le considerazioni svolte a sostegno dell’illegittimità costituzionale dei commi 1 e 2 dell’art. 15 possono certamente essere estese al successivo comma 3, nella parte in cui dispone che gli «interventi imprevisti e non programmati su utenze di interesse pubblico oggetto di concessione» sono sottratti al nulla osta imposto dall’art. 93 del r.d. n. 523 del 1904; non rileva più, invece, il riferimento alla «comunicazione di inizio attività» che tale norma pure contiene, essendo stato travolto dalla riscontrata illegittimità costituzionale dei commi 1 e 2 dell’art. 15 in esame.

L’assoluta indeterminatezza del precetto ed in conseguenza l’inaccettabile ambiguità semantica della disposizione censurata, infatti, rendono concreto il rischio di un’elusione del principio imposto dalla norma nazionale, mettendo in discussione lo standard di protezione ambientale garantito dalla legislazione statale.

7.2.– La censura in esame è invece infondata avuto riguardo alle altre ipotesi di intervento definite di «somma urgenza» dal medesimo comma 3 dell’art. 15.

7.2.1.– In particolare, il riferimento letterale agli «eventi calamitosi per i quali sia stato dichiarato lo stato di emergenza» consente di ritenere che il legislatore regionale ha inteso riferirsi agli eventi da fronteggiare con mezzi e poteri straordinari previsti dall’art. 2, lettera c), della legge 24 febbraio 1992, n. 225 (Istituzione del Servizio nazionale di protezione civile), rispetto ai quali sia stato dichiarato lo stato di emergenza con delibera del Consiglio dei ministri, resa ai sensi del successivo art. 5 della stessa legge. Disposizioni, queste, vigenti all’epoca di emanazione della legge reg. Liguria n. 29 del 2017, oggi abrogate dall’art. 48, comma 1, lettera a), del decreto legislativo 2 gennaio 2018, n. 1 (Codice della Protezione Civile) e sostituite, con contenuti pressoché identici, per quel che qui interessa, dagli artt. 7, lettera c), e 24 del decreto da ultimo citato.

Così intesa, la disposizione censurata non integra la violazione prospettata.

In siffatti casi, gli interventi da realizzare possono essere effettuati anche in deroga alle disposizioni vigenti, secondo le prescrizioni di volta in volta stabilite dalle ordinanze di protezione civile, nei limiti e con le modalità indicate dallo stato di emergenza deliberato dal Consiglio dei ministri e nel rispetto dei principi generali dell’ordinamento giuridico e delle norme dell’Unione europea, in ragione di quanto previsto dall’abrogato art. 5 della legge n. 225 del 1992 e attualmente dall’art. 25 del d.lgs. n. 1 del 2018.

La deroga alla disciplina statale evocata dal ricorrente trova la sua fonte, in effetti, in altre disposizioni statali semplicemente richiamate dalle norme impugnate, con conseguente infondatezza della questione in parte qua.

7.2.2.– Del pari, il comma 3 dell’impugnato art. 15 della legge regionale in esame non dà luogo al vulnus addotto dal ricorrente nella parte in cui non sottopone al nulla osta idraulico previsto dall’art. 93 del r.d. n. 523 del 1904 gli interventi urgenti legati a «eventi potenzialmente in grado di contaminare un sito di cui all’articolo 242 del d.lgs. n. 152 del 2006 e successive modificazioni e integrazioni».

Anche in tal caso, infatti, la potenziale deroga alla verifica preventiva imposta dal parametro interposto risulta esclusivamente incanalata all’interno di un percorso amministrativo dettagliatamente descritto dalla norma statale, pedissequamente richiamata da quella regionale impugnata.

Rimane, dunque, inalterato il sistema dei controlli legati alla incidenza idraulica degli interventi da rendere all’interno degli alvei e sulle sponde delle acque pubbliche, suscettibile di deroghe solo nei limiti di quanto previsto in modo uniforme sull’intero territorio nazionale dalla legislazione statale espressamente richiamata dalla norma censurata.

8.– La dichiarazione di illegittimità costituzionale dei commi 1 e 2 dell’art. 15 della legge reg. Liguria n. 29 del 2019 nonché del comma 3 dello stesso articolo nella parte in cui si riferisce agli «interventi imprevisti e non programmati su utenze di interesse pubblico oggetto di concessione», va altresì estesa, in via conseguenziale, anche ai restanti commi del medesimo articolo, privi di significato normativo se resi autonomi dalle disposizioni che li precedono.

Una tale conclusione non è ostacolata dalla parziale infondatezza delle censure prospettate in direzione del comma 3 dell’articolo impugnato.

Gli oneri di condotta e le sanzioni previste dai commi 4, 6 e 7 dell’articolo in esame e, parimenti, lo stesso compito demandato dal comma 5 alla Giunta regionale (per la definizione dei criteri e degli indirizzi attuativi strumentali alla procedura di semplificazione dettata dall’insieme delle disposizioni regionali censurate), devono ritenersi implicitamente riferiti alle sole previsioni, contenute nei commi precedenti, ritenute illegittime alla luce delle considerazioni svolte in precedenza.

Si tratta, infatti, di disposizioni all’evidenza incompatibili con gli ambiti procedimentali inerenti alle deroghe previste dal comma 3 dell’articolo censurato ritenute conformi a Costituzione e rimaste estranee al vizio di illegittimità costituzionale dedotto con il ricorso.

9.– Sono fondate le questioni riferite agli artt. 24, comma 2, e 35, comma 3, della medesima legge reg. Liguria n. 29 del 2017, relativi alla disciplina di alcuni aspetti dell’attività venatoria. Anche queste censure sono prospettate lamentando la violazione dell’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost.: in entrambi i casi, infatti vengono introdotte disposizioni in deroga alle previsioni contenute nella legge n. 157 del 1992, riducendo il livello minimo di tutela dell’ambiente e dell’ecosistema garantito dalla legislazione statale.

10.– L’art. 24, comma 2, della legge regionale impugnata ha modificato l’art. 2 della legge della Regione Liguria 11 marzo 2014, n. 4 (Norme per il rilancio dell’agricoltura e della selvicoltura, per la salvaguardia del territorio rurale ed istituzione della banca regionale della terra). In particolare, è stato aggiunto il comma 3-bis, in forza del quale la Regione, per l’attività di controllo faunistico, può avvalersi «oltreché dei soggetti individuati all’articolo 36, comma 2, lettera b) della legge regionale 1° luglio 1994, n. 29 (Norme regionali per la protezione della fauna omeoterma e per il prelievo venatorio) e successive modificazioni e integrazioni, anche del concorso di coadiutori appositamente formati, in coerenza con i criteri di cui all’articolo 22, comma 6, della legge 6 dicembre 1991, n. 394 (Legge-quadro sulle aree protette) e successive modificazioni e integrazioni».

10.1.– Ad avviso del ricorrente, tale disposizione consente che il controllo faunistico venga esercitato con modalità e tramite personale differenti da quelli tassativamente previsti dalla norma statale di riferimento, nel caso individuata nell’art. 19, comma 2, della legge n. 157 del 1992. Disposizione, questa, secondo la quale i piani di abbattimento autorizzati dalle Regioni, finalizzati al controllo delle specie di fauna selvatica, vanno «attuati dalle guardie venatorie dipendenti dalle amministrazioni provinciali», le quali ultime potranno «altresì avvalersi dei proprietari o conduttori dei fondi sui quali si attuano i piani medesimi, purché muniti di licenza per l’esercizio venatorio, nonché delle guardie forestali e delle guardie comunali munite di licenza per l’esercizio venatorio […]».

L’evocato parametro interposto, secondo il Presidente del Consiglio dei ministri, fissa una regola minima, non derogabile dalle Regioni, in materia di preservazione della fauna e, dunque, in tema di tutela dell’ambiente e dell’ecosistema.

Di qui la violazione addotta, giacché la disposizione regionale impugnata avrebbe per un verso modificato il contenuto precettivo della norma interposta, abilitando all’attuazione dei piani di abbattimento anche coadiutori appositamente formati; per altro verso assegnato all’amministrazione regionale e non a quella provinciale la responsabilità per l’attuazione del controllo faunistico.

10.2.– Giova premettere che sia il ricorso (nell’intestazione del paragrafo destinato alla censura in esame, oltre che nelle conclusioni), sia la stessa deliberazione del Consiglio dei ministri in forza della quale è stata autorizzata l’impugnazione, fanno riferimento all’intero disposto dell’art. 24 della legge reg. Liguria n. 29 del 2017.

Il contenuto delle motivazioni di entrambi gli atti rende tuttavia evidente che l’oggetto specifico della questione attiene unicamente al comma 2 del citato articolo.

Il tenore della censura, inoltre, porta a ritenere che la stessa è diretta a contrastare la norma in questione con riferimento alla sola categoria dei «coadiutori appositamente formati, in coerenza con i criteri di cui all’articolo 22, comma 6, della legge 6 dicembre 1991, n. 394 […]», senza contestare il riferimento ai soggetti «individuati all’articolo 36, comma 2, lettera b), della legge regionale 1° luglio 1994, n. 29 […]».

10.3.– Al tema del controllo faunistico è dedicato l’art. 36 della legge reg. Liguria n. 29 del 1994, al quale, anche sotto il versante dei soggetti abilitati alla partecipazione ai piani, sono state apportate modifiche dall’art. 93, comma 1, della legge della Regione Liguria 30 dicembre 2015, n. 29, recante «Prime disposizioni per la semplificazione e la crescita relative allo sviluppo economico, alla formazione e lavoro, al trasporto pubblico locale, alla materia ordinamentale, alla cultura, spettacolo, turismo, sanità, programmi regionali di intervento strategico (P.R.I.S.), edilizia, protezione della fauna omeoterma e prelievo venatorio (Collegato alla legge di stabilità 2016)».

Questa Corte ha dichiarato l’illegittimità costituzionale delle modifiche in questione nella parte in cui, sostituendo il comma 2 del citato art. 36, veniva consentita, per quel che qui interessa, l’attuazione dei piani di abbattimento da parte di «cacciatori riuniti in squadre validamente costituite e di cacciatori in possesso della qualifica di coadiutore al controllo faunistico o di selecontrollore»; e ciò in ragione della tassatività dell’elenco contenuto nell’art. 19, comma 2, della legge n. 157 del 1992, tale da non consentire «ai cacciatori di prendere parte all’abbattimento a meno che non siano proprietari o conduttori del fondo sul quale si attua il piano» (sentenza n. 139 del 2017).

10.4.– Con le disposizioni impugnate la Regione resistente è nuovamente intervenuta sul tema del controllo faunistico, stavolta, tuttavia, senza novellare l’apposita disciplina dettata all’interno della legge reg. Liguria n. 29 del 1994, bensì aggiungendo il comma 3-bis all’art. 2 della legge reg. Liguria n. 4 del 2014. Legge, quest’ultima, diretta a «promuovere il rilancio delle attività agricole e selvicolturali, anche attraverso il recupero produttivo dei terreni abbandonati, incolti o insufficientemente coltivati e la salvaguardia del territorio» (art. 1, comma 1) e in particolare, per quel che qui interessa, a «sostenere gli sforzi delle aziende agricole e dei comuni volti alla preservazione delle coltivazioni e alla salvaguardia del territorio, tramite una più efficace azione di controllo delle specie selvatiche» (art. 1, comma 2, lettera f-bis).

In questa ottica, la norma impugnata ha previsto che la Regione, «[i]n vista di una più efficace tutela delle coltivazioni, nonché per rispondere con maggiore tempestività ed incisività alle richieste di intervento provenienti dai comuni, […] per le attività di controllo faunistico, può avvalersi, sull’intero territorio regionale […] anche del concorso di coadiutori appositamente formati, in coerenza con i criteri di cui all’articolo 22, comma 6, della legge 6 dicembre 1991, n. 394».

10.5.– Siffatta ricostruzione sistematica porta dunque ad affermare che, nel territorio della Regione Liguria, il tema afferente all’individuazione dei soggetti legittimati a prendere parte ai piani di abbattimento funzionali al controllo della fauna selvatica risulta disciplinato non solo dalla norma a ciò espressamente deputata (il comma 2 dell’art. 36 della legge n. 29 del 1994), ma anche dalla disposizione oggetto del ricorso in esame.

Ne consegue che, combinando i due dati normativi in ragione della comune identità di oggetto, la relativa disciplina regionale di riferimento consente che ai piani di abbattimento venatori prendano parte i cacciatori proprietari o conduttori del fondo sul quale si attua il piano, ai sensi del comma 2, lettera c), dell’art. 36 della legge reg. Liguria n. 29 del 1994; le guardie volontarie cui si riferisce l’art. 36 comma 2, lettera b), della stessa legge regionale da ultimo citata (richiamato anche dalla disposizione censurata, ma estraneo all’impugnazione per quanto già detto); infine, i coadiutori appositamente formati in coerenza con i criteri di cui all’art. 22, comma 6, della legge n. 394 del 1991, figure previste dal comma 3-bis dell’art. 2 della legge reg. Liguria n. 4 del 2014, introdotto dal censurato art. 24, comma 2, della legge reg. n. 29 del 2017.

10.6.– Ciò premesso, va ribadito che, secondo il costante orientamento della Corte, è da considerare tassativo l’elenco contenuto nell’art. 19, comma 2, della legge n. 157 del 1992 con riguardo alle persone abilitate all’attività di realizzazione dei piani di abbattimento della fauna selvatica: una sua integrazione da parte della legge regionale riduce il livello minimo e uniforme di tutela dell’ambiente imposto dalla citata norma statale (oltre alla già citata sentenza n. 139 del 2017, si vedano anche, da ultimo, le sentenze n. 217 del 2018 e n. 174 del 2017).

Quest’ultima, infatti, non attiene alla caccia, materia ascritta alla competenza residuale delle regioni. Disciplina, piuttosto, un’attività, l’abbattimento di fauna nociva, che è svolta non per fini venatori, ma per tutelare l’ecosistema, com’è confermato dal fatto che è presa in considerazione dalla norma statale solo come extrema ratio, dopo che i metodi ecologici non sono risultati efficaci. 

Alla luce di quanto sopra, il riferimento «ai coadiutori appositamente formati, in coerenza con i criteri di cui all’articolo 22, comma 6, della legge 6 dicembre 1991 n. 394», contenuto nella disposizione censurata, amplia illegittimamente il novero dei soggetti legittimati a prendere parte ai piani di abbattimento, concretando l’addotta violazione dell’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost.

10.7.– Né vale a superare tale conclusione l’espresso riferimento che la norma impugnata rende al dato normativo statale (per l’appunto, l’art. 22, comma 6, della legge n. 394 del 1991), in forza del quale risulta permesso ai cacciatori residenti di partecipare ai piani nelle aree naturali protette; dato questo, che, ad avviso della difesa della resistente, ancor di più dovrebbe legittimarne la partecipazione in ambiti territoriali non protetti.

Tale riferimento, come la Corte ha già avuto modo di chiarire, riguarda, infatti, «normative speciali, la cui estensione, in violazione della regola generale enunciata dall’art. 19 della legge n. 157 del 1992, non compete certamente alla Regione» (sentenza n. 107 del 2014).

Né rileva, infine, che altre discipline regionali, non puntualmente impugnate innanzi alla Corte, abbiano un tenore analogo a quello proprio della disposizione della legge della Regione Liguria oggetto di scrutinio. L’inerzia, anche reiterata, del Governo non offre infatti alcun valido sussidio alla legittimità costituzionale delle norme impugnate con il ricorso in esame.

10.8.– La fondatezza della censura porta, dunque, alla dichiarazione di illegittimità costituzionale del comma 3-bis dell’art. 2 della legge reg. Liguria n. 4 del 2014, introdotto dall’art. 24, comma 2, della legge reg. Liguria n. 29 del 2017, nella parte in cui prevede che la Regione, per le attività di controllo faunistico, può avvalersi «anche del concorso di coadiutori appositamente formati in coerenza con i criteri di cui all’articolo 22, comma 6, della legge 6 dicembre 1991, n. 394 (Legge quadro sulle aree protette) e successive modificazioni e integrazioni».

Resta assorbita l’ulteriore censura prospettata con il ricorso in riferimento alla disposizione in esame.

11.– A una soluzione identica si perviene con riguardo alla questione avente a oggetto l’art. 35, comma 3, della legge reg. Liguria n. 29 del 2017.

11.1.– La disposizione impugnata ha novellato l’art. 47 della legge reg. Liguria n. 29 del 1994, introducendo nell’impianto del citato articolo il comma 7-ter, in forza del quale è vietato il commercio di «fauna selvatica morta, fatta eccezione per quella proveniente da allevamenti o da abbattimenti venatori o di controllo autorizzati nel rispetto delle modalità previste dalla normativa sanitaria vigente, per sagre e manifestazioni a carattere gastronomico».

Ad avviso del ricorrente, la previsione impugnata si pone in conflitto con i divieti previsti dall’art. 21 della legge n. 157 del 1992, non derogabili dalle Regioni.

Anche con riferimento a tale disposizione si prospetta, dunque, la violazione dell’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost. per l’indebita invasione della competenza legislativa esclusiva dello Stato in materia di tutela ambientale.

11.2.– Il ricorrente, per il vero, si limita ad evocare genericamente l’art. 21 della legge n. 157 del 1992, senza precisare a quale delle disposizioni contenute in siffatto articolo intende ancorare la censura.

Il precetto statale incompatibile con la norma regionale impugnata emerge, tuttavia, con evidenza dal contenuto oggettivo di tale ultima disposizione, la quale replica quello della prima, aggiungendo, però, ad essa le deroghe che danno luogo alla violazione lamentata dal Governo. E ciò consente l’immediata individuazione del divieto, tra quelli elencati nel comma 1 dell’art. 21 della citata legge n. 157 del 1992, espressamente derogato dalla disposizione impugnata: segnatamente, quello previsto dalla lettera t) del citato comma 1.

11.3.– Si è già evidenziato che la materia della caccia, secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, rientra nella potestà legislativa residuale delle Regioni, tenute nondimeno a rispettare i criteri fissati dalla legge n. 157 del 1992 a salvaguardia dell’ambiente e dell’ecosistema. Tale legge stabilisce il punto di equilibrio tra «il primario obiettivo dell’adeguata salvaguardia del patrimonio faunistico nazionale» e «l’interesse […] all’esercizio dell’attività venatoria» (sentenza n. 4 del 2000); conseguentemente, i livelli di tutela da questa fissati non sono derogabili in peius dalla legislazione regionale (ex plurimis, sentenze n. 174, n. 139 e n. 74 del 2017).

11.4.– L’art. 21, comma 1, lettera t), della legge n. 157 del 1992 consente la commercializzazione di fauna selvatica morta per sagre e manifestazioni solo se la stessa provenga da allevamenti. Per il resto, in linea con altre disposizioni contenute nel medesimo comma 1 dell’art. 21, caratterizzate dalla stessa ratio (in tal senso le ipotesi di cui alle lettere bb, cc, ee), prevede il divieto assoluto della relativa attività: viene così anteposto l’interesse alla tutela del patrimonio faunistico, altrimenti compromesso dalle prospettive di lucro offerte dalla commercializzazione della fauna selvatica.

Un siffatto divieto costituisce un limite invalicabile per le iniziative legislative delle Regioni, pur in materie, come quella della caccia, ascritte alla loro competenza legislativa residuale. E tale confine non superabile emerge ancora con più nettezza laddove si consideri che il legislatore statale ha dotato di peculiare pregnanza il precetto in questione, finendo per sanzionarne penalmente la relativa violazione (con l’arresto da due a sei mesi o l’ammenda da lire da euro 516 a euro 2.065 in ragione di quanto previsto dall’art. 30, comma 1, lettera l, della stessa legge n. 157 del 1992).

11.5.– La disposizione impugnata, consentendo la commercializzazione della fauna selvatica morta per sagre e manifestazioni anche nelle ipotesi in cui la stessa provenga da abbattimenti venatori o di controllo, amplia le deroghe al divieto imposto dalla disciplina statale e riduce pertanto i livelli di tutela da questa fissati, determinando il vulnus lamentato dal governo ricorrente.

Di qui l’illegittimità costituzionale dell’art. 47, comma 7-ter, della legge reg. Liguria n. 29 del 1994, introdotto dall’art. 35, comma 3, della legge reg. Liguria n. 29 del 2017, limitatamente alle parole «o da abbattimenti venatori o di controllo autorizzati nel rispetto delle modalità previste dalla normativa sanitaria vigente».

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

1) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 15, commi 1 e 2, della legge della Regione Liguria 28 dicembre 2017, n. 29 (Disposizioni collegate alla legge di stabilità per l’anno 2018);

2) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 15, comma 3, della legge reg. Liguria n. 29 del 2017, limitatamente alle parole «, e interventi imprevisti e non programmati su utenze di interesse pubblico oggetto di concessione»;

3) dichiara in via consequenziale, ai sensi dell’art. 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87 (Norme sulla costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale), l’illegittimità costituzionale dell’art. 15, commi 4, 5, 6 e 7, della legge reg. Liguria n. 29 del 2017;

4) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 2, comma 3-bis, della legge della Regione Liguria 11 marzo 2014, n. 4 (Norme per il rilancio dell’agricoltura e della selvicoltura, per la salvaguardia del territorio rurale ed istituzione della banca regionale della terra), introdotto dall’art. 24, comma 2, della legge reg. Liguria n. 29 del 2017, nella parte in cui prevede che la Regione, per le attività di controllo faunistico, può avvalersi «anche del concorso di coadiutori appositamente formati in coerenza con i criteri di cui all’articolo 22, comma 6, della legge 6 dicembre 1991, n. 394 (Legge quadro sulle aree protette) e successive modificazioni e integrazioni»;

5) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 47, comma 7-ter, della legge della Regione Liguria 1° luglio 1994, n. 29 (Norme regionali per la protezione della fauna omeoterma e per il prelievo venatorio), introdotto dall’art. 35, comma 3, della legge reg. Liguria n. 29 del 2017, limitatamente alle parole «o da abbattimenti venatori o di controllo autorizzati nel rispetto delle modalità previste dalla normativa sanitaria vigente»;

6) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 15, comma 3, della legge reg. Liguria n. 29 del 2017, nella parte in cui prevede che non sono soggetti a nulla osta idraulico «gli interventi in somma urgenza eseguiti in caso di eventi calamitosi per i quali sia stato dichiarato lo stato di emergenza, di eventi potenzialmente in grado di contaminare un sito di cui all’art. 242 del d.lgs. n. 152/2006 e successive modificazioni e integrazioni», promossa dal Presidente del Consiglio dei ministri, in riferimento all’art. 117, secondo comma, lettera s), della Costituzione, con il ricorso indicato in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 6 febbraio 2019.

F.to:

Giorgio LATTANZI, Presidente

Augusto Antonio BARBERA, Redattore

Roberto MILANA, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 13 marzo 2019.