SENTENZA N. 103
ANNO 2016
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Paolo GROSSI Presidente
- Giuseppe FRIGO Giudice
- Alessandro CRISCUOLO ”
- Giorgio LATTANZI ”
- Aldo CAROSI ”
- Marta CARTABIA ”
- Mario Rosario MORELLI ”
- Giancarlo CORAGGIO ”
- Giuliano AMATO ”
- Silvana SCIARRA ”
- Daria de PRETIS ”
- Nicolò ZANON ”
- Franco MODUGNO ”
- Augusto Antonio BARBERA ”
- Giulio PROSPERETTI ”
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio per conflitto di attribuzione tra enti sorto a seguito della nota del Ministero dell’economia e delle finanze – Dipartimento della Ragioneria generale dello Stato – Ispettorato generale per la finanza delle pubbliche amministrazioni 23 luglio 2012, n. 0052547 (Accantonamento ex art. 13, comma 17, e art. 28, comma 3, del decreto legge 6 dicembre 2011, n. 201 e art. 35, comma 4, del decreto legge 24 gennaio 2012, n. 1 e art. 4, comma 11, del decreto legge 2 marzo 2012, n. 16), promosso dalla Regione siciliana con ricorso notificato il 21 settembre 2012, depositato in cancelleria il 1° ottobre 2012 ed iscritto al n. 12 del registro conflitti tra enti 2012.
Visto l’atto di costituzione del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nell’udienza pubblica del 22 marzo 2016 il Giudice relatore Aldo Carosi;
uditi l’avvocato Beatrice Fiandaca per la Regione siciliana e l’avvocato dello Stato Paolo Gentili per il Presidente del Consiglio dei ministri.
Ritenuto in fatto
1.– Con ricorso notificato il 21 settembre 2012, depositato il successivo 1° ottobre ed iscritto al reg. confl. enti n. 12 del 2012, la Regione siciliana ha proposto conflitto di attribuzione nei confronti del Presidente del Consiglio dei ministri in relazione alla nota 23 luglio 2012, n. 0052547 del Ministero dell’economia e delle finanze – Dipartimento della ragioneria generale dello Stato – Ispettorato generale per la finanza delle pubbliche amministrazioni, avente ad oggetto «Accantonamento ex art. 13, comma 17, e art. 28, comma 3, del decreto legge 6 dicembre 2011, n. 201 e art. 35, comma 4 del decreto legge 24 gennaio 2012, n. 1 e art. 4, comma 11 del decreto legge 2 marzo 2012, n. 16», in quanto lesiva delle attribuzioni costituzionali della Regione siciliana ed in particolare di quelle di cui agli artt. 36, primo comma, e 43 del regio decreto legislativo 15 maggio 1946, n. 455 (Approvazione dello statuto della Regione siciliana), ed all’art. 2, primo comma, del decreto del Presidente della Repubblica 26 luglio 1965, n. 1074 (Norme di attuazione dello Statuto della Regione siciliana in materia finanziaria), nonché del principio di leale collaborazione.
La ricorrente afferma che l’attuazione degli accantonamenti disposti dal Ministero nei suoi confronti comporterebbe la sottrazione di gettito di esclusiva spettanza regionale. Infatti, la nota che dà luogo al conflitto renderebbe noto, che, nelle more dell’emanazione delle norme di attuazione di cui all’art. 27 della legge 5 maggio 2009, n. 42 (Delega al Governo in materia di federalismo fiscale, in attuazione dell’articolo 119 della Costituzione), saranno operati gli accantonamenti ivi previsti nei confronti delle Regioni a statuto speciale e delle Province autonome a valere sulle quote di compartecipazione ai tributi erariali a titolo di concorso alla finanza pubblica.
In particolare, per le Regioni autonome Valle d’Aosta e Sardegna detti accantonamenti saranno operati direttamente dal Ministero dell’economia e delle finanze, mentre per le altre autonomie speciali, le cui entrate sono acquisite mediante il meccanismo della riscossione diretta, l’Agenzia delle entrate – Ufficio struttura di gestione provvederà a trattenere gli importi (relativamente alla Regione siciliana l’ammontare è quantificato per il 2012 in euro 335.012.609,15) onde versarli successivamente al bilancio dello Stato in caso di mancata attuazione della procedura di cui all’art. 27 della legge n. 42 del 2009.
La ricorrente ha in precedenza impugnato le disposizioni legislative, alle quali la nota ministeriale dà attuazione.
Con un primo ricorso, iscritto al reg. ric. n. 39 del 2012, sono stati impugnati gli artt. 13 e 28 del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201 (Disposizioni urgenti per la crescita, l’equità e il consolidamento dei conti pubblici), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 22 dicembre 2011, n. 214.
In particolare, il citato art. 13 è stato censurato per violazione degli artt. 14, lettera o), 36, 37 – in relazione all’art. 2, primo comma, del d.P.R. n. 1074 del 1965 – e 43 dello statuto siciliano, dell’art. 119, quarto comma, Cost. – in combinato disposto con l’art. 10 della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3 (Modifiche al titolo V della parte seconda della Costituzione) – e del principio di leale collaborazione.
L’art. 28, commi 2 e 3, del d.l. n. 201 del 2011 è stato censurato per violazione dell’art. 17, lettera b), dello statuto siciliano – che assegna alla Regione siciliana la competenza concorrente in materia sanitaria – degli artt. 36 e 37 del medesimo statuto e delle relative norme di attuazione in materia finanziaria, nonché del principio di leale collaborazione.
Con ulteriore ricorso, iscritto al reg. ric. n. 85 del 2012, sono stati impugnati gli artt. 2, comma 4, e 35, comma 4, del decreto-legge 24 gennaio 2012, n. 1 (Disposizioni urgenti per la concorrenza, lo sviluppo delle infrastrutture e la competitività), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 24 marzo 2012, n. 27. Entrambi gli articoli sono stati censurati per violazione dell’art. 36 dello statuto siciliano e delle relative norme di attuazione in materia finanziaria e per violazione del principio di leale collaborazione; l’art. 35, commi 4 e 5, è stato impugnato anche per violazione dell’art. 43 dello statuto siciliano e del principio di leale collaborazione.
Infine con successivo ricorso, iscritto al reg. ric. n. 101 del 2012, è stato impugnato l’art. 4, commi 2 e 10, del decreto-legge 2 marzo 2012, n. 16 (Disposizioni urgenti in materia di semplificazioni tributarie, di efficientamento e potenziamento delle procedure di accertamento), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 26 aprile 2012, n. 44: il comma 2 è stato censurato per violazione degli artt. 36 – in relazione agli artt. 2 e 4 del d.P.R. n. 1074 del 1965 – e 43 dello statuto siciliano e del principio di leale collaborazione; il comma 10 è stato impugnato per violazione degli artt. 36 – in relazione alle norme di attuazione in materia finanziaria, in particolare all’art. 2 del d.P.R. n. 1074 del 1965 – e 43 dello statuto medesimo nonché del principio di leale collaborazione.
Secondo la ricorrente, le norme impugnate prevederebbero, a garanzia dell’autonomia finanziaria delle autonomie speciali, che l’accantonamento a valere sulle quote di gettito in favore dello Stato sarebbe limitato nel tempo e opererebbe solo «fino all’emanazione delle norme di attuazione di cui allo stesso articolo 27» della legge delega n. 42 del 2009. Nondimeno, a giudizio della Regione siciliana la portata garantistica di tali disposizioni sarebbe meramente apparente, ove si consideri che l’art. 28, comma 4, del d.l. n. 201 del 2011 ha abrogato il termine di legge stabilito (trenta mesi) per l’emanazione della normativa di attuazione. Con la conseguenza che l’accantonamento previsto dalla censurata norma, anziché avere durata circoscritta, opererebbe immediatamente e per un periodo temporalmente illimitato.
Al riguardo la ricorrente rileva che alla Regione siciliana, diversamente dalle altre autonomie speciali, non spetterebbe una quota di compartecipazione al gettito di singoli tributi, bensì, di principio, il gettito nella sua interezza, con ciò configurandosi il diritto della medesima alla percezione dello stesso senza che si possa giustificare alcuna ritenuta da parte dello Stato.
La Regione siciliana sostiene inoltre che con la sentenza n. 193 del 2012 la Corte costituzionale avrebbe sancito, in linea con la propria precedente giurisprudenza, l’illegittimità di ogni prescrizione volta ad imporre agli enti territoriali misure di contenimento finanziario a tempo indeterminato.
La ricorrente afferma che il riferito meccanismo sarebbe illegittimo e lesivo delle prerogative statutarie, in quanto, oltre a sottrarre il gettito di sua spettanza, necessario alla copertura del fabbisogno finanziario della stessa, non assicurerebbe il rispetto delle procedure previste dall’art. 27 della legge n. 42 del 2009, tendenti a garantire modalità applicative dei citati meccanismi di concorso alla finanza pubblica rispettose della speciale autonomia della Regione siciliana.
Risulterebbe leso, altresì, il principio costituzionale di leale collaborazione di cui all’art. 120 Cost., il cui rispetto si renderebbe necessario, pure nell’ambito del coordinamento della finanza pubblica, a tutela della particolare autonomia finanziaria attribuitale.
La ricorrente ritiene inoltre che, in ossequio al principio di leale collaborazione, l’amministrazione finanziaria statale avrebbe dovuto prevedere la partecipazione delle Regioni interessate al procedimento attuativo in questione. Sarebbe, inoltre, lesiva delle attribuzioni della Regione siciliana la disposizione, contenuta nella nota impugnata, che prescrive all’Agenzia delle entrate – Ufficio struttura di gestione di trattenere l’importo di euro 335.012.609,15 spettanti alla Regione siciliana in virtù dell’art. 36 dello statuto siciliano e dell’art. 2 del d.P.R. n. 1074 del 1965.
Queste considerazioni troverebbero conferma nella sentenza della Corte costituzionale n. 178 del 2012, secondo la quale risulterebbe incostituzionale una norma di coordinamento della finanza pubblica che prevedesse un’applicazione diretta ed automatica di disposizioni, «senza l’intermediazione di norme adottate con le procedure previste di attuazione statutaria». Tale principio risulterebbe violato nella fattispecie oggetto del presente ricorso, poiché verrebbe prevista l’immediata acquisizione al bilancio statale delle entrate tributarie di spettanza regionale, senza attuazione della procedura pattizia prevista dall’art. 27 della legge n. 42 del 2009.
Secondo la Regione, sarebbe evidente che il complessivo intervento dello Stato attuato con le modalità di cui alla nota impugnata arrecherebbe un vulnus al bilancio regionale.
Alla luce di tali argomenti, la ricorrente chiede che sia dichiarato che non spettava allo Stato e per esso al Ministro dell’economia e delle finanze l’adozione della nota impugnata e, per l’effetto, che la stessa venga annullata nella parte in cui dispone l’accantonamento nei confronti della Regione siciliana.
Inoltre, preliminarmente, ai sensi dell’art. 40 della legge 11 marzo 1953, n. 87 (Norme sulla costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale) e dell’art. 26 delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale, la ricorrente chiede la sospensione dell’atto impugnato, invasivo delle attribuzioni e delle spettanze regionali in materia finanziaria ed immediatamente lesivo per le disponibilità regionali di cassa. Le risorse finanziarie della Regione, ed ancor più concretamente i mezzi di pagamento necessari per far fronte agli impegni legittimamente assunti dalla medesima, risulterebbero inevitabilmente ridotti, con conseguente paralisi, nell’ipotesi in cui tali risorse vengano indebitamente decurtate delle quote erroneamente trattenute dall’Erario. La penalizzazione subita, avente peraltro diretto ed immediato riverbero sulla capacità di spesa regionale, configurerebbe quelle «gravi ragioni» cui fa specifico riferimento il citato art. 40 della legge n. 87 del 1953 per poter procedere alla sospensione degli atti che hanno dato luogo al conflitto di attribuzione.
2.– Si è costituito in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, evidenziando che la nota impugnata si limiterebbe a rendere noto alla Regione che, nelle more dell’emanazione delle norme di attuazione di cui all’art. 27 della legge n. 42 del 2009, sarebbero stati operati gli accantonamenti previsti dalle disposizioni legislative, a valere sulle quote di compartecipazione ai tributi erariali a titolo di concorso alla finanza pubblica. La nota impugnata sarebbe, pertanto, meramente esplicativa di precedenti misure legislative, che la stessa ricorrente specifica di avere tempestivamente impugnato davanti a questa Corte. Pertanto, la nota in questione non potrebbe ritenersi di per sé lesiva di prerogative regionali, la cui lesione sarebbe riconducibile a provvedimenti legislativi preesistenti, dei quali l’atto impugnato neppure costituirebbe attuazione, avendo un contenuto meramente informativo.
Per queste ragioni ad avviso della difesa dello Stato il conflitto sarebbe inammissibile.
Nel merito il resistente ribadisce la legittimità delle disposizioni che la nota impugnata richiama, in quanto gli accantonamenti disposti non mirerebbero ad eludere il procedimento di cui all’art. 27 della legge n. 42 del 2009, la cui definizione non sarebbe nella disponibilità esclusiva dello Stato, ma dipenderebbe anche dalla volontà regionale. Le disposizioni in questione si limiterebbero a prevedere in via transitoria, nell’oggettiva impossibilità di attendere la definizione dell’anzidetto procedimento a causa dell’incombenza di una crisi economica di portata dirompente e sovranazionale, modalità di concorso delle autonomie speciali a fronteggiare gli ineludibili oneri connessi al conseguimento degli obiettivi di perequazione e di solidarietà, all’esercizio dei diritti ed all’adempimento dei doveri da essi derivanti, nonché al patto di stabilità interno ed all’assolvimento degli obblighi posti dall’ordinamento comunitario.
Secondo l’Avvocatura generale dello Stato sarebbe, altresì, infondata la dedotta violazione del principio di leale collaborazione in relazione all’emanazione dell’atto impugnato, in quanto la misura della contribuzione, oltre a essere transitoria, sarebbe stata comunque disposta dalla fonte legislativa.
Il resistente, infine, chiede che sia rigettata la richiesta di sospensione, sia per mancanza del fumus, alla luce di quanto argomentato, sia per l’insussistenza del periculum in mora, atteso che l’impossibilità di far fronte agli impegni finanziari è stata solo genericamente allegata, ma non concretamente dimostrata.
3.– Con memoria depositata in prossimità dell’udienza il Presidente del Consiglio dei ministri, poiché l’atto impugnato costituirebbe attuazione dell’art. 28, comma 3, del d.l. n. 201 del 2011, chiede che il conflitto sollevato dalla Regione siciliana sia deciso in conformità a quanto statuito da questa Corte costituzionale nella sentenza n. 82 del 2015, che ha respinto l’impugnativa proposta dalla medesima Regione avverso la citata disposizione.
Considerato in diritto
1.– Con il ricorso di cui in epigrafe la Regione siciliana ha proposto conflitto di attribuzione nei confronti del Presidente del Consiglio dei ministri in relazione alla nota del Ministero dell’economia e delle finanze – Dipartimento della Ragioneria generale dello Stato – Ispettorato generale per la finanza delle pubbliche amministrazioni del 23 luglio 2012, n. 0052547, avente ad oggetto «Accantonamento ex art. 13, comma 17, e art. 28, comma 3, del decreto legge 6 dicembre 2011, n. 201, e art. 35, comma 4, del decreto legge 24 gennaio 2012, n. 1 e art. 4, comma 11, del decreto legge 2 marzo 2012, n. 16».
Secondo la ricorrente, la nota oggetto del conflitto sarebbe lesiva delle attribuzioni costituzionali della Regione siciliana ed in particolare violerebbe gli artt. 36, primo comma, e 43 del regio decreto legislativo 15 maggio 1946, n. 455 (Approvazione dello statuto della Regione siciliana), e l’art. 2, primo comma, del decreto del Presidente della Repubblica 26 luglio 1965, n. 1074 (Norme di attuazione dello Statuto della Regione siciliana in materia finanziaria), nonché il principio di leale collaborazione.
1.1.– La Regione siciliana lamenta la sottrazione di gettito di sua esclusiva spettanza attraverso l’attuazione degli accantonamenti disposti con la nota in questione a valere sulle quote di compartecipazione regionale ai tributi erariali.
Detti accantonamenti sarebbero operati, per le Regioni autonome Valle d’Aosta e Sardegna, direttamente dal Ministero dell’economia e delle finanze, mentre per le altre autonomie speciali, tra le quali la Regione siciliana, le cui entrate sono acquisite attraverso il meccanismo della riscossione diretta, gli accantonamenti sarebbero operati – nel caso di mancata attuazione delle procedure previste dall’art. 27 della legge 5 maggio 2009, n. 42 (Delega al Governo in materia di federalismo fiscale, in attuazione dell’articolo 119 della Costituzione) – mediante trattenute effettuate direttamente dall’Agenzia delle entrate – Ufficio struttura di gestione, per essere successivamente versate al bilancio dello Stato.
La ricorrente ha già impugnato dinanzi a questa Corte alcune delle disposizioni legislative cui viene data attuazione con la nota ministeriale oggetto del presente giudizio.
In particolare, con un primo ricorso (iscritto al reg. ric. n. 39 del 2012) sono stati censurati gli artt. 13 e 28 del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201 (Disposizioni urgenti per la crescita, l’equità e il consolidamento dei conti pubblici), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 22 dicembre 2011, n. 214: l’art. 13 per violazione degli artt. 14, lettera o), 36, 37 – in relazione all’art. 2, primo comma, del d.P.R. n. 1074 del 1965 – e 43 dello statuto siciliano, dell’art. 119, quarto comma, Cost. – in combinato disposto con l’art. 10 della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3 (Modifiche al titolo V della parte seconda della Costituzione) e del principio di leale collaborazione; l’art. 28, commi 2 e 3, del medesimo decreto-legge per violazione dell’art. 17, lettera b) – che assegna alla Regione siciliana la competenza concorrente in materia sanitaria –, e degli artt. 36 e 37 dello statuto siciliano, delle relative norme di attuazione in materia finanziaria e del principio di leale collaborazione.
Con ulteriore ricorso (iscritto al reg. ric. n. 85 del 2012) sono stati impugnati gli artt. 2, comma 4, e 35, comma 4, del decreto-legge 24 gennaio 2012, n. 1 (Disposizioni urgenti per la concorrenza, lo sviluppo delle infrastrutture e la competitività), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 24 marzo 2012, n. 27, in riferimento all’art. 36 dello statuto siciliano – in relazione alle relative norme di attuazione in materia finanziaria – nonché in riferimento al principio di leale collaborazione. I commi 4 e 5 del citato art. 35 sono stati impugnati anche per violazione dell’art. 43 dello statuto siciliano e del principio di leale collaborazione.
Infine, con successivo ricorso (iscritto al reg. ric. n. 101 del 2012) è stato censurato l’art. 4, commi 2 e 10, del decreto-legge 2 marzo 2012, n. 16 (Disposizioni urgenti in materia di semplificazioni tributarie, di efficientamento e potenziamento delle procedure di accertamento), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 26 aprile 2012, n. 44: il comma 2 in riferimento agli artt. 36 – in relazione agli artt. 2 e 4 del d.P.R. n. 1074 del 1965 – e 43 dello statuto siciliano ed al principio di leale collaborazione; il comma 10 per violazione degli artt. 36 – in relazione, in particolare, all’art. 2 del d.P.R. n. 1074 del 1965 – e 43 dello statuto siciliano nonché del principio di leale collaborazione.
A giudizio della Regione siciliana, sebbene le norme impugnate con i precedenti ricorsi, per garantire l’autonomia finanziaria delle autonomie speciali, abbiano disposto una limitazione temporale dell’accantonamento a valere sulle quote di gettito in favore dello Stato «fino all’emanazione delle norme di attuazione di cui allo stesso articolo 27» della legge n. 42 del 2009, la portata garantista di tali disposizioni sarebbe meramente apparente. Ciò in quanto l’art. 28, comma 4, del d.l. n. 201 del 2011 ha abrogato il termine stabilito per l’emanazione della normativa di attuazione, con la conseguenza che l’accantonamento sarebbe immediatamente ed illimitatamente operativo.
La ricorrente evidenzia che, a differenza delle altre Regioni a statuto speciale, essa non sarebbe destinataria di una quota di compartecipazione al gettito tributario ma dello stesso nella sua interezza e non sarebbe, pertanto, giustificabile alcuna ritenuta da parte dello Stato. Il meccanismo posto in essere sarebbe illegittimo e lesivo delle prerogative statutarie, perché, oltre a sottrarre risorse di spettanza della Regione, non assicurerebbe il rispetto delle procedure previste dall’art. 27 della legge n. 42 del 2009, tendenti a garantire modalità applicative di meccanismi di concorso alla finanza pubblica rispettose delle autonomie speciali.
La ricorrente lamenta, altresì, la lesione del principio di leale collaborazione di cui all’art. 120 Cost., il cui rispetto si renderebbe necessario per la tutela della particolare autonomia finanziaria regionale anche nell’ambito del coordinamento della finanza pubblica.
Sarebbe, infatti, lesiva delle attribuzioni della Regione siciliana la prescrizione contenuta nella nota impugnata che, senza prevedere la partecipazione della stessa al procedimento, ordinerebbe all’Agenzia delle entrate – Ufficio struttura di gestione di trattenere l’importo di euro 335.012.609,15, di spettanza regionale a norma dell’art. 36 dello statuto. L’intervento dello Stato, attuato secondo le modalità specificate nella nota impugnata, arrecherebbe un profondo vulnus al bilancio regionale.
Costituitosi in giudizio, il Presidente del Consiglio dei ministri ha eccepito che la nota impugnata sarebbe meramente esplicativa di precedenti misure legislative già impugnate dalla ricorrente davanti alla Corte costituzionale e non sarebbe di per sé lesiva di prerogative regionali, in quanto tale lesione potrebbe al più derivare dai provvedimenti legislativi preesistenti di cui essa, peraltro, non costituirebbe neppure attuazione, avendo un mero contenuto informativo.
2.– Il conflitto di attribuzione sollevato dalla Regione siciliana è fondato solo per la parte in cui la nota dispone gli accantonamenti conseguenti all’applicazione dell’art. 35, comma 4, del d.l. n. 1 del 2012.
Infatti, con la sentenza n. 65 del 2015 questa Corte ha dichiarato l’illegittimità costituzionale della citata disposizione, facendo venir meno in parte qua il fondamento legislativo della nota impugnata. Quest’ultima risulta, pertanto, autonomamente e direttamente lesiva delle attribuzioni costituzionali della Regione siciliana nel disporre, in violazione degli artt. 36, primo comma, dello statuto siciliano e 2, primo comma, del d.P.R. n. 1074 del 1965, gli accantonamenti afferenti alle entrate di spettanza regionale previste dal richiamato art. 35, comma 4, del d.l. n. 1 del 2012.
3.– Il ricorso per conflitto di attribuzione è invece inammissibile per gli altri profili di censura.
La nota ministeriale, infatti, costituisce atto meramente esecutivo delle vigenti disposizioni richiamate, provvedendo agli accantonamenti ivi previsti e limitandosi a definire «i termini concreti» della previsione normativa (sentenza n. 77 del 2016).
Nel caso in esame, come già specificato, la Regione siciliana ha previamente impugnato con separati ricorsi – ad esclusione dell’art. 4, comma 11, del d.l. n. 16 del 2012 di cui si dirà in prosieguo – le norme a monte della nota oggetto del conflitto di attribuzione. Tutti i ricorsi sono stati decisi da questa Corte in senso negativo per la Regione siciliana, fatta salva la fattispecie scrutinata dalla sentenza n. 65 del 2015 precedentemente esaminata.
3.1.– In particolare, le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 13 del d.l. n. 201 del 2011 sono state decise con la sentenza n. 155 del 2015 nel senso dell’inammissibilità e comunque gli accantonamenti disposti dalla nota ai sensi del comma 17 del citato articolo non riguardano la Regione siciliana ma solo le Regioni autonome Friuli-Venezia Giulia e Valle d’Aosta, nonché le Province autonome di Trento e di Bolzano.
3.2.– Analoghe considerazioni vanno svolte con riguardo all’attuazione dell’art. 28, comma 3, del d.l. n. 201 del 2011, in relazione al quale questa Corte, con la sentenza n. 82 del 2015, ha dichiarato non fondate le questioni di legittimità costituzionale proposte dalla Regione siciliana. Infatti, «[u]na volta riconosciute infondate le censure di illegittimità costituzionale rivolte alla [norma presupposta] non può riconoscersi alcuna consistenza autonoma alle censure mosse [all’atto ministeriale il quale] non fa che dettare le modalità applicative dell[a] predett[a] norm[a] legislativ[a]» (sentenza n. 138 del 1999).
Ne consegue anche in questo caso l’inammissibilità delle censure per la parte della nota che dà esecuzione alla citata disposizione.
3.3.– Con riferimento all’art. 4, comma 11, del d.l. n. 16 del 2012, anch’esso attuato attraverso la nota oggetto del conflitto, è da sottolineare come lo stesso non sia stato impugnato con il ricorso iscritto al reg. ric. n. 101 del 2012, con cui la Regione siciliana ha censurato, invece, i commi 2 e 10 del medesimo articolo.
È costante orientamento di questa Corte che siano da ritenere inammissibili i conflitti di attribuzione tra enti proposti contro atti consequenziali, di natura confermativa, riproduttiva, esplicativa, esecutiva di atti anteriori non impugnati. In questi casi «viene, infatti, a determinarsi la decadenza dall’esercizio dell’azione, dal momento che non può essere consentita, attraverso l’impugnazione dell’atto meramente consequenziale della norma non impugnata, la contestazione di quest’ultima, in ordine alla quale è già inutilmente spirato il termine fissato dalla legge (sentenze n. 207 del 2012 e n. 369 del 2010)» (sentenza n. 144 del 2013).
Anche con riguardo alle disposizioni attuative dell’art. 4, comma 11, del d.l. n. 16 del 2012 il ricorso è, pertanto, inammissibile.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
1) dichiara che non spettava allo Stato e per esso al Ministero dell’economia e delle finanze – Dipartimento della Ragioneria generale dello Stato – Ispettorato generale per la finanza delle pubbliche amministrazioni emanare la nota del 23 luglio 2012, n. 0052547 (Accantonamento ex art. 13, comma 17, e art. 28, comma 3, del decreto legge 6 dicembre 2011, n. 201, e art. 35, comma 4, del decreto legge 24 gennaio 2012, n. 1 e art. 4, comma 11, del decreto legge 2 marzo 2012, n. 16), nella parte in cui detta disposizioni attuative degli accantonamenti relativi alla Regione siciliana [in esecuzione dell’art. 35, comma 4, del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201 (Disposizioni urgenti per la crescita, l’equità e il consolidamento dei conti pubblici), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 22 dicembre 2011, n. 214; [rectius: in esecuzione dell’art. 35, comma 4, del decreto-legge 24 gennaio 2012, n. 1 (Disposizioni urgenti per la concorrenza, lo sviluppo delle infrastrutture e la competitività), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 24 marzo 2012, n. 27: cfr. ord. n. 198 del 2016].
2) annulla per l’effetto, in parte qua, la nota indicata al punto che precede;
3) dichiara inammissibile il conflitto di attribuzione proposto con il ricorso indicato in epigrafe dalla Regione siciliana nei confronti del Presidente del Consiglio dei ministri, in relazione alla medesima nota del Ministero dell’economia e delle finanze – Dipartimento della Ragioneria generale dello Stato – Ispettorato generale per la finanza delle pubbliche amministrazioni, nella parte in cui attua gli artt. 13, comma 17, e 28, comma 3, del d.l. n. 201 del 2011 e l’art. 4, comma 11, del decreto-legge 2 marzo 2012, n. 16 (Disposizioni urgenti in materia di semplificazioni tributarie, di efficientamento e potenziamento delle procedure di accertamento), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 26 aprile 2012, n. 44.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 22 marzo 2016.
F.to:
Paolo GROSSI, Presidente
Aldo CAROSI, Redattore
Roberto MILANA, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 12 maggio 2016.