Sentenza n. 204 del 2012

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SENTENZA N. 204

ANNO 2012

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

-           Alfonso                       QUARANTA                                   Presidente

-           Franco                         GALLO                                              Giudice

-           Luigi                            MAZZELLA                                           ”

-           Gaetano                       SILVESTRI                                            ”

-           Sabino                         CASSESE                                               ”

-           Giuseppe                     TESAURO                                              ”

-           Paolo Maria                 NAPOLITANO                                      ”

-           Giuseppe                     FRIGO                                                    ”

-           Alessandro                  CRISCUOLO                                         ”

-           Paolo                           GROSSI                                                  ”

-           Giorgio                        LATTANZI                                             ”

-           Aldo                            CAROSI                                                  ”

-           Marta                           CARTABIA                                            ”

-           Sergio                          MATTARELLA                                      ”

-           Mario Rosario              MORELLI                                               ”

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’articolo 304, comma 2, del codice di procedura penale promosso dal Tribunale di Brescia, sezione riesame, nel procedimento penale a carico di A.A. ed altri con ordinanza depositata il 24 novembre 2011, iscritta al n. 4 del registro ordinanze 2012 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 5, prima serie speciale, dell’anno 2012.

Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 23 maggio 2012 il Giudice relatore Giorgio Lattanzi.

Ritenuto in fatto

1.– Con ordinanza depositata il 24 novembre 2011 (r.o. n. 4 del 2012), il Tribunale di Brescia, sezione riesame, ha sollevato questione di legittimità costituzionale, in riferimento agli articoli 3 e 13, quinto comma, della Costituzione, dell’articolo 304, comma 2, del codice di procedura penale «nella parte in cui consente di definire “particolarmente complesso” il dibattimento in cui sia stata disposta una perizia (nella specie la perizia di trascrizione delle intercettazioni telefoniche) che avrebbe potuto o dovuto essere espletata nelle fasi anteriori al dibattimento stesso».

Il rimettente premette di procedere in sede di rinvio in seguito all’annullamento deciso dalla Corte di cassazione, con sentenza del 7 aprile 2011 (depositata il 7 luglio 2011), dell’ordinanza in data 9-11 novembre 2010 dello stesso tribunale in sede di appello. In tale sentenza la Corte di cassazione ha ribadito il principio secondo cui la scelta del momento in cui disporre la perizia può dipendere dai più vari accadimenti processuali, senza che il codice di rito autorizzi la deduzione di conseguenze particolari dalla circostanza che la trascrizione delle intercettazioni sia stata eventualmente disposta nel dibattimento, invece che nelle indagini o  nell’udienza preliminare, e, dopo aver rilevato che l’ordinanza impugnata era incorsa in violazione di legge, avendo ritenuto irregolare la scelta del pubblico ministero di procedere alla trascrizione in sede dibattimentale, ne ha statuito l’annullamento con rinvio al tribunale per un nuovo esame.

Riferisce ancora il rimettente che l’ordinanza del 9 novembre 2010 aveva confermato l’ordinanza del 14 ottobre 2010 con la quale, nei confronti di vari imputati in stato di custodia cautelare in carcere per fatti di detenzione e di spaccio di sostanze stupefacenti, il Tribunale, di fronte al quale era in corso il dibattimento, aveva rigettato la richiesta del pubblico ministero di sospensione dei termini di custodia cautelare ai sensi dell’art. 304, comma 2, cod. proc. pen.: secondo il Tribunale la sospensione per gli imputati ai quali era contestata la circostanza aggravante prevista dall’art. 80, comma 2, del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309 (Testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza) non era necessaria, perché i termini sarebbero scaduti nel maggio del 2011, mentre per gli altri non era applicabile, dato che i reati di cui dovevano rispondere non rientravano tra quelli indicati dall’art. 407, comma 2, lettera a), cod. proc. pen.

Investita dell’appello del pubblico ministero, la sezione riesame del Tribunale, con la già richiamata ordinanza del 9 novembre 2010, aveva confermato il provvedimento di primo grado, respingendo la domanda di sospensione dei termini di custodia cautelare: infatti, pur condividendo le osservazioni del pubblico ministero circa l’applicabilità dell’art. 304, comma 2, cod. proc. pen. a tutti i coimputati, sebbene solo ad alcuni di essi fosse stato contestato uno dei reati indicati dall’art. 407, comma 2, lettera a), cod. proc. pen., il giudice dell’appello cautelare aveva ritenuto insussistente il requisito della «particolare complessità» del dibattimento. Ricostruiti i diversi orientamenti della giurisprudenza della Corte di cassazione, il Tribunale aveva aderito a quello secondo cui la perizia di trascrizione delle intercettazioni non assume il carattere della «necessità ed inevitabilità», presupposto necessario per l’applicazione dell’art. 304, comma 2, cod. proc. pen., quando la sua esecuzione in sede dibattimentale sia stata il frutto di una scelta discrezionale del pubblico ministero, che non ha proceduto alla richiesta di trascrizione in conformità al disposto dell’art. 268 cod. proc. pen.

Pur in adesione «a quell’orientamento pacifico della Suprema Corte che legittima la trascrizione delle intercettazioni in sede dibattimentale essendo la relativa prova costituita dai supporti fonici», il giudice dell’appello cautelare aveva affermato che «il profilo della legittimità e della utilizzabilità della perizia di trascrizione in dibattimento non poteva essere confuso con il profilo delle ricadute della scelta del Pubblico Ministero sul regime cautelare dell’imputato (e, pertanto, sulla nozione di particolare complessità che condiziona la durata della custodia cautelare), a fronte di norme che, pur in assenza di sanzioni procedimentali, comunque imponevano la trascrizione nella fase antecedente il dibattimento». Questa tesi non era stata accolta dalla Corte di cassazione che aveva disposto l’annullamento con rinvio dell’ordinanza impugnata affermando il principio di diritto precedentemente indicato.

Nel giudizio di rinvio il Tribunale ha espresso l’avviso che l’interpretazione dell’art. 304, comma 2, cod. proc. pen. accolta dalla Corte di cassazione – alla quale il rimettente era tenuto a uniformarsi ai sensi dell’art. 627, comma 3, cod. proc. pen. – sollevi forti dubbi di legittimità costituzionale in relazione agli artt. 3 e 13 Cost. Indubbia sarebbe poi la rilevanza della questione in quanto «la decisione dell’impugnazione transita necessariamente dall’esegesi dell’art. 304, comma 2, cod. proc. pen. indicata dalla Suprema Corte».

Nella prospettazione del rimettente l’art. 304 cod. proc. pen., che – fermi i limiti invalicabili di durata stabiliti dal sesto comma – consente, in presenza di una delle situazioni individuate, «uno slittamento dei termini massimi di custodia» di cui all’art. 303 cod. proc. pen., costituirebbe un’eccezione. Secondo la giurisprudenza costituzionale, osserva ancora il rimettente, nella materia dei termini di durata della custodia cautelare, gli organi titolari del potere cautelare non avrebbero una possibilità di scelta del giorno di decorrenza della custodia (sentenze n. 233 del 2011 e n. 408 del 2005, relative alla disciplina di cui all’art. 297, comma 3, cod. proc. pen.) e, nel bilanciamento tra interessi meritevoli di tutela (libertà personale, da un lato, e finalità del processo e tutela della collettività, dall’altro) risiederebbe la giustificazione del temporaneo sacrificio della libertà personale ex art. 13 Cost., che impone soluzioni comportanti il minor sacrificio di tale libertà (sentenza n. 299 del 2005). Sempre nella giurisprudenza costituzionale si rintraccerebbe l’affermazione che i diritti inviolabili dell’uomo – tra i quali quello alla libertà personale – rispondono a un principio di valore fondamentale e di carattere generale, sicché «ogni limitazione o soppressione di quei diritti ha natura derogatoria e eccezionale e le relative norme vanno interpretate in modo rigorosamente restrittivo» (sentenze n. 298 del 1994 e n. 349 del 1993).

Dall’esame della giurisprudenza costituzionale il rimettente ritiene di poter enucleare alcuni punti fermi: «l’inviolabilità della libertà personale, garantita dalla riserva di legge sia per i casi in cui è ammessa la restrizione che per i relativi tempi di durata, impone un’interpretazione restrittiva delle norme limitative stante la loro natura derogatoria del diritto»; il sacrificio della libertà personale deve essere ridotto al minimo; le limitazioni della libertà personale connesse alle vicende processuali devono rispettare il principio di proporzionalità, sicché i relativi limiti vanno ragguagliati, oltre che alla pena, alla concreta dinamica processuale e alle fasi in cui questa si sviluppa; «la durata della custodia cautelare deve dipendere da fatti obiettivi, così da rispettare i canoni dell’uguaglianza e della ragionevolezza». Il rimettente aggiunge che secondo la Corte costituzionale la durata della custodia cautelare non può essere determinata da imponderabili valutazioni soggettive degli organi titolari del potere cautelare (sentenza n. 408 del 2005) e il diritto alla libertà personale (in termini di durata della custodia cautelare) non può subire deroghe o eccezioni riferite a particolari e contingenti vicende processuali (sentenza n. 299 del 2005).

In questo quadro, l’art. 304, comma 2, cod. proc. pen., ampliando i termini della custodia cautelare, introdurrebbe un’ulteriore deroga al regime di libertà personale, consentendo il prolungamento dei limiti massimi di durata della restrizione stabiliti dall’art. 303 cod. proc. pen., prolungamento subordinato alla circostanza che si proceda per i delitti normativamente indicati e al requisito della «particolare complessità» del dibattimento.

Con la sentenza di annullamento, sottolinea il rimettente, la Corte di cassazione ha ribadito il principio secondo cui l’espletamento di una perizia può integrare il requisito della particolare complessità; ha confermato che tale perizia deve avere il carattere della necessità e della inevitabilità; ha ritenuto indifferente, nella valutazione di tale requisito, «l’osservanza o meno dell’art. 268 cod. proc. pen. nella trascrizione delle intercettazioni telefoniche, così reputando irrilevante – ai fini della legittimità della sospensione dei termini di custodia – la scelta del Pubblico Ministero di richiedere la perizia di trascrizione in dibattimento ovvero nelle fasi anteriori».

L’art. 304, comma 2, cod. proc. pen., così interpretato, sarebbe in contrasto con il principio costituzionale della riserva di legge nella predeterminazione dei termini massimi di custodia cautelare (art. 13, quinto comma, Cost.), dato che la perizia di trascrizione deve essere espletata, ai sensi dell’art. 268, comma 7, cod. proc. pen., all’esito delle operazioni di intercettazione e nella fase antecedente al dibattimento (indagini preliminari o udienza preliminare) e che è consentito, a norma dell’art. 392, comma 2, cod. proc. pen., il ricorso all’incidente probatorio per le perizie di durata prevedibilmente superiore a sessanta giorni. Il sistema prevede, dunque, «l’espletamento della perizia di trascrizione o più in generale di una perizia laboriosa e di lunga durata, nella fase delle indagini preliminari (o anche in sede di udienza preliminare), anticipandone l’esecuzione in ragione della tipologia (la perizia di trascrizione inscindibilmente connessa all’attività di intercettazione propria della fase delle indagini) ovvero in ragione di una complessità inconciliabile con le esigenze di celerità del dibattimento». L’interpretazione in base alla quale le nozioni di «particolare complessità» del dibattimento e di «perizia necessaria ed inevitabile» sono ancorate a «scelte procedurali del Pubblico Ministero imprevedibili e soggettive e comunque difformi dall’impianto legislativo sopra ricostruito (come nell’ipotesi in cui la perizia di trascrizione sia richiesta in sede dibattimentale)» determinerebbe una sostanziale violazione dell’art. 13, quinto comma, Cost.; infatti «quelle scelte comportano che la prolungata durata massima della custodia cautelare (in deroga a quella di fase dell’art. 303 c.p.p.) è determinata non già alla stregua di fatti e situazioni obiettivamente rilevabili e prestabiliti per legge» – come avviene per la disciplina contenuta nel primo comma dello stesso art. 304 cod. proc. pen. – «bensì alla stregua di determinazioni imponderabili del Pubblico Ministero a seconda che decida di richiedere la perizia di trascrizione durante la fase delle indagini preliminari o nell’udienza preliminare, oppure nella successiva fase dibattimentale. E la scelta del Pubblico Ministero di richiedere la perizia in sede dibattimentale si risolve in una iniziativa a maggior ragione imprevedibile, posto che sarebbe comunque una soluzione assunta in difformità dalle norme del codice, e perciò legislativamente non disciplinata».

La circostanza che tale scelta procedimentale sia immune da sanzioni processuali di nullità o di inutilizzabilità, osserva il rimettente richiamando un costante orientamento della giurisprudenza di legittimità, «non elide il profilo di irregolarità della determinazione dell’organo dell’accusa allorché è attivata la perizia di trascrizione in una sede non propria e questa irregolarità ha una sua specifica pregnanza perché incide sul regime della libertà personale ampliandone il sacrificio in termini di durata». L’affermazione secondo cui è necessaria e inevitabile anche una perizia che avrebbe potuto o dovuto essere espletata nelle fasi antecedenti al dibattimento ed è stata, invece, differita per una libera scelta del pubblico ministero determinerebbe un’assoluta imprevedibilità dei termini massimi di fase della custodia cautelare «laddove assume quale presupposto di applicazione della norma un iter procedimentale dissonante e imprevisto rispetto al dettato legislativo»: tale difformità rimetterebbe esclusivamente all’organo titolare del potere cautelare la scelta di seguire o meno la procedura del codice di rito e di determinare eventualmente un prolungamento dei termini di durata della custodia cautelare. Questo effetto, ad avviso del rimettente, vanificherebbe il precetto costituzionale della riserva di legge, dal momento che la nozione legislativa di dibattimento particolarmente complesso di cui all’art. 304, comma 2, cod. proc. pen. sarebbe interpretata in termini tali da attribuire al pubblico ministero la libertà di prolungare o meno la durata della custodia cautelare in assenza di situazioni oggettive legislativamente indicate ed anzi adottando «procedure normativamente dissonanti». Diversamente, «una delimitazione della nozione di particolare complessità alle sole perizie che non avrebbero potuto o dovuto essere eseguite nelle fasi anteriori al dibattimento, perché la relativa esigenza è consequenziale all’istruttoria dibattimentale e non vi era alcun obbligo normativo in senso opposto (perizie necessarie e inevitabili)», determinerebbe un sostanziale rispetto della norma costituzionale, restringendo l’ambito applicativo dell’art. 304, comma 2, cod. proc. pen. alle sole situazioni in linea con il sistema delle norme di rito e a quelle ipotesi in cui l’urgenza della perizia è conseguente allo sviluppo dell’istruttoria dibattimentale; in tali casi il prolungamento dei termini di custodia cautelare si giustificherebbe esclusivamente in relazione ad accadimenti e sviluppi dibattimentali imprevisti, restringendo l’ambito applicativo della disposizione in questione, così da rispettare l’esigenza del minimo sacrificio della libertà personale.

Osserva ancora il rimettente che l’interpretazione dell’art. 304, comma 2, cod. proc. pen. accolta dalla Corte di cassazione sarebbe in contrasto con il principio di uguaglianza in quanto la durata della custodia cautelare nella fase dibattimentale sarebbe condizionata dalla «solerzia o meno del Pubblico Ministero nella richiesta di perizia di trascrizione»: la soluzione accolta dalla Corte di cassazione «tratteggia una disciplina normativa irragionevole allorché contempla termini di fase differenti in assenza di situazioni obiettive che giustifichino tale differenziazione», poiché la maggior ampiezza dei termini di custodia cautelare rispetto a quelli previsti dall’art. 303 cod. proc. pen. «è conseguenza esclusiva di un imponderabile atteggiamento del Pubblico Ministero, derivandone una disciplina diseguale per identiche situazioni».

2.– È intervenuto nel giudizio di legittimità costituzionale il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, e ha chiesto che la questione sia dichiarata inammissibile o comunque non fondata.

Nel costituirsi l’Avvocatura generale dello Stato ha eccepito l’inammissibilità della questione per difetto di rilevanza, perché il giudice avrebbe potuto dichiarare la «non particolare complessità del giudizio» con altra motivazione e ponendo alla base di essa elementi diversi:  il vincolo imposto dall’art. 627 cod. proc. pen. infatti non precluderebbe al giudice di rinvio la possibilità di confermare con altra motivazione la precedente valutazione circa la non complessità del dibattimento.

Nel merito, osserva l’Avvocatura dello Stato, la particolare complessità del giudizio deriverebbe da ragioni oggettive collegate al contenuto della perizia e delle intercettazioni, dalla varietà delle lingue utilizzate e non da fattori soggettivi quali la valutazione discrezionale del pubblico ministero sul momento processuale in cui chiedere la trascrizione: «in caso di perizia oggettivamente complessa, anche se il P.M. la anticipasse all’udienza preliminare nulla cambierebbe circa la complessità delle operazioni peritali ed il tempo necessario ad espletarla, incidendo comunque sul decorrere del termine di fase della custodia cautelare in corso».

Considerato in diritto

1.– Il Tribunale di Brescia, sezione riesame, dubita della legittimità costituzionale dell’articolo 304, comma 2, del codice di procedura penale, nella parte in cui – secondo l’interpretazione della Corte di cassazione, vincolante per il giudice rimettente ex art. 627, comma 3, cod. proc. pen. – «consente di definire “particolarmente complesso” il dibattimento in cui sia stata disposta una perizia (nella specie la perizia di trascrizione delle intercettazioni telefoniche) che avrebbe potuto o dovuto essere espletata nelle fasi anteriori al dibattimento stesso». Ad avviso del giudice rimettente, la norma censurata sarebbe in contrasto con il principio della riserva di legge nella predeterminazione dei termini di durata massima della custodia cautelare, perché la sospensione di tali termini sarebbe disposta «non già alla stregua di fatti e situazioni obiettivamente rilevabili e prestabiliti per legge», ma sulla base di scelte del pubblico ministero relative al momento in cui richiedere la perizia (in particolare, quella per la trascrizione delle registrazioni) imponderabili e imprevedibili, in quanto difformi dal sistema legislativo che prevede «l’espletamento della perizia di trascrizione, o più in generale di una perizia laboriosa e di lunga durata, nella fase delle indagini preliminari (o anche in sede di udienza preliminare)».

La norma censurata, inoltre, violerebbe il principio di uguaglianza, perché la durata della custodia cautelare nella fase dibattimentale sarebbe condizionata dalla «solerzia o meno del Pubblico Ministero nella richiesta di perizia di trascrizione» e verrebbe ad essere differenziata «in assenza di situazioni obiettive che giustifichino tale differenziazione», così derivandone «una disciplina diseguale per identiche situazioni».

2.– L’eccezione di inammissibilità proposta dall’Avvocatura generale dello Stato non è fondata.

Secondo l’Avvocatura il giudice rimettente aveva la possibilità, in sede di rinvio, di «confermare con altra motivazione la precedente valutazione circa la non complessità del dibattimento», e per questa ragione la questione sarebbe priva di rilevanza. È vero però che se la decisione della Corte di cassazione non impediva di ritenere che la trascrizione delle intercettazioni avrebbe potuto essere effettuata in un tempo minore, e dunque in ogni caso non era tale da determinare una particolare complessità del dibattimento, è anche vero che il giudice di rinvio non è stato di questo parere e ha ribadito che «la laboriosità della perizia per mole di conversazioni e connotati dei fonemi» comportava necessariamente un rilevante prolungamento del dibattimento e ha dato così adeguatamente ragione della rilevanza della questione sollevata.

Perciò la prospettazione da parte dell’Avvocatura dello Stato, in via del tutto ipotetica, di altri possibili motivi che il rimettente avrebbe potuto porre a base della decisione sulla “non particolare complessità del dibattimento” non inficia il rilievo del giudice a quo secondo cui «la decisione dell’impugnazione transita necessariamente dall’esegesi dell’art. 304 c. 2 c.p.p., indicata dalla Suprema Corte». Il rimettente deve pronunciarsi in sede di appello cautelare in seguito all’annullamento disposto dalla Corte di cassazione, che ha statuito un principio di diritto per lui vincolante, a norma dell’art. 627, comma 3, cod. proc. pen.: egli pertanto deve applicare l’art. 304, comma 2, cod. proc. pen., nell’interpretazione accolta dalla sentenza della Corte di cassazione e sulla quale si incentra il dubbio di legittimità costituzionale.

Deve aggiungersi che, «per costante giurisprudenza di questa Corte, il giudice del rinvio è legittimato a sollevare dubbi di costituzionalità concernenti l’interpretazione della norma, quale risultante dal principio di diritto enunciato dalla Corte di cassazione: e ciò in quanto – essendo vincolato al rispetto di tale principio – egli non ha altro mezzo per contestare la regula iuris di cui è chiamato a fare applicazione che quello di sollevare l’incidente di costituzionalità» (ordinanza n. 133 del 2009).

3.– Nel merito, la questione non è fondata.

4.– L’ordinanza di rimessione si muove su due piani: quello della trascrizione delle intercettazioni, prevista dall’art. 268, comma 7, cod. proc. pen., e quello della perizia di lunga durata, che a norma dell’art. 392, comma 2, cod. proc. pen. può essere espletata nel corso delle indagini preliminari, con l’incidente probatorio. L’apparente ambiguità è sciolta con l’assorbimento della questione relativa alla trascrizione in quella più generale relativa alla perizia, come, oltre che dalla motivazione, emerge in modo chiaro dal dispositivo, dato che è stata sollevata «la questione di legittimità costituzionale dell’art. 304 c. 2 c.p.p. nella parte in cui consente di definire particolarmente complesso il dibattimento in cui sia stata disposta una perizia (nella specie la perizia di trascrizione delle intercettazioni telefoniche) che avrebbe potuto o dovuto essere espletata nelle fasi anteriori al dibattimento». «In altre parole» – precisa la motivazione – «l’affermazione secondo cui è necessaria e inevitabile anche una perizia che avrebbe potuto o dovuto essere espletata nelle fasi antecedenti al dibattimento ed è stata, invece, differita a quest’ultima fase per una scelta libera del Pubblico Ministero, determina un’assoluta imprevedibilità dei termini massimi di fase della custodia cautelare laddove assume quale presupposto di applicazione della norma un iter procedimentale dissonante e imprevisto rispetto al dettato legislativo; e questa peculiare difformità rimette esclusivamente alla scelta dell’organo titolare del potere cautelare di seguire o meno la procedura del codice di rito e – giocoforza – di determinare un prolungamento dei termini ex art. 303 c.p.p.».

5.– Nell’ambito della disciplina dei termini della custodia cautelare l’art. 304 cod. proc. pen. prevede due ipotesi di sospensione: quella del primo comma «consegue pressoché di diritto al verificarsi degli eventi da esso indicati e senza che venga richiesta alcuna iniziativa del pubblico ministero», sicché il relativo provvedimento assume «i connotati dell’atto vincolato in presenza delle condizioni richieste dalla legge»; quella del secondo comma, invece, «deriva da situazioni oggettive che devono essere verificate da parte del giudice (particolare complessità del dibattimento)», e il relativo provvedimento deve essere ascritto alla «categoria di quelli a discrezionalità vincolata» (sentenza n. 238 del 1997).

La questione di legittimità costituzionale si riferisce al secondo comma, nel presupposto che l’esecuzione nel dibattimento di una perizia che si sarebbe potuta svolgere nel corso delle indagini preliminari dipenda da scelte del pubblico ministero che non potrebbero giustificare la sospensione dei termini di custodia cautelare prevista dall’art. 304, comma 2, cod. proc. pen. Infatti, secondo il giudice rimettente, «la prolungata durata massima della custodia cautelare (in deroga a quella di fase dell’art. 303 c.p.p.) è determinata non già alla stregua di fatti e situazioni obiettivamente rilevabili e prestabiliti dalla legge» – come avviene nei casi previsti dal comma 1 dell’art. 304 cod. proc. pen. – «bensì alla stregua di determinazioni imponderabili del Pubblico Ministero a seconda che decida di richiedere la perizia di trascrizione durante la fase delle indagini preliminari o nell’udienza preliminare, oppure nella successiva fase dibattimentale».

Questa impostazione però non considera che, secondo il codice di rito, la perizia è un mezzo di prova che, in presenza dei presupposti di legge, è disposto dal giudice su richiesta delle parti o anche d’ufficio e che nel corso delle indagini preliminari entrambe le parti hanno la facoltà di chiedere una perizia che, se fosse eseguita nel dibattimento, ne potrebbe determinare una sospensione superiore a sessanta giorni (art. 392, comma 2, cod. proc. pen.). Perciò non si può configurare a carico del solo pubblico ministero l’onere di richiedere nella fase delle indagini preliminari una perizia per evitare un eventuale prolungamento del dibattimento.

Le ragioni per riservare al dibattimento la valutazione sull’opportunità di una perizia possono essere diverse e non può non rilevarsi che, come ha sottolineato questa Corte, «il giudice, senza necessità di disporre perizia, può legittimamente desumere elementi di prova dall’esame dei consulenti tecnici dei quali le parti si siano avvalse» (sentenza n. 33 del 1999), e che quando è stata fatta una consulenza tecnica è possibile che solo nel dibattimento questa si riveli insufficiente.

È chiaro dunque che non può formare oggetto di addebito al pubblico ministero il mancato svolgimento nel corso delle indagini di una perizia che poi si è svolta nel dibattimento, e tanto meno può ritenersi che un fatto del genere sia in ogni caso ingiustificato.

In realtà la «concreta dinamica del processo» (sentenza n. 299 del 2005), in rapporto con le iniziative probatorie delle parti, può essere fonte di effetti diversi, e rispetto a questi non può non essere affidato alla «discrezionalità vincolata» del giudice (sentenza n. 238 del 1997) l’apprezzamento della “particolare complessità del dibattimento”, alla quale l’art. 304, comma 2, cod. proc. pen. collega la sospensione della custodia cautelare. Insomma, l’eventuale iniziativa del pubblico ministero relativa a una perizia rientra nella fisiologia delle dinamiche probatorie, così come rientra nella fisiologia processuale la possibilità di definire, ai sensi della norma censurata, “particolarmente complesso” il dibattimento, quando si debba eseguire una perizia che presenti particolari caratteristiche di difficoltà e durata. Da questo punto di vista la censura in termini di «imprevedibilità» e di «imponderabilità» delle scelte del pubblico ministero relative all’espletamento della perizia, che nella prospettiva del rimettente sta alla base dell’asserita violazione dell’art. 13, quinto comma, Cost. e del principio di uguaglianza, è priva di fondamento perché non tiene conto del carattere “fisiologico” delle diverse determinazioni che il pubblico ministero può essere di volta in volta chiamato ad adottare nell’ambito delle dinamiche probatorie del processo.

Considerazioni non dissimili possono farsi anche per quanto più specificamente concerne la trascrizione delle intercettazioni.

Innanzi tutto si deve osservare che né nella fase delle indagini, né in quella del dibattimento occorre una richiesta di trascrizione da parte del pubblico ministero: l’art. 268, comma 7, cod. proc. pen. prevede infatti che sia il giudice a disporre  direttamente «la trascrizione integrale delle registrazioni», e la stessa regola dovrebbe valere anche nel dibattimento, quando nella fase delle indagini non si è svolta la selezione delle intercettazioni prevista dall’art. 268, comma 3, cod. proc. pen. Sono perciò prive di base giuridica le considerazioni del giudice rimettente sulla «solerzia (…) del Pubblico Ministero nella richiesta di perizia di trascrizione», dato che la richiesta non è prevista. Nella prospettiva del giudice rimettente potrebbe piuttosto farsi riferimento a un’eventuale mancanza di impulso, da parte del pubblico ministero, al procedimento di selezione delle intercettazioni, previsto dall’art. 268, comma 3, cod. proc. pen., al quale, su disposizione del giudice, consegua la trascrizione, ma la questione allora sarebbe diversa.

È da aggiungere che secondo un orientamento della giurisprudenza di legittimità, come ha ricordato questa Corte, «la trascrizione (anche quella peritale) non costituisce la prova diretta di una conversazione, ma va considerata solo come un’operazione rappresentativa in forma grafica del contenuto di prove acquisite mediante la registrazione fonica» (sentenza n. 336 del 2008).  Inoltre, va osservato, da un lato, che l’espletamento nel dibattimento di una perizia di lunga durata o della trascrizione di intercettazioni non comporta necessariamente un prolungamento della fase dibattimentale, perché è ben possibile che l’attività del perito si svolga contemporaneamente all’assunzione delle prove, e, dall’altro, che la trascrizione delle intercettazioni nel corso delle indagini potrebbe prolungare la custodia cautelare in tale fase, quando il deposito degli atti delle intercettazioni è ritardato fino al momento della chiusura delle indagini (art. 268, comma 5, cod. proc. pen.). Infatti, se dopo si desse corso al procedimento per la selezione delle intercettazioni e per la loro trascrizione si potrebbe determinare un’inutile prosecuzione della fase, con il correlativo mantenimento della custodia cautelare.

Inoltre, un rinvio della trascrizione delle intercettazioni a dopo la chiusura delle indagini preliminari potrebbe essere dettato anche da ragioni di economia processuale nella fondata previsione che il procedimento potrà essere definito nell’udienza preliminare con un patteggiamento o con un giudizio abbreviato.

6.– A sostegno delle censure formulate nei confronti dell’art. 304, comma 2, cod. proc. pen., il rimettente ha richiamato anche la sentenza n. 408 del 2005 di questa Corte, in tema di “contestazioni a catena”, effettuando, nell’ambito della sospensione dei termini della custodia cautelare, una trasposizione dell’affermazione, contenuta in tale sentenza, volta ad evitare ricadute negative sulla durata della custodia cautelare della «imponderabile valutazione soggettiva degli organi titolari del “potere cautelare”».

La trasposizione non ha fondamento.

Gli istituti della retrodatazione, in presenza di “contestazioni a catena”, e della sospensione della custodia cautelare sono radicalmente diversi: il primo tende ad evitare che, rispetto a una custodia cautelare in corso, intervenga un nuovo titolo che, senza adeguata giustificazione, determini di fatto uno spostamento in avanti del termine iniziale della misura, mentre il secondo, nell’ambito del titolo originario e dei relativi termini, prevede casi di sospensione, pur essi limitati nel tempo, e giustificati da particolari situazioni processuali.

L’introduzione di «parametri certi e predeterminati» nella disciplina delle “contestazioni a catena” risponde all’esigenza di «configurare limiti obiettivi e ineludibili alla durata dei provvedimenti che incidono sulla libertà personale» (sentenza n. 89 del 1996), in assenza dei quali si potrebbe «espandere la restrizione complessiva della libertà personale dell’imputato, tramite il “cumulo materiale” – totale o parziale – dei periodi custodiali afferenti a ciascun reato» (sentenza n. 233 del 2011). La disciplina delle “contestazioni a catena”, dunque, si caratterizza per una rigidità indispensabile a scongiurare il rischio di un’espansione, potenzialmente indefinita, della restrizione complessiva della libertà personale, ed è in nome di questa rigidità che la disciplina delle “contestazioni a catena” non tollera alcuna «imponderabile valutazione soggettiva degli organi titolari del “potere cautelare”».

La stessa rigidità non caratterizza anche la disciplina della sospensione dei termini di durata massima, incentrata, per quel che qui rileva, su un provvedimento che attribuisce al giudice l’apprezzamento – “a discrezionalità vincolata” – della “particolare complessità del dibattimento”.

La circostanza che la “particolare complessità del dibattimento” possa essere condizionata dalla «concreta dinamica del processo» e che questa, a sua volta, si ricolleghi alle iniziative probatorie delle parti – e segnatamente, per quanto qui rileva, a quelle del pubblico ministero concernenti una perizia – non determina alcun vulnus costituzionale in un sistema che è caratterizzato, tra l’altro, dalla previsione dei «termini finali complessivi, in funzione di limite massimo insuperabile (c.d. massimo dei massimi) anche ove si verifichino ipotesi di sospensione, proroga o neutralizzazione del decorso dei termini di custodia cautelare» (sentenza n. 299 del 2005).

Le determinazioni del pubblico ministero sono sottoposte a un duplice vaglio del giudice (il primo, sulla ammissione della perizia; il secondo, sulla “particolare complessità del dibattimento”) e rispetto ad esse la disciplina della durata massima della custodia cautelare reagisce non già “sterilizzandone” l’incidenza sulla durata della custodia, ma assicurando una regolamentazione, per riprendere ancora le espressioni della sentenza n. 299 del 2005, che copre «l’intera durata del procedimento» e garantisce «un ragionevole limite di durata della custodia»: è, dunque, questa articolata regolamentazione dei termini che, per un verso, assicura al sistema processuale la compatibilità del ruolo del pubblico ministero nella «concreta dinamica del processo» – e, segnatamente, in quella probatoria – con l’osservanza della riserva di legge nella predeterminazione dei termini di durata massima e, per altro verso, esclude che il concreto dispiegarsi della dinamica processuale possa determinare disparità di trattamento lesive del principio di uguaglianza.

Un’articolata disciplina dei termini di durata, che preveda «termini finali complessivi, in funzione di limite massimo insuperabile (c.d. massimo dei massimi)», e copra «l’intera durata del procedimento», garantendo «un ragionevole limite di durata della custodia», da un lato, e l’attribuzione al giudice di una «discrezionalità vincolata» nella valutazione della sussistenza dei presupposti per la sospensione ex art. 304, comma 2, cod. proc. pen., dall’altro, fanno escludere che le iniziative del pubblico ministero circa l’espletamento della perizia, in grado di influire sulla «concreta dinamica del processo», possano entrare in contrasto con i parametri costituzionali evocati dal rimettente.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’articolo 304, comma 2, del codice di procedura penale, sollevata, in riferimento agli articoli 3 e 13, quinto comma, della Costituzione, dal Tribunale di Brescia, sezione riesame, con l’ordinanza indicata in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 17 luglio 2012.

F.to:

Alfonso QUARANTA, Presidente

Giorgio LATTANZI, Redattore

Gabriella MELATTI, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 20 luglio 2012.