Sentenza n. 33/99

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SENTENZA N. 33

ANNO 1999

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

- Dott.   Renato GRANATA, Presidente

- Prof.    Giuliano VASSALLI

- Prof.    Francesco GUIZZI   

- Prof.    Cesare MIRABELLI

- Avv.    Massimo VARI         

- Dott.   Cesare RUPERTO    

- Dott.   Riccardo CHIEPPA  

- Prof.    Valerio ONIDA        

- Prof.    Carlo MEZZANOTTE         

- Avv.    Fernanda CONTRI

- Prof.    Guido NEPPI MODONA    

- Prof.    Annibale MARINI    

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 4, comma 2, prima parte, della legge 30 luglio 1990, n. 217 (Istituzione del patrocinio a spese dello Stato per i non abbienti), promosso con ordinanza emessa il 28 maggio 1997 dal Tribunale di Saluzzo, iscritta al n. 737 del registro ordinanze 1997 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 44, prima serie speciale, dell'anno 1997.

Udito nella camera di consiglio del 6 maggio 1998 il Giudice relatore Carlo Mezzanotte.

Ritenuto in fatto

Il Tribunale di Saluzzo, chiamato a provvedere sulla richiesta di liquidazione avanzata dal consulente tecnico nominato da un imputato ammesso al patrocinio a spese dello Stato in relazione ad un procedimento per i reati di cui all'articolo 2621 del codice civile e agli articoli 224, 217 e 223 della legge fallimentare, nel corso del quale non era stata disposta perizia da parte del giudice, con ordinanza in data 28 maggio 1997 ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 24, secondo e terzo comma, della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell'art. 4, comma, 2, della legge 30 luglio 1990, n. 217 (Istituzione del patrocinio a spese dello Stato per i non abbienti), nella parte in cui, per i consulenti tecnici di parte, limita la facoltà per l'imputato di godere degli effetti del beneficio del gratuito patrocinio (recte: patrocinio a spese dello Stato) ai soli casi in cui é disposta perizia.

Dopo aver ricordato il ruolo della consulenza tecnica extraperitale (art. 233 cod. proc. pen.) nel processo penale di tipo accusatorio, nel quale é positivamente prevista (art. 38 disp. att.) la possibilità per i difensori di avvalersi, al fine di esercitare il diritto alla prova, dell'opera di consulenti tecnici, e dopo aver sottolineato come, secondo la giurisprudenza di legittimità, dalle dichiarazioni dei consulenti tecnici, equiparati ai testimoni, il giudice possa trarre elementi di prova, il tribunale remittente rileva che, nel vigente sistema processuale di parti, la difesa tecnica assumerebbe un ruolo centrale, meritevole di garanzia non meno della tradizionale difesa esercitata dall'avvocato. Del resto, già in relazione al previgente ordinamento processuale, osserva il giudice a quo, questa Corte aveva affermato che il consulente tecnico doveva ritenersi parte integrante dell'ufficio di difesa dell'imputato, nel cui interesse presta la propria opera di apporto tecnico mediante argomenti, rilievi ed osservazioni che hanno sostanzialmente natura di atti defensionali (sentenza n. 199 del 1974).

Pertanto, ad avviso del remittente, l'art. 4, comma 2, prima parte, della legge n. 217 del 1990, ponendo l'imputato nella impossibilità di godere dei benefici del patrocinio a spese dello Stato allorquando, per esercitare il proprio diritto alla prova e alla difesa tecnica, ritenesse necessario avvalersi di un consulente tecnico ex art. 233 del codice di procedura penale nei casi in cui non sia stata disposta perizia, si porrebbe in evidente contrasto con l'art. 24, secondo e terzo comma, della Costituzione.

La medesima disposizione, secondo il giudice a quo, sarebbe lesiva anche del principio di eguaglianza formale, per l'ingiustificata disparità di trattamento tra l'imputato ammesso al patrocinio a spese dello Stato che si sia avvalso di un consulente tecnico in costanza di perizia e l'imputato, anch'egli ammesso al patrocinio a spese dello Stato, che invece non può ricorrere a tale ausilio difensivo, se non a proprie spese, quando la perizia non sia stata disposta.

L'art. 4, comma 2, prima parte, contrasterebbe, infine, con il principio di eguaglianza sostanziale: il fatto che venga disposta dal giudice una perizia, sulla base di una valutazione discrezionale senza che le parti possano in qualche modo interferire in tale decisione, assurgerebbe, infatti, ad irragionevole ed arbitrario discrimine per il riconoscimento o meno all'imputato del beneficio in questione.

Quanto alla rilevanza della questione, il giudice a quo osserva che l'istanza di liquidazione presentata dal consulente tecnico, in base alla disposizione censurata, dovrebbe essere respinta, pur se il ricorso dell'imputato all'opera di un consulente non possa ritenersi superfluo in considerazione della intrinseca complessità delle imputazioni contestategli.

Considerato in diritto

1. - Il Tribunale di Saluzzo dubita della legittimità costituzionale dell'articolo 4, comma 2, prima parte, della legge 30 luglio 1990, n. 217 (Istituzione del patrocinio a spese dello Stato per i non abbienti), il quale prevede che gli effetti dell'ammissione al patrocinio a spese dello Stato si verifichino, relativamente ai consulenti tecnici, nei soli casi in cui dal giudice venga disposta perizia. Tale limitazione contrasterebbe, ad avviso del remittente, con l'articolo 24, secondo e terzo comma, della Costituzione, poichè al cittadino non abbiente sarebbe impedito di avvalersi dell'opera di un consulente di parte per illustrare in chiave tecnica i propri argomenti difensivi all'autorità giudiziaria chiamata a giudicarlo.

La medesima disposizione violerebbe, inoltre, l'art. 3 della Costituzione, sotto un duplice profilo: in primo luogo essa comporterebbe una ingiustificata disparità di trattamento tra l'imputato ammesso al patrocinio a spese dello Stato che si avvalga di consulenza tecnica nel caso in cui sia stata disposta dal giudice una perizia e l'imputato, pure ammesso al patrocinio per i non abbienti, che, quando la perizia non sia stata disposta, non potrebbe ricorrere a tale ausilio difensivo se non a proprie spese; in secondo luogo essa comprimerebbe irragionevolmente il diritto di difesa dell'imputato subordinandolo ad una decisione discrezionale del giudice.

2. - La questione é fondata.

Non può negarsi che la facoltà dell'imputato di farsi assistere da un consulente tecnico sia espressione del diritto di difesa tutte le volte in cui l'accertamento della responsabilità penale richieda il possesso di cognizioni tecniche che, come non possono essere presunte nella persona del giudice, così possono non essere proprie del difensore. Questa Corte già nella sentenza n. 199 del 1974 ebbe a chiarire che il consulente deve essere ritenuto parte integrante dell'ufficio di difesa dell'imputato, nel cui interesse presta la propria opera mediante l'apporto di argomenti, rilievi ed osservazioni tecniche che hanno sostanzialmente natura di attività difensiva; e nella successiva sentenza n. 345 del 1987 non mancò di precisare che il divieto per le parti del processo penale di nominare più di due consulenti tecnici previsto dal codice previgente, doveva essere valutato con specifico riferimento a ciascuno degli accertamenti che fossero stati disposti dal giudice nella forma della perizia, e ciò proprio sulla premessa che l'ausilio del consulente tecnico altro non é che esercizio del diritto di difesa sicchè ogni limitazione sostanziale imposta a tale ausilio si risolve in una menomazione di quel diritto.

La stretta correlazione tra le funzioni del consulente tecnico e il diritto di difesa dell'imputato é stata affermata da questa Corte nel contesto dell'abrogato codice del 1930, che dava ingresso al consulente tecnico della parte solo in occasione di incarico peritale disposto dal giudice e negava autonomo rilievo alla figura del consulente extraperitale, considerato semplice ausilio del difensore, incapace di compiere valutazioni tecniche dotate di un intrinseco valore probatorio; le sue indicazioni si riducevano a mere sollecitazioni defensionali e non avevano la forza di penetrare nel processo se non attraverso la mediazione del giudice, a sua volta ritenuto peritus peritorum.

Nell'attuale sistema quella correlazione si é vieppiù inverata. Il codice vigente, infatti, prevede la possibilità per le parti del processo penale di nominare consulenti tecnici anche nel caso in cui non sia stata disposta alcuna perizia (art. 233). E si tratta di previsione che, essendo consentito al giudice, come riconosce la giurisprudenza di legittimità, trarre elementi di prova dall'esame dei consulenti tecnici, la cui posizione viene assimilata a quella dei testimoni, vale a qualificare in modo ancor più evidente la loro attività come aspetto essenziale dell'esercizio del diritto di difesa in relazione alle ipotesi in cui la decisione sulla responsabilità penale dell'imputato comporti lo svolgimento di indagini o l'acquisizione di dati o valutazioni che richiedono specifiche competenze tecniche, scientifiche o artistiche, secondo la formulazione dell'art. 220 del codice di procedura penale.

Il compiuto processo di assimilazione della figura del consulente tecnico extraperitale a quella del difensore si delinea in maniera ancor più nitida alla luce degli ulteriori elementi normativi, anche se in parte preesistenti, sui quali il remittente richiama l'attenzione: oltre agli artt. 380 e 381 del codice penale, che puniscono, insieme al patrocinio, la consulenza infedele, l'art. 103 del codice di procedura, che, sotto la significativa rubrica "garanzie di libertà del difensore", vieta, al comma 2, il sequestro presso il consulente di carte o documenti relativi all'oggetto della difesa e, al comma 5, l'intercettazione relativa a conversazioni dei consulenti tecnici e loro ausiliari e a quelle tra i medesimi e le persone da loro assistite, nonchè l'art. 200, comma 1, lettera b), del medesimo codice di rito, che assicura anche ai consulenti tecnici la tutela del segreto professionale. Un unitario e sistematico insieme di disposizioni conduce insomma a riconoscere che la facoltà di avvalersi di un consulente tecnico si inserisce a pieno titolo nell'area di operatività della garanzia posta dall'art. 24 della Costituzione.

3. - La legge n. 217 del 1990 garantisce ai non abbienti la prestazione del difensore, ma introduce, con l'art. 4, comma 2, una drastica limitazione: in relazione ai consulenti tecnici l'effetto della ammissione al patrocinio a spese dello Stato si verifica solo nel caso in cui il giudice abbia disposto perizia e non si estende alla ipotesi di consulenza extraperitale. Se pure l'accertamento da compiersi fosse compreso tra quelli che richiedono il possesso di particolari cognizioni tecniche e tuttavia il giudice non ritenesse di nominare un perito, l'imputato privo di mezzi non potrebbe giovarsi dell'assistenza di un consulente, neppure in circostanze estreme nelle quali essa apparisse essenziale e non meno decisiva, per l'effettività della sua difesa, dell'apporto professionale dell'avvocato.

Il diritto di difesa del non abbiente non ne risulterebbe così gravemente menomato se fosse possibile sostenere, come é stato prospettato da una dottrina valorizzando alcuni elementi testuali presenti nella disciplina processualpenalistica in tema di perizia, che nelle ipotesi in cui la decisione da assumere coinvolga nozioni nel campo della tecnica, dell'arte o delle scienze che non possono presumersi nel giudice, per esso la nomina di un perito costituisca un dovere.

In astratto una siffatta soluzione avrebbe potuto essere ritenuta non incompatibile con la dizione dell'art. 220 del codice di procedura penale, il quale usa una terminologia che non evoca potestà discrezionali ma, con formulazione quasi deontica, dispone che "la perizia é ammessa quando occorre svolgere indagini o acquisire dati o valutazioni che richiedono specifiche competenze tecniche, scientifiche o artistiche". E non v’é dubbio che se questa soluzione interpretativa fosse prevalsa nella prassi, sarebbe stato arduo imputare all'art. 4, comma 2, della legge n. 217 del 1990 una vulnerazione del diritto di difesa del non abbiente.

Ma una simile interpretazione contraddice allo spirito accusatorio del nuovo codice di procedura penale, imperniato, sia pure con i necessari temperamenti connessi al permanere di alcuni poteri officiosi, sul principio di disponibilità della prova (art. 190), sulla conseguente libertà di nomina dei consulenti tecnici anche al di fuori dei casi in cui sia stata disposta perizia (art. 233) e sul valore probatorio che viene attribuito alla consulenza di parte, come dimostra l'art. 422 del codice di procedura penale, che consente al giudice dell'udienza preliminare di ammettere l'audizione di consulenti tecnici nominati dalle parti quando si tratti di accertamenti decisivi.

I poteri del giudice in materia probatoria sono, in effetti, nel nuovo sistema processuale, suppletivi anche se non eccezionali (sentenza n. 111 del 1993) e sopravvengono solo in una fase in cui sia terminata l'assunzione delle prove richieste dalle parti (artt. 468, 493, 495) o indicate dal giudice (art. 506) e nuovi mezzi di prova appaiano "assolutamente necessari" (art. 507). E' pertanto da ritenere perfettamente compenetrato nello spirito del nuovo processo l'orientamento della Cassazione secondo cui il giudice, senza necessità di disporre perizia, può legittimamente desumere elementi di prova dall'esame dei consulenti tecnici dei quali le parti si siano avvalse.

4. - Se dunque non può essere revocato in dubbio in questa sede che la consulenza extraperitale é suscettibile di assumere pieno valore probatorio non diversamente da una testimonianza e che pertanto il giudice non é vincolato a nominare un perito qualora le conclusioni fornite dai consulenti di parte gli appaiano oggettivamente fondate, esaustive e basate su argomenti convincenti, la soluzione della presente questione di costituzionalità consegue linearmente al riconoscimento, già compiuto da questa Corte nelle sentenze sopra richiamate, che le prestazioni del consulente di parte ineriscono all'esercizio del diritto di difesa, sicchè privarne il non abbiente significa negargli il diritto di difendersi in un suo aspetto essenziale. Ove poi si consideri che, conformemente all'attuale modello accusatorio e sul fondamento dell'obbligatorietà dell'azione penale, al pubblico ministero per sostenere l'accusa é consentito avvalersi di esperti nei più svariati settori della scienza e della tecnica senza limitazione di oneri economici, nella garanzia affermata dall'art. 24, terzo comma, della Costituzione non può non ritenersi compresa una istanza di riequilibrio tra le parti del processo penale nei procedimenti nei quali siano coinvolte persone sprovviste di mezzi ed ammesse al patrocinio a spese dello Stato.

La conseguente dichiarazione di illegittimità costituzionale dell'art. 4, comma 2, prima parte, della legge n. 217 del 1990 deve essere circoscritta a quanto impone la Costituzione a tutela del diritto di difesa dei non abbienti, ai quali deve essere pertanto riconosciuta la facoltà di farsi assistere a spese dello Stato da un consulente per ogni accertamento tecnico ritenuto necessario, restando ovviamente salva la possibilità di un intervento del legislatore per una nuova disciplina della materia che comunque non incida sul nucleo essenziale del diritto garantito dall'art. 24 della Costituzione.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara l'illegittimità costituzionale dell'articolo 4, comma 2, prima parte, della legge 30 luglio 1990, n. 217 (Istituzione del patrocinio a spese dello Stato per i non abbienti) nella parte in cui, per i consulenti tecnici, limita gli effetti della ammissione al patrocinio a spese dello Stato ai casi in cui é disposta perizia.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, l’11 febbraio 1999.

Presidente Renato GRANATA

Redattore Carlo MEZZANOTTE

Depositata in cancelleria il 19 febbraio 1999