Sentenza n. 336 del 2008

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SENTENZA N. 336

ANNO 2008

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

- Giovanni Maria  FLICK                                                           Presidente

- Francesco           AMIRANTE                                                    Giudice

- Ugo                    DE SIERVO                                                         ”

- Paolo                  MADDALENA                                                    ”

- Alfio                   FINOCCHIARO                                                  ”

- Alfonso              QUARANTA                                                        ”

- Franco                GALLO                                                                 ”

- Luigi                   MAZZELLA                                                         ”

- Gaetano              SILVESTRI                                                          ”

- Maria Rita          SAULLE                                                               ”

- Giuseppe            TESAURO                                                            ”

- Paolo Maria        NAPOLITANO                                                    ”

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 268 del codice di procedura penale, promosso dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Catanzaro con ordinanza del 22 dicembre 2005, iscritta al n. 570 del registro ordinanze 2006 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 50, prima serie speciale, dell’anno 2006.

       Visto l’atto di costituzione di N.P.;

       udito nell’udienza pubblica del 23 settembre 2008 il Giudice relatore Gaetano Silvestri.

Ritenuto in fatto

1. – Il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Catanzaro, con ordinanza del 22 dicembre 2005 (pervenuta alla Corte costituzionale il 30 ottobre 2006), ha sollevato – in riferimento agli artt. 3, 24, secondo comma, e 111, secondo e terzo comma, della Costituzione – questione di legittimità costituzionale dell’art. 268 del codice di procedura penale, nella parte in cui consente di non depositare, o comunque di non mettere a disposizione dell’indagato e del suo difensore, quando ne facciano richiesta, le registrazioni di comunicazioni telefoniche poste a fondamento di una misura cautelare personale già eseguita, anche prima della procedura di deposito regolata dai commi 4 e seguenti dello stesso art. 268 cod. proc. pen.

Il giudice a quo è chiamato a valutare una istanza di revoca o sostituzione della misura della custodia cautelare in carcere disposta nei confronti di persona accusata dei delitti di associazione di tipo mafioso (art. 416-bis del codice penale) e usura (art. 644 cod. pen.).

La misura era stata applicata, alcuni mesi prima, sulla base degli elementi desunti da intercettazioni telefoniche e «ambientali», che il pubblico ministero richiedente aveva sottoposto al giudice della cautela solo per il mezzo di trascrizioni operate dalla polizia giudiziaria. La difesa dell’indagato aveva sollecitato il pubblico ministero a consentire l’ascolto e la riproduzione delle registrazioni originali, contando di dimostrare l’intervenuto travisamento della prova raccolta. Il magistrato inquirente, però, aveva respinto l’istanza, argomentando sul perdurante svolgimento delle indagini preliminari ed assumendo che il diritto difensivo di accesso alle registrazioni potrebbe esercitarsi solo dopo il deposito degli atti concernenti l’intercettazione («nella fase del subprocedimento che andrà ad instaurarsi dinanzi al giudice competente»).

La difesa dell’indagato si è dunque rivolta al giudice rimettente, con una domanda de libertate nel cui ambito assume che, nella specie, le trascrizioni di polizia utilizzate per la ricostruzione del quadro indiziario sarebbero inaffidabili, in quanto segnate da omissioni e ripetuti riferimenti a frasi incomprensibili, così da mutare il senso delle conversazioni intrattenute dall’interessato.

Per tale ragione, ed essendo la cautela fondata su prove inaccessibili per la difesa, è stata richiesta in via principale la revoca della misura in corso di esecuzione. In subordine, la difesa dell’indagato ha eccepito l’illegittimità costituzionale dell’art. 268 cod. proc. pen., per l’asserito contrasto con gli artt. 24 e 111 Cost., «nella parte in cui non prevede il diritto alla trasposizione su nastro magnetico delle registrazioni utilizzate in richiesta custodiale e nella conseguente ordinanza applicativa».

Il giudice a quo muove dalla premessa che il pubblico ministero avrebbe negato legittimamente l’accesso della difesa alle registrazioni che documentano le conversazioni intercettate. A partire dal comma 4, l’art. 268 cod. proc. pen. regola un procedimento che muove dal deposito dei verbali e delle registrazioni, e che subordina il rilascio di copie all’intervenuta celebrazione della cosiddetta udienza di stralcio, limitandolo dunque alle conversazioni indicate dalle parti e ritenute ammissibili dal giudice. La scansione dettata dalla norma, a parere del rimettente, non prevede alcuna deroga per la fase antecedente al deposito, neppure quando le conversazioni intercettate vengano utilizzate, a fini probatori, nell’ambito di un incidente cautelare.

Secondo il giudice a quo, la legge non preclude al pubblico ministero la trasmissione al giudice cautelare dei supporti magnetici o digitali che riproducono le comunicazioni intercettate. Tuttavia, secondo l’unanime orientamento della giurisprudenza, la richiesta di cautela può essere valutata ed accolta anche in base a trascrizioni informali, curate dalla polizia giudiziaria. In questi casi, la difesa resterebbe priva di accesso alle registrazioni: queste non sarebbero infatti comprese, non essendo state trasmesse al giudice, tra gli atti da depositare, a norma dell’art. 293 cod. proc. pen., immediatamente dopo l’esecuzione del provvedimento restrittivo; il deposito ai sensi dell’art. 268 cod. proc. pen., d’altra parte, può essere posticipato fino alla fine delle indagini preliminari, con ciò ritardando anche l’esercizio della facoltà difensiva di accesso agli atti ed alle registrazioni. In sostanza, al pubblico ministero sarebbe consentito di «non depositare o comunque di non mettere a disposizione dell’indagato e del suo difensore, che ne hanno fatto richiesta, le registrazioni delle conversazioni poste a base di una misura cautelare personale».

Il rimettente trova congruo, di fronte all’urgenza tipica dell’incidente cautelare ed alla perdurante segretezza delle indagini, che la legge non imponga il deposito delle intercettazioni e gli adempimenti conseguenti prima dell’uso delle risultanze a fini cautelari. Tuttavia le esigenze descritte vengono meno dopo la contestazione degli elementi indiziari acquisiti, e dunque non possono giustificare la perdurante esclusione della difesa dall’accesso alle registrazioni, specie quando venga negata la corrispondenza fra le trascrizioni redatte dalla polizia giudiziaria ed il contenuto effettivo dei colloqui intercettati.

Il giudice a quo, con specifico riguardo alla garanzia del diritto di difesa dopo l’esecuzione di un provvedimento cautelare, ricorda come la Corte costituzionale abbia dichiarato, con la sentenza n. 192 del 1997, l’illegittimità dell’art. 293 cod. proc. pen., nella parte in cui non prevedeva la facoltà per il difensore di estrarre copia degli atti presentati con la richiesta cautelare. Per quanto escluse dal novero degli atti trasmessi dal pubblico ministero, le registrazioni dei colloqui intercettati costituirebbero «la reale fonte di prova» a carico dell’indagato, e dunque dovrebbero essere per lui accessibili (anche attraverso il rilascio di copia) come gli ulteriori atti posti a fondamento della restrizione di libertà. Nell’attuale contesto, la formula del diritto di «difendersi provando» resterebbe invece priva di contenuto, in diretta violazione dell’art. 24 Cost.

Secondo il giudice rimettente la disciplina censurata violerebbe anche il principio di parità tra accusa e difesa, e comunque il diritto dell’indagato a veder realizzate nel più breve tempo le condizioni necessarie per preparare la propria difesa (art. 111 Cost.).

L’intervenuta «pubblicazione» della prova dopo l’esecuzione del provvedimento restrittivo, infine, porrebbe le parti processuali su un piano di sostanziale parità, che dovrebbe implicare uguale trattamento anche nella prospettiva dell’art. 3 Cost. Ed invece, in base all’attuale disciplina, il pubblico ministero manterrebbe in via esclusiva la possibilità di accedere alla fonte «primaria» della prova medesima.

Il rimettente ribadisce che il diritto difensivo all’accesso non potrebbe considerarsi garantito dal comma 3 dell’art. 293 cod. proc. pen., dato che il deposito è prescritto solo per gli atti trasmessi con la richiesta cautelare, atti che il pubblico ministero non è tenuto ad integrare con l’inserimento dei supporti delle registrazioni. La prescrizione lesiva, tuttavia, è individuata nell’art. 268 del codice di rito, perché proprio tale norma (omettendo la previsione di un meccanismo di ostensione per il caso di incidente cautelare) consentirebbe di precludere l’accesso alle registrazioni, anche a fronte di una richiesta difensiva in tal senso, fino al deposito degli atti regolato dai commi 4 e seguenti.

In punto di rilevanza, il giudice a quo osserva che l’istanza de libertate sulla quale è chiamato a provvedere concerne persona ristretta nella libertà in base al tenore di comunicazioni che, secondo la difesa dell’interessato, sarebbero state travisate per effetto di una trascrizione sommaria, erronea ed incompleta.

2. – L’indagato nel procedimento principale si è costituito in giudizio con atto depositato il 20 dicembre 2006.

Dopo una sintesi delle scansioni procedimentali già illustrate dal rimettente, la memoria di costituzione elenca una serie di comunicazioni che la polizia giudiziaria avrebbe trascritto, e talvolta solo riassunto, in modo sommario ed incompleto.

Secondo la parte privata le richieste cautelari dovrebbero essere corredate, alla luce della giurisprudenza sul valore primario delle registrazioni come fonti della prova, dai relativi supporti magnetici o digitali, almeno nei casi in cui non possa essere tempestivamente osservato il disposto del comma 4 dell’art. 268 cod. proc. pen., che prescrive il deposito dei materiali concernenti l’intercettazione, salva appunto la possibilità di una deroga, entro cinque giorni dalla fine delle operazioni di ascolto. In ogni caso, non dovrebbe essere consentito al pubblico ministero di negare l’accesso alle registrazioni dopo l’esecuzione del provvedimento cautelare. Una tale preclusione frustrerebbe il principio di parità tra le parti ed il diritto al contraddittorio dell’accusato, il cui pieno esercizio richiede una cognizione delle fonti di prova analoga a quella dell’accusatore.

A «bilanciare» il sacrificio delle garanzie difensive non varrebbero esigenze di tutela del segreto investigativo o della riservatezza delle persone coinvolte nell’attività di intercettazione. La parte privata evidenzia infatti – in sintonia con i rilievi del giudice rimettente – che la doglianza prospettata concerne le sole comunicazioni poste a fondamento del provvedimento cautelare, dunque già «svelate» dall’inquirente e già ritenute rilevanti per il procedimento. Il riconoscimento del diritto alla copia, d’altro canto, non equivarrebbe ad una licenza di divulgazione delle registrazioni, la cui circolazione «esterna» resterebbe disciplinata dalle regole generali in materia di atti dell’indagine preliminare.

La norma censurata tradirebbe la ratio della già citata sentenza n. 192 del 1997, con la quale la Corte costituzionale ha stabilito che la privazione di libertà determina la necessità di un esercizio pieno del diritto di difesa, assicurato dalla «più ampia e agevole conoscenza degli elementi su cui è fondata la richiesta del pubblico ministero». D’altro canto, l’autonomia dell’incidente cautelare implica una specifica garanzia del contraddittorio, che non potrebbe essere limitata in ragione di procedure (quelle scandite dall’art. 268 cod. proc. pen.) che riguardano la formazione della prova per il procedimento di merito, nella sua specifica proiezione dibattimentale.

Considerato in diritto

1. – Il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Catanzaro dubita – con riferimento agli artt. 3, 24, secondo comma, e 111, secondo e terzo comma, della Costituzione – della legittimità costituzionale dell’art. 268 del codice di procedura penale, nella parte in cui consente di non depositare, o comunque di non mettere a disposizione dell’indagato e del suo difensore, quando ne facciano richiesta, le registrazioni di comunicazioni telefoniche poste a fondamento di una misura cautelare personale già eseguita, anche prima della procedura di deposito regolata dai commi 4 e seguenti dello stesso art. 268 cod. proc. pen.

2. – La questione è fondata nei limiti sotto specificati.

2.1. – L’art. 268, comma 4, cod. proc. pen. prescrive il deposito in segreteria delle registrazioni delle comunicazioni intercettate, unitamente ai decreti autorizzativi ed ai processi verbali delle relative operazioni di ascolto, entro cinque giorni dalla conclusione delle operazioni medesime. Se però dal deposito può derivare un grave pregiudizio per le indagini, il giudice autorizza il pubblico ministero a ritardarlo non oltre la chiusura delle indagini preliminari (comma 5). Dopo il deposito, che consente ai difensori di esaminare gli atti e ascoltare le conversazioni, si avvia la fase della cosiddetta udienza di stralcio, nel corso della quale il giudice acquisisce le comunicazioni indicate dalle parti, espunge, anche d’ufficio, le comunicazioni di cui sia vietata l’utilizzazione, dispone la trascrizione integrale delle sole comunicazioni acquisite, con le forme e le garanzie della perizia (comma 6).

Il comma 2 dello stesso art. 268 cod. proc. pen. consente la formazione dei cosiddetti «brogliacci», costituiti dai verbali nei quali è trascritto, a cura della polizia giudiziaria, anche sommariamente, il contenuto delle comunicazioni intercettate. La trascrizione integrale, nella forma della perizia, è poi disposta dal giudice per essere, infine, inserita nel fascicolo per il dibattimento (comma 7).

Si deve rilevare che, in caso di autorizzazione al ritardo del deposito degli atti concernenti le intercettazioni, la trascrizione non può avere luogo prima che decorra il termine dilatorio accordato dal giudice e che vengano compiuti gli adempimenti prescritti dai commi 6 e seguenti dello stesso art. 268. Solo a questo punto i difensori possono estrarre copia delle trascrizioni e far eseguire la trasposizione della registrazione su nastro magnetico (comma 8).

2.2. – In caso di incidente cautelare, se il pubblico ministero presenta al giudice per le indagini preliminari richiesta di misura restrittiva della libertà personale, può depositare, a supporto della richiesta stessa, solo i «brogliacci» e non le registrazioni delle comunicazioni intercettate. In questo senso è orientata la costante e uniforme giurisprudenza di legittimità (ex plurimis, tra le più recenti, Cassazione penale, sentenza n. 36439 del 2004, sentenza n. 39469 del 2004). Tuttavia, la stessa giurisprudenza di legittimità è ugualmente costante ed uniforme nello stabilire che la trascrizione (anche quella peritale) non costituisce la prova diretta di una conversazione, ma va considerata solo come un’operazione rappresentativa in forma grafica del contenuto di prove acquisite mediante la registrazione fonica (ex plurimis, tra le più recenti, Cassazione penale, sentenza n. 4892 del 2003, sentenza n. 10890 del 2005).

3. – Il rimettente, dopo aver osservato che le norme vigenti non impongono al pubblico ministero il deposito delle registrazioni né l’obbligo di metterle a disposizione dei difensori, a loro richiesta, dubita della legittimità costituzionale del citato art. 268 cod. proc. pen. perché lo stesso, non prevedendo il diritto della difesa ad avere diretta cognizione di registrazioni di comunicazioni poste a base della richiesta e del successivo provvedimento restrittivo della libertà personale dell’indagato, menoma il diritto di difesa (art. 24, secondo comma, Cost.), altera, a sfavore dell’indagato, la parità delle parti nel processo (art. 111, secondo comma, Cost.) e non consente alla persona accusata di disporre delle condizioni necessarie a preparare la sua difesa (art. 111, terzo comma, Cost.). La disposizione censurata sarebbe inoltre lesiva del principio di uguaglianza dei cittadini davanti alla legge contenuto nell’art. 3 della Costituzione.

Ritiene questa Corte che l’ascolto diretto delle conversazioni o comunicazioni intercettate non possa essere surrogato dalle trascrizioni effettuate, senza contraddittorio, dalla polizia giudiziaria, le quali possono essere, per esplicito dettato legislativo (art. 268, comma 2, cod. proc. pen.), anche sommarie. È appena il caso di osservare che l’accesso diretto alle registrazioni può essere ritenuto necessario, dalla difesa dell’indagato, per valutare l’effettivo significato probatorio delle stesse. La qualità delle registrazioni può non essere perfetta ed imporre una vera e propria attività di «interpretazione» delle parole e delle frasi registrate, specie se nelle conversazioni vengano usati dialetti o lingue straniere. In ogni caso, risultano spesso rilevanti le intonazioni della voce, le pause, che, a parità di trascrizione dei fonemi, possono mutare in tutto o in parte il senso di una conversazione. Non v’è dubbio che la trascrizione peritale dei colloqui costituisce una modalità di valutazione della prova più affidabile di quanto non sia l’appunto dell’operatore di polizia ed, a maggior ragione, la sintesi che può essere contenuta nei «brogliacci». Il perito è un esperto, dotato di apparecchiature specifiche, ed opera nel contraddittorio tra le parti, eventualmente per il tramite di consulenti. Lo stesso fornisce una trascrizione letterale, ma anche indicazioni ulteriori, quando necessarie (intonazione della voce, lunghezza di una pausa etc.), che possono incidere sul senso di una comunicazione. La trascrizione peritale può contenere anch’essa componenti interpretative, ma è garantita dalla estraneità del suo autore alle indagini e dal contraddittorio.

È evidente che, in assenza della trascrizione effettuata dal perito, l’interesse difensivo si appunta sull’accesso diretto, tutte le volte in cui la difesa ritiene di dover verificare la genuinità delle trascrizioni operate dalla polizia giudiziaria ed utilizzate dal pubblico ministero per formulare al giudice le sue richieste. Si tratta proprio della fattispecie normativa oggetto del presente giudizio. La possibilità per il pubblico ministero di depositare solo i «brogliacci» a supporto di una richiesta di custodia cautelare dell’indagato, se giustificata dall’esigenza di procedere senza indugio alla salvaguardia delle finalità che il codice di rito assegna a tale misura, non può limitare il diritto della difesa ad accedere alla prova diretta, allo scopo di verificare la valenza probatoria degli elementi che hanno indotto il pubblico ministero a richiedere ed il giudice ad emanare un provvedimento restrittivo della libertà personale.

Occorre aggiungere che, in caso di richiesta ed applicazione di misura cautelare personale – come nel caso oggetto del giudizio a quo – le esigenze di segretezza per il proseguimento delle indagini e le eventuali ragioni di riservatezza sono del tutto venute meno in riferimento alle comunicazioni poste a base del provvedimento restrittivo, il cui contenuto è stato rivelato a seguito della presentazione da parte del pubblico ministero, a corredo della richiesta, delle trascrizioni effettuate dalla polizia giudiziaria.

La lesione del diritto di difesa garantito dall’art. 24, secondo comma, Cost. si presenta quindi nella sua interezza, giacché la limitazione all’accesso alle registrazioni non è bilanciata da alcun altro interesse processuale riconosciuto dalla legge. Parimenti leso deve ritenersi il principio di parità delle parti nel processo sancito dall’art. 111, secondo comma, della Costituzione.

4. – La piena tutela del diritto di difesa e del principio di parità delle parti nel processo richiede una pronuncia di accoglimento di questa Corte, limitatamente alla mancata previsione, nell’art. 268 cod. proc. pen., del diritto dei difensori di accedere direttamente alle registrazioni, ottenendone la trasposizione su nastro magnetico.

La soluzione più ampia prospettata dal rimettente, riferita ad una procedura di deposito successiva all’esecuzione del provvedimento coercitivo, non è necessaria, nel particolare contesto qui in esame, per la garanzia dell’interesse difensivo tutelato dall’art. 24, secondo comma, Cost., e dunque non può essere accolta. Una previsione di deposito specificamente riferita all’incidente cautelare, ed alle sole comunicazioni poste ad oggetto della relativa richiesta, si risolverebbe in una regola processuale nuova e per molti versi anomala, a cominciare dal fatto che l’adempimento riguarderebbe atti non presentati al giudice, e sarebbe curato da un soggetto diverso dal giudice medesimo, il quale provvede direttamente, secondo il disposto del comma 3 dell’art. 293 cod. proc. pen., al deposito degli atti sui quali ha fondato la propria decisione.

L’interesse costituzionalmente protetto della difesa è quello di conoscere le registrazioni poste alla base del provvedimento eseguito, allo scopo di esperire efficacemente tutti i rimedi previsti dalle norme processuali. Nel caso che tali registrazioni non siano comprese tra gli atti trasmessi con la richiesta cautelare, la legittima pretesa difensiva di accedere alla prova diretta della comunicazione intercettata non è soddisfatta dal diritto di consultare gli atti depositati in cancelleria, secondo il disposto del terzo comma dell’art. 293 cod. proc. pen., dopo l’esecuzione del provvedimento restrittivo. Dunque l’interesse in questione può essere assicurato con la previsione – pure prospettata dal rimettente in via subordinata – del diritto dei difensori di accedere alle registrazioni in possesso del pubblico ministero.

Tale diritto deve concretarsi nella possibilità di ottenere una copia della traccia fonica, secondo il principio già espresso da questa Corte con la sentenza n. 192 del 1997, a proposito degli atti depositati nella cancelleria del giudice dopo la notificazione o l’esecuzione dell’ordinanza cautelare.

L’assenza di una previsione legislativa in tal senso è causa di illegittimità costituzionale della norma censurata. Né sarebbe sufficiente, per assicurare pienamente l’osservanza dell’art. 24, secondo comma, Cost., il ricorso all’art. 116 cod. proc. pen., che disciplina il rilascio di copie degli atti processuali. La suddetta norma infatti, vista congiuntamente all’art. 43 delle disposizioni di attuazione del codice di procedura penale, non attribuisce – secondo la giurisprudenza di legittimità – un diritto incondizionato alla parte interessata ad ottenere copia degli atti, ma solo una mera possibilità, giacché la richiesta, ai sensi del comma 2 del medesimo articolo, deve essere valutata dal giudice. Tale previsione non avrebbe senso se la parte avesse un diritto pieno al rilascio della copia. Conferma di tale interpretazione viene tratta dal citato art. 43 disp. att. cod. proc. pen., il quale, nel prevedere che l’autorizzazione del giudice non è richiesta nei casi in cui è riconosciuto espressamente al richiedente il diritto al rilascio della copia, esclude implicitamente che esista un diritto generalizzato e incondizionato ad ottenere copia degli atti processuali (in questo senso le Sezioni unite della Corte di cassazione, sentenza n. 4 del 1995).

Di fronte a tale orientamento giurisprudenziale è necessario affermare in modo univoco che nella fattispecie normativa oggetto del presente giudizio, riferentesi alla tutela del diritto di difesa in relazione ad una misura restrittiva della libertà personale già eseguita, i difensori devono avere il diritto incondizionato ad accedere, su loro istanza, alle registrazioni poste a base della richiesta del pubblico ministero e non presentate a corredo di quest’ultima, in quanto sostituite dalle trascrizioni, anche sommarie, effettuate dalla polizia giudiziaria.

Il diritto all’accesso implica, come naturale conseguenza, quello di ottenere la trasposizione su nastro magnetico delle registrazioni medesime.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara la illegittimità costituzionale dell’art. 268 del codice di procedura penale, nella parte in cui non prevede che, dopo la notificazione o l’esecuzione dell’ordinanza che dispone una misura cautelare personale, il difensore possa ottenere la trasposizione su nastro magnetico delle registrazioni di conversazioni o comunicazioni intercettate, utilizzate ai fini dell’adozione del provvedimento cautelare, anche se non depositate.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, l'8 ottobre 2008.

F.to:

Giovanni Maria FLICK, Presidente

Gaetano SILVESTRI, Redattore

Gabriella MELATTI, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 10 ottobre 2008.