SENTENZA N. 176
ANNO 2010
Commento alla decisione di
Ilario Alvino
(per gentile concessione della Rivista
telematica Federalismi.it)
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta
dai signori:
- Francesco AMIRANTE Presidente
- Ugo DE
SIERVO Giudice
- Paolo MADDALENA "
- Alfio FINOCCHIARO "
- Alfonso QUARANTA "
- Franco GALLO "
- Luigi MAZZELLA "
- Gaetano SILVESTRI "
- Sabino CASSESE "
- Maria Rita SAULLE "
- Giuseppe TESAURO "
- Paolo Maria NAPOLITANO "
- Giuseppe FRIGO "
- Alessandro CRISCUOLO "
- Paolo GROSSI "
ha
pronunciato la seguente
SENTENZA
nei giudizi di legittimità costituzionale dell’art. 23,
commi 1, 2, 3 e 4 del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, (Disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la
semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e
la perequazione tributaria), convertito, in legge con modificazioni dalla legge
6 agosto 2008, n. 133, promossi dalle Regioni
Emilia-Romagna, Veneto, Liguria, Toscana, Basilicata, Piemonte, Marche, Puglia
e Lazio con ricorsi notificati il 20 ottobre 2008, depositati in cancelleria il
22, il 24, il 28, il 29 ed il 30 ottobre 2008, e rispettivamente iscritti ai nn. 69, 70, 72, 74, 76, 80, 82, 85 e 87 del registro
ricorsi 2008.
Visti gli atti di costituzione del Presidente del Consiglio dei
ministri;
udito nell’udienza pubblica del 1° dicembre 2009 il Giudice
relatore Alfio Finocchiaro;
uditi gli avvocati Luigi Manzi per le Regioni Emilia-Romagna,
Veneto e Liguria, Lucia Bora per la Regione Toscana, Angelo Pandolfo per le
Regioni Piemonte e Marche, Valerio Speziale per la Regione Puglia e l’avvocato
dello Stato Paola Palmieri per il Presidente del Consiglio dei ministri.
Ritenuto in fatto
1. – Con distinti ricorsi, nove
Regioni e, precisamente, Emilia-Romagna (reg. ric. n. 69 del 2008), Veneto
(reg. ric. n. 70 del 2008), Liguria (reg. ric. n. 72 del 2008), Toscana (reg.
ric. n. 74 del 2008), Basilicata (reg. ric. n. 76 del 2008), Piemonte (reg.
ric. n. 80 del 2008), Marche (reg. ric. n. 82 del 2008), Puglia (reg. ric. n.
85 del 2008) e Lazio (reg. ric. n. 87 del 2008) hanno impugnato in via
principale, fra l’altro, i commi 1, 2, 3 e 4 dell’art. 23, del decreto-legge 25
giugno 2008, n. 112 (Disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la
semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e
la perequazione tributaria), convertito, in legge con modificazioni dalla legge
6 agosto 2008, n. 133, nella parte in cui modificano gli articoli 49 e 50 del
decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276 (Attuazione delle deleghe in
materia di occupazione e mercato del lavoro, di cui alla legge 14 febbraio
2003, n. 30).
Va premesso che, con atto notificato il
9 gennaio 2009, la Regione Veneto – che era l’unica ad avere impugnato il comma
3 del citato art. 23 – ha rinunciato al ricorso e il Presidente del Consiglio
dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, ha
accettato tale rinuncia con atto del 24 gennaio 2009.
2. – La Regione Toscana ha promosso
questione di legittimità costituzionale dell’art. 23, comma 1, del
decreto-legge n. 112 del 2008, nella parte in cui ha modificato l’articolo 49
del d.lgs. n. 276 del 2003, stabilendo che l’apprendistato professionalizzante
non può comunque essere superiore a sei anni, per violazione dell’art. 117
della Costituzione.
La ricorrente osserva che, con la
modifica introdotta, viene eliminata la previsione, precedentemente contenuta
nell’art. 49 citato, secondo cui l’apprendistato professionalizzante non può
essere inferiore a due anni, con pregiudizio alla possibilità di programmazione
e gestione della formazione per contratti di durata inferiore a tale limite,
con la conseguenza che l’eliminazione operata incide sulle attribuzioni
regionali in materia di formazione professionale, perché, con contratti di
breve durata, la formazione non può essere programmata, né assicurata. Per
questo la disposizione, che irragionevolmente ha operato la prevista
eliminazione, appare costituzionalmente illegittima per violazione dell’art.
117 Cost.
2.1. – Si è costituito in giudizio il
Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura
generale dello Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata inammissibile,
non essendo indicato sotto quale profilo verrebbe lesa la competenza regionale,
e, in particolare, se la norma censurata incida su materie di legislazione
esclusiva o concorrente della Regione.
Nel merito, secondo la difesa dello
Stato, la questione sollevata è, comunque, infondata in quanto la norma oggetto
di impugnazione consente alle parti sociali – cui risultava già affidata la
determinazione della durata del contratto – di stabilire una durata del contratto
anche inferiore a due anni se funzionale alle esigenze del settore o alle
caratteristiche del percorso formativo, con la conseguenza che non sarebbe lesa
la competenza regionale che, se del caso, può parametrare la propria
regolamentazione per i profili di sua competenza al nuovo limite di durata.
3. – Le Regioni Toscana, Piemonte,
Marche, Emilia-Romagna, Liguria, Lazio, Puglia, Basilicata hanno sollevato
questione di legittimità costituzionale dell’art. 23, comma 2, del decreto-legge
n. 112 del 2008, nella parte in cui inserisce il comma 5-ter nell’art.
49 del d.lgs. n. 276 del 2003, stabilendo che, in caso di formazione
esclusivamente aziendale, la regolamentazione dei profili formativi
dell’apprendistato professionalizzante non è definita dalle Regioni d’intesa
con le associazioni dei datori di lavoro e dei lavoratori, ma dai contratti
collettivi di lavoro, per violazione degli artt. 117, 120, 118 e 39 della
Costituzione.
3.1. – Con riferimento all’art. 117
Cost., le Regioni Toscana, Piemonte, Marche, Emilia-Romagna, Liguria, Puglia e
Basilicata affermano che la norma in esame assegna alla contrattazione
collettiva la funzione di fonte esclusiva, in luogo di quella regionale, anche
nella definizione della nozione di formazione aziendale, dei profili formativi,
delle modalità di erogazione, della durata della formazione, nel riconoscimento
della qualifica professionale e ciò pur in presenza di una compiuta disciplina
regionale.
Osservano, poi le ricorrenti che la
nuova formulazione dell’articolo 117 Cost. attribuisce la formazione
professionale alla potestà legislativa esclusiva delle Regioni, affidando alle
stesse una competenza generale su tutto ciò che attiene agli aspetti formativi,
senza necessità di distinguere tra formazione pubblica esterna e formazione
privata aziendale. Quest’ultima, infatti, è sempre connessa ad un profilo di
crescita e di qualificazione delle conoscenze del lavoratore che non può non
essere ricompresa nell’ambito della formazione propriamente detta, cui fa
riferimento il testo costituzionale.
La norma impugnata – sostengono le
ricorrenti – si riferisce alla distinzione, operata dalla Corte costituzionale
nella sentenza
n. 50 del 2005, tra formazione «interna» all’azienda, che attiene al
rapporto contrattuale ed è rimessa alla competenza statale, e formazione
«esterna» all’azienda, da ricondurre ai profili «pubblicistici» dell’istituto,
soggetta alla competenza concorrente delle Regioni.
Tuttavia, la norma non tiene conto delle
strette interrelazioni che vi sono tra l’aspetto della formazione esterna e
quello della formazione interna. A tale proposito la Corte costituzionale, con
la stessa sentenza
n. 50 del 2005, ha rilevato che «se è vero che la formazione all’interno
delle aziende inerisce al rapporto contrattuale, sicché la sua disciplina
rientra nell’ordinamento civile, e che spetta invece alle Regioni e alle Province
autonome disciplinare quella pubblica, non è men vero che nella
regolamentazione dell’apprendistato né l’una né l’altra appaiono allo stato
puro, ossia separate nettamente tra di loro e da altri aspetti dell’istituto.
Occorre perciò tener conto di tali interferenze».
3.1.1. – Secondo la difesa dello Stato,
invece, la questione non sarebbe fondata in quanto la formazione professionale
che la Costituzione riserva alle Regioni è esclusivamente quella pubblica o
esterna, «da impartire o negli istituti scolastici a ciò destinati, sia
mediante strutture proprie regionali, sia in organismi privati con cui siano
stipulati accordi ma, in ogni caso, al di fuori rispetto all’ambito aziendale»
(sentenza n. 50
del 2005).
Per contro, la formazione che si svolge
all’interno dell’azienda, per la sua diretta attinenza con il sinallagma
contrattuale, rientra nella materia «ordinamento civile» ex art. 117,
lett. 1), Cost.,
completamente sottratta, in linea di principio, alla regolamentazione
regionale.
Nel caso di specie la disposizione
impugnata incide sulla disciplina dell’apprendistato professionalizzante ovvero
volto ad una qualificazione di tipo contrattuale, disciplinata dai contratti
collettivi e, in quanto tale, rientrante nella materia dell’ordinamento civile ex
art. 117 Cost., del tutto estranea, pertanto, all’ordinamento delle professioni
– oggetto di potestà concorrente – di cui all’art. 117, terzo comma, Cost.
3.2. – Quanto all’art. 120 della
Costituzione e al principio di leale collaborazione, le Regioni Marche,
Piemonte, Veneto, Basilicata e Puglia osservano che la sentenza della
Corte costituzionale n. 24 del 2007 ribadisce che quando sussiste
«un’interferenza di materie, riguardo alle quali esistono competenze
legislative diverse» è necessario procedere alla loro composizione con «gli
strumenti della leale collaborazione o, qualora risulti la prevalenza di una
materia sull’altra, (con) l’applicazione del criterio appunto di prevalenza».
Rileva, in particolare, la Regione
Puglia che la Corte costituzionale, con la sentenza n. 50 del
2005, ha affermato che in tema di crediti formativi e di qualifiche
professionali deve essere assicurato il coinvolgimento delle Regioni, con
strumenti opportuni che garantiscano l’esercizio della «leale collaborazione».
La disposizione impugnata, al contrario,
non prevede alcuna forma di partecipazione delle Regioni per quanto riguarda le
modalità di riconoscimento della qualifica professionale (rimessa
esclusivamente alle parti sociali tramite enti bilaterali o atti di autonomia
collettiva) e questa omissione si riflette anche sulla disciplina del
riconoscimento dei crediti formativi. Infatti, «la qualifica professionale
conseguita attraverso il contratto di apprendistato costituisce credito
formativo per il proseguimento nei percorsi di istruzione e di formazione
professionale (art. 51, d.lgs. n. 276 del 2003). Se, dunque, le Regioni non
possono incidere sui criteri di definizione delle qualifiche professionali,
questa esclusione si riflette indirettamente sulle modalità di riconoscimento
dei crediti stessi, rispetto ai quali la Regione ha un diritto/dovere di
«intesa» (ai sensi dell’art. 52, comma 2, del d.lgs. n. 276 del 2003). In
sostanza, l’art. 23, comma 2, della legge n. 133 del 2008 inibirebbe alle
Regioni la partecipazione alla definizione di aspetti essenziali della formazione
che, al contrario, la Corte costituzionale ritiene debbano vedere l’attiva
partecipazione delle stesse.
3.2.1. – Secondo l’Avvocatura dello
Stato, invece, se è vero che nell’attuale assetto del mercato del lavoro la
disciplina dell’apprendistato si colloca all’incrocio di una pluralità di
competenze, esclusive dello Stato (ordinamento civile, ma anche determinazione
dei livelli essenziali dell’istruzione e delle norme generali in materia, ove
l’apprendistato sia indirizzato all’assolvimento dell’obbligo scolastico),
residuali delle Regioni (istruzione e formazione professionale), concorrenti di
Stato e Regioni (tutela del lavoro, istruzione), è anche vero che, in
alternativa al principio di leale collaborazione, la Corte ha altresì indicato,
quale possibile criterio dirimente, quello della prevalenza della materia al
fine di fondarne la rispettiva competenza. In tal senso è la sentenza n. 24 del
2007, secondo cui «È pur vero che
in materia di apprendistato professionalizzante si è rilevata (anche) una
interferenza di materie riguardo alle quali esistono competenze legislative
diverse, alla cui composizione provvedono, quando possibile, gli strumenti di
leale collaborazione o, qualora risulti
la prevalenza di una materia sull’altra, l’applicazione del criterio appunto di
prevalenza». In ogni caso, se è vero che, come afferma la Corte
costituzionale, le molteplici interferenze di materie diverse non consentono la
soluzione delle questioni sulla base di criteri rigidi, tuttavia è vero altresì
che «la riserva alla competenza legislativa regionale della materia
formazione professionale non può
escludere la competenza dello Stato a disciplinare l’apprendistato per i
profili inerenti a materie di sua competenza» (sentenza n. 50 del
2005).
In perfetta coerenza con tali principi,
la disposizione di cui al comma 2 dell’art. 23 del decreto-legge 112 del 2008
sarebbe volta a disciplinare, nell’ambito del contratto di apprendistato
professionalizzante, solo la «formazione esclusivamente aziendale», rimettendo
per tale limitata ipotesi i profili formativi alla regolamentazione che le è
propria, ovvero a quella collettiva. Nella specie, pertanto, la disposizione
censurata inciderebbe su profili strettamente attinenti all’ambito riservato in
via esclusiva alla competenza statale – ovvero alla disciplina che i privati
datori di lavoro possono impartire all’interno dell’azienda ai propri dipendenti
– senza che sia dato ravvisare quelle interferenze con ambiti regionali, con la
conseguente insussistenza della violazione delle disposizioni costituzionali
richiamate ex adverso ma anche della
prospettata violazione del principio di leale collaborazione, considerato che,
venendo in rilievo la formazione esclusivamente endo-aziendale,
non viene attribuita alle parti sociali e agli enti bilaterali alcuna
competenza propria delle Regioni.
Del resto, quanto affermato dalla Corte
costituzionale, con la già ricordata sentenza n. 50 del
2005 – secondo cui nella regolamentazione dell’apprendistato la formazione
interna e la formazione esterna non appaiono allo stato puro, ossia separate nettamente
tra di loro – varrebbe ovviamente solo per il canale formativo delineato
nell’articolo 49, comma 5, là dove l’operatività del canale sussidiario aperto
dal comma 5-ter vale espressamente e tassativamente per la formazione
«esclusivamente aziendale» e, dunque, soltanto quando i due profili formativi
(interno ed esterno) sono nettamente separati, con la conseguente esclusione di
qualsivoglia sconfinamento nell’ambito di competenze regionali. Da un lato,
infatti, con il censurato art. 23, comma 2, non si procede ad alcuna modifica
della normativa preesistente, restando immutato il comma 5 dell’art. 49 del
d.lgs. n. 276 del 2003; dall’altro, con l’introduzione del successivo comma 5-ter,
si tende a creare un canale parallelo, sommando all’offerta pubblica un’offerta
formativa privata in regime di piena sussidiarietà, al solo fine di rendere
maggiormente effettiva la formazione nel contratto di apprendistato
professionalizzante.
3.3. – Secondo le Regioni Toscana e
Basilicata, il comma 2 impugnato non è conforme neppure all’art. 118 Cost.,
perché i profili in esame non vengono attratti allo Stato per esigenze di
carattere unitario, ma sono sottratti alla potestà regionale per essere
affidati alla regolamentazione dei contratti collettivi.
Secondo la Regione Lazio, la norma
impugnata viola l’art. 118 Cost. in quanto si pone in contrasto con il
regolamento regionale 21 giugno 2007 n. 7 (attuativo della citata legge
regionale n. 9 del 2006), le cui previsioni risultano incompatibili con la
nuova disciplina statale, perpetrandosi per questo aspetto una ulteriore
violazione della competenza normativa regionale, sia sotto il profilo
legislativo che regolamentare.
3.3.1. – Per l’Avvocatura dello Stato,
una volta riconosciuta la competenza esclusiva dello Stato a disciplinare la
materia dell’apprendistato all’interno dell’azienda, o perché si rientra
pienamente nella materia dell’ordinamento civile o perché quest’ultima è
comunque prevalente, ne discende, quale diretta conseguenza, l’insussistenza di
qualsivoglia sconfinamento nell’ambito di competenze regionali quanto al
principio di sussidiarietà.
3.4. – Secondo le Regioni Emilia-Romagna
e Liguria, la norma di cui all’art. 23, comma 2, si pone altresì in contrasto
con l’art. 39 della Costituzione, in
quanto il contratto collettivo di lavoro ha efficacia generale solo se il
sindacato è registrato e, quindi, data la non attuazione dell’art. 39 Cost., il
contratto collettivo non può avere efficacia generale.
Osservano le
due Regioni che la questione si è già posta (non essendo una novità che il
legislatore rinvii ai contratti collettivi di lavoro per l’integrazione della
propria disciplina) e che, in passato, la Corte costituzionale ha sottolineato
l’illegittimità di leggi del genere, e le ha giustificate solo «quando si tratta
di materie del rapporto di lavoro che esigono uniformità di disciplina in
funzione di interessi generali connessi al mercato del lavoro, come il lavoro a
tempo parziale (...), i contratti di solidarietà, la definizione di nuove
ipotesi di assunzione a termine» (sent. n. 344 del
1996).
Dal momento
che i profili formativi dell’apprendistato professionalizzante di certo non rappresentano
una materia che esige una disciplina uniforme per gli interessi del mercato del
lavoro, la «delega di funzioni
paralegislative» (per usare un’espressione della sentenza n. 344 del
1996) ai contratti collettivi – operata dall’art. 23, comma 2 – costituisce
una palese violazione dell’art. 39 Cost. e trasforma i contratti stessi (o gli
accordi conclusi in sede di ente bilaterale) in una fonte extra-ordinem.
Poiché attraverso questa violazione si
produce una menomazione delle competenze regionali (dato che la Regione viene
privata di una potestà normativa che prima aveva, anche in relazione alla
formazione aziendale, come risulta dall’art. 49, comma 5, del d.lgs. n. 276 del
2003) e poiché si verte in materia di competenza regionale, esisterebbero tutti
gli elementi della lesione di competenza indiretta, nel senso che la violazione
dell’art. 117, quarto comma, Cost. si determina attraverso la violazione
dell’art. 39 Cost. (vengono richiamate le sentenze n. 206 del 2001,
punti 15, 16 e 34, n. 110 del 2001,
n. 303 del 2003,
punto 35, n.
280 del 2004, n.
355 del 1993). Di qui la legittimazione regionale a far valere la
violazione dell’art. 39 e, tramite questa, della propria potestà legislativa in
materia di formazione professionale. Del resto, già in un’occasione la Corte ha
mostrato di non escludere a priori il riferimento all’art. 39 Cost. in
un ricorso regionale (sentenza n. 219 del
1984).
3.4.1. – Secondo l’Avvocatura dello
Stato la censura è inammissibile, in quanto dalla stessa prospettazione di cui
al ricorso regionale non emerge alcuna attinenza tra il parametro
costituzionale invocato (art. 39 Cost.) e la lamentata lesione della competenza
regionale prefigurata dall’art. 117, quarto comma, Cost. lesione che
«costituisce l’oggetto e il limite dell’impugnazione diretta della Regione» (sentenza n. 219 del
1984). In ogni caso, regolando la norma impugnata la sola formazione di
carattere strettamente aziendale, non viene attribuita alle parti sociali e
agli enti bilaterali alcuna competenza propria delle Regioni.
3.4.2. – Con memoria depositata il 9
novembre 2009, la Regione Toscana lamenta che la norma impugnata vanifica la
già esistente normativa della Regione Toscana, che ha disciplinato i profili
formativi, la nozione di formazione aziendale, le modalità di erogazione, la
durata, il riconoscimento della qualifica professionale.
Con distinte memorie
depositate entrambe il 18 novembre 2009, la Regione Liguria e la Regione
Emilia-Romagna contestano quanto affermato dall’Avvocatura dello Stato, ossia
che non sussisterebbe alcuna attinenza tra il parametro di cui all’art. 39
Cost. e la lamentata lesione della competenza regionale. Infatti, la lesione
dell’art. 117 si determina attraverso la lesione dell’art. 39 Cost. Inoltre vi
sono profili, quali «le modalità di riconoscimento della qualifica
professionale ai fini contrattuali» e «la registrazione nel libretto formativo»
in relazione ai quali la norma impugnata non riguarda propriamente la
formazione aziendale.
4. – Le Regioni Piemonte,
Marche e Basilicata hanno sollevato questione di legittimità costituzionale del
comma 4 dell’art. 23, che, dopo le parole «e le altre istituzioni formative»,
aggiunge i seguenti periodi al comma 3 dell’art. 50 del d.lgs. 10 settembre 2003,
n. 276: «In assenza di regolamentazioni regionali l’attivazione
dell’apprendistato di alta formazione e rimessa ad apposite convenzioni
stipulate dai datori di lavoro con le Università e le altre istituzioni
formative. Trovano applicazione per quanto compatibili, i principi stabiliti
all’articolo 49, comma 4, nonché le disposizioni di cui all’articolo 53», per
violazione del principio di leale collaborazione tra Stato e Regioni, di cui
all’art. 120 della Costituzione e la menomazione delle potestà legislative
esclusive e concorrenti delle Regioni ex art. 117 della Costituzione,
come pure della conseguente potestà amministrativa ex art. 118 della Costituzione.
4.1. – L’art. 23, comma 4, del
decreto-legge n. 112 del 2008 elimina dunque l’obbligo – inizialmente previsto
dal comma 3 – di sottoscrivere un’intesa con le Regioni per poter utilizzare il
contratto di apprendistato di alta formazione.
L’eliminazione dell’obbligo della
preventiva intesa determina l’illegittimità costituzionale della norma
risultante, in quanto proprio tale obbligo era stato identificato dalla sentenza n. 50 del
2005 come strumento di attuazione del principio di leale collaborazione.
Con riferimento a questa forma di
apprendistato si stabilisce addirittura il principio che l’intero percorso
formativo – tanto quello svolto in azienda, quanto quello svolto all’esterno
dell’azienda – può essere regolato da fonti diverse dalla norma regionale.
4.2. – Secondo l’Avvocatura dello Stato
la censura è infondata, in quanto pur con la disposizione censurata resta fermo
il potere della Regione di intervenire in qualsiasi momento a regolamentare
l’istituto sulla base delle potestà ad essa riconosciuta dall’art. 50, comma 3,
prima parte, del d.lgs. n. 276 del 2003.
Considerato in
diritto
1.
– Con distinti ricorsi, nove Regioni e, precisamente, Emilia-Romagna, Veneto,
Liguria, Toscana, Basilicata, Piemonte, Marche, Puglia e Lazio hanno impugnato
in via principale, fra l’altro, i commi 1, 2, 3 e 4 dell’art. 23 del
decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112 (Disposizioni urgenti per lo sviluppo
economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della
finanza pubblica e la perequazione tributaria), convertito in legge, con
modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133, nella parte in cui modificano
gli articoli 49 e 50 del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276
(Attuazione delle deleghe in materia di occupazione e mercato del lavoro, di
cui alla legge 14 febbraio 2003, n. 30), per violazione degli articoli 39, 117,
118 e 120 della Costituzione, nonché del principio di leale collaborazione.
2.
– Riservata a separate pronunce ogni decisione in ordine alle altre censure
sollevate dalle stesse Regioni nei confronti della normativa citata, tutti i
giudizi vanno riuniti in quanto, avendo ad oggetto questioni analoghe o
connesse, ne risulta opportuna la trattazione unitaria.
3.
– La Regione Veneto – che è l’unica ad aver proposto questione di legittimità
costituzionale del comma 3 dell’art. 23 del decreto-legge n. 112 del 2008 – con
atto notificato il 9 gennaio 2009 ha rinunciato al ricorso e il Presidente del
Consiglio dei Ministri ha accettato la rinuncia con atto del 24 gennaio 2009.
Il
relativo processo va, pertanto, dichiarato estinto per rinuncia.
4.
– L’art. 23 del decreto-legge n. 112 del 2008, introduce una serie di modifiche
alla disciplina del contratto di apprendistato.
Il
comma 1 di tale articolo ha modificato il testo originario dell’art. 49, comma
3, del d.lgs. n. 276 del 2003, per il quale la durata del contratto di
apprendistato professionalizzante non poteva essere «inferiore a due anni e
superiore a sei», stabilendo che il predetto contratto non può avere una durata
«superiore a sei anni», e così eliminando
la previsione della durata minima.
La
Regione Toscana dubita della legittimità costituzionale della modifica, per
violazione dell’art. 117 della Costituzione, in quanto l’eliminazione di un termine
minimo di durata inciderebbe sulle attribuzioni regionali in materia di
formazione professionale, impedendo la programmazione della formazione stessa.
Il
Presidente del Consiglio dei ministri, nel costituirsi in giudizio, ha eccepito
l’inammissibilità della questione proposta, per non avere la ricorrente
precisato se la norma censurata incida su materia di competenza esclusiva o
concorrente della Regione, nonché la sua infondatezza nel merito, dal momento
che la norma impugnata consente alle parti di stabilire una durata del
contratto anche inferiore a due anni se funzionale alle esigenze del settore o
alle caratteristiche del percorso formativo.
4.1.
– La questione è ammissibile – dovendo ritenersi che la Regione abbia
implicitamente invocato la propria competenza esclusiva in tema di formazione
professionale – ma non è fondata.
La
norma oggi impugnata consente alle associazioni dei datori e dei prestatori di
lavoro la conclusione di contratti di apprendistato di durata fino a sei anni,
laddove la precedente consentiva tali contratti solo se fossero stati di durata
compresa fra i due e i sei anni. La legge non riduce automaticamente i tempi
della formazione professionale, ma attribuisce la facoltà, prima non
consentita, di concludere contratti fino a due anni, senza eliminare la
possibilità di concluderne anche di durata superiore. Saranno dunque le parti
sociali – cui risultava già affidata la determinazione della durata del
contratto – a stabilirne una anche inferiore a due anni se funzionale alle esigenze
del settore o alle caratteristiche del percorso formativo. Vi sono, infatti,
figure professionali per le quali un contratto di apprendistato di durata
inferiore ai due anni può considerarsi sufficiente.
Non
è tuttavia lesa la competenza delle Regioni, le quali possono, come prima,
contribuire alla disciplina della formazione professionale, dettando norme che
prevedano, per il conseguimento di determinate qualifiche professionali, una
durata del rapporto non inferiore a due anni.
Non
va, infatti, dimenticato che da quando, con decreto legislativo 23 dicembre
1997, n. 469 (Conferimento alle regioni e agli enti locali di funzioni e
compiti in materia di mercato del lavoro, a norma dell'articolo 1 della L. 15
marzo 1997, n. 59), sono stati istituiti i servizi regionali per l’impiego, tra
loro coordinati nell’ambito del "sistema informativo lavoro” (SIL), le Regioni
esercitano importanti funzioni di programmazione, monitoraggio e verifica
nell’ambito del mercato del lavoro di rispettiva competenza e, quindi, anche
sui contratti di apprendistato. Questa situazione è stata presa in
considerazione nell’ambito del d.lgs. n. 276 del 2003 che, da un lato, ha
previsto un incisivo coinvolgimento delle Regioni per quel che riguarda la
stessa definizione di «libretto formativo del cittadino» (art. 2, comma 1,
lettera i, d.lgs. n. 276 del 2003,
sulla base del quale è stato emanato il decreto del Ministro del lavoro e delle
politiche sociali 10 ottobre 2005, recante «Approvazione del modello di
libretto formativo del cittadino, ai sensi del d.lgs. 10 settembre 2003, n.
276, art. 2, comma 1, lettera i») e,
dall’altro lato, all’art. 51, dopo aver stabilito che «la qualifica
professionale conseguita attraverso il contratto di apprendistato costituisce
credito formativo per il proseguimento nei percorsi di istruzione e di
istruzione e formazione professionale» (comma 1), ha precisato che le Regioni
devono partecipare alla definizione delle modalità di riconoscimento dei
suddetti crediti formativi (comma 2).
Su
tali funzioni regionali il decreto-legge n. 112 del 2008 non ha influito ed
esso, anzi, si può dire le abbia date per acquisite, come si desume sia dal
fatto che, con riferimento al nuovo "canale” di accesso al contratto di
apprendistato professionalizzante introdotto dal comma 5-ter dell’art. 49, si è richiamata tout court la registrazione nel libretto formativo (che, a sua
volta, per la mansione svolta, rinvia alla qualifica SIL), sia dalla
circostanza che l’art. 40, comma 4, del decreto-legge n. 112 del 2008 ha
modificato l’art. 9, comma 6, della legge 12 marzo 1999, n. 68 (Norme per il
diritto al lavoro dei disabili), in materia di avviamento al lavoro dei
disabili, proprio nel senso di valorizzare la necessità di «assicurare
l’unitarietà e l’omogeneità del sistema informativo lavoro» e di potenziare il
coinvolgimento delle Regioni in materia, attraverso lo strumento dell’intesa
(potenziamento che è divenuto ancora più incisivo dopo l’ulteriore modifica del
suddetto comma 6 ad opera dell’art. 6, comma 5, della legge 23 luglio 2009, n.
99).
Questa disposizione – che dichiara
inoperante la previsione del precedente comma 5 dello stesso articolo per il
quale «la regolamentazione dei profili formativi dell’apprendistato
professionalizzante è rimessa alle Regioni e alle Province autonome di Trento e
Bolzano, d’intesa con le associazioni dei datori di lavoro e prestatori di
lavoro comparativamente più rappresentative sul piano regionale» – è stata
impugnata dalle Regioni Toscana, Piemonte, Marche, Emilia-Romagna, Liguria,
Lazio, Puglia, Basilicata per violazione: a) dell’art. 117 Cost. in quanto non prenderebbe in
considerazione le strette interrelazioni che vi sono tra l’aspetto della
formazione pubblica e quello della formazione interna, delle quali occorre
tenere conto, come rilevato dalla sentenza n. 50 del
2005 di questa Corte; b)
dell’art. 120 Cost. e del principio di leale collaborazione, in quanto, quando
sussiste – come nella specie – un’interferenza di materie, riguardo alle quali
esistono competenze legislative diverse, è necessario procedere alla loro
composizione con gli strumenti della leale collaborazione; c) dell’art. 118 Cost., non
sussistendo alcuna esigenza di carattere unitario che imponga una disciplina
statale dell’apprendistato professionalizzante all’interno dell’azienda, che lo
sottragga alla potestà regionale per affidarlo alla regolamentazione dei
contratti collettivi; d) nonché
dell’art. 39 Cost. in quanto il contratto collettivo di lavoro
ha efficacia generale solo se il sindacato è registrato e, quindi, data la non
attuazione dell’art. 39 Cost., il contratto collettivo non può avere efficacia
generale.
6. – Con riferimento alla violazione
dell’art. 117 Cost., le Regioni Toscana, Piemonte, Marche, Emilia-Romagna,
Liguria, Puglia e Basilicata affermano che la norma in esame assegna alla
contrattazione collettiva la funzione di fonte esclusiva, in luogo di quella
regionale, anche nella definizione della nozione di formazione aziendale, senza
tenere presente che la norma costituzionale attribuisce la formazione
professionale alla potestà legislativa esclusiva delle Regioni, affidando alle
stesse una competenza generale su tutto ciò che attiene agli aspetti formativi,
non operando alcuna distinzione tra formazione pubblica esterna e formazione
privata aziendale. La nuova normativa accredita invece la possibilità che la formazione
sia «esclusivamente aziendale» e, con riferimento all’atteggiarsi in questo
modo della formazione relativa all’apprendistato, rimette «integralmente» ai
contratti collettivi – siano essi nazionali, territoriali o solo aziendali – o
agli enti bilaterali – organismi privati istituiti dalla contrattazione
collettiva – la definizione dei «profili formativi»; assegnando alla
contrattazione collettiva il compito di definire la nozione di formazione
aziendale e, per ciascun profilo formativo, la durata e le modalità di
erogazione della formazione, le modalità di riconoscimento della qualifica
professionale ai fini contrattuali e la registrazione nel libretto formativo.
Tuttavia la norma non tiene conto delle
strette interrelazioni che vi sono tra l’aspetto della formazione esterna, da
ricondurre ai profili «pubblicistici» dell’istituto e soggetta alla competenza
delle Regioni, e quello della formazione interna, che attiene al rapporto
contrattuale ed è rimessa alla competenza statale, come rilevato dalla sentenza n. 50 del
2005 di questa Corte, la quale ha affermato la conformità a Costituzione di
alcune disposizioni normative del d.lgs. n. 276 del 2003 sopra richiamato, con
riguardo all’apprendistato professionalizzante, proprio per la previsione del
coinvolgimento delle Regioni (chiamate a stipulare un’intesa con le
associazioni di datori e prestatori di lavoro) nella regolamentazione dei
profili formativi, con la conseguenza che la soluzione dovrebbe essere di segno
contrario, in mancanza di tale coinvolgimento.
Rileva, in particolare, la Regione Lazio
che la norma impugnata incide direttamente sul contenuto della disciplina già
dettata con la legge regionale 10 agosto 2006, n. 9 (Disposizioni in materia di
riforma dell’apprendistato), la quale: a) prevede che i profili formativi attinenti all’apprendistato
sono definiti con deliberazione della giunta regionale previo accordo con le
associazioni di categoria (art. 2); b) fornisce la definizione della nozione di formazione formale,
stabilendo contestualmente le modalità di svolgimento della formazione formale
interna (art. 5).
Secondo la difesa dello Stato, invece,
la disposizione in esame è pienamente coerente con il disegno costituzionale in
materia, in quanto la formazione professionale che la Costituzione riserva alle
Regioni è esclusivamente quella pubblica o esterna (sentenza n. 50 del
2005), mentre quella che si svolge all’interno dell’azienda rientra nella
materia «ordinamento civile» ex art. 117, lett. 1), Cost., sottratta alla
regolamentazione regionale.
7. – Con riferimento alla violazione dell’art.
120 Cost. e al principio di leale collaborazione, le Regioni Marche, Piemonte,
Veneto, Basilicata e Puglia osservano che, quando sussiste «un’interferenza di
materie, riguardo alle quali esistono competenze legislative diverse», è
necessario procedere alla loro composizione con «gli strumenti della leale
collaborazione o, qualora risulti la prevalenza di una materia sull’altra, con
l’applicazione del criterio appunto di prevalenza» (sentenza n. 24 del
2007).
Afferma in particolare la Regione Puglia
che, in tema di crediti formativi e di qualifiche professionali, deve essere
assicurato il coinvolgimento delle Regioni, con strumenti opportuni che
garantiscano l’esercizio della «leale collaborazione» (sentenza n. 50 del
2005), mentre la disposizione impugnata, al contrario, non prevede alcuna
forma di partecipazione delle Regioni per quanto riguarda le modalità di riconoscimento
dalla qualifica professionale. In sostanza, l’art. 23, comma 2, del
decreto-legge n. 112 del 2008 inibisce alle Regioni la partecipazione alla
definizione di aspetti essenziali della formazione che, al contrario, questa
Corte riterrebbe debbano vedere l’attiva partecipazione delle stesse.
Secondo l’Avvocatura dello Stato, in
ipotesi di pluralità di competenze (esclusive e concorrenti) dello Stato e
delle Regioni, in alternativa al principio di leale collaborazione, si può
applicare, quale possibile criterio dirimente, quello della prevalenza della
materia al fine di fondarne la rispettiva competenza (sentenza n. 24 del
2007). In perfetta coerenza con tali principi, la disposizione di cui al
comma 2 dell’art. 23 del decreto-legge n. 112 del 2008 sarebbe volta a
disciplinare, nell’ambito del contratto di apprendistato professionalizzante,
solo la formazione esclusivamente aziendale, rimettendo, per tale limitata
ipotesi, i profili formativi alla regolamentazione collettiva. La disposizione
censurata inciderebbe su profili strettamente attinenti all’ambito riservato in
via esclusiva alla competenza statale senza interferenze con ambiti regionali,
con insussistenza della violazione della disposizione costituzionale richiamata
e del principio di leale collaborazione, giacché, venendo in considerazione la
formazione esclusivamente endo-aziendale, non viene
attribuita alle parti sociali e agli enti bilaterali alcuna competenza propria
delle Regioni. Ne discende l’esclusione di qualsivoglia sconfinamento
nell’ambito di competenze regionali. Da un lato, infatti, con il censurato art.
23, comma 2, non si procede ad alcuna modifica della normativa preesistente, il
comma 5 dell’art. 49 d.lgs. n. 276 del 2003 restando immutato; dall’altro, con
l’introduzione del successivo comma 5-ter, si tende a creare un canale parallelo, sommando all’offerta
pubblica un’offerta formativa privata in regime di piena sussidiarietà, al solo
fine di rendere maggiormente effettiva la formazione nel contratto di
apprendistato professionalizzante.
La formazione aziendale, come ritenuto
dalla citata sentenza
di questa Corte n. 50 del 2005, «rientra nel sinallagma contrattuale e
quindi nelle competenze dello Stato in materia di ordinamento civile».
Peraltro, nella pronuncia si afferma altresì che «se è vero che la formazione all’interno delle aziende inerisce al
rapporto contrattuale, sicché la sua disciplina rientra nell’ordinamento
civile, e che spetta invece alle Regioni e alle Province autonome disciplinare
quella pubblica, non è men vero che nella regolamentazione dell’apprendistato
né l’una né l’altra appaiono allo stato puro, ossia separate nettamente tra di
loro e da altri aspetti dell’istituto», con la conseguenza che «occorre perciò
tener conto di tali interferenze».
Interferenze
che sono correlative alla naturale proiezione esterna dell’apprendistato
professionalizzante e all’acquisizione da parte dell’apprendista dei crediti
formativi, utilizzabili nel sistema dell’istruzione – la cui disciplina è di
competenza concorrente – per l’eventuale conseguimento di titoli di studio.
Nella specie, di tali interferenze non si è tenuto conto e ciò
determina l’illegittimità costituzionale della norma – per contrasto con
gli artt. 117 e 120 Cost. nonché con il principio di leale collaborazione –
in primo luogo con riguardo alle parole
«non opera quanto previsto dal comma 5. In questa ipotesi» dal momento che
siffatta inapplicabilità finisce per rendere inoperante, senza alcun
ragionevole motivo, il principio enunciato nel primo periodo del comma 5,
secondo cui «la regolamentazione dei profili formativi dell’apprendistato
professionalizzante, è rimessa alle Regioni e alle Province autonome di Trento
e Bolzano, d’intesa con le associazioni dei datori e prestatori di lavoro
comparativamente più rappresentative sul piano regionale», nel rispetto di
criteri e principi direttivi successivamente enunciati, nonché, per l’effetto,
della legislazione regionale intervenuta, o che potrebbe intervenire, ai sensi
della disposizione citata, come rilevato dalla Regione Lazio, che fa
riferimento alla propria legge regionale 10 agosto 2006, n. 9 (Disposizioni in
materia di riforma dell’apprendistato).
Inoltre, si pone in contrasto con la suddetta scelta di lasciare
inalterato il quadro complessivo della disciplina del settore (e, in
particolare, gli artt. 51 e 53 del d.lgs. n. 276 del 2003) l’abolizione delle
competenze regionali in materia di controllo circa il quantum minimo della formazione (art. 50, comma 5, lett. a, del d.lgs. n. 276 del 2003), quanto
all’effettiva attuazione dell’obbligo formativo (art. 50, comma 5, lett. e, del d.lgs. n. 276 del 2003) nonché in
materia di certificazione dell’avvenuta formazione (art. 50, comma 5, lett. c e
d, del d.lgs. n. 276 del 2003)
Infatti, come già si è detto, la nuova
disciplina non ha inciso sulle funzioni già svolte dalle Regioni in materia di
mercato del lavoro, sulla base della normativa antecedente il d.lgs. n. 276 del
2003, né ha modificato la disciplina contenuta in tale ultimo decreto a
proposito del libretto formativo e dei crediti formativi conseguenti allo
svolgimento del contratto di apprendistato che attribuiscono un ruolo incisivo
alle Regioni, nell’ambito del SIL. Del resto, ciò è finalizzato ad assicurare
che i profili formativi siano coerenti con l’istituendo Repertorio delle
professioni che definirà gli standard minimi nazionali (in base a quanto
previsto dall’art. 52 del d.lgs. n. 276 del 2003), onde assicurare una migliore
attuazione alla decisione 2241/2004/CE del 15 dicembre 2004 del Parlamento e
del Consiglio dell’Unione europea, inerente la definizione di un «Quadro
comunitario unico per la trasparenza delle qualifiche e delle competenze - Europass» e favorire, così, una maggiore cooperazione
europea in materia di istruzione e formazione professionale, come ribadito
anche dal Consiglio dell’Unione europea e dai rappresentanti dei Governi degli
Stati nella Conclusione 24 gennaio 2009, n. 2009/C18/04.
In conseguenza, occorre parimenti dichiarare l’illegittimità
costituzionale della norma de qua
limitatamente alla parola «integralmente», la quale rimette esclusivamente ai
contratti collettivi di lavoro o agli enti bilaterali i profili formativi
dell’apprendistato professionalizzante, nonché alle parole, riferite ai
contratti collettivi e agli enti bilaterali, secondo le quali essi «definiscono
la nozione di formazione aziendale e».
Le suindicate espressioni, infatti, escludendo l’applicazione del
precedente comma 5, sono anch’esse lesive dei suddetti parametri
costituzionali, perché si traducono in una totale estromissione delle Regioni
dalla disciplina de qua. Esse, anzi,
appaiono particolarmente lesive in quanto la definizione della nozione di
formazione aziendale costituisce il presupposto della applicazione della
normativa di cui si tratta e il fatto che lo Stato abbia stabilito come tale
definizione debba avvenire e, quindi, implicitamente come vada definita la
formazione esterna (di competenza regionale), denota che esso si è attribuito
una "competenza sulle competenze” estranea al nostro ordinamento.
Infatti, così come le Regioni non possono, nell’esercizio delle proprie
competenze, svuotare sostanzialmente di contenuto la competenza statale – come
è stato sottolineato, in materia di apprendistato, fra l’altro, nella sentenza n. 418 del
2006 – analogamente non è ammissibile riconoscere allo Stato la potestà di
comprimere senza alcun limite il potere legislativo regionale.
Nella specie lo Stato si è unilateralmente attribuito il potere di
disciplinare le fonti normative per identificare il discrimine tra formazione
aziendale (la cui disciplina gli spetta) e formazione professionale extra
aziendale (di competenza delle Regioni), escludendo così qualsiasi
partecipazione di queste ultime.
In sintesi, anche nell’ipotesi di apprendistato, con formazione
rappresentata come esclusivamente aziendale, deve essere riconosciuto alle
Regioni un ruolo rilevante, di stimolo e di controllo dell’attività formativa,
sicché il testo del comma 5-ter in
oggetto, a seguito delle disposte dichiarazioni di illegittimità
costituzionale, risulta essere il seguente: «In caso di formazione
esclusivamente aziendale i profili formativi dell’apprendistato
professionalizzante sono rimessi ai contratti collettivi di lavoro stipulati a
livello nazionale, territoriale o aziendale da associazioni dei datori e
prestatori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano nazionale
ovvero agli enti bilaterali. I contratti collettivi e gli enti bilaterali
determinano, per ciascun profilo formativo, la durata e le modalità di
erogazione della formazione, le modalità di riconoscimento della qualifica
professionale ai fini contrattuali e la registrazione nel libretto formativo».
Esso va comunque letto nell’ambito del sistema normativo nel quale si
inserisce, così come sopra ricostruito.
9. – Secondo le Regioni Toscana e
Basilicata, il comma 2 impugnato non trova giustificazione neppure ai sensi
dell’art. 118 Cost., perché i profili in esame non vengono attratti allo Stato
per esigenze di carattere unitario, ma sono sottratti alla potestà regionale
per essere affidati alla regolamentazione dei contratti collettivi.
Per la Regione Lazio, la norma impugnata
viola l’art. 118 Cost., in quanto si pone in contrasto con il regolamento
regionale 21 giugno 2007, n. 7 (attuativo della citata legge regionale n. 9 del
2006) le cui previsioni risultano incompatibili con la nuova disciplina
statale, perpetrando per questo aspetto una ulteriore violazione della
competenza normativa regionale, sia sotto il profilo legislativo che regolamentare.
Secondo l’Avvocatura dello Stato,
invece, una volta riconosciuta la competenza esclusiva dello Stato a
disciplinare la materia dell’apprendistato all’interno dell’azienda, o perché
si rientra pienamente nella materia dell’ordinamento civile o perché
quest’ultima è comunque prevalente, ne discende, quale diretta conseguenza,
l’insussistenza di qualsivoglia sconfinamento nell’ambito di competenze
regionali quanto al principio di sussidiarietà.
10. – Le Regioni Emilia-Romagna e
Liguria deducono che l’art. 23, comma 2, impugnato violerebbe anche l’art. 39
Cost., in quanto, attesa l’inattuazione della
richiamata norma costituzionale, la delega di funzioni paralegislative (sentenza n. 344 del
1996) – tramite la norma censurata – ai contratti collettivi, trasforma
questi ultimi in una fonte extra-ordinem,
determinando una menomazione delle competenze regionali. Secondo le ricorrenti,
vertendosi in materia di competenza regionale, esistono tutti gli elementi
della lesione di competenza indiretta, nel senso che la violazione dell’art.
117, quarto comma, Cost. si determina attraverso la violazione dell’art. 39
Cost., con la conseguente legittimazione regionale a far valere tale violazione
e, tramite questa, quella della propria potestà legislativa in materia di
formazione professionale.
Secondo l’Avvocatura dello Stato, la
censura è inammissibile, in quanto dalla stessa prospettazione di cui al
ricorso regionale non emerge alcuna attinenza tra il parametro costituzionale
invocato (art. 39 Cost.) e la lamentata lesione della competenza regionale
prefigurata dall’art. 117, quarto comma, Cost., che «costituisce l’oggetto e il
limite dell’impugnazione diretta della Regione» (sentenza n. 219 del
1984). In ogni caso, regolando la norma impugnata la sola formazione di
carattere strettamente aziendale, non viene attribuita alle parti sociali e
agli enti bilaterali alcuna competenza propria delle Regioni.
Con
distinte memorie depositate entrambe il 18 novembre 2009, la Regione Liguria e
la Regione Emilia-Romagna contestano quanto affermato dall’Avvocatura dello
Stato, ossia che non sussisterebbe alcuna attinenza tra il parametro di cui all’art.
39 Cost. e la lamentata lesione della competenza regionale. Infatti, la lesione
dell’art. 117 Cost. si determina attraverso la lesione dell’art. 39 Cost.
Inoltre vi sono profili, quali «le modalità di riconoscimento della qualifica
professionale ai fini contrattuali» e «la registrazione nel libretto
formativo», in relazione ai quali la norma impugnata non riguarda propriamente
la formazione aziendale.
11.
– Per quanto riguarda sia il parametro di cui all’art. 118 Cost. che quello di
cui all’art. 39 Cost., la questione relativa alla legittimità dell’art. 23,
comma 2, impugnato, deve ritenersi assorbita a seguito dell’accoglimento – sia
pure parziale – della questione relativamente ai parametri di cui agli artt.
117 e 120 Cost. e al principio di leale collaborazione. Infatti, tale
accoglimento, determinando il riconoscimento della rilevanza del ruolo delle
Regioni nel processo di formazione aziendale, fa sì che le stesse non possano
più lamentare la lesione delle loro competenze in suddetta materia.
12. – L’art. 23, comma 4, del
decreto-legge n. 112 del 2008 ha aggiunto all’art. 50, comma 3, del d.lgs. n.
276 del 2003, dopo le parole «e le altre istituzioni formative», i seguenti
periodi: «In assenza di regolamentazioni regionali l’attivazione dell’apprendistato
di alta formazione è rimessa ad apposite convenzioni stipulate dai datori di
lavoro con le Università e le altre istituzioni formative. Trovano
applicazione, per quanto compatibili, i principi stabiliti all’articolo 49,
comma 4, nonché le disposizioni di cui all’articolo 53».
Le
Regioni Piemonte, Marche, Veneto e Basilicata hanno impugnato la norma
richiamata per violazione del principio di leale collaborazione tra Stato e
Regioni, di cui all’art. 120 Cost., e per la menomazione delle potestà legislative
esclusive e concorrenti delle Regioni ex art. 117 Cost., e della
conseguente potestà amministrativa ex art. 118 Cost.
La norma eliminerebbe l’obbligo di
addivenire ad un accordo con le Regioni per poter utilizzare il contratto di apprendistato
di alta formazione: tale eliminazione determinerebbe l’illegittimità
costituzionale della norma risultante, in quanto proprio tale obbligo era stato
identificato dalla sentenza n. 50 del
2005 come strumento di attuazione del principio di leale collaborazione.
Secondo le ricorrenti, l’illegittimità
costituzionale della norma appare ancora più evidente se si considera che qui,
al contrario di quanto disposto per l’apprendistato professionalizzante, il
legislatore non distingue tra formazione aziendale e formazione esterna, di
competenza regionale, ma stabilisce addirittura il principio che l’intero
percorso formativo – tanto quello svolto in azienda, quanto quello svolto all’esterno
dell’azienda – può essere regolato da fonti diverse dalla norma regionale.
Secondo l’Avvocatura generale dello
Stato, la censura è infondata, in quanto la disposizione impugnata incide sulla
competenza regionale nel solo caso di assenza di normativa regionale e nelle
more di tale vacatio. La disposizione
mira ad agevolare la diffusione dell’apprendistato di alta formazione,
sopperendo al caso (peraltro frequente) di inerzia del legislatore regionale,
facendo sì che, nelle more dell’intervento regionale, l’applicazione
dell’istituto non sia impedita, introducendo una disciplina destinata a
consentire, in attesa delle auspicate regolamentazioni regionali, il raccordo
tra sistema educativo-formativo e mercato del lavoro nei settori dell’alta
formazione. La conseguenza è – secondo l’Avvocatura – che non è ravvisabile
alcuna invasione di competenze regionali né tanto meno del principio di leale
collaborazione, ove si consideri che, con la disposizione censurata, resta
fermo il potere della Regione di intervenire in qualsiasi momento a
regolamentare l’istituto sulla base delle potestà ad essa riconosciuta
dall’art. 50, comma 3, prima parte, del d.lgs. n. 276 del 2003.
12.1. – La questione non è fondata.
12.2. – Essa si basa sull’erroneo presupposto interpretativo per il
quale la disposizione censurata imporrebbe, per l’attivazione
dell’apprendistato di alta formazione, la messa a punto di apposite convenzioni
stipulate dai datori di lavoro con le Università e le altre istituzioni
formative.
Tale lettura non è in alcun modo
confortata dalla formulazione della disposizione in oggetto. Lo Stato, infatti,
indicando uno strumento per ovviare all’eventuale assenza di regolamentazione
regionale, ha permesso di dar luogo effettivamente ai contratti di
apprendistato di alta formazione in quelle Regioni ove ancora non sia stata
posta una disciplina in tal senso, peraltro con una regolamentazione ispirata a
criteri di ragionevolezza (convenzione tra datori di lavoro e Università).
Nulla impedisce, poi, alle Regioni di legiferare, riappropriandosi della
propria competenza in tema di formazione. L’espressione «in assenza di
regolamentazioni regionali» va infatti interpretata come se equivalesse a «fino
all’emanazione di regolamentazioni regionali».
Così deciso in Roma, nella sede della Corte
costituzionale, Palazzo della Consulta, il 10 maggio
2010.
F.to:
Francesco AMIRANTE, Presidente
Alfio FINOCCHIARO, Redattore
Roberto MILANA, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 14 maggio 2010.