ANNO 2009
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Francesco AMIRANTE Presidente
- Ugo DE SIERVO Giudice
- Paolo MADDALENA ”
- Alfio FINOCCHIARO ”
- Alfonso QUARANTA ”
- Luigi MAZZELLA ”
- Gaetano SILVESTRI ”
- Sabino CASSESE ”
- Maria Rita SAULLE ”
- Giuseppe TESAURO ”
- Paolo Maria NAPOLITANO ”
- Giuseppe FRIGO ”
- Alessandro CRISCUOLO ”
ORDINANZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 189, comma 6, del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285 (Nuovo codice della strada), promosso dal Giudice di pace di Trieste nel procedimento vertente tra M.D. e il Prefetto di Trieste con ordinanza del 3 dicembre 2008, iscritta al n. 110 del registro ordinanze 2009, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 16, prima serie speciale, dell'anno 2009.
Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri.
Udito nella camera di consiglio del 7 ottobre 2009 il Giudice relatore Alfonso Quaranta.
Ritenuto che il Giudice di pace di Trieste, con l'ordinanza indicata in epigrafe, ha sollevato – in riferimento agli articoli 2, 3, 27, 35 e 38 della Costituzione – questione di legittimità costituzionale dell'art. 189, comma 6, del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285 (Nuovo codice della strada);
che il remittente premette di essere investito dell'opposizione proposta dal conducente di un veicolo a carico del quale – contestato il reato previsto dal comma 6 del citato art. 189, ed in attesa della definizione del procedimento penale instaurato nei suoi confronti – è stata disposta, dall'autorità prefettizia, la sospensione cautelativa, per dodici mesi, della patente di guida, ai sensi dell'art. 223, comma 3, del codice della strada;
che il giudice a quo – non senza rammentare di aver accolto la richiesta di sospensione cautelativa dell'efficacia dell'impugnato provvedimento – deduce che, definito medio tempore il procedimento penale con l'irrogazione anche della sanzione accessoria della sospensione della patente (sempre nella misura di dodici mesi), il provvedimento prefettizio oggetto del giudizio principale «riprendeva vigore» ai sensi della norma censurata;
che il giudice a quo – nel dedurre che il soggetto opponente si avvale della patente per ragioni di lavoro – dubita della legittimità costituzionale dell'art. 189, comma 6;
che viene ipotizzato, in primo luogo, il contrasto con l'art. 27 Cost., e ciò sul presupposto che neppure «le sanzioni depenalizzate» possano «consistere in trattamenti contrari al senso di umanità»;
che, in secondo luogo, si assumono violati anche gli artt. 2 e 3 Cost., in base al rilievo che, sebbene nell'ordinamento giuridico italiano «sussista il primato della legge», siffatto primato deve essere pur sempre connesso «alle esigenze di solidarietà sociale, come il permettere di lavorare ed esistere dignitosamente», ciò che imporrebbe al legislatore di addivenire «ad un'equilibrata e flessibile disciplina, bilanciando diritti e doveri in punto di sospensione della patente»;
che detta evenienza non ricorrerebbe nel caso di specie, giacché la norma censurata non terrebbe «conto dei diritti del lavoratore, sospendendo una patente che serve a quest'ultimo per esercitare il suo lavoro», donde la violazione anche degli artt. 35 e 38 della Carta fondamentale;
che in forza di tali rilievi il remittente ha concluso per la declaratoria di illegittimità della norma censurata, nella parte in cui non ha «tenuto conto dei diritti del lavoratore», prevedendo la sospensione della patente di guida «senza parametrare e modulare tale sanzione accessoria amministrativa in modo attento» a tali diritti;
che è intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, chiedendo una declaratoria di inammissibilità o, in subordine, di non fondatezza;
che la necessità di una declaratoria di manifesta inammissibilità viene argomentata, in primo luogo, richiamando la giurisprudenza di questa Corte (ordinanze nn. 164 e 303 del 2006; nn. 453 e 423 del 2005), che reputa inammissibile la questione di legittimità costituzionale in caso di «genericità della motivazione in ordine alla contrarietà della norma denunciata ai parametri evocati»;
che, inoltre, il medesimo esito processuale si imporrebbe – secondo la difesa statale – anche sotto un differente profilo, nel senso che la sospensione provvisoria della patente di guida, disposta dal Prefetto ai sensi dell'art. 223 del codice della strada, «lungi dall'aver ripreso vigore, secondo quanto opinato dal remittente, appare, di contro, assorbita nell'omologa sanzione accessoria comminata dal giudice penale», in via definitiva, a conclusione del procedimento relativo alla fattispecie di reato di cui all'art. 189, comma 6, del codice della strada;
che, pertanto, la questione relativa a tale norma avrebbe dovuto essere sollevata nel procedimento penale, essendo questa la sede della sua applicazione;
che, in ogni caso, il dubbio di costituzionalità avanzato dal remittente sarebbe, nel merito, non fondato, non essendo ipotizzabile «la postulata lesione del diritto al lavoro», giacché il contenuto di quest'ultimo può essere «modellato dal legislatore per tenere ragionevolmente conto di altre esigenze costituzionalmente rilevanti» (è richiamata la sentenza n. 427 del 2000), esigenze tra le quali deve certamente annoverarsi la prevenzione di condotte potenzialmente pericolose per la sicurezza e l'incolumità pubblica;
che su tali basi, e non senza rilevare come non conferente sarebbe il richiamo compiuto dal remittente all'art. 27 Cost., non essendo dato comprendere in quale misura l'inibizione all'uso temporaneo dell'automobile nelle ore di minore traffico possa risolversi in un trattamento contrario al senso di umanità, la difesa statale ha chiesto dichiararsi la questione non fondata.
Considerato che il Giudice di pace di Trieste, con l'ordinanza indicata in epigrafe, ha sollevato – in riferimento agli articoli 2, 3, 27, 35 e 38 della Costituzione – questione di legittimità costituzionale dell'art. 189, comma 6, del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285 (Nuovo codice della strada);
che, in base alla norma censurata, la sospensione della patente si applica, quale sanzione amministrativa accessoria, al contegno penalmente rilevante tenuto dall'utente della strada che, in caso di incidente con danno alle persone, non abbia ottemperato all'obbligo di fermarsi;
che, secondo il giudice a quo, il legislatore avrebbe, però, fissato tale sanzione senza aver «tenuto conto dei diritti del lavoratore» e, dunque, «senza parametrare e modulare tale sanzione accessoria amministrativa in modo attento» a tali diritti, di talché la sua applicazione si risolverebbe addirittura in un «trattamento contrario al senso di umanità»;
che il remittente – nel rivendicare la necessità di un trattamento differenziato, nell'applicazione della norma censurata (o meglio della sanzione accessoria da essa prevista), a beneficio di quei soggetti che utilizzano il proprio veicolo come strumento di lavoro – formula, di fatto, la richiesta di un intervento additivo, ciò che è reso evidente dalla circostanza che egli sollecita l'introduzione di «un'equilibrata e flessibile disciplina», da realizzare «bilanciando diritti e doveri» del lavoratore;
che, tuttavia, la questione così sollevata è manifestamente inammissibile;
che rileva, in tale prospettiva, la genericità della richiesta di intervento avanzata dal Giudice di pace di Trieste;
che, nella specie, il remittente, «omettendo di formulare un petitum specifico, lascia indeterminato il contenuto del richiesto intervento additivo e, comunque, non indica una soluzione costituzionalmente obbligata» (così, da ultimo, l'ordinanza n. 135 del 2009), essendosi «limitato a denunciare una presunta situazione di contrasto tra detta disciplina e gli evocati parametri costituzionali […] senza precisare quale intervento di questa Corte, tra i molti astrattamente concepibili, potrebbe assicurare la compatibilità di tale disciplina con le norme costituzionali asseritamente violate» (cfr, ex multis, ordinanza n. 417 del 2008).
Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell'art. 189, comma 6, del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285 (Nuovo codice della strada), sollevata – in riferimento agli articoli 2, 3, 27, 35 e 38 della Costituzione – dal Giudice di pace di Trieste con l'ordinanza indicata in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, l'8 ottobre 2009.
F.to:
Francesco AMIRANTE, Presidente
Alfonso QUARANTA , Redattore
Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 23 ottobre 2009.