ORDINANZA N. 303
ANNO 2006
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Franco BILE Presidente
- Giovanni Maria FLICK Giudice
- Francesco AMIRANTE “
- Ugo DE SIERVO “
- Alfio FINOCCHIARO “
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 19 della legge 6 marzo 1987, n. 74 (Nuove norme sulla disciplina dei casi di scioglimento del matrimonio), dell’art. 11 della legge 20 settembre 1980, n. 576 (Riforma del sistema previdenziale forense), e degli articoli 17 e 18 del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633 (Istituzione e disciplina dell’imposta sul valore aggiunto), promosso con ordinanza dell’8 novembre 2005 dall’arbitro di Venezia, nel giudizio arbitrale in corso tra Cristina Vincenzi e Gianluca Sicchiero, iscritta al n. 78 del registro ordinanze 2006 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 13, prima serie speciale, dell’anno 2006.
Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nella camera di consiglio del 5 luglio 2006 il Giudice relatore Franco Gallo.
Ritenuto che, con ordinanza dell’8 novembre 2005, emessa in Venezia nel corso di un giudizio per arbitrato rituale, l’arbitro ha sollevato – in riferimento all’articolo 3 della Costituzione – questione di legittimità costituzionale dell’art. 19 della legge 6 marzo 1987, n. 74 (Nuove norme sulla disciplina dei casi di scioglimento del matrimonio), dell’art. 11 della legge 20 settembre 1980, n. 576 (Riforma del sistema previdenziale forense), e degli articoli 17 e 18 del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633 (Istituzione e disciplina dell’imposta sul valore aggiunto), nella parte in cui: a) assoggettano a contributo in favore della Cassa nazionale di previdenza e assistenza forense, nella misura del 2%, e ad IVA, nella misura del 20%, i compensi per le attività professionali del difensore che assiste un coniuge in un giudizio di scioglimento del matrimonio; b) consentono al difensore la correlativa rivalsa nei confronti di quel coniuge, il quale rimane così gravato dei predetti imposta e contributo;
che l’arbitro rimettente premette: a) di avere già sollevato la stessa questione di legittimità costituzionale nel corso del medesimo procedimento, con ordinanza del 22 luglio 2004; b) che questa Corte, decidendo sulla questione con ordinanza n. 298 del 2005, gli avrebbe chiesto di fornire adeguata motivazione in relazione alla sua competenza «a decidere sulle domande» a lui sottoposte; c) di avere emesso, in data 23 settembre 2005, lodo parziale – poi passato in giudicato – con cui dichiara detta competenza;
che, nel descrivere la fattispecie al suo esame, il rimettente ripete quanto già esposto nella precedente ordinanza di rimessione, e cioè che Cristina Vincenzi e l’avvocato Gianluca Sicchiero, il quale la assiste in un giudizio per lo scioglimento del matrimonio, hanno devoluto in arbitrato rituale la controversia relativa alla richiesta della Vincenzi di ottenere la restituzione delle somme corrisposte al Sicchiero a titolo degli indicati contributo previdenziale e IVA e di dichiarare non dovuti gli stessi prelievi sull’ulteriore acconto chiestole dall’avvocato nel corso del medesimo procedimento civile;
che, secondo quanto riferisce il rimettente, la Vincenzi ritiene non assoggettabile ad alcun contributo o imposta il compenso del suo legale, invocando a tal fine l’esenzione dalle imposte di bollo e di registro e da ogni altra tassa, disposta dall’art. 19 della legge n. 74 del 1987; l’avvocato Sicchiero, invece, è di avviso contrario, pur ritenendo costituzionalmente illegittime le disposizioni che impongono il pagamento di tali somme;
che, in punto di rilevanza della questione, l’arbitro a quo afferma preliminarmente la propria competenza «a giudicare sulla lite in essere, come deciso nel lodo parziale passato in giudicato e che si invia alla Corte costituzionale con il fascicolo del procedimento»;
che, in particolare, il rimettente, affermando di riportare sinteticamente la motivazione del lodo, alla quale rinvia espressamente «per completezza», rileva che: a) secondo il diritto vivente, non spetta alla giurisdizione tributaria «la pretesa del privato, rivolta ad un altro privato, di non pagare una somma ancorché involga questioni di diritto tributario»; b) di conseguenza, «il punto della questione riguarda la competenza esclusiva […] del tribunale», in materia di imposte e tasse, ai sensi dell’art. 9 cod. proc. civ., la quale deve essere negata per «il rapporto privatistico inerente la rivalsa o regresso tra soggetti privati quale quello in esame»; c) «tanto basta ad escludere la sussistenza di qualsiasi questione sottratta alla competenza dell’arbitro o che ex art. 819 c.p.c. imponga la sospensione del giudizio, come già indicato nel lodo parziale»;
che, in punto di non manifesta infondatezza della questione, il rimettente denuncia l’irragionevolezza e l’incoerenza delle norme censurate, perché la volontà del legislatore sarebbe diretta, a suo dire, ad eliminare, per i coniugi che debbono separarsi o divorziare, qualsiasi costo fiscale, come sarebbe dimostrato dall’esenzione prevista dall’art. 19 della legge n. 74 del 1987 per le imposte di bollo e di registro; le norme censurate, invece, impongono agli stessi coniugi di sostenere, attraverso il meccanismo indiretto della rivalsa da parte del proprio difensore, un rilevante onere a titolo di IVA e di contributo per la Cassa nazionale di previdenza e assistenza forense;
che è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura dello Stato, eccependo l’inammissibilità della questione, per l’incompetenza dell’arbitro rimettente a decidere sui rapporti tributari e previdenziali, e deducendo in ogni caso l’infondatezza della questione medesima, perché basata su un vago e imprecisato concetto di irragionevolezza.
Considerato che l’arbitro rimettente dubita della legittimità costituzionale dell’art. 19 della legge 6 marzo 1987, n. 74 (Nuove norme sulla disciplina dei casi di scioglimento del matrimonio), dell’art. 11 della legge 20 settembre 1980, n. 576 (Riforma del sistema previdenziale forense), degli articoli 17 e 18 del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633 (Istituzione e disciplina dell’imposta sul valore aggiunto), nella parte in cui non estendono all’IVA e al contributo in favore della Cassa nazionale di previdenza e assistenza forense, dovuti sui compensi per l’attività difensiva dell’avvocato, l’esenzione dai tributi prevista dal suddetto art. 19 della legge n. 74 del 1987 riguardo a tutti gli atti, i documenti ed i provvedimenti «relativi al procedimento di scioglimento del matrimonio o di cessazione degli effetti civili del matrimonio nonché ai procedimenti […] diretti ad ottenere la corresponsione o la revisione degli assegni di cui agli articoli 5 e 6 della legge 1° dicembre 1970, n. 898», oltre che – come deciso da questa Corte con sentenza n. 154 del 1999 – relativi ai procedimenti di separazione personale dei coniugi;
che, secondo il rimettente – il quale è arbitro rituale in una controversia avente per oggetto la legittimità di quanto dovuto, a titolo sia di rivalsa dell’IVA sia di contributo previdenziale forense, da una cliente all’avvocato che l’assiste in un procedimento di divorzio –, le predette norme sarebbero in contrasto con l’art. 3 della Costituzione, sotto il profilo del difetto di ragionevolezza e di coerenza, perché la sottoposizione all’IVA e al predetto contributo previdenziale sarebbe contraddittoria con l’intento del legislatore di escludere ogni costo fiscale per gli indicati procedimenti;
che sulla medesima questione, sollevata dal rimettente nello stesso procedimento arbitrale, questa Corte si è già pronunciata con l’ordinanza n. 298 del 2005, dichiarandola manifestamente inammissibile per difetto di motivazione sulla rilevanza, in quanto l’arbitro rimettente non aveva fornito adeguata motivazione sulla propria competenza a conoscere incidentalmente dei rapporti tributari e previdenziali non compromettibili in arbitri;
che con tale pronuncia questa Corte ha rilevato che l’ordinanza di rimessione non aveva tenuto conto del primo comma dell’art. 819 cod. proc. civ., il quale – nel testo applicabile ratione temporis nel giudizio arbitrale a quo – disciplina la definizione delle questioni incidentali nel giudizio arbitrale, stabilendo che, «se nel corso del procedimento sorge una questione che per legge non può costituire oggetto di giudizio arbitrale, gli arbitri, qualora ritengano che il giudizio ad essi affidato dipende dalla definizione di tale questione, sospendono il procedimento»;
che, nel riproporre la questione, il rimettente si limita ad affermare di avere emesso un «lodo parziale» passato in giudicato, cui fa rinvio, e che, secondo tale «lodo parziale», le cause aventi ad oggetto la rivalsa per l’IVA e il contributo previdenziale, in quanto sottratte alla competenza delle Commissioni tributarie e non attinenti a rapporti tributari, possono essere compromesse in arbitri;
che, per il rimettente, «tanto basta ad escludere la sussistenza di qualsiasi questione sottratta alla competenza dell’arbitro o che ex art. 819 c.p.c. imponga la sospensione del giudizio, come già indicato nel lodo parziale»;
che, tuttavia, tale asserzione non colma la lacuna motivazionale rilevata da questa Corte con la citata ordinanza n. 298 del 2005;
che, infatti, l’affermazione secondo cui non sussistono questioni sottratte alla competenza dell’arbitro rimettente è irrilevante, perché riguarda, in base allo specifico contenuto dell’ordinanza di rimessione, solo le questioni compromettibili in arbitri di natura meramente privatistica relative alla rivalsa per l’IVA e al contributo previdenziale e, pertanto, non riguarda la competenza a conoscere anche delle questioni incidentali relative alle obbligazioni tributarie e previdenziali escluse dalla cognizione arbitrale ai sensi del primo comma dell’art. 819 cod. proc. civ., e alla quale fa riferimento la citata ordinanza di questa Corte;
che l’ordinanza di rimessione è altresì insufficientemente motivata, perché, nel dichiarare l’insussistenza di questioni che impongano la sospensione del giudizio arbitrale ai sensi dell’art. 819 cod. proc. civ., non chiarisce nemmeno quale sia l’effettivo contenuto del suddetto «lodo parziale», e cioè se questo abbia affermato la competenza dell’arbitro a conoscere in via incidentale tali questioni ovvero abbia escluso l’esistenza di qualsiasi questione pregiudiziale;
che, d’altra parte, a dette carenze di motivazione la Corte non può sopperire con l’esame del «lodo parziale» cui fa rinvio il rimettente, perché, per il principio di autosufficienza dell’ordinanza di rimessione, essa non può prendere in esame atti diversi da tale ordinanza (ex plurimis, ordinanze n. 164 del 2006, nn. 453, 423, 364 e 166 del 2005, n. 279 del 2000);
che, ai fini di fondare la competenza dell’arbitro a conoscere in via incidentale delle questioni tributarie e previdenziali, non potrebbe farsi riferimento al vigente primo comma dell’art. 819 cod. proc. civ., introdotto dall’art. 22 del decreto legislativo 2 febbraio 2006, n. 40 (Modifiche al codice di procedura civile in materia di processo di cassazione in funzione nomofilattica e di arbitrato, a norma dell’articolo 1, comma 2, della legge 14 maggio 2005, n. 80), secondo cui «gli arbitri risolvono senza autorità di giudicato tutte le questioni rilevanti per la decisione della controversia, anche se vertono su materie che non possono essere oggetto di convenzione di arbitrato, salvo che debbano essere decise con efficacia di giudicato per legge», perché questa disposizione si applica ai procedimenti arbitrali instaurati con domanda proposta successivamente al 2 marzo 2006 (art. 27, comma 4, del citato d.lgs. n. 40 del 2006) e non, dunque, al giudizio a quo, il quale ha avuto invece inizio prima di tale data;
che, non avendo l’arbitro posto rimedio al difetto di motivazione sulla rilevanza, già riscontrato da questa Corte con l’ordinanza n. 298 del 2005, la questione deve essere dichiarata manifestamente inammissibile.
Visti gli articoli 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell’art. 19 della legge 6 marzo 1987, n. 74 (Nuove norme sulla disciplina dei casi di scioglimento del matrimonio), dell’art. 11 della legge 20 settembre 1980, n. 576 (Riforma del sistema previdenziale forense), e degli articoli 17 e 18 del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633 (Istituzione e disciplina dell’imposta sul valore aggiunto), sollevata, in riferimento all’art. 3 della Costituzione, dall’arbitro di Venezia con l’ordinanza in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 5 luglio 2006.
Franco BILE, Presidente
Franco GALLO, Redattore
Depositata in Cancelleria il 20 luglio 2006.