Ordinanza n. 279/2000

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ORDINANZA N. 279

ANNO 2000

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai Signori Giudici:

- Cesare MIRABELLI, Presidente

- Francesco GUIZZI

- Fernando SANTOSUOSSO

- Massimo VARI

- Riccardo CHIEPPA

- Gustavo ZAGREBELSKY

- Valerio ONIDA

- Carlo MEZZANOTTE

- Fernanda CONTRI

- Guido NEPPI MODONA

- Annibale MARINI

- Franco BILE

- Giovanni Maria FLICK

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 81, comma 9, della legge 23 dicembre 1998, n. 448 (Misure di finanza pubblica per la stabilizzazione e lo sviluppo), promosso con ordinanza emessa il 5 luglio 1999 dal Tribunale di Brescia nei procedimenti civili riuniti PASOLINI Maria Rosa contro INPS, iscritta al n. 618 del registro ordinanze 1999 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 45, prima serie speciale, dell'anno 1999.

Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 7 giugno 2000 il Giudice relatore Franco Bile.

Ritenuto che con l’ordinanza in epigrafe il Tribunale di Brescia, in composizione monocratica e in funzione di giudice del lavoro, nel corso di un giudizio su due procedimenti riuniti di opposizione a due diversi decreti ingiuntivi, ottenuti dall’INPS contro Pasolini Maria Rosa, per omessa contribuzione previdenziale, ha sollevato questione di costituzionalità dell’art. 81, comma 9, della legge 23 dicembre 1998, n. 448 (Misure di finanza pubblica per la stabilizzazione e lo sviluppo), per violazione dell’art. 3 della Costituzione;

che il rimettente riferisce che nelle more del giudizio l’opponente avrebbe presentato, con riserva di ripetizione, domanda di cosiddetto condono relativamente ai contributi richiesti con i due decreti opposti, producendo quindi la documentazione inerente i conseguenti adempimenti;

che, successivamente, l’opponente avrebbe chiesto di <<essere autorizzato ad integrare le conclusioni con l’ulteriore domanda di condanna dell’INPS alla restituzione delle somme versate in sede di condono, oltre interessi legali dalla data del pagamento, nel caso di riconoscimento della non debenza delle somme ingiunte e di conseguente revoca dei due decreti ingiuntivi opposti, facendo così valere la riserva di ripetizione>>;

che il rimettente, fatte tali premesse, osserva che la domanda di restituzione di indebito sarebbe ammissibile, perché costituirebbe una naturale espansione della domanda originariamente formulata negli atti introduttivi;

che, quindi, il rimettente assume che la sua decisione deve contemplare anche detta domanda e, quindi, la debenza degli interessi, spettanti all’opponente ai sensi dell’art. 2033 del codice civile, ma di seguito rileva che nelle more del giudizio è sopravvenuto il suddetto art. 81, comma 9, della legge n. 448 del 1998, il quale - pur avendo previsto la validità delle clausole di riserva di ripetizione delle somme pagate in esecuzione di condoni previdenziali - ha stabilito che sulle somme dovute dagli enti impositori a seguito del contenzioso sulle azioni di ripetizione di indebito con cui la riserva sia stata fatta valere, non sono dovuti interessi;

che dopo tali assunti il rimettente enuncia testualmente che <<è superfluo riferire alla Corte altri aspetti della controversia, poiché le risultanze di causa che determineranno la decisione devono essere valutate da questo Giudice e non dal Giudice delle leggi, cosicché non interessano in questa sede, neppure ai fini della dimostrazione della sussistenza della rilevanza in causa della questione incidentale di legittimità costituzionale>>, per poi soggiungere che <<in ogni caso gli atti del giudizio vengono trasmessi alla Corte Costituzionale che, ove lo ritenga necessario, ben potrà agevolmente esaminarli, motu proprio, nell’ambito del corretto esercizio della propria funzione, tenendo conto che questo Giudice non può, comunque, manifestare anticipatamente il proprio orientamento>>;

che il rimettente motiva la non manifesta infondatezza della questione osservando anzitutto che vi sarebbe una violazione dell’art. 3 Cost. ed all’uopo egli afferma che il legislatore non potrebbe escludere del tutto la corresponsione di interessi, ma solo ridurli ad una misura non simbolica, e che nella specie non ricorrerebbero nemmeno gli estremi per una loro riduzione;

che la scelta di escludere la corresponsione degli interessi, inoltre, sarebbe incomprensibile e contraddittoria, anche se le si attribuisse un intento sanzionatorio o se si considerasse l’effettuazione del condono come <<ipotesi di natura pseudo-transattiva>>;

che, infine, il rimettente sostiene che non sarebbe possibile alcuna interpretazione costituzionale, e che la questione sollevata sarebbe rilevante;

che nel giudizio è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, sostenendo in via preliminare l’inammissibilità della questione, in quanto il rimettente non avrebbe accertato se in concreto sussistevano le condizioni poste dalla denunciata norma dell’art. 81, comma 9, per la ripetizione delle somme versate in occasione del condono, ed in via subordinata l’infondatezza della questione.

Considerato che il giudice a quo, nell’assumere espressamente che sarebbe superfluo riferire nell’ordinanza ulteriori elementi in ordine alla controversia, enuncia che la loro individuazione dovrebbe desumersi da questa Corte attraverso l’esame degli atti del giudizio a quo;

che tale assunto, in quanto i detti elementi sarebbero stati necessari per apprezzare la rilevanza della questione, contraddice la consolidata giurisprudenza di questa Corte, secondo cui, in ossequio al c.d. principio di autosufficienza dell’ordinanza di rimessione (cfr. ordinanza n. 242 del 1999), è escluso che gli elementi per apprezzare la rilevanza della questione possano desumersi dagli atti del giudizio a quo (cfr. da ultimo l’ordinanza n. 300 del 1999);

che la motivazione sulla rilevanza della questione è del tutto apparente ed apodittica, in quanto il rimettente non ha enunciato in alcun modo le ragioni per cui la norma denunciata, sopravvenuta nel corso del giudizio, sarebbe eventualmente in esso applicabile, ed in quanto - sussistendo nel giudizio a quo cumulo fra la domanda inerente l’azione di condanna al pagamento dei contributi esercitata dall’INPS, oggetto dell’opposizione ai decreti ingiuntivi, e la domanda di restituzione delle somme pagate in esecuzione del condono, proposta dall’opponente, ed essendo tale cumulo regolato da un nesso di pregiudizialità della prima domanda rispetto alla seconda - il rimettente, per poter prospettare la questione come concretamente rilevante, avrebbe dovuto decidere prima sull’opposizione a decreto ingiuntivo (e, in caso di accoglimento dell’opposizione nel merito, disporre la prosecuzione del giudizio sulla domanda restitutoria e solo allora sollevare la questione), o - scegliendo di decidere congiuntamente sulle due domande - quantomeno dare atto di avere esaurito l’istruzione sulla prima domanda con risultati tali da far ritenere almeno possibile l’accoglimento dell’opposizione nel merito;

che pertanto, in presenza di tale palese difetto di motivazione sulla rilevanza, la questione è manifestamente inammissibile.

Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87 e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell’articolo 81, comma 9, della legge 23 dicembre 1998, n. 448 (Misure di finanza pubblica per la stabilizzazione e per lo sviluppo), sollevata, in riferimento all’articolo 3 della Costituzione, dal Tribunale di Brescia con l’ordinanza in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 6 luglio 2000.

Cesare MIRABELLI, Presidente

Franco BILE, Redattore

Depositata in cancelleria il 13 luglio 2000.