ORDINANZA N. 298
ANNO 2005
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Piero Alberto CAPOTOSTI Presidente
- Fernanda CONTRI Giudice
- Guido NEPPI MODONA “
- Annibale MARINI “
- Franco BILE “
- Giovanni Maria FLICK “
- Francesco AMIRANTE “
- Ugo DE SIERVO “
- Romano VACCARELLA “
- Alfio FINOCCHIARO “
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 19 della legge 6 marzo 1987, n. 74 (Nuove norme sulla disciplina dei casi di scioglimento del matrimonio), dell’art. 11 della legge 20 settembre 1980, n. 576 (Riforma del sistema previdenziale forense), e degli articoli 17 e 18 del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633 (Istituzione e disciplina dell’imposta sul valore aggiunto), promosso con ordinanza del 22 luglio 2004 dall’arbitro di Venezia nel giudizio arbitrale in corso tra Cristina Vincenti e Gianluca Sicchiero, iscritta al n. 896 del registro ordinanze 2004 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 46, prima serie speciale, dell’anno 2004.
Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nella camera di consiglio del 22 giugno 2005 il Giudice relatore Franco Gallo.
Ritenuto che, con ordinanza del 22 luglio 2004, emessa in Venezia nel corso di un giudizio per arbitrato rituale, l’arbitro ha sollevato – in riferimento all’articolo 3 Cost. – questione di legittimità costituzionale dell’art. 19 della legge 6 marzo 1987, n. 74 (Nuove norme sulla disciplina dei casi di scioglimento del matrimonio), dell’art. 11 della legge 20 settembre 1980, n. 576 (Riforma del sistema previdenziale forense), e degli articoli 17 e 18 del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633 (Istituzione e disciplina dell’imposta sul valore aggiunto), nella parte in cui assoggettano a contributo in favore della Cassa nazionale di previdenza e assistenza forense, nella misura del 2%, e ad IVA, nella misura del 20%, le attività professionali del difensore che assiste un coniuge in un giudizio di scioglimento del matrimonio, «nonché dei medesimi articoli laddove comunque consentano che le predette imposte e contributi gravino sul coniuge in quanto consentono al difensore la rivalsa per i relativi importi sul coniuge stesso»;
che l’arbitro rimettente premette che, con compromesso datato 16 luglio 2004, Cristina Vincenzi e l’avvocato Gianluca Sicchiero hanno devoluto in arbitrato rituale: 1) la richiesta della Vincenzi di ottenere la restituzione dell’importo di € 8,17, pagato a titolo di contributo del 2% per la Cassa nazionale di previdenza e assistenza forense, e dell’importo di € 83,33 pagato a titolo di IVA, all’avvocato Sicchiero, il quale assiste la Vincenzi in un giudizio per lo scioglimento del matrimonio di questa; 2) la richiesta della Vincenzi stessa di non corrispondere l’IVA ed il contributo previdenziale del 2% sull’ulteriore acconto di € 500,00 chiesto dall’avvocato Sicchiero, nel corso dello stesso procedimento civile;
che – secondo quanto riferisce il rimettente – la Vincenzi ritiene non dovuta alcuna tassa o contributo sull’onorario del suo legale, in base all’art. 19 della legge n. 74 del 1987, mentre l’avvocato Sicchiero è di avviso contrario, pur ritenendo anch’egli, in linea di principio, costituzionalmente illegittime le disposizioni che impongono il pagamento di tali somme;
che l’arbitro sostiene di essere legittimato a sollevare in via incidentale questioni di costituzionalità in forza del principio affermato nella sentenza della Corte costituzionale n. 376 del 2001;
che, in punto di rilevanza della questione, l’arbitro rimettente afferma preliminarmente la propria competenza a giudicare sul quesito postogli, riguardante rapporti di mero diritto privato, quali la ripetizione di indebito e l’accertamento del diritto di non pagare una somma, anche se implicanti la cognizione di rapporti di diritto tributario;
che, al riguardo, l’arbitro a quo richiama il principio giurisprudenziale (Cassazione, sezioni unite civili, 11 febbraio 2003, n. 1995) per cui appartiene alla giurisdizione del giudice ordinario e non a quella delle commissioni tributarie la controversia nella quale, in relazione al pagamento dell’IVA, il cedente faccia valere in via di rivalsa il proprio credito nei confronti del cessionario, atteso che detto credito non ha natura tributaria e che il giudice ordinario, in assenza di specifici divieti, può risolvere (senza efficacia di giudicato) tutte le questioni che costituiscano un antecedente logico della decisione che è chiamato ad emettere, anche se attribuite alla cognizione di altro giudice;
che, ad avviso del rimettente, le norme censurate, non prevedendo alcuna esenzione contributiva o fiscale relativamente ai compensi del difensore nei giudizi di scioglimento di matrimonio, legittimano l’esercizio del diritto di rivalsa del difensore verso la propria cliente;
che, in punto di non manifesta infondatezza della questione sollevata, il rimettente denuncia l’irragionevolezza delle norme censurate, perché il versamento del contributo previdenziale e dell’IVA da parte della cliente è di ammontare ben più elevato dei “costi” che il legislatore ha voluto eliminare con le esenzioni di cui all’art. 19 della legge n. 74 del 1987, come le imposte di bollo e di registro;
che le stesse norme violerebbero il «principio di coerenza dell’art. 3 della Costituzione» perché, «pur essendo stato eliminato ogni costo per tassa o imposta, altri costi fiscali e previdenziali vengono ugualmente riscossi dallo Stato e dalla Cassa previdenziale, sia pure con il meccanismo indiretto della rivalsa da parte del professionista», essendo del tutto irrilevante che IVA e contributo previdenziale non siano riscossi «mediante tassazione operata sugli atti del fascicolo di causa dall’Ufficio delle entrate»;
che è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura dello Stato, eccependo l’inammissibilità della questione, per l’incompetenza dell’arbitro rimettente a decidere sui rapporti tributari e previdenziali, e deducendo in ogni caso l’infondatezza della questione medesima, perché basata su un vago e imprecisato concetto di irragionevolezza;
che, con successiva memoria depositata in prossimità della camera di consiglio, l’Avvocatura ha ribadito quanto già sostenuto, evidenziando altresì che il rimettente non ha proposto specifici motivi di censura con riferimento alle «uniche norme, tra quelle impugnate, aventi rilievo nel giudizio in corso», e cioè all’art. 18 del d.P.R. n. 633 del 1972 e all’art. 11 della legge n. 576 del 1980.
Considerato che il rimettente denuncia il contrasto fra l’art. 19 della legge 6 marzo 1987, n. 74 (Nuove norme sulla disciplina dei casi di scioglimento del matrimonio), l’art. 11 della legge 20 settembre 1980, n. 576 (Riforma del sistema previdenziale forense), gli articoli 17 e 18 del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633 (Istituzione e disciplina dell’imposta sul valore aggiunto), e l’art. 3 della Costituzione, sotto il profilo del difetto di ragionevolezza e di coerenza;
che in sostanza il rimettente – nel corso di un arbitrato rituale avente per oggetto la legittimità del pagamento dell’IVA e del contributo previdenziale integrativo dovuti da una cliente all’avvocato che la assiste in un procedimento di divorzio – solleva la questione di legittimità costituzionale al fine di ottenere la declaratoria di illegittimità delle norme censurate, nella parte in cui non estendono all’IVA e al contributo previdenziale le esenzioni previste dall’art. 19 della legge n. 74 del 1987;
che la motivazione dell’ordinanza di rimessione circa l’affermata competenza dell’arbitro a conoscere tali questioni tributarie e previdenziali in via incidentale è manifestamente insufficiente, perché il rimettente si limita a richiamare l’orientamento giurisprudenziale secondo cui il giudice ordinario, chiamato a giudicare sul rapporto di rivalsa tra privati, può conoscere incidentalmente l’obbligazione tributaria sottostante;
che, pertanto, il rimettente non fornisce alcuna giustificazione dell’affermata automatica equiparazione dell’arbitro al giudice in ordine al potere di conoscere le questioni incidentali;
che lo stesso rimettente, infatti, non tiene conto dell’art. 819 cod. proc. civ., il quale disciplina appunto la definizione delle questioni incidentali nel giudizio arbitrale, stabilendo in particolare al primo comma che «se nel corso del procedimento sorge una questione che per legge non può costituire oggetto di giudizio arbitrale, gli arbitri, qualora ritengano che il giudizio ad essi affidato dipende dalla definizione di tale questione, sospendono il procedimento»;
che l’omessa considerazione di quanto disposto dal citato art. 819 cod. proc. civ. in ordine al potere dell’arbitro di conoscere le questioni incidentali relative ai rapporti tributari e previdenziali disciplinati dalle norme censurate si risolve nella carenza di motivazione sulla rilevanza della sollevata questione;
che questa, pertanto, deve essere dichiarata manifestamente inammissibile.
Visti gli articoli 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell’art. 19 della legge 6 marzo 1987, n. 74 (Nuove norme sulla disciplina dei casi di scioglimento del matrimonio), dell’art. 11 della legge 20 settembre 1980, n. 576 (Riforma del sistema previdenziale forense), e degli articoli 17 e 18 del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633 (Istituzione e disciplina dell’imposta sul valore aggiunto), sollevata, in riferimento all’art. 3 della Costituzione, dall’arbitro di Venezia con l’ordinanza in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 7 luglio 2005.
Piero Alberto CAPOTOSTI, Presidente
Franco GALLO, Redattore
Depositata in Cancelleria il 19 luglio 2005.